Le mofete, un patrimonio naturalistico


Gli amici si proclamano sinceri, i nemici lo sono.
A. Schopenhauer. Parerga e paralipomena.

Conoscere a fondo il territorio rende consapevoli della valorizzazione del proprio patrimonio e del potenziamento nell’attrattiva da essa esercitata. È questa la motivazione che ha spinto Marzia Spera, attenta conoscitrice della realtà di Oliveto Citra, un paese della val Sele, e undici giovani a costituire la Cooperativa Mefitis. Lo scopo è quello di studiare le caratteristiche del territorio delle mofete, al confine con l’Irpinia.
Le mofete sono una forma secondaria di attività vulcanica, consistente in emissioni fredde di anidride carbonica che scaturiscono da fessurazioni del terreno. Essendo tale gas più denso dell'aria, in luoghi non ventilati quali ad esempio grotte e cunicoli minerari tende a ristagnare sul fondo (È noto l'esempio della cosiddetta grotta del Cane, sita nei Campi Flegrei, che prende il nome dall'antica usanza di evidenziare la presenza del gas in prossimità del fondo introducendovi un cane che, costretto dalla sua bassa statura a respirarlo, era destinato a morire nell'arco di pochi minuti). Il problema interessa in modo particolare i pozzi verticali, che si riempiono in breve tempo diventando ben presto inagibili. Il naturalista settecentesco Giorgio Santi testimonia un uso passato del termine "mofeta" più generale, ovvero comprendente un composto «di gas idrogeno per lo più solforato, di gas acido-carbonico, e da carbonico libero». Tale miscuglio, rispetto all'anidride carbonica pura, oltre a risultare velenoso per i minatori era anche più volatile, comprometteva l'integrità delle strutture portanti in legno ed era potenzialmente esplosivo (da non confondersi, comunque, con il grisù, composto prevalentemente da metano). I minatori affrontavano il problema calando nei pozzi secchi pieni di tizzoni accesi, che consumavano la parte combustibile della mofeta riducendola alla pura componente inerte di anidride carbonica, che tornava a concentrarsi, in quantità estremamente ridotta, sul fondo del pozzo dove la presenza umana non era necessaria.
Il territorio di Oliveto Citra, già di per sé particolare per le numerose sorgenti solforose, ha conosciuto storie di brigantaggio e di culti antichi, di lupi mannari e divinità italiche come quelle delle acque presso il Fonte di Plinio. Luoghi che hanno migliaia di anni, nei quali esistono tracce che riportano agli uomini dell’età della pietra, graffiti paleocristiani e insediamenti rupestri, un totem neolitico. Lo testimoniano recenti scoperte e storie ancora avvolte nel mistero come il mito delle sirene e della dea Mofita dall’immagine bifronte, a cui veniva attribuito il potere di fare da tramite tra la vita e la morte e di presenziare agli scambi. Nelle vicinanze delle sorgenti sono stati rinvenuti ex voto, monete, vasetti votivi e pendagli di ambra rossa. Nei pressi della sorgente San Sisto non mancano i ruderi di antiche chiese cristiane.
La divinità da cui prende il nome la cooperativa, è Mefitis il cui nome significa «colei che fuma nel mezzo» oppure «colei che si inebria» o ancora - sembra con maggiore probabilità - «colei che sta nel mezzo». Mefitis era la dea della fecondità e incarnava l’aspetto più magico e imperscrutabile della Grande Madre Mediterranea. Il culto di Mefitis era diffuso in tutta l’Italia che parlava la lingua osco-sabellica, in particolare nelle zone abitate o frequentate dalle popolazioni sannitiche. La sua presenza però si riscontra anche fuori dell’area osco-sabellica: a Cremona, a Lodivecchio, a Roma - dove sono attestati un tempio (Aedes Mefitis) e un boschetto sacro (Lucus Mefitis) a lei dedicati sull’Esquilino fin dal III a.C. - e a Tivoli. I luoghi di culto di Mefite sono situati quasi sempre in un ambiente caratterizzato dalla presenza di acque fluviali o lacustri.
«Oliveto Citra è il Comune italiano più interessante per quanto riguarda il degassamento naturale dal suolo, anidride carbonica, anidride solforosa, idrogeno solforato, acido solforico, elio, metano, azoto, idrocarburi aromatici e altri gas che, risalendo dalle profondità della Terra, trovano come via preferenziale faglie e fratture», dice Italo Lullo, sindaco che ha promosso quest’iniziativa unica in Italia. «Sono state riscontrate nel comprensorio comunale di Oliveto Citra ben dieci venute di gas, le cosiddette mofete, con o senza la presenza di acqua», spiega la geologa Marzia Spera. Queste mofete costituiscono un posto di particolare interesse geologico definito geosito. L’individuazione dei geositi offre numerose opportunità: dalla valorizzazione e conservazione del patrimonio geologico, alla promozione del territorio comunale e provinciale, integrandola conoscenza di questi fenomeni naturali nei dati nella pianificazione territoriale. «L’alta e media valle del fiume Sele», aggiunge Spera, «è tra le aree più interessanti della Campania dal punto di vista del paesaggio». I ragazzi di Oliveto Citra hanno già dato la propria adesione al progetto Alla scoperta delle terre dal cuore caldo, avviato dal Cosvig (Consorzio sviluppo aree geotermiche) e da Slow Food, che sarà reso operativo il prossimo autunno, in occasione del Salone del gusto a Torino.
La Cooperativa Mefitis si propone di potenziare l’attrattiva esercitata dal territorio e quindi dell’offerta turistica, con la possibilità di implementare i posti di lavoro attraverso servizi collegati con l’attività turistico-didattica, la cui offerta dovrà essere potenziata.

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Mofete a Oliveto Citra

LOGO 19 agosto 2014

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