O sventurato Aiace, tu ch'eri sì grande, hai avuto tale destino!
Sofocle, Aiace
È Londra la capitale mondiale della formazione universitaria. La conferma arriva oggi dalla lettura del decimo Qs University Ranking, una delle più accreditate classifiche internazionali dell’alta formazione, redatto dall’istituto di ricerca privato Quacquarelli Simonds, che prende in esame circa 3.000 università di tutto il mondo, valutandone oltre 800, sulla base di sei indicatori: reputazione accademica (che pesa per il 40% del giudizio); giudizio dei datori di lavoro e cacciatori di teste (10%), rapporto docenti/studenti (20%), numero di citazioni per docente (20%), percentuale di studenti stranieri (5%) e docenti internazionali (5%). Dalla combinazione dei risultati, cinque università della capitale britannica compaiono tra le prime 100, più di quante ne piazzino Boston e Hong Kong (3), New York, Parigi, Tokyo, Melbourne e Pechino (2). Commenti soddisfatti dal sindaco di Londra, Boris Johnson: «In nessun altra città si trova una tale massa critica delle migliori università a pochi chilometri l’una dall’altra, tutte in grado di offrire una formazione eccellente e produrre laureati che diventano leader nei loro settori», ha dichiarato. In vetta alla classifica, per il terzo anno consecutivo, il bostoniano Massachussetts Institute of Technology (Mit), seguito da Cambridge, a pari merito con la vera rivelazione dell’anno: l’Imperial College (Londra). Harvard passa dalla seconda alla quarta posizione, davanti a Ucl (University College London). E poi a seguire, nella top ten, Oxford, Stanford, la californiana Caltech, Princeton e Yale. Sempre gli stessi nomi, sempre un testa a testa tra Usa e Uk e solo qualche leggero spostamento di posizione, ma sono queste, da anni, le istituzioni più solide e ambite dell’istruzione superiore. I dieci migliori atenei raggiungono l’eccellenza e punteggi elevati in termini di reputazione accademica, calcolati sulla base delle 63.676 risposte ottenute dal sondaggio di professori, ricercatori e accademici internazionali. Dominano anche l’indicatore della reputazione presso i datori di lavoro, calcolato sulla base delle 28.759 risposte ottenute dal sondaggio di manager delle risorse umane e recruiter internazionali. Inoltre, hanno in comune una buona performance nell’indicatore che misura la proporzione tra studenti e docenti e nei due indicatori che misurano la proporzione di studenti e docenti internazionali rispetto a quelli locali.
Inutile cercare un’italiana tra le prime cento. La prima a comparire in un parterre dominato da atenei anglofoni e orientali è l’Alma Mater di Bologna (182esima), che sale di sei posti rispetto allo scorso anno e si riconferma la prima in Italia. In particolare, quello che non va, per i laureati di casa nostra, è la reputazione tra recruiters e cacciatori di teste. Male anche la proporzione tra studenti e docenti: gli effetti di tagli e la recessione si evincono anche da questi risultati. Negli indicatori più legati all’internazionalizzazione - proporzione di studenti e docenti internazionali - l’Italia non é competitiva, in un sistema mondiale dominato dall’inglese, lingua franca della formazione e della ricerca. I miglioramenti sono invece nelle performance scientifiche e nella reputazione accademica. Uscendo dalle prime 200 posizioni, quelli che si sono dati più da fare tra i 26 atenei nostrani, degli 863 totali, sono La Sapienza di Roma (che però scivola al 202esimo posto, dal 196esimo nel 2013); il Politecnico di Milano ( 229esimo posto; era 230esima lo scorso anno, ma è prima tra le italiane nella categoria Engineering and Technology e 31esima nel mondo); la Statale di Milano (238esima), Pisa 245, Padova 262. Sotto alla posizione numero 300 figurano Tor Vergata (305), Federico II di Napoli (345), Firenze (352), Politecnico di Torino (365), Pavia ( 371) Università Cattolica del Sacro Cuore (377) e Torino (394). Gli atenei italiani che migliorano il risultato dello scorso anno sono in tutto 17. L’università Bocconi, che non compare nella classifica generale (e che nei giorni scorsi ha totalizzato un ottimo dodicesimo posto nella classifica dei Master in management del Financial Times), è 25esima nel settore Scienze sociali e management; Milano è 86esima per Medicina e Scienze della vita, La Sapienza 57esima per Scienze naturali e 76esima in Arte e Scienze umane. Tra le novità dell’edizione 2014, l’ingresso del Politecnico tra le prime 200 università mondiali nelle aree di Natural Sciences, (123° al mondo e quarta in Italia), e Social Sciences and Management (176°): l’ingresso della Cattolica nelle top 400. Fra quelle che peggiorano, invece, c’è anche l’Ateneo di Modena e Reggio Emilia, che scende dalla fascia 601-650esimo posto a quella inferiore (651-700).
Nella classifica delle prime 200 università, sono rappresentati 31 Paesi; gli Stati Uniti dominano con 51 università, seguiti da Regno Unito (29), Germania (13), Paesi Bassi (11), Canada (10), Giappone (10) e Australia (8). Fuori dal cerchio magico delle anglofone, l’università con i punteggi più alti si conferma la ETH di Zurigo, Svizzera, in dodicesima posizione, seguita dalla connazionale Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna (17esima). Due canadesi - University of Toronto e McGill, si piazzano 20esima e 21esima, davanti alla National University of Singapore (NUS). Altre eccellenze, la francese Ecole Normale Supérieure di Parigi (24), l’Australian National University (25) e l’University of Hong Kong (28). Anche Corea del Sud, Giappone, Danimarca, Cina, Germania e Paesi Bassi hanno almeno una rappresentante nella top 50.
In generale, le università che hanno migliorato la propria posizione in classifica più rapidamente, hanno il loro punto di forza nella scienza e nella tecnologia (le facoltà Stem). «A seguito della recessione, i finanziatori pubblici e privati hanno posto maggiore attenzione sulla ricerca ad alto impatto nei campi delle scienze, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica, gran parte della quale avviene in istituti specializzati», afferma il responsabile della ricerca di QS Ben Sowter. «Le università focalizzate sulla tecnologia sono sempre di più il focus della gara mondiale per l’innovazione. Con finanziamenti pubblici sempre più esigui, le università sembrano ora come non mai impegnate nella ricerca scientifica, in quella tecnologica e nel campo della medicina, aree potenzialmente remunerative». «L’Italia - continua Sowter -, nonostante non possa ancora contare su un “sistema paese” coeso, coerente ed efficiente e su investimenti adeguati, produce eccellenze straordinarie nell’ambito della ricerca. Sostenendo l’ innovazione tecnologica e scientifica e investendo sulla formazione, il paese può concretamente construire un nuovo Rinascimento».
16 settembre 2014