Non ti spinga la violenza dell'odio a calpestare giustizia.
Sifocle, Aiace
Nell’area urbana e periurbana
di Roma si concentra uno
straordinario patrimonio
ambientale, floristico e faunistico. Le
specie selvatiche nell’area del comune di
Roma circoscritta dall’anello autostradale
del Grande raccordo anulare (Gra) sono
rappresentate da 1.500 piante vascolari,
5.200 insetti (su 38.000 italiani),
30 tra anfibi e rettili, 150 uccelli, di
cui la metà nidificanti, e almeno 60
mammiferi, sebbene per un certo numero
di specie, soprattutto insetti, si tratti
di dati ormai storici (presenza della
specie non confermata negli ultimi 50
anni). Grazie alla produzione di atlanti
faunistici, disponiamo oggi di carte della
distribuzione storica (ante 1980) e attuale
di numerosi taxa, soprattutto vertebrati
e in particolare uccelli, che consentono
dettagliate analisi cronogeonemiche,
indispensabili nel caso delle specie
minacciate.
In una fascia larga appena una ventina
di chilometri e profonda all’incirca il
doppio a nord-est di Roma tra il Gra e le
falde dei Monti Cornicolani sono rimasti
miracolosamente intatti alcuni frammenti
boschivi ricompresi attualmente nella
riserva naturale Nomentum, nella
riserva naturale Macchia di Gattaceca
e Macchia del Barco e nel parco
naturale archeologico dell’Inviolata;
ai margini dell’area, la riserva naturale
Monte Catillo. L’ubicazione di queste
riserve naturali regionali tra gli estesi e
densamente popolati comuni di Fonte
Nuova, Mentana, Monterotondo,
Guidonia-Montecelio, Sant’Angelo
Romano e Tivoli non garantisce a priori
adeguati standard di protezione. Nelle
patches boschivo-forestali si concentrano
peraltro faune e flore di notevole interesse
con specie d’importanza sia biogeografica
(specie endemiche, subendemiche)
sia ecologica (specie monofaghe,
superpredatori); di queste parcelle sempre
più piccole e isolate inglobate in una
matrice artificializzata sorprende l’elevata
biodiversità nonostante il crescente e
diffuso disturbo antropico.
Evidenze recenti della sorprendente
biodiversità dell’area cornicolana
Il popolamento animale del cosiddetto
“arcipelago mentanese-cornicolano” –
riserve naturali Nomentum e Macchia
di Gattaceca-Macchia del Barco, aree
protette regionali a gestione provinciale
(Lr 29/97) e aree limitrofe costituite da
buffer zones di arativo – è ormai noto nei
suoi aspetti fondamentali. In particolare,
ricerche finalizzate, concentrate soprattutto
negli ultimi 20 anni con osservazioni
e raccolte continue e regolari, hanno
accertato la presenza di circa 600 specie.
La check-list degli insetti limitata a poche
famiglie di coleotteri e lepidotteri ha
raggiunto 420 specie; la revisione dei dati
sul popolamento vertebratologico dell’area
ha permesso di accertare la presenza,
storica o attuale, di 158 specie tra anfibi,
rettili, uccelli e mammiferi; oltretutto
potrebbero mancare all’appello alcune
specie di chirotteri potenzialmente presenti
(23-24 specie nel Lazio; 19 nell’ambiente
urbano di Roma; 10 nell’area cornicolana),
gruppo peraltro assai problematico per
difficoltà di monitoraggio e speditezza di
determinazione. Infine, oltre il 10% dei taxa
sono di interesse conservazionistico, ovvero
inseriti in red list regionali/nazionali.
Appare in ogni caso riduttivo concentrare
le ricerche esclusivamente sui sistemi
di aree naturali protette sulla base di un
assunto dalle implicazioni paradossali: le
aree più ricche di specie sono ovviamente
le aree protette; è opportuno concentrare
gli sforzi sulle aree protette in quanto
logicamente più ricche di biodiversità. In
realtà, la sorprendente ricchezza dell’area
romana in termini di biodiversità è stata
confermata dalle ricerche realizzate in
alcune tessere ambientali relativamente
ben conservate, sebbene completamente
sconosciute.
Un esempio significativo è costituito dal
Montarozzo del Barco, colle artificiale
situato nella Piana dei travertini delle
Acque Albule, sotto Tivoli. Formatosi
in età romana mediante l’accumulo di
scarti della lavorazione del travertino, il
colle presenta dimensioni 100×70 metri,
elevandosi per circa 20 metri sul piano
campagna circostante. Il Montarozzo, nel
corso dei secoli, è stato colonizzato da un
gran numero di specie vegetali e ricoperto
da una rigogliosa vegetazione. Una recente
ricerca ha messo in evidenza l’eccezionale
ricchezza floristica di questo minuscolo
rilievo sul quale sono state censite
268 diverse entità, di cui 266 di rango
specifico, appartenenti a 207 generi e 64
famiglie. Tra le specie osservate, alcune
rivestono un elevato interesse per la loro
rarità, come Iberis pinnata, nota nel Lazio
per un numero esiguo di località, tutte
nell’area tiburtina, ovvero sono tutelate
dalla legislazione regionale (Lr 61/74)
come Biarum tenuifolium, Iberis pinnata,
Linaria purpurea, Onosma echioides e
Styrax officinalis, elemento quest’ultimo,
di grande interesse geobotanico per il suo
singolarissimo areale. Pur essendo situato
all’interno del Sic IT6030033 “Travertini
Acque Albule (Bagni di Tivoli)”, il colle
non è immune da pericoli e deve pertanto
essere rigorosamente tutelato insieme alle
poche altre aree che conservano l’ormai
rarissima vegetazione dei travertini delle
Acque Albule attraverso l’istituzione
dei Monumenti naturali da tempo
formalmente proposti alla Regione Lazio.
Nell’area cornicolana a nord-est di Roma
spicca inoltre la voragine carsica del Pozzo
del Merro. Spettacolare e profondissima
cavità parzialmente allagata, il Pozzo del
Merro è situato in comune di Sant’Angelo
Romano, nel cuore dei Monti Cornicolani.
Il geosito è attualmente tutelato in quanto
collocato nelle riserve naturali Macchia di
Gattaceca e Macchia del Barco. Una serie
di esplorazioni effettuate con l’ausilio di
Remotely Operated Vehicle ha permesso di
raggiungere profondità insospettate. Nel
marzo 2002, la cavità è stata esplorata fino
a 392 metri, non è stato tuttavia possibile
raggiungerne il fondo. L’eccezionale
profondità ha comunque consentito di
assegnare al Pozzo del Merro il primato
di cavità carsica allagata più profonda al
mondo. Campionamenti faunistici nelle sue
acque hanno evidenziato l’esistenza di una
grande varietà di organismi, consentendo
inoltre di accertare la presenza di specie
nuove per la scienza come il crostaceo
anfipode Niphargus cornicolanus.
Lembi di vegetazione boschiva
fortemente condizionati dall’impatto
antropico residuano in un’area di
notevole interesse naturalistico, il
Parco dell’Inviolata, sfruttata sin dalla
preistoria e la cui superficie coltivabile
è oggi interamente lavorata. Peraltro,
forre, fossi e versanti collinari acclivi
hanno consentito la conservazione
di ambienti caratterizzati da elevata
naturalità. Tra i molteplici elementi di
interesse, si riscontrano numerose specie
animali relegate soprattutto nei pochi
ambienti umidi ancora presenti; è il caso
dell’erpetofauna costituita da 10 specie
diverse, quattro anfibi e sei rettili.
Effetti della frammentazione
ambientale nell’area cornicolana
All’indubbio valore ambientale dell’area
cornicolana si è aggiunta, soprattutto
negli ultimi decenni, la crescente
preoccupazione per le condizioni di
estrema vulnerabilità che caratterizza
alcuni ambiti di maggiore rilevanza
ecologica. Nello specifico, le aree forestali
del sistema Nomentum/Gattaceca e
Barco/Monti Cornicolani costituiscono le
unità ambientali che meglio rappresentano
lo stato di estrema frammentazione
del paesaggio. Tali frammenti forestali
residuali, di dimensioni variabili da poco
meno di un ettaro a circa 300 ettari,
costituiscono una testimonianza delle
foreste di cerro Quercus cerris e farnetto
Quercus frainetto che ricoprivano gran
parte della campagna romana e dei settori
collinari interposti al sistema appenninico,
almeno fino al secolo scorso; attualmente
essi costituiscono un “arcipelago” di
frammenti a grado di isolamento variabile
inseriti in un paesaggio nel quale la
matrice dominante è rappresentata da un
sistema agricolo tradizionale in rapida e
apparentemente inarrestabile evoluzione
verso condizioni di urbanizzazione diffusa.
Proprio queste condizioni di criticità
ambientale tra ambiti di valore
naturalistico e matrice ambientale
antropizzata limitrofa hanno calamitato
l’attenzione di numerosi naturalisti
affiliati a diverse amministrazioni e
istituzioni: Dipartimento di Biologia
ambientale Sapienza Università di Roma,
Dipartimento di Biologia ambientale
dell’Università degli studi Roma Tre,
servizio Aree protette - parchi regionali
della Provincia di Roma, Società Romana
di Scienze Naturali. Di conseguenza, il
sistema cornicolano costituisce da tempo
un’area-modello ai fini della promozione
di ricerche sugli effetti del processo di
frammentazione di origine antropica sulle
numerose componenti della biodiversità
del comprensorio.
Gli studi sugli effetti di questo processo,
estremamente complesso, hanno
riguardato i principali gruppi di vertebrati
terrestri, nonché alcuni gruppi di insetti
e aracnidi. Ricerche naturalistiche di
base hanno evidenziato lo stato di
forte isolamento di popolazioni di
scorpioni e anfibi nei frammenti forestali
dell’arcipelago cornicolano, ad esempio
la presenza localizzata dello scorpione
italiano Euscorpius italicus, della rana agile
Rana dalmatina, della rana appenninica
Rana italica e della salamandrina di Savi
Salamandrina perspicillata.
Altri risultati hanno evidenziato, a
livello di comunità, un marcato effetto
“area” sulla ricchezza di specie. In altre
parole, il numero di specie nei frammenti
è risultato direttamente correlato
alle dimensioni di questi ultimi, in
accordo con la teoria dell’isolamento
biogeografico di MacArthur e Wilson
(1967) applicata a contesti terrestri.
Inoltre, nei frammenti forestali più ridotti
in superficie sono stati osservati rapporti
di dominanza tra specie fortemente
alterati, rispetto a quelli osservati in
frammenti di maggiori dimensioni.
In particolare, alcune specie mostrano
un forte grado di isolamento: è il caso
del picchio muratore Sitta europaea,
presente in un solo frammento forestale
con un numero di coppie nidificanti
probabilmente inferiore a dieci.
Per alcune di queste specie è stato
possibile ipotizzare una struttura e
dinamica di metapopolazione con
sottopopolazioni sink che possono
occupare solamente i frammenti più
piccoli, isolati e degradati, nei quali
la mortalità è maggiore della natalità
e, di contro, sottopopolazioni source,
caratterizzate da un tasso di natalità più
elevato in grado di occupare frammenti
forestali più grandi ed eterogenei sotto
il profilo ambientale, quindi con una
più elevata disponibilità di risorse,
oltre che meno isolati. In particolare,
sui Monti Cornicolani è possibile
ipotizzare, almeno per le specie più
sensibili al processo di frammentazione,
un sistema meta-popolazionale di
tipo islands-mainland con i frammenti
forestali residui che contengono
popolazioni islands contrapposto a un
sistema ambientale relativamente più
continuo di tipo mainland, rappresentato
dagli ambiti forestali appenninici che
ospitano popolazioni source dalle quali si
disperdono gli individui colonizzatori.
Tale modello può essere ritenuto
ragionevolmente corretto per il picchio
muratore Sitta europaea, lo scoiattolo
comune Sciurus vulgaris, il moscardino
Muscardinus avellanarius, il topo selvatico
a collo giallo Apodemus flavicollis, alcuni
insettivori forestali e qualche mustelide
tra cui la faina Martes foina e la donnola
Mustela nivalis.
Per altre specie più sedentarie e con
minori capacità dispersive, specialmente
in paesaggi a recente frammentazione
antropogena, è possibile rifarsi a
modelli estremi come quello delle
separate populations, che non prevede la
presenza di dinamiche immigrazione/
colonizzazione tra frammenti a causa
della matrice antropica ostile interposta,
tale da determinare un completo grado
di isolamento, quindi un elevato rischio
di estinzione nel breve-medio periodo.
Questo modello si può ragionevolmente
applicare ad alcune specie di anfibi
presenti nell’arcipelago cornicolano
in modo frammentario e residuale, ad
esempio le già citate Rana dalmatina,
Rana italica e Salamandrina perspicillata.
Analoghe considerazioni possono essere
fatte per numerosi gruppi vegetali e
animali poco indagati sotto questo
aspetto, ad esempio insetti xilofagi,
invertebrati acquatici e di lettiera
forestale, micromammiferi e rettili di
ambienti boschivi, nonché per altri
sistemi ambientali che, analogamente ai
sistemi forestali, subiscono localmente gli
effetti della frammentazione ambientale:
pascoli e praterie secondarie, ambienti
umidi effimeri e puntiformi.
Prospettive future
A fondamento delle nostre considerazioni
conclusive sul caso-studio dell’area
“arcipelago mentanese-cornicolano”,
paradigmatico ai fini dell’esame dei
rapporti tra frammentazione ecologica e
diversità biologica, ci sembra significativo
ricordare l’assunto “tutto merita di essere
studiato, moltissimo di essere protetto”.
L’area considerata si presenta come
un mosaico paesaggistico eterogeneo
caratterizzato da un elevato grado
di antropizzazione di tipo urbano/
periurbano, infrastrutturale e agricolo;
di conseguenza, gli ambienti naturali/
seminaturali rappresentati soprattutto
da aree boschive a querceti mesofili,
risultano estremamente frammentati.
Nondimeno, il sistema delle piccole aree
protette e delle aree strettamente limitrofe
attualmente esistenti garantisce ancora la
conservazione di geositi di altissimo valore
scientifico e di peculiari biocenosi. Peraltro,
un’ampia gamma di fattori determina un
prolungato e diffuso disturbo alla naturale
evoluzione del paesaggio geologico e delle
comunità biologiche:
1. le modificazioni devastanti di tipo soil
sealing, a partire dall’inizio degli anni 80
costituite soprattutto da edificato sparso/
compatto
2. la presenza infestante di invasive alien
species (Ias), felci acquatiche, fanerogame,
insetti e vertebrati
3. la pervasività delle infrastrutture
lineari, strade e autostrade; mentre il
comprensorio della Macchia di Gattaceca
è bordato dal tratto autostradale Fiano-
San Cesareo, Nomentum è addirittura
suddiviso in due frammenti boschivi dalla
infrastruttura secante della Sp Nomentana.
Fattori problematici a fini gestionali
sono pure intrinseci alla struttura e
posizione dell’area protetta e, come
tali, difficilmente superabili; nel caso
della riserva naturale Nomentum, la
morfologia tipica di un fondovalle umido
e la contiguità con il centro storico di
Mentana. Il degrado dell’area è palpabile,
negli ultimi 20 anni è stata rilevata
l’alterazione di numerosi habitat e la
banalizzazione della fauna.
Per i settori della campagna romana
recentemente inclusi in core areas
prossime a strade e autostrade, alcuni
interventi di ingegneria naturalistica
sono ormai indifferibili, ad esempio
la realizzazione di sottopassi al fine di
consentire il transito della fauna selvatica
in condizioni di relativa sicurezza tra
le principali patches di bosco. Infine,
nell’ambito di politiche di area vasta,
lo sviluppo di una rete ecologica nella
progettazione e realizzazione di un
sistema integrato di aree protette si
rivelerà cruciale al fine di accrescerne la
capacità di resilienza.
Pierangelo Crucitti 1,
Corrado Battisti 2
Marco Giardini 3
1. Società Romana di Scienze Naturali, Roma
2. Servizio Aree protette - parchi regionali,
Provincia di Roma
3. Sapienza Università di Roma
... Tratto da ecoscienza.it
17 settembre 2014