Come valutare i docenti. Un esempio su cui riflettere.


Si può chiamare felice chi, grazie alla ragione, non ha né desideri, né timori.

Seneca, De vita beata

Uno dei pilastri di una “buona scuola” – l’obiettivo della riforma per la quale è in corso in queste settimane il confronto pubblico e la raccolta di pareri sullo schema presentato dal governo Renzi – è sicuramente un serio e attendibile sistema di valutazione dei docenti. Serve una valutazione fondata su principi allineati ai migliori standard internazionali, e per essere credibile va affidata a valutatori terzi, rispetto ai docenti e ai dirigenti scolastici alla testa degli istituti. La riforma del governo promette per le scuole superiori di innestare nuovi criteri INVALSI, di cui siamo in attesa per l’anno prossimo come da recentissima circolare del ministro Giannini, sulla base di un’autovalutazione effettuata istituto per istituto. Collegata a un criterio nuovo, positivo e potenzialmente di svolta, che aumenti di molto la parte retributiva degli insegnanti derivante dalle valutazioni, rispetto a quella dovuta, come oggi, alla mera anzianità. Un punto ancora tutto da chiarire, visto che si è letto negli annunci della riforma che gli aumenti retributivi di merito spetterebbero comunque a tavolino ai due terzi degli insegnanti, che non depone molto a favore della serietà della valutazione stessa. Oltretutto, una valutazione effettuata per parte prioritaria da parte dei singoli istituti su se stessi, per definizione non è attendibile.
Guardare ai benchmark internazionali significa studiare concretamente i migliori esempi di valutazione praticati altrove. Grazie alla segnalazione di un ascoltatore di radio24, Alessandro Martinello, un economista italiano che insegna in Danimarca e si applica professionalmente alle misure di efficienza dell’economia pubblica, mi sono imbattuto in un esempio che dà l’idea, di che cosa sia un efficace sistema di valutazione. Mi è sembrato tanto efficace che ho chiesto al prof Martinello di esporlo in una puntata su radio24. L’esempio è tratto da un recente studio (Incentives, Selection, and Teacher Performance: Evidence from IMPACT, CENTER FOR EDUCATION POLICY ANALYSIS, Stanford University, Working Paper No. 19529) dedicato alla valutazione scolastica condotto da Thomas Dee, professore a Stanford, e James Wyckoff (University of Virginia). Lo studio tratta di una (molto controversa) riforma scolastica (IMPACT) attuata nel distretto di Washington DC a partire dal 2009, all’epoca uno dei distretti più disastrati d’America in termini di amministrazione e risultati scolastici. IMPACT valuta gli insegnanti combinando in una media ponderata diversi criteri. Questo sistema risponde direttamente alle critiche che vengono avanzate da più parti, spesso sindacali, quando si parla di misurare il merito, combinando l’attenzione ai risultati con gli aspetti più disparati dell’insegnamento. Tra i più importanti di questi criteri figurano:
- 1) Individual Value Added. Sostanzialmente, con metodi statistici e test standardizzati, si valuta il cambiamento del rendimento di una classe gestita da un determinato insegnante da un anno all’altro, e non il rendimento della classe in un determinato anno. Questo permette di tener conto, almeno parzialmente, del fatto che certe classi in quartieri disagiati abbiano un livello di partenza inferiore ad altre. Poiché peró anche il progresso di una classe da un anno all’altro può essere influenzato dalla qualitá media degli allievi, non è questo l’unico criterio di valutazione.
- 2) Teaching and Learning Framework. Questo criterio si fonda su valutazioni oggettive (tipicamente 5) svolte da osservatori specializzati che devono attenersi, in uno schema che lascia poco spazio a valutazioni soggettive degli osservatori, alle linee guida stese dall’amministrazione distrettuale. Tra i comportamenti valutati all’interno di questo schema figurano per esempio il controllo costante dell’apprendimento di ogni alunno. Queste valutazioni sono condotte per la maggior parte a sorpresa, talvolta servendosi di registrazioni video.
- 3) Commitment to School Community. Ovvero il supporto ad iniziative scolastiche, collaborazione con le famiglie, gli studenti o i colleghi etc.
- 4) Core Professionalism. Questo criterio (dall’importanza limitata) è compilato direttamente dal preside/dirigente scolastico dell’istituto dove lavora l’insegnante. Facoltativamente, il preside può sottrarre fino a un massimo di 40 punti (su 400) a un determinato insegnante sulla base di presenza, puntualità e rispetto dell’istituzione.
COME FUNZIONA. Il sistema attribuisce a un determinato insegnante un punteggio tra i 100 e i 400 punti. Poiché questo è un sistema oggettivo, non lascia spazio a quei sistemi di valutazione farsa della PA ITA, in cui i dirigenti ottengono sempre il massimo degli obiettivi e tutti sono bravi. La distribuzione dei punteggi è variegata e “ben” distribuita. A seconda del loro punteggio, gli insegnanti vengono assegnati a una determinata fascia, con i seguenti effetti:
- meno di 175 punti (circa il 3% degli insegnanti). Sanzione: licenziamento immediato.
- tra 175 e 249 punti (10%). Sanzione: in prova, viene concesso un anno di tempo per migliorare il punteggio. Se anche l’anno successivo l’insegnante non raggiunge tale punteggio, viene licenziato.
- tra 250 e 350 punti (poco meno del 75% degli insegnanti). Nulla accade.
- più di 350 punti (10-15%). Premio: bonus immediato di 25.000$. Se l’anno successivo l’insegnante si conferma in questa categoria, la sua anzianitá viene aumentata da 3 a 5 anni ed eventualmente promosso a contratto di tipo superiore (il valore attuale di questa promozione può ammontare a 100.000$).
A ciò si aggiunge che i “precari” nel sistema IMPACT sono i presidi e i dirigenti scolastici. I loro contratti sono di fatto annuali, e benché la maggior parte di questi venga rinnovato, il rischio di licenziamento è sempre presente.
Che cosa dimostra l’esperienza del modello IMPACT? Lo studio dimostra che gli insegnanti a rischio di licenziamento o in odore di promozione migliorano il loro punteggio relativamente ai colleghi l’anno successivo, e i risultati degli alunni migliorano. La cosa più interessante di questo studio effettuato dopo 5 anni dall’introduzione di IMPACT è che i risultati si sono visti dopo il secondo anno, quando gli insegnanti impararono a spese dei propri colleghi che la minaccia di licenziamento, inizialmente considerata poco più di una boutade fantascientifica, era effettivamente credibile. Inoltre, lo studio mostra anche come gli insegnanti (giovani) assunti al posto degli ex-colleghi licenziati erano di qualità molto superiore.
Ovviamente la possibilità di licenziare qualcuno nella scuola è fantascienza in Italia. Ma così era anche a Washington DC prima di questa riforma. E strutturando il sistema di valutazione in maniera oggettiva, non lascia spazio alle discrezionalitá tipiche della PA italiana. Un sistema del genere non è solo oggettivo, ma anche equo. La cosa importante da tenere in mente è che invece programmi di valutazione basati su incentivi-disincentivi ad intensità minore (bonus minori, durata del programma limitata del tempo) non hanno mai avuto alcun effetto nel migliorare la qualitá dell’insegnamento. Introdurre un incentivo debole vuol dire semplicemente buttare i soldi dalla finestra. O l’incentivo è forte e le sanzioni sono credibili, o qualsiasi riforma della scuola è peggio di un palliativo, e quindi tanto vale non farla. Questo è quanto insegna la ricerca, e non si capisce perché la si debba ignorare. O meglio: lo si capisce solo se si vorranno assecondare i sindacati, contrari al merito vero.
Oscar Giannino
da www.brunoleoni.it
7 ottobre 2014

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