Il potere della parola e dell'ascolto nella comunicazione


Pompa non far; che un bel tacer tal volta
ogni dotto parlar vince d'assai.

Metastasio, La strada della gloria


LA PAROLA
In qualunque interlocuzione la parola ha un potere suggestivo enorme ed essa può influenzare gli stati mentali degli interlocutori; se poi la comunicazione verbale è appoggiata in modo congruente dalla comunicazione non verbale il potere suggestivo della parola diventa dirompente. Facciamo un esempio (Caruso E., Comunico, quindi esisto, Tecniche Nuove, 2005).
Supponiamo che l'AD di un'azienda chiami il responsabile della ReS e gli faccia questo discorso:
«Dottor Bianchi l'ho fatta chiamare perché ritengo che la situazione della sua divisione sia poco brillante. L'analisi costi benefici è negativa e gli obiettivi che ci eravamo fissati sono ancora lontani».
Queste parole faranno nascere nel dottor Bianchi sensi di frustrazione, di delusione, di preoccupazione, di rancore per il mancato riconoscimento di ciò che di positivo è stato fatto; l'atteggiamento mentale e quello psicologico saranno orientati alla negatività.
Se l'AD di quell'impresa non mira alle dimissione del collaboratore, ma all'affermazione dell'esistenza di problemi nell'ambito della ReS, l'approccio linguistico è errato e può essere fonte di ulteriori problemi.
Supponiamo che l'AD esprima lo stesso concetto con parole diverse come:
«Dottor Bianchi l'ho fatta chiamare per discutere con lei dei problemi della sua divisione. Non ritengo giusto che se ne prenda tutto l'onere vediamo di trovare insieme una soluzione, come abbiamo già fatto in altre occasioni che hanno portato a ottimi risultati».
Queste parole, che esprimono sempre il concetto dell'esistenza di problemi nella divisione di Bianchi, non sminuiscono o mettono in discussione, però, le capacità professionali del collaboratore e lo corroborano grazie all'offerta di possibili sostegni all'interno dell'impresa; l'atteggiamento mentale e quello psicologico di Bianchi saranno orientati alla positività.
Dobbiamo tener sempre presente che le parole sono "pesanti" e che ogniqualvolta pronunciamo una parola produciamo, più o meno inconsapevolmente, una suggestione con risvolti di positività o di negatività.
Molte persone non si rendono conto di quanto le parole siano "pesanti", fanno apprezzamenti o sarcasmi che pensano durino il tempo per farli, ma non è così; le parole lasciano sempre una traccia nel rapporto interpersonale e spesso dànno luogo a processi o trasformazioni relazionali irreversibili.
È noto che per poter creare valore insieme a un altro è necessario attivare un processo comunicativo, a volte anche complesso, mirato alla persuasione dell'altro.
Di questo processo sono stati individuate tre fasi.
• Superare le difficoltà del primo contatto.
• Persuadere il nostro interlocutore della bontà delle nostre intenzioni.
• Convincerlo a "stare con noi".
Con riferimento alle succitate tre fasi necessarie per attivare un processo comunicativo che crei valore possiamo individuare le parole a valenza negativa che vanno evitate in ciascuna fase.
Presa di contato. Vanno evitate le espressioni del tipo.
Le rubo solo una decina di minuti. Il termine rubo ci mette in condizioni di inferiorità e dà una sensazione negativa di tempo perso perché rubato.
Non le farò perdere del tempo. Anche in questo caso ci mettiamo in una condizione di inferiorità, definendo poco importanti e non degne del tempo necessario le cose che vogliamo dire.
Non voglio essere noioso. Mette l'interlocutore in una posizione di allerta perché lo porta al sospetto che quello che abbiamo da dire sia poco interessante e che questa nostra preoccupazione traspaia dalle nostre parole.
Voglio essere onesto. A livello di sensazione potrebbe sorgere il sospetto di un possibile inganno celato.
Se le parole a valenza suggestiva negativa del primo contatto portano a un approccio negativo del rapporto, le parole a valenza negativa per le fasi due e tre sono un modo per continuare e chiudere male la comunicazione. Ne sono esempi frasi come.
Credo di non sbagliare. È una frase a forte suggestione negativa perché a essa può seguire la sensazione di incertezza e insicurezza delle nostre affermazioni.
Potremmo avere dei problemi. L'affermazione "avere problemi" va assolutamente evitata perché alla base della nostra interlocuzione, il più delle volte, c’è la necessità di eliminare dei problemi non di dare la sensazione che potremmo farne nascere di nuovi.
In caso di difficoltà in …. Anche la parola difficoltà, come carenze, sbagli, ostacoli evoca sensazioni e suggestioni negative e fanno di noi una persona poco gradevole, noiosa e pessimista.
Speriamo di riuscire. Forse arriviamo fino in fondo. Le frasi che contengono una valenza di dubbio indeboliscono il nostro discorso perché insinuano l'idea di insicurezza.
Io ritengo di poter sostenere. L'uso del pronome io denuncia un ego infantile, da persona insicura che si difende esaltando, per compensazione, la propria identità; l'uso reiterato dell'io genera disagio, fastidio, antipatia e, pertanto, crea una barriera con il nostro interlocutore.
Potrei, vorrei, farei. L'uso di questi condizionali denuncia una incongruenza tra ciò che stiamo dicendo e ciò che in realtà vogliamo e possiamo fare.
Se impariamo a evitare le parole a valenza suggestiva negativa dobbiamo, d'altra parte, rafforzare la nostra capacità comunicativa con parole a valenza positiva.
L'uso del noi. Abbiamo visto che il pronome io ha effetti negativi ai fini della comunicazione; dobbiamo, invece, usare ampiamente il pronome noi e l'aggettivo nostro. Questi hanno una forte carica di appartenenza, armonia, spirito di squadra, solidarietà.
Uso del presente e del futuro. Abbiamo detto della negatività dei condizionali e delle frasi a valenza di dubbio. Il presente e il futuro "Le mostro", "Domani le invierò", "Insieme possiamo" trasmettono, invece, una suggestione di efficienza e di tempestività.
Le parole a valenza positiva. Crescita, sviluppo, accelerazione, opportunità, innovazione, valore, profitto, obiettivi comuni, soluzioni devono entrare frequentemente nel nostro discorso. «Per la regola dei vasi comunicanti se ci serviamo, volutamente, di parole a valenza suggestiva positiva influenziamo noi stessi e chi ci ascolta in modo beneficamente produttivo» e creiamo una risonanza concreta, rispetto alla possibilità di creare valore insieme.
Le parole chiave. Ognuno di noi è incline a usare alcune parole in modo ricorrente, quelle che negli Usa chiamano le hot words, parole, ereditate dai genitori, dalla scuola, da un amico, da una persona amata, che hanno, generalmente, una forte carica affettiva. Se durante un colloquio riusciamo a individuare le parole chiave dell'interlocutore e a usarle anche noi, in modo appropriato, riusciremo a creare un piacevole senso di appartenenza allo stesso vissuto emozionale e quindi una risonanza emotiva. Ricordo un imprenditore che utilizzava molti termini della Formula 1: in questo settore siamo in pole position, abbiamo sorpassato il nostro principale competitore, ogni fermata della produzione è come un pit stop; è stato molto facile entrare in sintonia con lui.
Vanno, invece accuratamente, evitate quelle parole che ripetute dal nostro interlocutore in modo eccessivo, e spesso avulso dal discorso, rivelano un ossessivo tic linguistico.
Per concludere questo argomento mi piace ricordare la Teoria di Harward su alcuni principi fondamentali per sviluppare un’interlocuzione proficua tra due soggetti.
- Gli interlocutori devono scindere le persone dai problemi.
- Non contano le posizioni reciproche ma la capacità di creare valore.
- E’ necessario cercare di sviluppare, collaborativamente, alternative vantaggiose per entrambi.
- Occorre accordarsi su criteri oggettivi con i quali misurare gli eventuali vantaggi.
Molto si potrebbe ancora dire sulle tecniche della comunicazione interpersonale ma rimando alle idee e ai principi generali che sono stati esposti in alcuni miei libri (Caruso E., Il circolo virtuoso impresa-mercato, Tecniche Nuove, 2004. Caruso E., Comunico, quindi esisto, Tecniche Nuove, 2005).
L'ASCOLTO
Se le parole possono avere un forte potere suggestivo, la capacità di ascolto è il mezzo per facilitare l'instaurarsi di un canale di reciproca empatia.
Ascoltare? Non ne siamo più capaci.
Tutti parlano, parlano: nessuno ascolta.
L’uomo recita un lungo ed interminabile monologo.
Ognuno è solo, prigioniero dei propri discorsi.
L’“altro” è una vuota parola che non lascia traccia.
Avvolti da parole inconsistenti e da scintillanti immagini abbiamo, però, spesso paura di sentire la voce che è in noi.
Una condizione strana e inconsueta attanaglia senza tregua l’individuo contemporaneo.
La cura? Non c’è. O, forse, c’è. Si tratta di un affascinante e modernissimo libro di Plutarco, celebre intellettuale greco sopravvissuto all’età neroniana (Cheronea in Beozia 46 d.C. – dopo il 119 d.C.), autore di fondamentali opere storiche, politiche ed etico-filosofiche, fra cui ricordo Le vite parallele e i Moralia: l’autore scrisse un prezioso lavoro ricco di saggezza e buonsenso intitolato "L’arte di saper ascoltare". E facendo riferimento a Plutarco tratto l'argomento dell'ascoltare.
Nell’agile volume Plutarco immagina di rivolgersi ad un giovane allievo, Nicandro, figlio di un certo Eutidamo, forse Gaio Memmio che fu “collega” di Plutarco a Delfi, con lo scopo di educarlo alla nobile arte dell’ascolto: “T’invio questi miei consigli, affinché tu sappia ascoltare correttamente chi cerca di persuaderti con l’arte della parola.”. Lo scrittore, con notevole profondità psicologica ed efficacia argomentativa, smonta poco a poco i complicati meccanismi della psiche, millenni prima di Freud, facendo un’analisi convincente dell’animo: “Ed è solo seguendo la ragione che si può essere veramente liberi.”.
La concezione dell’essere, perciò, è basata su semplici, ma basilari elementi: l’uomo è un essere senziente, cioè una creatura vivente in cui i sensi sono fondamentali per rapportarsi alla realtà. In particolare, l’udito risulta particolarmente importante perché, come la vista, è formato da due sensori con il fine di ben afferrare emozioni e informazioni. Tutti sono “esseri socievoli” sulla scia di Aristotele, poiché spontanea è la capacità di comunicare. Siamo, infatti, per natura, grandi comunicatori e facciamo della relazione con i nostri simili un tratto costituente della nostra personalità ed esistenza, pur fra luci ed ombre: “La parola è lo strumento capace di procurare i danni e i benefici più grandi, in quanto le persone possono trarre dall’ascolto non solo grande vantaggio, ma anche un grande pericolo.”.
Ecco, allora, che l’abitudine all’ascolto diviene uno dei momenti-chiave per la crescita umana. Bisogna, del resto, imparare ad ascoltare, dal momento che, attraverso il delicato equilibrio tra ascolto e comunicazione, noi siamo in grado di rispettare l’altro e di farci rispettare: “La parola bisogna prima imparare ad accoglierla bene per poterla poi pronunciare, così come il concepimento e la gravidanza sono anteriori al parto.”
Se ascoltiamo una qualsiasi persona, stiamo attenti a quello che dice, sia con la mente e con l’atteggiamento corporeo, oggi diremmo staimo attenti al nostro linguaggio del corpo e a quello dell'interlocutore: “Quando si ascolta qualcuno, occorre prestargli orecchio attentamente, affinché non si perda una sola parola di quello che dice.” Secoli prima e della PNL Plutarco aveva capito ogni cosa! Inoltre, ascoltando, dobbiamo forgiare noi stessi al controllo delle passioni, senza nutrire invidia o rabbia verso chi abbiamo di fronte: “Il silenzio, quando si ascolta qualcuno, è sempre un ornamento sicuro; bisogna evitare di agitarsi e di abbaiare ad ogni battuta, aspettando pazientemente che l’interlocutore abbia finito di esporre il suo pensiero, anche se non si condivide, senza investirlo subito con una sfilza di obiezioni, ma, concedendogli ancora un po’ di tempo perché possa integrare, chiarire o correggere quanto ha detto, ed eventualmente ritrattare qualche frase affrettata. Chi infatti passa subito al contrattacco non solo interrompe e spezza il logico fluire del discorso, ma non ci fa una bella figura e finisce per non ascoltare e non essere ascoltato. Se, invece, è abituato a controllarsi e rispettare gli altri, mentre parlano, riesce a trarre da ogni discorso qualche spunto che può tornargli utile a discernere meglio e a smascherare il vuoto e la falsità dell’interlocutore, offrendo di sé l’immagine di una persona amante della verità non dei battibecchi, e per di più riflessiva e aliena dalla polemica.”. E lo storico greco aggiunge: “Messi, dunque, da parte l’ambizione e il piacere dell’udire, dobbiamo ascoltare chi parla con animo pacato e bendisposto, come se fossimo stati invitati a un banchetto sacro o alla cerimonia iniziale di un rito religioso, approvando chi si esprime bene appropriatamente, o quanto meno apprezzando la buona volontà di chi espone le proprie opinioni e cerca di accattivarsi la controparte utilizzando gli stessi ragionamenti che hanno convinto lui.”. In più “dobbiamo tenere presente che i buoni risultati di un discorso non dipendono dal caso o dalla buona sorte, ma sono frutto di studio, di impegno e di duro lavoro, perciò bisogna trarne motivo di ammirazione per chi parla, affrontando argomenti concreti e in modo corretto e cercare di imitarlo.”.
Nelle domande, poi, non dobbiamo far sfoggio di cultura e mettere in difficoltà l’altro, ma è bene cercare la verità attraverso la chiarezza nell’esposizione: “Dobbiamo, dunque, giudicare prima noi che colui che parla, chiedendoci se anche a noi possa accadere d’incappare inconsapevolmente in qualche simile errore. È facilissimo, infatti, biasimare gli altri, ma è cosa sterile e vuota se quella critica non la volgiamo anche verso noi stessi e se non c’induce a correggere o a evitare analoghe scorrettezze. Quando sentiamo uno che sbaglia chiediamoci – ripetendo un celebre detto di Platone – se anche noi per caso non siamo simili a lui.”. “Occorre anche evitare di porre troppe domande e d’intervenire continuamente, perché anche questo è indice di esibizionismo. Ascoltare, invece, con pacatezza gl’interventi dell'altro denota rispetto e volontà di apprendere, a meno che uno non si senta turbato da qualche frase e avverta il bisogno di liberarsi da quella passione che l’opprime e di alleggerirne il tormento. Eraclito dice che «la propria ignoranza è meglio tenerla nascosta», io invece credo che torni più utile tirarla fuori, perché solo così la si può curare.”.
Simili “regole di comportamento comunicativo” devono valere in ogni situazione, in famiglia e con gli amici, sul lavoro e in politica, ossia in tutte le occasioni pubbliche e private: ad esempio, “gli adolescenti non stanno tanto a guardare se chi parla sia un filosofo, né come viva e si comporti in pubblico, ma restano abbagliati dal suo linguaggio, dal suo frasario e dalla bellezza formale della sua esposizione, non essendo in grado di capire o rifiutandosi d’indagare se ciò ch’egli dice sia utile o nocivo, necessario oppure vuoto e superfluo.”.
Gli elogi, tuttavia, “devono essere cauti e misurati, perché in questo caso il troppo e il troppo poco non si convengono ad un animo libero e schietto. […] Chi ha un animo veramente e solidamente buono si sente gratificato al massimo nel riconoscere pubblicamente i meriti altrui: il rendere onore, infatti, è già di per se stesso un onore, quando nasce da una pienezza e sovrabbondanza di stima nei confronti di chi lo riceve. Chi, invece, è avaro di elogi dimostra di esserne egli stesso povero e affamato.”.
Attuali si presentano le osservazioni sull’atteggiamento da tenere durante le conferenze: “L’ascoltatore ha, dunque, una vasta gamma di motivi o di spunti per mostrarsi gentile con chi tiene una conferenza o una lezione. Non è necessario dimostrarglielo con la voce, bastano uno sguardo mite, un volto pacato, un atteggiamento benevolo e interessato. […] L’amore, infatti, è come l’edera, che trova sempre una scusa per attaccarsi a qualcosa.”.
Plutarco conclude evidenziando la responsabilità etica di quanto affermiamo ogni giorno: “La mente non è un vaso da riempire, ma come legna da ardere ha solo bisogno di un scintilla che l’accenda e le dia l’impulso per la ricerca e un amore ardente per la verità. […] Questi, in conclusione, sono i consigli fondamentali da tenere a mente per ulteriori suggerimenti su come si debba ascoltare. Bisogna, però, che alla teoria si unisca la pratica, attraverso l’esercizio delle personali capacità inventive, per costruirsi una «forma mentis» non da sofisti, da storici o da scienziati, ma intima, nella convinzione che un buon ascolto è il punto di partenza per vivere bene.”.
Mai come oggi sarebbe necessario leggere e conoscere meglio Plutarco e la sua così significativa lezione di saggezza e umanità!


Eugenio Caruso - 20 ottobre 2014

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