Green Economy, eco-innovazione e sostenibilità dei sistemi produttivi.


Non è possibile essere felici se non si è temperanti e buoni.
Platone, Alcibiade maggiore


Nel giugno 2012, a Rio de Janeiro, si è tenuta la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, denominata RIO+20, il cui tema centrale è stato la green economy come strumento prioritario per uscire dalla crisi climatica ed economica degli ultimi anni e, insieme alla governance, di lotta alla povertà. Il documento conclusivo di RIO+20 The future we want è stato il prodotto di una lunga serie di incontri preparatori e di elaborazioni di istituzioni e organismi internazionali. Tra i vari documenti di riferimento, tra i quali quello dell’Unione Europea, particolare interesse ha suscitato il materiale prodotto dal Programma Ambiente delle Nazioni Unite, l’UNEP.
Nelle sue elaborazioni, l’UNEP evidenzia, tra l’altro, come i vari Paesi, in funzione dei loro livelli di benessere e della propria impronta ecologica, in termini di prelievo e utilizzo di risorse primarie e degli impatti antropici delle loro attività, rientrino principalmente in uno dei due casi:
- Paesi la cui impronta ecologica è all’interno dei limiti di biocapacità del nostro pianeta, ma il cui indice di benessere è inadeguato,
- e Paesi il cui indice di benessere è adeguato, ma la cui impronta ecologica travalica abbondantemente i limiti del pianeta.
La sfida è proprio questa: portare i primi a livelli di benessere adeguati, senza che la loro impronta aumenti oltre i limiti sostenibili per il pianeta, e ridurre drasticamente l’impronta ecologica dei secondi senza ridurne significativamente i livelli di benessere.
L’attuale modello economico, essenzialmente imperniato sulla cosiddetta brown economy, è di fatto intrinsecamente inadeguato ad affrontare tale sfida in quanto basato sullo sfruttamento di risorse naturali, a lungo credute infinite, e sulla scarsa attenzione agli impatti delle attività antropiche su ambiente, società e qualità della vita. Per l’UNEP, la sola possibilità di affrontare tale sfida attualmente è proprio puntare sulle potenzialità della green economy.
La green economy non può e non deve essere considerata semplicemente come la parte “verde” dell’economia, operante esclusivamente all’interno del settore della cosiddetta “industria ambientale”, ma viceversa deve essere considerata come un nuovo modello economico basato su un uso sostenibile delle risorse ed una riduzione drastica degli impatti ambientali e sociali ai fini di un miglioramento generalizzato della qualità della vita.
In questo senso la green economy è uno strumento di sviluppo sostenibile basato sulla valorizzazione del capitale economico, del capitale naturale e del capitale sociale così come lo sviluppo sostenibile è basato sulle tre dimensioni, economia, società e ambiente. Oggi la green economy viene riconosciuta come uno strumento da applicare in tutti i settori della produzione di beni e servizi, oltre che per la conservazione e l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali, nonché agli stili di vita e agli approcci culturali, ai fini di una transizione verso un nuovo modello di sviluppo in grado di garantire un migliore e più equo benessere per tutto il genere umano nell’ambito dei limiti del pianeta. Attualmente la grande maggioranza degli investimenti “green economy”, sia a livello internazionale che italiano, si distribuisce in maniera significativa soltanto nei settori della cosiddetta industria ambientale e della produzione sostenibile di energia, lasciando ad esempio soltanto qualche percento (2 o 3) di questi investimenti all’industria manifatturiera e agli altri settori industriali. Industria manifatturiera che tuttavia è responsabile di circa il 35% dell’elettricità globale impiegata, di oltre il 20% delle emissioni mondiali di CO2, di più di un quarto di estrazioni di risorse primarie, di circa il 10% della domanda globale di acqua (un dato questo destinato a crescere a oltre il 20% al 2030), di circa il 17% dell’inquinamento atmosferico responsabile di danni per la salute umana (con costi stimati tra l’1 e il 5% del PIL globale).
Il nostro Paese rappresenta la seconda industria manifatturiera in Europa e una delle prime al mondo e uno degli obiettivi prioritari è riuscire appunto a coniugare competitività e sostenibilità del nostro sistema produttivo, manifatturiero ma non solo. Il rischio di ciclo vizioso del sistema produttivo del nostro paese è rappresentato oggi da uno scarso (certe volte assente) collegamento tra i sistemi produttivi e il territorio, da bassi investimenti in ReS che, insieme ad una scarsa valorizzazione del capitale umano, comportano a loro volta una carente innovazione con conseguente crollo della competitività e spostamento verso settori produttivi a basso valore aggiunto, con ulteriore riduzione di ReS e innesco del ciclo di cui sopra.
Per uscire da questo ciclo vizioso, servirebbe un impulso esogeno, che potrebbe venire dal mondo scientifico ma non solo, che, nel quadro di una rinnovata politica industriale e nel quadro di principi di sostenibilità, sia in grado di favorire lo sviluppo e l’implementazione di collegamenti tra territorio e impresa/sistema di imprese e di eco-innovazione direttamente nelle imprese. Questo porterebbe a un aumento della competitività, dell’occupazione e della valorizzazione del capitale umano, con spostamento verso settori produttivi a maggior valore aggiunto. Per innescare un ciclo virtuoso, a tale impulso esogeno deve seguire un ulteriore impulso di tipo endogeno che parta dalle imprese stesse, con un loro impegno verso l’eco-innovazione con ricadute benefiche sia verso loro stesse che verso il territorio che le ospita. Per far questo serve veramente uno sforzo di tutto il sistema Paese che individui priorità, strumenti e risorse nell’ambito di una strategia nazionale verso la green economy. Il passaggio alla green economy si può realizzare tramite lo sviluppo e la messa in pratica dell’eco-innovazione che può essere definita come lo sviluppo e l’implementazione di prodotti, processi, sistemi gestionali, servizi o procedure nuovi o ripresi dalle buone pratiche della cultura e della tradizione industriale, attraverso cui si consegue, lungo tutto il ciclo di vita, una riduzione dei flussi materiali, del consumo di energia, dell’inquinamento e degli altri fattori di pressione sull’ambiente e sulla società rispetto alle pratiche correnti, nonché la capacità di creare ancora valore e assicurare il benessere dei cittadini migliorandone la qualità della vita e gli standard sociali e ambientali. L’obiettivo della green economy e dell’eco- innovazione è quello di un cambiamento verso nuovi sistemi di produzione e consumo basati su un approvvigionamento ed un utilizzo sostenibile delle risorse e una riduzione/eliminazione delle emissioni e dei conseguenti impatti, che porti gradualmente al disaccoppiamento assoluto tra la crescita, l’utilizzo delle risorse e gli impatti sugli ecosistemi.
Eco-innovazione nel contesto internazionale ed europeo e posizionamento italiano in Europa
Il concetto di innovazione e la sua importanza per la crescita economica è studiato da molti anni e, spesso, è alla base di iniziative di politica economica, mentre l’eco-innovazione è un’idea ancora relativamente nuova per la quale esistono diverse definizioni. L’OECD ha evidenziato le differenze tra eco-innovazione e innovazione genericamente intesa su due aspetti principali: “eco-innovazione è quell’innovazione la cui enfasi principale è rivolta verso la riduzione degli impatti ambientali..., non è limitata alle solo innovazioni dei prodotti, dei processi, delle tecniche commerciali e/o organizzative... ed include anche le innovazioni sociali e istituzionali”.
Le politiche europee sottolineano chiaramente l’urgenza di far convivere le crescenti esigenze dell’economia con lo sviluppo di una società “verde” e sostenibile (Horizon2020, per citare il più recente, dove già nelle comunicazioni ufficiali di preparazione del programma si fa espressamente riferimento ad innovazioni funzionali allo sviluppo sostenibile: The Framework Programme for Research and Innovation COM/2011/0808, comunicazione dalla Commissione al Parlamento Europeo). Infatti, grazie alla crescente consapevolezza, sia a livello politico che di società civile, delle tematiche quali il riscaldamento globale, i rischi dell’approvvigionamento energetico e la criticità dell’uso delle risorse naturali, l’eco-innovazione ha conquistato negli ultimi anni sempre maggiore attenzione sia dalla ricerca teorica che dalle ricerche e applicazioni empiriche. L’eco-innovazione infatti è in grado di garantire una situazione cosiddetta “win-win” dove ai benefici tipici dell’innovazione si accompagnano benefici generali legati anche al miglioramento ambientale e sociale.
Posizionamento italiano
Secondo un’analisi dell’OECD (OECD Environmental Performance Reviews3, 2013) l’Italia, che è la sesta economia dell’OECD, possiede un patrimonio naturale e culturale che rappresenta una delle ricchezze più preziose del Paese ma le limitate riserve di combustibili fossili e di materie prime la rendono fortemente dipendente dalle importazioni. Sono state adottate numerose iniziative per tutelare le risorse naturali del Paese e ridurre l’intensità dell’uso di materiali e di energia e tali misure hanno consentito di registrare buoni risultati, tra cui una riduzione significativa delle emissioni di inquinanti atmosferici, progressi nella gestione dei rifiuti e nella tutela della biodiversità, ed un miglioramento della qualità delle acque superficiali.
Una fotografia istantanea di tali trend ambientali comprende:
• la transizione verso un’economia a basso contenuto di carbonio ed efficiente sotto il profilo delle risorse e dell’energia.
• la gestione del patrimonio naturale.
• il miglioramento della qualità ambientale della vita.
L’Italia sta considerando l’integrazione delle questioni ambientali nella sua politica economica e sta altresì ricercando opportunità per una riforma fiscale “verde” come anche per investimenti nelle “energie pulite” e per modalità di trasporto sostenibile.
Nonostante questi progressi, vi sono ancora sfide da affrontare sul percorso che conduce a un’economia più verde e allo sviluppo sostenibile.
Con l’identificazione dell’eco-innovazione quale uno dei principali driver dello sviluppo sostenibile è sorta l’esigenza di identificare appositi indicatori per poterla misurare e tra le proposte, analizzate nel Rapporto Green Economy 2012, si seleziona un indicatore specifico per l’eco-innovazione messo a punto dall’Osservatorio Europeo per l’Eco-Innovazione (Eco-Innovation Observatory - EIO4), denominato l’Eco-Innovation Scoreboard (Eco-IS), che consente di valutare le prestazioni dei vari Paesi europei e confrontare i risultati ottenuti in modo da poterne identificare i punti di forza e di debolezza sui diversi assi di analisi. L’Eco-IS è composto da 16 indicatori raggruppati in cinque componenti: input di eco-innovazione (stanziamenti ReS, personale e ricercatori, investimenti verdi in fasi iniziali), attività di eco-innovazione (imprese che hanno attuato attività di innovazione volte a una riduzione del materiale e dell’apporto di energia per unità di output), output di eco-innovazione (si misura per mezzo di brevetti, pubblicazioni e copertura mediatica), i risultati ambientali (ovvero i benefici all’ambiente, valutati in riferimento alla “produttività” di materie, energia e acqua, insieme all’”intensità” delle emissioni di gas a effetto serra) e i risultati socio-economici (basati sui dati delle prestazioni di “eco-industrie”, compresi quelli relativi a esportazioni, occupazione e fatturato). Sulla base dell’Eco-IS si fornisce il posizionamento italiano, aggiornato al 2013, rispetto alla media europea e rispetto agli Stati dell’EU28, presentato nello studio EIO Country Report 2014. In tale studio si menziona l’Italia come la quarta economia in Europa con un PIL del 10% sopra la media europea (Europa 28), avente un contributo relativo dei settori ripartito tra agricoltura, industria, manifattura, costruzioni e servizi. Il posizionamento nel 2013 dell’Italia secondo l’indice Eco-IS è riportato nello studio dell’EIO del 2014 (EIO country report, 2014) e, dunque, l’Italia è al 12° posto, sui 28 Paesi analizzati con un punteggio totale di 95 rispetto al valore 100 della media europea. Nel 2012 l’Italia era al 15° posto con un punteggio di 92 (nel 2012 l’Eco-IS ha analizzato 27 Paesi europei). Di seguito un’analisi degli indicatori inclusi nel punteggio totale dell’Eco- IS per valutare dapprima il posizionamento italiano rispetto agli altri paesi (EU28) e successivamente l’andamento italiano in differenti anni per valutare un trend ed effettuare considerazioni per prospettive future. L’Italia risulta essere sopra la media europea per le componenti di output di eco-innovazione e per risultati ambientali (efficienza delle risorse).
Dove si riporta l’andamento del punteggio Eco-IS per l’Italia, dal 2012 al 2013, nelle sue cinque componenti input di eco-innovazione, attività di ecoinnovazione, output di eco-innovazione, risultati ambientali e risultati socio-economici, osservando l’andamento 2012 e 2013 è possibile dedurre che quasi tutte le componenti presentano valori simili punteggio ad eccezione di due: la componente output di eco-innovazione che è nettamente superiore (valore di 115 nel 2013 rispetto al 71 del 2012) e la componente risultati socio-economici, inferiore nel 2013 rispetto al 2012 (valori di 77 e 104 rispettivamente). In particolare, per gli output di eco-innovazione, l’Italia sia posizionata al 9° posto ri- spetto ai 28 Paesi dell’Unione Europea (EU 28). L’analisi di dettaglio mostra il miglioramento del posizionamento italiano per l’output di eco-innovazione ovvero: pubblicazioni accademiche, copertura mediatica (in cui l’Italia passa dal 13° al 6° posto nella classificazione degli Stati secondo Eco-IS) e i brevetti, in cui l’Italia passa dal 13° posto nel 2012 al 9° nel 2013.
Per quanto riguarda la componente dei risultati ambientali, l’Italia è 8° nella classificazione dei Paesi europei (EU 28) con un punteggio di 107 rispetto ai 100 della media europea. Per le altre componenti l’Italia è sotto la media europea e, in particolare, per i risultati socio-economici è 11°, per le attività di eco-innovazione è 14°, per la componente input di eco-innovazione l’Italia è 13.
Conclusioni
La situazione è matura affinché anche il nostro Paese intraprenda significativamente, sistematicamente ed in maniera governata il percorso verso la green economy.
Strumento prioritario per questo percorso è l’ulteriore sviluppo, diffusione ed implementazione dell’eco-innovazione nel quadro di una nuova e rilanciata politica industriale che sappia coniugare la competitività delle nostre imprese alla sostenibilità dei nostri sistemi produttivi sul percorso della green economy.
Il percorso verso la sostenibilità necessita del passaggio da innovazioni incrementali verso innovazioni radicali che hanno ampi effetti sistemici. L’Unione Europea e i suoi Stati membri possono accelerare la diffusione dell’eco-innovazione con politiche e azioni mirate e volte a garantire anche una maggiore e più diffusa accettazione sociale di tecnologie, processi, servizi e prodotti ecoinnovativi.
Per il nostro Paese, occorre arrivare a una futura governance dell’eco-innovazione made in Italy che sappia mettere a sistema i “tradizionali” concetti di ecoinnovazione di processo e di prodotto con i più ampi concetti di eco-innovazione di sistema, dei consumi e più in generale degli stili di vita, culturali e sociali. Gli strumenti per perseguire l’eco-innovazione sono di natura politica, tecnologica, sociale, economica ed organizzativa e la loro efficacia è tanto maggiore quanto più essi vengono messi a sistema secondo un approccio olistico. Inoltre, il fattor comune deve essere lo sviluppo e la condivisione dei sistemi della ricerca e della conoscenza che portino ad una trasformazione partecipata, equa e inclusiva favorendo la cultura della responsabilità.
Sia le politiche che le azioni devono essere necessariamente perseguite in un quadro coerente e sistemico che coinvolga, con comportamenti proattivi e non semplicemente reattivi, istituzioni locali, regionali e nazionali, imprese e organizzazioni di imprese, Università ed Enti di Ricerca, organizzazioni sociali e singoli individui. L’Italia ha delle forti potenzialità sia grazie al patrimonio ambientale e culturale che alle peculiarità presenti nel mondo produttivo, ma la politica ambientale italiana resta frammentata e prevalentemente dettata dall’emergenza e focalizzata sul breve termine. Ciò fa lievitare i costi sostenuti dagli operatori economici per adeguarsi ai requisiti ambientali, e ostacola la creazione di un contesto stabile e omogeneo per le attività imprenditoriali, che riesca a dare impulso agli investimenti in campo ambientale. Inoltre occorre migliorare l’uso dei fondi pubblici, mobilitare investimenti privati, rafforzare la coerenza e l’efficacia della gestione ambientale, accentuata dalla frammentazione delle politiche stesse (poteri decentralizzati).
A fronte di tali sfide, sono necessarie strategie nazionali che forniscano indicazioni chiare per affrontare le questioni che richiedono approcci comuni e coerenti (come la gestione delle acque e dei rifiuti, il cambiamento climatico e il controllo del rispetto della normativa ambientale).
Un percorso in tal senso è stato intrapreso nel 2012 attraverso gli Stati Generali della Green Economy, promossi dal Consiglio Nazionale della Green Economy, composto da 66 organizzazioni di imprese, in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e con il Ministero dello Sviluppo Economico. In tale percorso è stata formulata una Roadmap per la Green Economy in Italia attraverso un documento che include 79 proposte elaborate dai 10 Gruppi di Lavoro. In particolare per l’eco-innovazione sono state individuate 5 azioni prioritarie nell’ambito di una strategia nazionale per lo sviluppo e la diffusione dell’ecoinnovazione “made in Italy”:

1. Defiscalizzazione della spesa, direttamente riferibile a investimenti e occupazione nel settore dell’eco-innovazione, per le imprese e/o consorzi e/o reti di imprese che promuovono o sostengono la transizione di imprese verso la green economy con i loro servizi. L’incentivazione è rivolta ai risultati, piuttosto che alla scelta delle tecnologie, per favorire la diffusione di quelle realmente eco-innovative: nuove tecniche e nuove applicazioni appaiono con una certa frequenza, disponendo di risorse finanziarie scarse, è bene avere cura della scelta di quelle da incentivare, premiando i reali risultati. Strumenti a tal fine sono: l’utilizzo degli standard di qualità per quanto riguarda la riduzione del prelievo di risorse naturali, della quantità e pericolosità dei rifiuti, delle emissioni e dei consumi energetici e di acqua per i processi produttivi, mentre per i prodotti si privilegerà l’utilizzo di indicatori ambientali lungo il ciclo di vita ed etichette ecologiche.
2. Creazione di una funzione di agenzia nazionale per l’uso e la gestione efficiente dei materiali e delle risorse naturali, a diretto supporto delle imprese, con particolare riguardo alle PMI, e del territorio, utilizzando competenze e strutture già esistenti, ad esempio presso l’ENEA come per l’efficienza energetica. La funzione mira a supportare la diffusione nelle imprese dell’innovazione tecnologica di prodotto e di processo finalizzate al raggiungimento di elevate qualità ambientali, a promuovere iniziative strategiche nazionali, con bandi adeguati nelle dotazioni e nei tempi, per iniziative di eco-innovazione delle imprese, preferibilmente con strumenti snelli e automatici quali i voucher per la ricerca o il credito di imposta. Sui modelli esistenti in altri Paesi europei, tale Agenzia dovrebbe essere il riferimento nazionale per l’eco- innovazione, fornendo supporto alle imprese per una gestione eco-efficiente delle risorse e dei materiali e l’implementazione di processi puliti. Dovrebbe inoltre procedere: i) allo sviluppo e alla diffusione di conoscenza, dati, standard, strumenti di analisi e di comunicazione come le etichette ecologiche integrate, per la qualificazione e quantificazione dell’eco-innovazione di processo e di prodotto; ii) all’elaborazione di un catalogo nazionale di eco-innovazioni/ecoprodotti reperibili sul mercato al fine di promuovere l’uso di GPP; iii) a favorire la costituzione di partenariati pubblico/ privati e la creazione di reti.
3. Sviluppare partenariati fra le università, gli enti di ricerca, le imprese e le amministrazioni locali per il sostegno di progetti nazionali ed internazionali (in particolare i progetti cofinanziati dall’Europa con i fondi di coesione, Horizon 2020, il patto dei sindaci, le smart city ecc.) di eco-innovazione, di dimensioni significative, capaci di coniugare sostenibilità e competitività, attraverso il trasferimento di know how alle imprese e in una logica di integrazione e valorizzazione territoriale. Il patrimonio di competenze che questo Paese ha sia nel pubblico, università ed enti di ricerca su tutti, sia nel privato, deve essere messo a sistema attivando e sviluppando joint venture con mondo scientifico e imprese per il sostegno di progetti sistemici e integrati di dimensioni significative, capaci di coniugare insieme sostenibilità e competitività. Aziende, centri di ricerca, distretti, reti d’impresa, sistemi territoriali, istituzioni e organizzazioni sociali possono fungere da soggetti attivi di questi partenariati per l’eco-innovazione.
4. Sviluppare l’economia della conoscenza, aumentando gli investimenti per la ricerca e la formazione e promuovendo l’occupazione giovanile nel settore, per preparare nuove competenze e professionalità sia per i settori strategici di nuova economia, sia per riqualificare figure professionali che operano in settori e comparti tradizionali del sistema produttivo italiano, interessati a processi di riconversione green. Gli interventi formativi dovranno accompagnare piani di investimento industriale per lo sviluppo di settori eco-innovativi ed essere orientati da un’analisi dei fabbisogni professionali e formativi. Serve anche maggiore informazione sulle alternative già disponibili, per favorire la diffusione di tecnologie, processi, servizi e prodotti eco-innovativi.
5. Attivare processi partecipativi per lo sviluppo delle città intelligenti e sostenibili (smart city), su tutto il territorio nazionale, mediante la promozione di tavoli ed iniziative che vedano la partecipazione e la convergenza degli obiettivi di sostenibilità delle amministrazioni pubbliche (esempio patto dei sindaci), dei settori produttivi (energia, edilizia, mobilità, ICT ecc.), della comunità scientifica (ricerca ed eco-innovazione) e il coinvolgimento dei cittadini (consapevolezza, comportamenti e stili di vita) al fine di produrre soluzioni innovative per le smart city, inclusive ed adattate alle specificità del territorio, favorendo la diffusione di marchi ambientali, di prestazione, di prodotto e servizio e incoraggiando e, ove necessario, incentivando tutte le pratiche del consumo eco-innovativo e sostenibile.

Le prime quattro azioni sono a diretto supporto della competitività e sostenibilità delle imprese fornendo strumenti finanziari, formativi, di conoscenza e di trasferimento tecnologico per lo sviluppo e l’implementazione dell’eco-innovazione; l’ultima azione è focalizzata all’eco-innovazione del vivere collettivo tramite l’integrazione di tecnologie e cambiamenti di stili di vita, sociali e culturali e l’utilizzo di strumenti di partecipazione/inclusione, informazione e diffusione.

Grazia Barberio, Marcello Peronaci, Roberto Morabito ENEA, Unità Tecnica Tecnologie Ambientali

Da Energia, Ambiente, Innovazione

LOGO 17 novembre 2014

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