La politica energetica negli anni ottanta



PIU' FELICE DI TUTTI, DUNQUE, E' COLUI CHE NON HA MALVAGITA' NELL'ANIMA, DAL MOMENTO CHE QUESTO E' IL MALE PIU' GRANDE.
Platone, Gorgia


Copertina

Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e declino di quelle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
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Agli inizi degli anni Ottanta la contrazione del consumo energetico rispetto al Pil porta a una riduzione dei consumi e il contro-shock petrolifero del 1985 produce una brusca caduta del prezzo del petrolio. Questa situazione determina, tra il 1984 e il 1989, uno stato di euforia, l’espansione dell’economia mondiale sembra inarrestabile e tutti si dimenticano del problema energetico, anche se dal 1985 i consumi tornano ad aumentare a ritmo sostenuto. L’Enel – imbozzolata dalle sue sballate previsioni, dalle sue lentezze e dai soliti problemi finanziari, e sempre tallonata da enti locali e ambientalisti – si trova impreparata all’impennata dei consumi ed è costretta a importare energia elettrica dall’estero, in particolare dalla Francia, che si ritrova un eccesso di capacità produttiva grazie alla politica nucleare portata avanti nel corso degli anni. Nel 1989 tali importazioni raggiungono il 15% del consumo totale; è inutile sottolineare quanto questa situazione costi al Paese in termini di mancati investimenti e mancati posti di lavoro, che potrebbero essere coperti se quel 15% di produzione fosse endogena.
Nel 1988 il consiglio di amministrazione dell’Enel vara un piano di emergenza da 3.000 megawatt, che si basa sulla costruzione di impianti policombustibili, sul ripotenziamento degli impianti esistenti (a carbone e a olio combustibile) con turbine a gas e sulla costruzione di sistemi a ciclo combinato; il progetto viene approvato dal piano energetico del 1988.
Sintetizzando la storia dell’Enel, dalla nazionalizzazione fino all’era di Chicco Testa e Franco Tatò, si possono fare alcune considerazioni: sulle scelte del tipo di impianto da realizzare l’ente si è trovato quasi sempre spiazzato rispetto alle condizioni del contesto. Alla vigilia della crisi petrolifera del 1973 l’Enel aveva deciso di acquistare centrali a olio combustibile. Dopo la crisi petrolifera c’è stata la scelta nucleare, ma ritardi e tergiversazioni sul tipo di reattore non hanno consentito di attuare una minima riserva di impianti, come stava avvenendo in tutti i Paesi industrializzati. Il fallimento del nucleare ha indirizzato la programmazione verso il carbone, con successi veramente modesti. Dopo il contro-shock petrolifero, l’Enel ha puntato sugli impianti policombustibili (carbone-gas), molto costosi, con il prezzo del gas in rapida ascesa e l’ostracismo dei Comuni all’uso del carbone. Infine c’è stata la scelta degli impianti a ciclo combinato a gas, ma anche in questo caso l’Enel è rimasta al palo indecisa tra repowering e costruzione di nuovi impianti.
Al termine degli anni ottanta, l’Enel è rimasta con le sue centrali a olio combustibile e con la necessità di acquistare il costosissimo combustibile a basso tenore di zolfo per rispettare le normative ambientali. L’ente non ha mai adottato una strategia proattiva ma è sempre stato solo reattivo alle vicissitudini dell’ambiente esterno. La nazionalizzazione aveva creato l’ennesimo carrozzone che si trascinava tra inefficienza e deresponsabilizzazione. Mentre l’Enel si dibatte tra i suoi dubbi amletici, in tutto il mondo, tra il 1970 e il 1980, la produzione di energia elettrica da fonte nucleare passa da 150 miliardi a 620 miliardi di kWh.

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18 novembre 2014

Eugenio Caruso da L'estinzione dei dinosauri di stato.



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