Elezioni in Emilia Romagna e Calabria


Giammai sarai felice finché ti tormenterai perchè un altro è più felice.
Seneca, De ira

Quando l'affluenza crolla in questo modo (in Emilia Romagna al 37, 67%, con un crollo di più di trenta punti percentuali rispetto alle regionali del 2010) non si può né fare finta di niente né cantare vittoria. Questo il primo dato da analizzare e metabolizzare. In primis da parte del vincitore Pd, se non altro per il significato dell'Emilia “rossa” nella storia della sinistra di governo italiana. Vero che il Pd è il primo partito e porta alla vittoria il suo candidato Stefano Bonaccini, ma rispetto al 2010 perde più di 300mila voti e ancor più ne perde, ovviamente, in rapporto alle ultime elezioni europee.
Le ragioni di questa disaffezione del pragmatico popolo “rosso” emiliano sono più di una. La prima, forse troppo sottovalutata dai primi commenti, ha a che fare con l'inchiesta sui rimborsi regionali che ha coinvolto la maggior parte dei consiglieri democratici. Sono vicende che, al di là dell'esito giudiziario, portano discredito sulla classe politica (locale, certo, ma di riflesso anche nazionale) e che allontanano ancora di più i cittadini dalle istituzioni. Certamente ha anche influito il tono di vera e propria guerra tra governo e sindacati delle ultime settimane attorno al Jobs act in una regione dove tradizionalmente la Cgil è forte e radicata nel mondo del lavoro e non solo. Ma ha anche ragione Matteo Renzi a far notare che i partiti (Sel) che hanno appoggiato lo sciopero generale indetto per il 12 dicembre e spalleggiato le proteste di piazza hanno preso percentuali «da prefisso telefonico» (il partito di Nichi Vendola in Emilia si è fermato al 3,2%). L'esito scontato delle elezioni, sia in Emilia che in Calabria, ha poi contribuito a tenere lontani dalle urne gli elettori di centrosinistra meno motivati. Per il Pd renziano sono tutti spunti di riflessione che confluiscono in un obiettivo di medio termine: l'aver superato i vecchi confini sociali della sinistra tradizionale stenta a tradursi nella conquista di nuovi referenti nel mondo silenzioso dei “moderati” che in Italia appare sempre maggioritario. C'è poi una questione legata al partito e alla sua struttura sul territorio. Senza il traino della leadership nazionale di Renzi, come alle ultime europee che comunque resteranno probabilmente un unicum per lo straordinario risultato del 40,8%, il partito si perde, quasi non c'è. Il giovane segretario e premier dovrà metterci la testa: nel 2014 il partito delle sezioni, è vero, non ha più senso, ma la struttura sul territorio serve eccome. Rottamare i vecchi leader del Pci-Pds-Ds-Pd, rivelatisi incapaci ormai di interpretare la società post-ideologica e le sue problematiche, non deve comportare la rottamazione di quel modello di partito “solido” sul territorio che è stato il vanto della vecchia sinistra. In forme moderne, ma la struttura sul territorio deve essere mantenuta e curata. Detto questo non si può non essere d'accordo con Renzi quando nota che siamo un Paese ben strano, dove si fanno i processi a chi vince e non a chi perde. La disaffezione macroscopica dalla politica che ha colpito soprattutto l'Emilia ma non ha risparmiato la Calabria (qui il crollo dell'affluenza rispetto al 2010 è stato del 15%) riguarda tutto il sistema politico, anche e soprattutto chi le elezioni le ha perse. Ha un ben dire Beppe Grillo che rispetto al 2010 il suo M5S ha guadagnato qualche voto, ma quel 13% circa è ben lontano dal successo clamoroso delle elezioni politiche del 2012 quando il movimento superò il 25%. La disaffezione sembra colpire tutti, la politica e la cosiddetta antipolitica. E il grillismo non sembra più in grado, dopo più di un anno di vita parlamentare pressoché inconcludente, di interpretare la protesta profonda del Paese.
Quanto a Forza Italia, il temuto sorpasso da parte della Lega non solo è avvenuto (in Emilia, perché in Calabria il Carroccio non si è presentato), ma è avvenuto in modo umiliante: 19,4% contro 8,4%. Assisteremo probabilmente a giorni e giorni di fibrillazioni interne al partito di Silvio Berlusconi e a conseguenti bordate contro il patto del Nazareno su Italicum e riforme stretto con il Pd di Renzi. Chiaro che la questione del premio alla lista e non alla coalizione non è indifferente per una Forza Italia ormai minoritaria nel Paese. Ma Berlusconi, che pure per tanti anni a modo suo ha interpretato e rappresentato la “classe” dei moderati in questo Paese, si trova a un bivio ben più importante dei dettagli tecnici dell'Italicum: provare a ricostruire faticosamente un'alternativa di centrodestra al Pd di Renzi nel solco del Partito popolare europeo oppure inseguire la nuova Lega di Matteo Salvini sulla strada del populismo antieuropeo e sull'uscita dall'euro e dalla Ue.
Perché una cosa appare chiara: il Pd di Renzi si conferma il centro del sistema politico e l'unico argine ai populismi, ma senza una reale alternativa di governo la democrazia è monca, non è democrazia. Da qui, anche, l'importanza di approvare una nuova legge elettorale (premio alla lista o alla coalizione che sia) e le riforme costituzionali per ammodernare il sistema e incentivare con la definizione di nuove ed europee regole del gioco una futura alternanza di governo. Dal momento che né Grillo né Salvini, per quanto quest'ultimo appaia ora sulla cresta dell'onda, sono leader di governo.

Se a prevalere in Emilia Romagna e in Calabria è stato il centrosinistra ad aggiudicarsi nettamente la tornata elettorale è stato il partito dell’astensione: sei su dieci elettori non hanno votato. Il responso delle urne, a spoglio ormai quasi ultimato, sancisce la vittoria dei due candidati del Pd Stefano Bonaccini in Emilia con il 49% dei voti e Mario Oliverio in Calabria con 61,6%. Una vittoria attesa e prevista mentre si sono confermati anche i timori della vigilia con un crollo dell'affluenza ai seggi. Ed è in Emilia Romagna che si registra il dato più eclatante: si è recato, infatti, alle urne soltanto il 37,7% degli elettori contro il 68,1 delle elezioni precedenti e contro il 70% delle europee. L'astensione è stata più contenuta in Calabria dove hanno votato il 43,8% degli aventi diritto rispetto al 59% del 2010 mentre il dato è sostanzialmente in linea con il 45,8% delle europee.
In Emilia Romagna Stefano Bonaccini si è affermato su Alan Fabbri, candidato leghista del Centrodestra, che si è fermato poco sopra la soglia del 30%, segnando un deciso balzo per il Carroccio, la cui lista ha raccolto il 19,4% dei consensi, un risultato senza precedenti in Emilia-Romagna, mentre Forza Italia si è fermata all’8,3 per cento. Il Movimento Cinque Stelle, invece, con Giulia Gilbertoni, si attesta al 13,3 per cento.
In Calabria, Oliverio registra una netta affermazione sul Centrodestra che si presentava diviso, con Wanda Ferro (Fi-Fdi) intorno al 23% e Nino D'Ascola intorno al 9%. Giù il Movimento Cinque Stelle con Cono Cantelmi che si attesta intorno al 4%. «Non aspettatevi un comizio, dopo questi mesi sarebbe un supplizio», esordisce Oliverio nel suo discorso di ringraziamento sotto il tendone allestito davanti al punto d'incontro che si trova proprio a fianco della Prefettura di Cosenza. Ma poi non resiste e si lascia andare a una serie di considerazioni ribadendo i punti programmatici già espressi in campagna elettorale. «Voglio ringraziare - dice Oliverio - le migliaia di calabresi che hanno riposto fiducia in noi. Lo faccio con commozione. I calabresi hanno raccolto il nostro messaggio e capito che al suo interno c'è una grande consapevolezza della difficoltà che la Calabria vive».
«Male affluenza, bene risultati: due a zero netto. Quattro regioni su quattro strappate alla destra in nove mesi. Lega asfalta Forza Italia e Grillo. Pd sopra il 40 per cento» è stato invece il commento del presidente del Consiglio Renzi. Il neogovernatore emiliano-romagnolo Bonaccini dice di non voler minimizzare il crollo dell'affluenza. «Il dato dell'affluenza non mi soddisfa, non si può minimizzare». «Non si può negare che abbia influito il tema delle indagini sulle spese dei consiglieri - dice Bonaccini - detto questo, la vittoria è comunque netta, quasi 20 punti percentuali di distanza dal secondo». «Ora tocca al sottoscritto partire con una nuova squadra di governo e con un alto tasso innovazione nei programmi, aprendo un stagione nuova di buon governo e cambiamento» prosegue il nuovo governatore, deciso a «ricucire il rapporto abbastanza lacerato tra elettori ed istituzioni e a recuperare la fiducia delle imprese».
Grande fiducia in casa Lega. «Sono molto soddisfatto del risultato. Il voto politico è chiaro, la Lega nord è il secondo partito in Emilia Romagna e la campagna elettorale ha premiato il movimento», afferma Fabbri. Ma, «il dato più importante è l'astensionismo - prosegue - si è trattato di uno schiaffo al governo Renzi». «Ora - ha concluso il leghista - siamo chiamati a una opposizione organica e seria in consiglio regionale». «Il pallone Renzi si sta sgonfiando. La Lega vola, la nostra comunità cresce ovunque» ha scritto su twitter il segretario federale della Lega, Matteo Salvini, che aggiunge: «Pochi amici fra i potenti, tanti amici fra la gente».
Il clima viceversa è pesante in casa Forza Italia. Un «risultato drammatico»: ora «il minimo è azzerare tutte le nomine, per dare il via a una fase di vero rinnovamento». Così Raffaele Fitto, che dice «basta» a nomine e «gruppi autoreferenziali», ma soprattutto a «una linea politica incomprensibile, ambigua, che oscilla tra l'appiattimento assoluto verso il Governo e gli insulti».

Emilio Patta, Andrea Gagliardi - www.ilsole 24ore.com - 24 novembre 2014

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