Intesa, a Lima, alla Conferenza internazionale sul Clima.


Chiunque commetta ingiustizia e non sconti una pena, risulta essere più infelice degli altri.
Platone, Gorgia


La COP (COnferenza delle Parti) 20 a Lima ha rischiato di fallire, mettendo in crisi non solo l’accordo mondiale sul clima atteso per il 2015 a Parigi, ma l’esistenza stessa dell’UNFCCC, il tavolo delle Nazioni unite dedicato al cambiamento climatico. É stata l’esplicita minaccia del capo delegazione USA, Todd Stern, quando sembrava che la proposta di sintesi promossa dai due co-chair non fosse in grado di trovare il supporto necessario. Solo il lavoro di cesello dell’abile Presidente della COP 20, il ministro dell’Ambiente peruviano Manuel Pulgar Vidal, è riuscito a produrre una revisione del testo capace di trasformare il dissenso in un’approvazione per acclamazione. Il percorso per Parigi rimane ancora in salita ma il Lima call for Climate action, oltre a non far naufragare l’unico contesto negoziale in grado di dare una possibilità per contrastare la deriva climatica del pianeta, ha consentito di compiere un ulteriore piccolo passo avanti. Elemento centrale dell’accordo è innanzitutto la predisposizione della prima bozza di lavoro del possibile accordo di Parigi. Un documento di 37 pagine allegato alla decisione di Lima che contiene un gran numero di opzioni molto diverse tra loro. Vi è un’enorme mole di lavoro da fare per arrivare all’atteso protocollo o trattato finale, ma è sicuramente un percorso gestibile rispetto alle circa 300 pagine con cui si erano aperti i lavori di Copenhagen. Come sia andata allora lo ricorda il Ministro Fabius, nominando in modo scaramantico il fantasma del fallimento della conferenza del 2009. La versione finale del documento proposto da Pulgar Vidal fa un paio di concessioni all’ampio blocco di paesi in via di sviluppo che si erano inizialmente opposti al documento proposto dai co-chair. E' stato eliminato il sistema di valutazione previsto per il 2015 degli impegni di riduzione delle emissioni presi su base volontaria. Inoltre, è previsto che il futuro accordo di Parigi abbia un approccio bilanciato degli aspetti di mitigazione delle emissioni con quelli di adattamento. In sostanza i paesi in via di sviluppo si assicurano cosi di avere degli aiuti economici dai paesi più ricchi per introdurre piani e azioni in grado di limitare i danni causati dal cambiamento climatico. Proprio sul fronte dei finanziamenti arriva un’altra importante novità da Lima. Prende sostanza, oltre che forma, il Green Climate Fund, che ha finalmente raggiunto e superato la prevista somma di 10 miliardi di dollari all’anno. A sorpresa Messico, Colombia e Perù, sebbene non tenuti a contribuire al GCF in quanto paesi in via di sviluppo, hanno depositato nel fondo complessivamente 22 milioni di dollari ed è atteso che questa azione volontaria stimolerà ad le contribuzioni future da parte dei paesi sviluppati. Si dovrà infatti arrivare al 2020 con una disponibilità nel GCF di 100 miliardi di dollari all’anno. Il tema nodale in previsione dell’accordo di Parigi resta però ancora il bilanciamento degli impegni all’interno del blocco dei paesi più ricchi e rispetto alle economie emergenti, tenendo in considerazione che sulla base delle decisioni attuali tali impegni saranno stabiliti su base volontaria dai diversi paesi. Gio0va però segnalare che rispetto al passato è stata superata negli ultimi anni la netta differenziazione tra paesi sviluppati e in via di sviluppo. Adesso entrano in gioco in modo più fluido concetti come la responsabilità storica sulle emissioni, la capacità di intervento e le specifiche circostanze nazionali. Sicuramente attorno alla diversa interpretazione di questi termini avrà luogo buona parte della dura negoziazione nel 2015. Fabius è convinto che, nonostante i numeri non sembrino essere dalla sua parte in termini di confronto tra le riduzioni delle emissioni attese e quelle al momento presentate dai principali paesi, l’accordo di Parigi riuscirà ad essere tanto ambizioso da mantenere l’innalzamento della temperatura sotto la soglia dei 2 C. Ha anche ribadito come non ci si possa permettere un piano B per il clima. Lo stesso diceva Yvo de Boer prima della conferenza di Copenhagen nel 2009. Speriamo che dopo Parigi non si debba iniziare a pensare a un piano C.

Da www.lastampa.it

LOGO 14 dicembre 2014

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