Mostro agli altri la retta via, che ho conosciuto tardi, quando, ormai, ero stanco per il lungo peregrinare
Seneca. De constantia sapientis
Questa commedia di Aristofane è il primo testo della cultura occidentale che affronti il problema dell'emarginazione femminile, senza limitarsi al lamento patetico o straziante e senza offrire soluzioni giustificate dalla personalità eroica dei personaggi. L'una e l'altra cosa aveva fatto Euripide, soprattutto nella Medea.
E' già significativo che il problema della condizione femminile venga sfiorato o trattato esplicitamente nel teatro greco, sempre in commessione, secondo la tradizione, al culto di Dioniso e dunque permettendo di superare i confini forniti dalla quotidiana e indiscussa stratificazione gerarchica dei soggetti. Da una parte, i testi teatrali - che pure sono scritti da maschi per maschi - sono la prova che la gerarchia vigente non era affatto un orizzonte culturale intrascendibile; dall'altra, il carattere dionisiaco dell'ambito ove si comincia a trattare il problema della donna indica quanto esso fosse avvertito come temibile. La questione del potere femminile non è posta nei termini neutrali di un ampliamento della struttura partecipativa, ma è sempre connessa con il rischio di una dissoluzione dei limiti e della cultura e di uno sconvolgimento della natura delle cose. Giova ricordare che in ambito filosofico la donna era considerata un essere umano inferiore all'uomo tanto che nel Simposio l'amore più puro è considerato quello omosessuale tra uomo e uomo e non quello eterosessuale; il Simposio pone a confronto l'opinione sull'amore di personaggi diversi ciò non vuol dire che Platone condividesse questa opinione sulle donne ma si faceva portavoce del sentire della classe "borghese" dell'epoca.
Come detto gli aspetti eroici e peculiari del mondo femminile erano stati affrontati da Euripide e da Eschilo e Sofocle in alcune delle loro tragedie. Epica e mito erano gli ingredienti fondamentali della drammaturgia greca, genere teatrale, la cui messa in scena era, per gli abitanti dell'Atene classica, quasi una cerimonia di tipo religioso con forti valenze sociali. Ma la versatilità era uno dei caratteri del genio greco, pertanto, la tragedia non poteva vivere senza la commedia.
La tragedia celebra l’epopea degli eroi, le loro gesta gloriose o scellerate, i loro conflitti esterni o interiori, sullo sfondo immenso del cosmo e con il linguaggio del sublime. La commedia scruta indiscreta, talvolta pettegola e sfrontata, il vissuto quotidiano dell’uomo comune, la sua mediocre esistenza, stretta tra necessità e piccole e grandi aspirazioni, tra modeste virtù, il buon senso soprattutto, ed anche qualche vizio e bassezza. Lo sfondo è l’agglomerato urbano, il linguaggio è quello delle piazze e dei mercati. Per l’effetto comico, per la risata liberatoria, non disdegna nemmeno il turpiloquio.
La commedia ebbe una vita più lunga della tragedia e attraversò tre fasi. Quella più vicina alla nostra sensibilità è la sua terza fase, del IV secolo a.C. Ma allora essa aveva già perduto parte dei suoi caratteri distintivi, normalizzandosi possiamo dire, al punto che sarebbe più corretto definirla "dramma borghese". La commedia moderna, attraverso anche la mediazione latina, deriva in larga misura dalla commedia nuova di Menandro, commediografo vissuto in un'epoca in cui la polis e la centralità egemonica di Atene erano un mero ricordo del passato, e risultava difficile riprendere i temi di una commedia farsesca e satirica in termini politici.
A noi, però, interessa la prima fase, del V secolo, la commedia politica, il cui massimo rappresentante fu appunto Aristofane. Nella sua forma peculiare essa non è concepibile al di fuori del quadro dei diritti garantiti dalla democrazia ateniese. La libertà di parola per tutti, nella commedia antica consente l’assoluta franchezza dell’autore nell’esprimere opinioni e critiche senza nessun riguardo per alcuno. Essa rappresenta la forma più spinta di satira politica mai esistita. E la democrazia ateniese, al suo apice, era forte al punto di finanziare essa stessa gli allestimenti scenici di chi attaccava pesantemente i suoi esponenti di primo piano. E se a prima vista i commediografi ateniesi del V secolo appaiono su posizioni conservatrici e antidemocratiche, a ben guardare le loro invettive in realtà sono rivolte un po’ a tutti, non risparmiando alcuno che a loro avviso ne fosse meritevole, e Aristofane, feroce critico del populismo imperialista dei demagoghi, è di certo consapevole che la caduta di quel regime democratico avrebbe significato la fine di quella forma di commedia, la sua commedia. E così infatti avvenne al tramonto del secolo d’oro di Atene e della sua democrazia.
La Lisistrata venne messa in scena da Aristofane nel 411. E’ appunto un momento critico per la democrazia ateniese. La dura sconfitta subita in Sicilia nel 413 ha provocato il sopravvento del partito oligarchico che ha sospeso la costituzione democratica e messo lo Stato sotto la tutela di una giunta di trenta probuli (o commissari): ad Aristofane non preme appoggiare il golpe oligarchico, ma che la guerra contro Sparta abbia fine con un equo compromesso e che Atene rinunci alla politica aggressiva propugnata dai democratici radicali. In questi anni una delle sacerdotesse di Atena, la dea protettrice della città, si chiamava Lisimaca, colei che scioglie le guerre. Sarà stato il nome di questa alta figura delle istituzioni religiose ateniesi a fornire ad Aristofane lo spunto per la creazione del personaggio di Lisistrata, la donna che scioglie gli eserciti? Non lo sappiamo. Tuttavia se il fine che Lisistrata si prefigge, la pace duratura fra gli stati greci per un fronte comune panellenico contro l’impero Persiano,, è in qualche modo un fine politicamente sacro, ma tale certamente non è il mezzo che ella escogita per costringere gli uomini ad attuarlo: l' espediente dell’astensione di tutte le donne della Grecia dal … sesso! La Lisistrata è famosa per questa trovata estrosa e disinvolta dello sciopero sessuale e per il seguito di battute e situazioni spinte, talvolta oscene, cui essa da luogo. Ma questo è solo un aspetto della commedia, costituisce la sua vis comica. Se riflettiamo che come la tragedia anche la commedia è teatro impegnato, non siamo sorpresi di trovare nella Lisistrata, un messaggio serio condito con gli aspetti comici. Cerchiamo di scoprire quale.
Lisistrata vuole che gli Ateniesi e gli Spartani facciano la pace cosicché gli uomini, invece di andare in guerra, restino in casa accanto alle loro donne. A tal fine è disposta ad astenersi ora dal proprio piacere, posticipandolo in vista di un più compiuto godimento in futuro. Armata di questo spregiudicato calcolo razionale, ella sfida e nello stesso tempo seduce gli uomini: ti impongo questa momentanea rinuncia, che è anche la mia rinuncia, affinché pure tu, uomo, possa godere di più in seguito, perché il tuo e il mio piacere sono eguali. Il messaggio della Lisistrata, oltre l’invito alla pace e alla riconciliazione tra i Greci, è l’affermazione della parità fra l’uomo e la donna. Ad Atene dove il principio dell’estensione dei diritti, comincia a muovere i primi passi verso il concetto di uguaglianza, anche il tema della parità di genere diventa oggetto di attenzione. E, curiosamente, Aristofane, intellettuale "conservatore", riguardo a tale questione sta dalla parte del progresso.
Il desiderio e il piacere sono dunque fatti assolutamente reciproci fra i due sessi, senza che l’uomo goda di alcun privilegio o tragga vantaggio da una prevaricazione. E partendo dalla sfera intima il discorso si estende a tutti gli aspetti della vita. La tradizionale misoginia greca, lungi dal fregiarsi del parere dei filosofi, viene ricondotta a quello che è realmente: un repertorio di insulsi luoghi comuni e logori pregiudizi, che ostacolano l’instaurarsi di un naturale rapporto di uguaglianza tra uomini e donne. Ma qui non siamo nel mondo tragico delle passioni esasperate e terribili della Medea di Euripide. L’uguaglianza dei generi viene rivendicata come principio e affermata già come fatto sulla base di un’analisi della semplice realtà quotidiana. Basta dare un’occhiata al mercato di Atene per rendersi conto di quanto il lavoro femminile contribuisca all’economia della città: se fosse loro permesso, le donne potrebbero anche combattere e comandare la flotta ateniese! Per quale motivo alle donne non è consentito di occuparsi dell’amministrazione pubblica, quando sono esse che curano i bilanci familiari? Anche se ora stanno costrette in casa, le donne sono capaci di ragionare sugli affari dello Stato sia per loro attitudine sia perché ascoltando con attenzione i discorsi dei padri e degli anziani, al pari degli uomini, si sono ben istruite e preparate. Le donne sono dunque perfettamente in grado di occuparsi di politica e di giudicare sbagliata una condotta: gli uomini la smettano allora sempre di zittirle e facendo essi silenzio si lascino consigliare! Il coraggio e l’amor di patria non sono solo virtù maschili, in più le donne posseggono qualità loro proprie, come la grazia e la naturale gentilezza. E poi come si fa a dire: “la guerra è affare da uomini”? In realtà la guerra è più un affare da donne, perché esse ne sopportano il peso due volte: partoriscono i figli, li allevano con tanto amore e poi li vedono andare via a fare i soldati!
Alla fine, questo è il punto centrale, le donne sono cittadine al pari degli uomini, anch’esse hanno il diritto e il dovere di essere utili allo Stato. Esse pe4nsano "Se gli uomini avessero la saggezza, il buon senso delle donne e sapessero trattare i loro affari con la stessa abilità con cui le donne lavorano la lana!".
La vicenda della Lisistrata, l'unica delle commedie di Aristofane a recare nel titolo il nome del protagonista umano, è notissima: l'ateniese Lisistrata, per mettere fine alla lunga guerra del Peloponneso che travaglia la Grecia, come già detto, convince tutte le donne elleniche a uno sciopero del sesso, di carattere ricattatorio; in appoggio a questo sciopero fa occupare dalle concittadine l'Acropoli, ove è conservato il tesoro della lega di Delo. Di fronte a un ricatto del genere, connesso com'è a un bisogno primario, gli uomini della Grecia non possono che cedere. Gli spartani stessi vengono a offrire quella pace che per l'Atene del 411 a. C. - anno nel quale venne rappresentata la commedia - sarebbe stata provvidenziale, ancorché impossibile. La vicenda termina con una celebrazione festiva, dalla quale, però, manca l'apoteosi della protagonista, a differenza di quanto avviene in altre commedie “utopiche” come gli Acarnesi, la Pace e gli Uccelli.
Secondo Cedric Whitman, l'essenza della comicità di Aristofane è l'illimitatezza: se è vero che, come sosteneva Aristotele, gli eroi tragici sono uomini superiori, mentre gli eroi comici sono uomini inferiori alla media, c'è però poca differenza fra un eroe di Sofocle e uno di Aristofane dal punto di vista del loro rapporto con la realtà. In entrambi i casi, l'autonomia dell'eroe si esplica come rifiuto di adeguarsi e sottomettersi alle limitazioni della realtà. Tuttavia, gli eroi comici risolvono il loro conflitto con la realtà con metodi molto diversi da quelli adottati dagli eroi tragici. Mentre i secondi perseguono inflessibilmente, fino all'autodistruzione, i valori con i quali si identificano, i primi escogitano stratagemmi surreali di eroica creatività in virtù dei quali riescono ad aggirare i limiti del mondo. Se l'eccellenza dell'eroe tragico può essere designata come virtù, a quella dell'eroe comico si addice una sorta di genialità furbesca e un po' gaglioffa.
Lisistrata si è resa conto che la guerra fra le città greche è rovinosa; ma la gerarchia sociale esclude rigorosamente le donne da ogni partecipazione politica. Un dilemma del genere avrebbe portato la protagonista di una tragedia alla rovina. Ma Lisistrata ha la fortuna di essere un personaggio della commedia, e può quindi ricorrere a uno stratagemma surreale: usare le funzioni che la gerarchia stabilita attribuisce alle donne come strumento di ricatto in una trattativa politica. Più brutalmente: un mondo che non sa e non vuole vedere le donne al di fuori della sfera domestica e sessuale, verrà a patti con loro solo quando sarà, per così dire, preso in parola e messo in discussione proprio a partire dall'area ristretta di visibilità in cui le ha confinate.
Aristofane, probabilmente, non voleva nascondere nella comicità la denuncia di un'ingiustizia, ma si valeva del paradosso inquietante del potere femminile come medium retorico per contrabbandare un messaggio politico. La sollevazione delle donne può apparire in sostanza come un'amplificazione comica di una figura della retorica demagogica: un artificio per contrabbandare un punto di vista inconsueto sotto le spoglie di una semplicità e di una mancanza di sofisticazione tanto ostentata quanto fittizia. L'idea che la lunga guerra fra le città greche sia assurda e controproducente è rappresentata come una verità così evidente da essere accessibile perfino al buon senso elementare di una madre di famiglia, che non si preoccupa di nulla al di là dei bisogni primari.
Con la consapevolezza di permetterci una certa libertà interpretativa consideriamo l'agone in cui Lisistrata espone il suo disegno politico di fronte a un pubblico di uomini. L'Acropoli è stata occupata dalle donne, che si sono impadronite del tesoro pubblico; i vecchi di Atene hanno tentato di riconquistarla e sono stati respinti: soltanto allora il commissario che li guida viene incitato a interrogare Lisistrata sui motivi della sua azione inusitata. Gli argomenti di quest'ultima, in sostanza, sono i seguenti: le donne sono state coinvolte in una decisione politica catastrofica, la guerra, senza aver potuto partecipare alla sua deliberazione, perché obbligate - pur essendo cittadine e svolgendo nella polis una funzione vitale - a tacere e stare in casa; inoltre, dal momento che alle donne viene fatto amministrare il bilancio domestico, non si vede perché non siano in grado di amministrare anche l'erario. Il colpo di mano, in questa situazione, era l'unico modo per farsi ascoltare e salvare la città della rovina. In questa esposizione ho compiuto, consapevolmente, un abuso, perché ho preso sul serio uno scambio di battute comico e l'ho trasformato in una argomentazione politica. Ma se prendiamo in considerazione i discorsi del commissario, non andiamo oltre invettive irose e sgomente del tipo:
"Io zitto di fronte a te, maledetta, che porti un velo in testa? Piuttosto morire!"
Per il commissario la guerra, così come la subordinazione delle donne, sembrano essere circostanze di fatto talmente ovvie da non richiedere giustificazione.
L'articolazione degli argomenti di Lisistrata è ancora più esplicita nel grande discorso politico con il quale riconcilia gli uomini di Grecia, piegati dalle conseguenze dello sciopero del sesso.
"Non sono che una donna, ma possiedo la ragione. La posseggo per conto mio e per aver ascoltato i discorsi di mio padre e degli altri anziani; non sono male istruita."
I titoli che Lisistrata rivendica come legittimanti la sua partecipazione a pieno diritto alla politica sono sostanzialmente i seguenti: in primo luogo, ella è dotata di un proprio intelletto, ossia della facoltà di capire e penetrare le cose; a questo intelletto, che è una facoltà primaria e non acquisita, si aggiunge la conoscenza ottenuta con l'esperienza e l'educazione, ascoltando i discorsi di suo padre e degli altri anziani. Se dunque il requisito di un soggetto morale a pieno titolo è la capacità di capire le questioni su cui delibera, alle rivendicazioni di Lisistrata non si può opporre né l'argomento generale, che le donne in quanto tali mancano di intelletto pratico - anche perché il fatto che siano sottoposte a delle leggi implica che esse abbiano almeno la capacità di comprenderle e di seguirle -, né l'argomento particolare che manchino di esperienza, dal momento che questa esperienza è acquisibile e, nel caso particolare, è stata acquisita. Quali sono, dunque, le ragioni dell'esclusione? Da parte maschile, non c'è traccia di argomentazione: il discorso di Lisistata, di solennità tragica, perde la sua efficacia retorica in quanto Aristofane lo inserisce in una situazione comica: ella, infatti, sta mostrando una donna nuda, che rappresenta la riconciliazione, a plenipotenziari spartani e ateniesi, il cui interesse è fisiologicamente limitato a un aspetto quanto meno parziale della femminilità, quello sessuale.
Lisistrata ha vinto soltanto de facto, perché il suo ricatto ha avuto successo a causa della incontenibile incontinenza maschile: significativamente ella viene fatta sparire dalla celebrazione con cui, come è costume di Aristofane, si conclude la commedia, mentre i personaggi maschili disconoscono a cuor leggero la maternità del suo progetto politico, preferendo attribuirla al vino:
" ... E noi, anche bevendo, ci siamo comportati saggiamente".
"E' naturale, visto che quando siamo sobri ci comportiamo da stupidi".
Lisistrata, nel rovesciare il mondo, è stata costretta a confermarlo: l'area di visibilità delle donne, comunque esse si comportino, è e rimane esclusivamente il sesso. Esse ottengono un'uguaglianza provvisoria solo qualora sospendono la loro disponibilità e la rendano oggetto di contratto. Ma essere riconosciuta come parte in causa in un contratto da una controparte la quale si rassegna a negoziare ciò che non riesce ad ottenere con la forza non implica un riconoscimento morale de iure, ma solo un'equiparazione temporanea che dura finché sussiste il potere e la volontà di ricatto. Un riconoscimento morale pieno, dal punto di vista della morale politica di Atene, avrebbe implicato un diritto alla partecipazione, che nella commedia non viene mai riconosciuto, indipendente dal godimento contingente del potere di contrattazione. Un riconoscimento fondato sul ricatto è per forza di cose un riconoscimento spurio e transitorio: esso dura solo finché persiste il potere e la volontà di ricattare, e svanisce non appena il ricatto è concluso. Lisistrata, col suo sciopero, ha comprato la pace ma non ha ottenuto il riconoscimento. La soggettività morale non è negoziabile.
Eugenio Caruso - 06-02-2015