La presenza dell'ISIS sul Mediterraneo


Il miglior rimedio all'ira è l'attesa.
Seneca, De ira

Le potenze mondiali intervengano o l’Isis arriverà in Italia. E’ l’allarme lanciato da Abdullah Al Thani, premier del governo di Tobruk, quello che tra i due esecutivi al potere in Libia è riconosciuto dalla comunità internazionale (l’altro è il Congresso nazionale libico, a maggioranza islamista, che ha sede a Tripoli). “Abbiamo informazioni confermate che Al Qaeda e lo Stato islamico sono a Tripoli e vicino Ben Jawad – ha detto il primo ministro libico – chiedo alle potenze mondiali di stare a fianco della Libia e lanciare attacchi militari contro questi gruppi”. Se le potenze mondiali non interverranno, “questa minaccia si trasferirà nei Paesi europei, specialmente in Italia“. Francia ed Egitto si muovono per chiedere una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu e Matteo Renzi frena sull’ipotesi di un intervento militare immediato: “La vicenda è problematica”, ha detto il premier al Tg5, ma “non è il momento per l’intervento militare. La proposta è di aspettare il consiglio di sicurezza Onu. La forza dell’Onu è decisamente superiore alle milizie radicali”. Nella notte, intanto, i primi rimpatriati da Tripoli sono arrivata in Italia. In mattinata l’Egitto ha annunciato di aver bombardato obiettivi dello Stato Islamico in territorio libico per reagire al video diffuso dal gruppo jihadista con la decapitazione di 21 egiziani copti che erano stati rapiti a Sirte tra dicembre e gennaio. Le autorità militari hanno effettuato raid su campi di addestramento e siti di stoccaggio delle armi gestiti dai fondamentalisti, in cui sarebbero rimasti uccisi “almeno 40 terroristi“. A bombardare non è stato però soltanto l’esercito del Cairo: aerei da guerra dell’esercito libico, quello legato al governo di Tobruk, hanno attaccato stamattina la città orientale di Derna, che è controllata da un gruppo affiliato all’Isis, e anche le città di Sirte e Ben Jawad, dove si trovano forze leali al governo autoproclamato di Tripoli. Il comandante dell’aviazione libica Saqer al-Joroush, parlando con Reuters, ha spiegato che a differenza degli attacchi contro l’Isis a Derna condotti insieme agli aerei egiziani, quelli a Sirte e Ben Jawad sono stati compiuti soltanto dalle forze libiche. Tre in totale le tornate di raid effettuate: solo nella prima sarebbero state uccise “almeno 40 persone”. Secondo una fonte della sicurezza di Bengasi, negli attacchi sono rimasti uccisi almeno cinque civili, di cui tre bambini e due donne. Il governo di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, chiede con forza l’intervento internazionale: “Abbiamo informazioni confermate che Al Qaeda e lo Stato islamico sono a Tripoli e vicino Ben Jawad” e “chiedo alle potenze mondiali di stare a fianco della Libia e lanciare attacchi militari contro questi gruppi”, è l’appello lanciato dal premier Abdullah Al Thani. “Questa minaccia si trasferirà nei Paesi europei, specialmente in Italia“, ha detto il primo ministro libico. Il governo di Al Thani ha base nell’est del Paese da quando ad agosto il gruppo armato Alba della Libia ha preso il controllo di Tripoli. Alba della Libia ha al suo interno islamisti ma nega di avere legami con Al Qaeda o con combattenti che hanno prestato fedeltà allo Stato islamico. Anche il ministero degli Esteri egiziano ha chiesto alla comunità internazionale di assumersi le “proprie responsabilità”. “L’Egitto ribadisce la sua richiesta agli Stati membri della coalizione internazionale contro il terrorismo, di cui fa parte, di assumersi le proprie responsabilità politiche e di prendere misure contro le postazioni della formazione terroristica Daesh e le altre formazioni sul territorio libico, le quali rappresentano una minaccia chiara per la sicurezza e la pace internazionali”, si afferma in un comunicato del ministero che conferma il “diritto” egiziano, sancito dall’Onu, “a difendere i propri cittadini all’estero”. Il presidente egiziano Abdelfattah Al-Sisi ha avuto un colloquio telefonico con il capo di Stato francese, François Hollande, in cui hanno sottolineato l’importanza di una riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il Cairo ha fatto sapere che il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shukri, è partito alla volta di New York “per incontri urgenti e per avviare contatti immediati con gli alti responsabili dell’Onu, in primis il segretario generale Ban Ki-moon e i 15 membri del Consiglio di Sicurezza”. Anche Matteo Renzi ha avuto stamane un lungo colloquio telefonico con il presidente egiziano e in un’intervista ha messo in chiaro la posizione dell’Italia: “La vicenda è problematica”, ha detto il premier al Tg5, ma “non è il momento per l’intervento militare, apprezzo molto che su politica estera non ci siano divisioni tra i partiti. Vedremo che fare quando sarà il momento ma è bene che sulla una situazione di politica estera delicata il paese non si metta a litigare”. “Da tre anni in Libia la situazione è fuori controllo – ha detto ancora il premier – lo abbiamo detto in tutte le sedi e continueremo a farlo. Ma la comunità internazionale se vuole ha tutti gli strumenti per poter intervenire. La proposta è di aspettare il consiglio di sicurezza Onu. La forza dell’Onu è decisamente superiore alle milizie radicali”. Il Congresso nazionale libico, ovvero il Parlamento sostenuto dalle milizie islamiche a Tripoli e non riconosciuto dalla comunità internazionale, ha condannato i raid condotti dall’aviazione egiziana. Si tratta di una “aggressione alla sovranità nazionale”, hanno detto fonti del congresso citato dall’emittente Al Jazeera. “La Libia è uno stato sovrano e combattere il terrorismo dovrebbe essere un compito dello Stato”, prosegue il testo. Fajr Libya, la coalizione di milizie al potere a Tripoli, ha chiesto agli egiziani di lasciare il Paese per evitare ritorsioni: lo si legge in un post sulla pagina Facebook di Fajr. Nel Paese nordafricano ci sono due governi rivali. Oltre a quello islamico, che ha sede a Tripoli, c’è un esecutivo riconosciuto dalla comunità internazionale che invece ha sede a Tobruk, nell’est del Paese. Ieri i fondamentalisti hanno diffuso un video che mostra la decapitazione di 21 egiziani copti. Nel messaggio c’era anche un riferimento all’Italia: “Siamo a sud di Roma”. Il governo, dopo le dichiarazioni interventiste di alcuni ministri, cerca di prendere tempo e invoca tutti gli sforzi diplomatici possibili. “L’Is è alle porte e non bisogna perdere un minuto: bisogna intervenire con una missione Onu“, ha detto il ministro dell’Interno Angelino Alfano in un’intervista a Repubblica. “Giovedì sarò a Washington per un summit organizzato dalla Casa Bianca tra 20 paesi per il contrasto del terrorismo internazionale”. Se Silvio Berlusconi e la Lega Nord hanno offerto il loro sostegno all’azione militare, Matteo Renzi ha frenato: “Calma e gesso”, avrebbe detto ai suoi secondo quanto riportato da La Stampa. Il presidente del Consiglio, soprattutto dopo le parole di Romano Prodi, si è convinto della necessità di lavorare prima di tutto a livello diplomatico. Poco dopo le 13 è atterrato all’aeroporto militare di Pratica di Mare il C-130 dell’Aeronautica che ha portato a Roma i cittadini italiani evacuati ieri dalla Libia in seguito alle minacce dell’Isis. Sul volo c’erano una ventina di passeggeri, tra i quali anche l’ambasciatore italiano a Tripoli. Il resto degli italiani evacuati dalla Libia è stato smistato ad Augusta, in Sicilia. Ieri il governo aveva deciso di procedere con il rimpatrio dei cittadini italiani ancora in Libia. Poco dopo le 24 il catamarano “San Gwan” noleggiato dal governo italiano ha attraccato al porto di Augusta (Siracusa). I connazionali, tra cui l’ambasciatore, sono stati accompagnati alla base militare di Sigonella, dove hanno trascorso la notte in attesa di partire per Roma. Solo un impiegato, Salvatore, è uscito con le valigie in mano, ma si è limitato a dire ai giornalisti che sono andati via dalla Libia per questioni di “sicurezza”. Ha deciso, invece, di non muoversi il vicario apostolico a Tripoli Giovanni Martinelli: “”Devo rimanere. Come lascio i cristiani senza nessuno?”, domanda il prelato in un’intervista a Radio Vaticana, in cui spiega che “c’è tanta paura tra i civili”, non solo cristiani; si interroga sul ruolo della comunità internazionale nel cercare un dialogo con “questo Paese diviso che fa fatica a ritrovare innanzitutto l’unità interna”. Dietro ai jihadisti, osserva infine “c’è il petrolio, i pozzi di petrolio della Libia, quelli del Golfo Persico, eccetera”.

EUGENIO CARUSO - 16-02-2015

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