La collera trascina in tutte le direzioni, e a provocazione si aggiunge provocazione, finchè la rabbia non si ferma.
Seneca, De ira
Modesta proposta al governo, al premier Matteo Renzi e al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Siamo proprio sicuri che sia utile attendere il varo della prossima legge di stabilità per il 2016, cioè perdere 10 mesi? O i dati e le circostanze internazionali favorevoli, rispetto a un andamento asfittico del Pil italiano, ci dicono che proprio ora occorrono decisioni aggiuntive di finanza pubblica? La ragionevolezza a noi sembra indicare la seconda alternativa. Speriamo per questo che il governo accetti almeno di parlarne.
Grazie alle nuove regole di flessibilità assunte in Ue per l’interpretazione del patto di stabilità e crescita, nuove decisioni di finanza pubblica anticipate rispetto alla tradizionale sessione di bilancio non servono – come tante volte in passato – per rimettere sotto controllo l’andamento tendenziale del deficit, ma per un altro fine. Coerente all’impostazione da sempre dichiarata dal governo: si tratta di trasmettere al mercato domestico, alle famiglie e alle imprese, segnali aggiuntivi capaci di rappresentare incentivi addizionali per rafforzare le componenti di ripresa del Pil.
Sappiamo che, da vent’anni a questa parte, l’Italia ha accumulato un’ingente mole di gap, tali da farla crescere meno dei Paesi concorrenti quando il ciclo e la domanda internazionale sono favorevoli, e da farle perdere più punti di Pil quando tira aria di recessione. E’ così, inutile recriminare per le tante responsabilità del passato, di destra e sinistra.
C’è il rischio molto forte che il copione si ripeta. Non è un caso che, nelle previsioni di crescita Ue, ora che il segno più torna davanti alle stime del Pil mensile, nel 2015 ci si attenda che solo Cipro cresca meno di noi. Sembra gran cosa che nel 2015 possano aggiungersi 150mila nuovi occupati, come stima il ministro Poletti, mentre la disastrata Spagna ne ha prodotti oltre 90mila solo a febbraio. I dati odierni rilasciati da Istat e Banca d’Italia confermano che NON siamo ancora in ripresa: a gennaio, la produzione industriale segna -0,7% come andamento congiunturale sul mese precedente e un poco rassicurante dato tendenziale (cioè di proiezione annuale) di -2,2%; i prestiti bancari ai privati su base annua si contraggono ancora del -1,8% e del -2,8% alle imprese su base annua.
Per “spingere” la ripresa, il governo ha puntato sulle riforme: il Jobs Act, la giustizia civile, e ora dovrebbero arrivare quella della scuola e quella della PA. Ma l’effetto di crescita addizionale delle riforme di struttura, a prescindere dal giudizio su ciascuna di esse, si determina nel medio-lungo periodo, dopo che la loro complessa attuazione entrerà a regime.
Per gli effetti di traino a breve, il governo ha puntato nel 2014-2015 sostanzialmente su due scelte prioritarie: il bonus 80 euro, e gli effetti da oggi sull’occupazione del nuovo contratto a tutele crescenti, abbinato al bonus fino a 8mila euro per gli assunti a tempo indeterminato (per tutti gli assunti, anche quelli sostitutivi, senza concentrarli su quelli aggiuntivi rispetto agli organici 2014, cosa che avrebbe avuto un effetto-traino assai maggiore).
A ciò si aggiungono molto più potenti fattori esogeni: il QE della BCE iniziato sui mercati al ritmo di 60 miliardi al mese, il deprezzamento dell’euro sul dollaro, il prezzo del petrolio oggi intorno a poco più di 50 dollari al barile, rispetto ai 114 del giugno scorso.
Tuttavia, l’esperienza di tutti i paesi usciti più rapidamente dalla recessione indica che politiche monetarie “generose” devono essere accompagnate da politiche di bilancio e fiscali altrettanto decise, per sostenere la crescita. Molti credono che questo implichi più spesa pubblica, ma poco riflettono sul fatto che negli USA la crescita 2014 è esplosa dopo che il deficit pubblico, grazie al “sequestro” automatico della spesa pubblica, è sceso da oltre l’11% del Pil a poco più del 5%.
Quel che all’Italia serve oggi sono segnali energici trasmessi subito alle due molle più estenuate della crescita sul mercato domestico: i consumi, e gli investimenti delle imprese.
Di conseguenza, deliberatamente tentiamo qui di seguire un modello di provvedimenti coerente a quello già adottato dal governo. Per il sostegno ai redditi disponibili delle famiglie e dei consumi, è oggi e non tra un anno, il momento di immaginare un’estensione del bonus 80 euro a pensionati, incapienti e autonomi che non hanno visto nulla. Analogamente, oggi si può varare un primo intervento mirato ai 6 milioni di italiani sotto il livello di povertà: 500 euro per due componenti familiari sotto il livello significano 1,5 miliardi di euro. Sommati a un’estensione congrua del bonus 80 euro, siamo intorno ai 10 miliardi.
Altri 5 miliardi andrebbero diretti al rafforzamento degli incentivi agli investimenti delle imprese. Le leggi d’incentivo sono troppe e dispersivamente condizionali, centrali e locali, perciò bisogna mirare a una misura “secca” generale e universale, che premi in maniera incrementale il più alto innalzamento addizionale degli investimenti sul 2014.
Stiamo parlando di una manovra di sgravi fiscali (e trasferimenti, per bonus e povertà) pari almeno a un punto di Pil. E poiché non siamo tifosi del deficit, occorrerebbe da subito porre mano a grandi poste della spending review non recessiva alle quali i governo sinora non ha messo mano: a cominciare dalle partecipate locali, e a seguire il famoso passaggio da 35 mila stazioni d’acquisto e appaltanti pubbliche a 35. Oggi, giustificate dall’innalzamento immediato della crescita e non per il rientro addizionale verso il pareggio di bilancio, queste energiche misure incontrerebbero opposizioni ovvie e dure, ma assai meno efficaci nella loro argomentazione pubblica.
Il governo non faccia l’errore già commesso in legge di stabilità, quando si poteva (doveva) tagliare subito IVA e accisa sui carburanti – oggi rappresentano il 61,8% del costo alla pompa – quando il barile era a 40 dollari. Una misura che avrebbe avuto effetti immediati nei magri bilanci di famiglie e imprese. Anche perché, quanto più la crescita del Pil italiano nel 2015 sarà superiore all’1% invece della sua metà, tanto più le entrate ordinarie saliranno. E insieme ai minori oneri sul debito pubblico grazie a Draghi, aiuteranno il governo stesso nel redigere la prossima legge di stabilità, quando scatta la prima clausola di salvaguardia fatta di aggravi d’entrate per 16 miliardi di euro.
Rivogliamo questa proposta al governo nel massimo spirito costruttivo. Parliamone. E’ la questione centrale italiana, crescere di più subito. Non lo scontro tra partiti e dentro i partiti.
14 marzo 2015
Oscar Giannino da www.leoniblog.it