Intervista a Francesco Cavallaro segretario generale della CISAL.


E' per il denaro che si litiga di più: è lui che dà lavoro ai tribunali, che mette i padri contro i figli, che sparge veleni.
Seneca, De ira

Segretario, quali sono i tratti salienti della Cisal ?
La Cisal è un soggetto sociale in forte crescita, il cui progetto ispiratore è basato su tre concetti di fondo: confronto, solidarietà, qualificazione. Confronto: il sindacato deve trattare con le controparti tutto ciò che riguarda il trattamento economico e previdenziale dei lavoratori e più in generale le loro condizioni di vita e il loro benessere. Solidarietà: la Cisal non rifiuta la globalizzazione dei mercati, ma si batte per l’umanizzazione dell’economia e del profitto. Lo sviluppo e la crescita delle condizioni economiche rappresentano obiettivi inutili e per certi versi sterili, se non si coniugano con il miglioramento delle condizioni di vita, sia su scala locale, sia su scala globale. In tal senso, ritengo sia necessario giungere a un sistema di regolazione che preveda un contributo stabile dei Paesi industrializzati; deve concretizzarsi sempre più l’impegno di destinare una quota agli investimenti contro il sottosviluppo. Qualificazione: se i lavoratori vogliono confrontarsi con la globalizzazione e con il costante mutamento delle tecnologie e dei mercati, devono essere posti in grado di acquisire costantemente un’adeguata preparazione professionale.
Come giudica lo stato delle relazioni tra le diverse componenti del sindacalismo autonomo in Italia?
Con una battuta potrei risponderle: quali sarebbero le diverse componenti? Su questo punto è necessario fare chiarezza: il sindacato autonomo è quello che nasce in un rapporto di totale indipendenza dalla politica e, più precisamente dai partiti. È, infatti, una realtà storica riconosciuta da tutti, che le confederazioni sindacali si sono tutte costituite, a partire dal dopoguerra, avendo come riferimento uno o più partiti politici. Questo è valso anche per alcuni sindacati di base, che spesso la stampa definisce “autonomi” ma che in realtà dal punto di vista del rapporto con la politica sono invece assolutamente schierati. Bisogna poi distinguere i sindacati che limitano la propria azione solo a una specifica realtà aziendale e le confederazioni autonome che abbracciano l’intero universo del mondo del lavoro. Ebbene in Italia, storicamente, la Cisal rappresenta l’unica autentica realtà confederale autonoma, dal momento che è l’unica confederazione presente sia nei settori del lavoro privato (agricoltura, industria, terziario) sia in quelli pubblici (funzioni pubbliche e servizi pubblici), che da oltre cinquant’anni mantiene un rapporto per l’appunto “autonomo” col mondo della politica, non basato su un legame ideologico precostituito ma sul confronto, ovviamente tenendo in considerazione primaria i bisogni e le esigenze delle categorie che essa rappresenta. In questo senso siamo l’unica confederazione sindacale generalista a mantenere questa linea di condotta. Invece, altre confederazioni definite autonome o non lo sono, perché mantengono ben saldo il rapporto preferenziale con determinati partiti politici, o, più semplicemente, perché non sono vere confederazioni, dal momento che non hanno rappresentanze estese a tutti i settori del mondo del lavoro.
Lei si è occupato per diversi anni di formazione professionale. Recentemente è stato riproposto il tema degli sprechi e delle irregolarità commesse a danno dei lavoratori, tema che assume maggior risalto anche alla luce dell’attuale congiuntura economica. Cosa risponde a chi rimprovera alle organizzazioni sindacali di aver contribuito a un uso distorto delle risorse disponibili?
Questa accusa non può certo essere formulata nei confronti della Cisal, anche se, più in generale il problema è esistito. È un dato di fatto che altre confederazioni sindacali hanno costruito nell’ambito della pubblica amministrazione un vero e proprio sistema di potere, che si è esteso sino alla commistione nella gestione, per esempio attraverso il condizionamento delle nomine dirigenziali. Tuttavia proprio alcune riforme introdotte negli ultimi anni, che hanno eliminato e comunque fortemente diminuito ogni forma di ingerenza del sindacato nelle attività di gestione mi porta a dire che non si possa più addossare al sindacato la responsabilità degli sprechi nell’uso delle risorse pubbliche. A mio avviso le responsabilità in questo senso vanno cercate altrove: nel mondo della politica e in quello dell’alta burocrazia.
I dati sulla produttività indicano che nel nostro Paese questa cresce meno rispetto agli altri Paesi più industrializzati. Quali sono, a suo giudizio, le iniziative che occorrono per invertire questa tendenza?
I dati sulla diminuzione della produttività in Italia confermano la necessità di favorire la crescita delle imprese per fare crescere il lavoro, in termini non solo quantitativi ma anche qualitativi. Maggior qualità significa agire sui modelli organizzativi, numero delle ore effettivamente lavorate, formazione delle risorse umane. Misure come decontribuzione e detassazione sono senz’altro utili, ma presuppongono la crescita complessiva dell’economia. Personalmente, sono convito che sia venuto il momento di riportare l’economia al centro del dibattito politico nazionale, il che non significa solo nominare un nuovo Ministro per lo sviluppo economico, ma ridefinire un progetto di sviluppo complessivo per il Paese. Certo è condivisibile lo slogan “liberare il lavoro per liberare i lavori” ma occorre anche liberare l’economia del Paese, specie nelle regioni del Sud. In Italia, la priorità per una politica industriale lungimirante è il sostegno a quel circuito virtuoso ricerca- innovazione industriale-ricerca che da tempo fatica a decollare, anche se abbiamo di fronte opportunità enormi per valorizzare i nostri tecnici e laureati in campi come i green jobs, la robotica, le nanotecnologie.
In questo senso, un cambio di passo su temi come innovazione e mercato del lavoro non solo è auspicabile ma soprattutto appare sempre più improcrastinabile. Da un punto di vista sindacale e personale, cosa ha significato per lei “fare sindacato” in Calabria?
Fare sindacato in Calabria è come vivere o lavorare in Calabria: è tutto più difficile. Se un sindacalista ha difficoltà a gestire la propria attività dove il lavoro c’è, si immagini come possa aumentare questa difficoltà in Calabria, dove il lavoro è merce rara e spesso si svolge in modo irregolare in termini di sfruttamento e spregio delle regole. Per me, comunque, svolgere una funzione sindacale in Calabria è stato un modo per cercare di contribuire allo sviluppo di questa terra.
La vicenda Fiat di Melfi ripropone il problema dello stato delle relazioni sindacali nel nostro Paese e, in particolare, quello della rappresentanza effettiva dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Quali sono le proposte della Cisal su questi temi?
La Cisal ha da sempre una visione moderna delle relazioni sindacali; in questo senso vanno abbandonate alcune posizioni, francamente non più sostenibili in relazione ai tempi che corrono, che in Italia sono ancora sostenute dalla Cgil. Detto questo ritengo che la vicenda del licenziamento dei tre operai di Melfi rappresenti per la Fiat un clamoroso autogol, una presa di posizione obiettivamente inaccettabile per chiunque faccia sindacato e abbia a cuore valori come la dignità e il rispetto dei lavoratori.
In quest’ultimo periodo si è animato un dibattito molto acceso sul tema del c.d. contratto unico al quale si affianca la concezione, parzialmente diversa, di uno “Statuto dei lavori” nell’ottica della promozione di un sistema di flexicurity, adatto al nostro Paese. Qual è la posizione della Cisal? Quali ritiene siano le forme di tutela più valide da affiancare ai contratti flessibili e per sostenere i giovani nel mercato del lavoro?
La Cisal da anni sta perseguendo l’obiettivo di una maggiore flessibilità del lavoro nella consapevolezza che la globalizzazione dei mercati non possa non comportare per il sistema Italia il ripensamento del rapporto tra capitale e lavoro, passando da un’ottica di contrapposizione a un’ottica di convergenza e collaborazione. In questo nuovo contesto, vanno eliminate le rigidità che i vecchi schemi contrattuali impongono alle nostre imprese limitandone la competitività e la possibilità di cogliere le occasioni fornite dai mercati emergenti, soprattutto con riferimento al Mezzogiorno dove la disoccupazione è ormai da allarme rosso. La Cisal, insomma, è favorevole – come più volte ha dichiarato in sede di confronto con il Governo e le altre parti sociali – a rivisitare lo Statuto dei lavoratori e/o l’impianto dei contratti di lavoro, essendo disposta a ridiscutere anche in unico contratto le garanzie minime da assicurare ai lavoratori, demandando poi alla contrattazione di secondo livello e aziendale la parte economica legata alle peculiarità del territorio e alla turnazione e la regolamentazione degli istituti normativi in termini di flessibilità, di produttività e di compartecipazione agli utili laddove possibile. In questo schema gli enti bilaterali devono essere chiamati a svolgere un ruolo rilevante in termini di formazione, di riconversione dei lavoratori disoccupati e di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, il tutto attraverso una normativa di sostegno che comporti decontribuzione e defiscalizzazione e un occhio attento all’apprendistato professionalizzante, rendendo più facile e meno ingessato per le parti sociali il ricorso a questo strumento, oggi demandato quasi esclusivamente alla iniziativa delle Regioni con risultati assai deludenti.

* Intervista realizzata da Domenico Repetto in collaborazione con Francesco Lauria, Scuola internazionale di Dottorato in Diritto delle relazioni di lavoro di Adapt e della Fondazione Marco Biagi, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.


17-03-2015

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