E' per il denaro che si litiga di più: è lui che dà lavoro ai tribunali, che mette i padri contro i figli, che sparge veleni.
Seneca, De ira
Segretario, quali sono i tratti salienti della Cisal
?
La Cisal è un soggetto sociale in forte crescita, il
cui progetto ispiratore è basato su tre concetti di
fondo: confronto, solidarietà, qualificazione.
Confronto: il sindacato deve trattare con le controparti
tutto ciò che riguarda il trattamento economico
e previdenziale dei lavoratori e più in generale
le loro condizioni di vita e il loro benessere.
Solidarietà: la Cisal non rifiuta la globalizzazione
dei mercati, ma si batte per l’umanizzazione
dell’economia e del profitto. Lo sviluppo e la crescita
delle condizioni economiche rappresentano
obiettivi inutili e per certi versi sterili, se non si
coniugano con il miglioramento delle condizioni di
vita, sia su scala locale, sia su scala globale. In tal
senso, ritengo sia necessario giungere a un sistema
di regolazione che preveda un contributo stabile
dei Paesi industrializzati; deve concretizzarsi
sempre più l’impegno di destinare una quota agli
investimenti contro il sottosviluppo.
Qualificazione: se i lavoratori vogliono confrontarsi
con la globalizzazione e con il costante mutamento
delle tecnologie e dei mercati, devono essere
posti in grado di acquisire costantemente
un’adeguata preparazione professionale.
Come giudica lo stato delle relazioni tra le diverse
componenti del sindacalismo autonomo in
Italia?
Con una battuta potrei risponderle: quali sarebbero
le diverse componenti? Su questo punto è necessario
fare chiarezza: il sindacato autonomo è quello
che nasce in un rapporto di totale indipendenza dalla
politica e, più precisamente dai partiti. È, infatti,
una realtà storica riconosciuta da tutti, che le confederazioni
sindacali si sono tutte costituite, a partire
dal dopoguerra, avendo come riferimento uno o
più partiti politici.
Questo è valso anche per alcuni sindacati di base,
che spesso la stampa definisce “autonomi” ma che
in realtà dal punto di vista del rapporto con la politica
sono invece assolutamente schierati. Bisogna
poi distinguere i sindacati che limitano la propria
azione solo a una specifica realtà aziendale e le
confederazioni autonome che abbracciano l’intero
universo del mondo del lavoro.
Ebbene in Italia, storicamente, la Cisal rappresenta
l’unica autentica realtà confederale autonoma, dal
momento che è l’unica confederazione presente sia
nei settori del lavoro privato (agricoltura, industria,
terziario) sia in quelli pubblici (funzioni pubbliche
e servizi pubblici), che da oltre cinquant’anni mantiene
un rapporto per l’appunto “autonomo” col
mondo della politica, non basato su un legame ideologico
precostituito ma sul confronto, ovviamente
tenendo in considerazione primaria i bisogni e le
esigenze delle categorie che essa rappresenta.
In questo senso siamo l’unica confederazione sindacale
generalista a mantenere questa linea di condotta.
Invece, altre confederazioni definite autonome o
non lo sono, perché mantengono ben saldo il rapporto
preferenziale con determinati partiti politici,
o, più semplicemente, perché non sono vere confederazioni,
dal momento che non hanno rappresentanze
estese a tutti i settori del mondo del lavoro.
Lei si è occupato per diversi anni di formazione
professionale. Recentemente è stato riproposto il
tema degli sprechi e delle irregolarità commesse
a danno dei lavoratori, tema che assume maggior
risalto anche alla luce dell’attuale congiuntura
economica. Cosa risponde a chi rimprovera
alle organizzazioni sindacali di aver contribuito
a un uso distorto delle risorse disponibili?
Questa accusa non può certo essere formulata nei
confronti della Cisal, anche se, più in generale il
problema è esistito. È un dato di fatto che altre
confederazioni sindacali hanno costruito
nell’ambito della pubblica amministrazione un vero
e proprio sistema di potere, che si è esteso sino
alla commistione nella gestione, per esempio attraverso
il condizionamento delle nomine dirigenziali.
Tuttavia proprio alcune riforme introdotte negli
ultimi anni, che hanno eliminato e comunque fortemente
diminuito ogni forma di ingerenza del sindacato
nelle attività di gestione mi porta a dire che
non si possa più addossare al sindacato la responsabilità
degli sprechi nell’uso delle risorse pubbliche.
A mio avviso le responsabilità in questo senso vanno
cercate altrove: nel mondo della politica e in
quello dell’alta burocrazia.
I dati sulla produttività indicano che nel nostro
Paese questa cresce meno rispetto agli altri Paesi
più industrializzati. Quali sono, a suo giudizio,
le iniziative che occorrono per invertire questa
tendenza?
I dati sulla diminuzione della produttività in Italia
confermano la necessità di favorire la crescita delle
imprese per fare crescere il lavoro, in termini non
solo quantitativi ma anche qualitativi. Maggior
qualità significa agire sui modelli organizzativi,
numero delle ore effettivamente lavorate, formazione
delle risorse umane. Misure come decontribuzione
e detassazione sono senz’altro utili, ma
presuppongono la crescita complessiva
dell’economia.
Personalmente, sono convito che sia venuto il momento
di riportare l’economia al centro del dibattito
politico nazionale, il che non significa solo nominare
un nuovo Ministro per lo sviluppo economico,
ma ridefinire un progetto di sviluppo complessivo
per il Paese.
Certo è condivisibile lo slogan “liberare il lavoro
per liberare i lavori” ma occorre anche liberare
l’economia del Paese, specie nelle regioni del Sud.
In Italia, la priorità per una politica industriale lungimirante
è il sostegno a quel circuito virtuoso ricerca-
innovazione industriale-ricerca che da tempo
fatica a decollare, anche se abbiamo di fronte opportunità
enormi per valorizzare i nostri tecnici e
laureati in campi come i green jobs, la robotica, le
nanotecnologie.
In questo senso, un cambio di passo su temi come
innovazione e mercato del lavoro non solo è auspicabile
ma soprattutto appare sempre più improcrastinabile.
Da un punto di vista sindacale e personale, cosa
ha significato per lei “fare sindacato” in Calabria?
Fare sindacato in Calabria è come vivere o lavorare
in Calabria: è tutto più difficile.
Se un sindacalista ha difficoltà a gestire la propria
attività dove il lavoro c’è, si immagini come possa
aumentare questa difficoltà in Calabria, dove il lavoro
è merce rara e spesso si svolge in modo irregolare
in termini di sfruttamento e spregio delle
regole.
Per me, comunque, svolgere una funzione sindacale
in Calabria è stato un modo per cercare di
contribuire allo sviluppo di questa terra.
La vicenda Fiat di Melfi ripropone il problema
dello stato delle relazioni sindacali nel nostro
Paese e, in particolare, quello della rappresentanza
effettiva dei lavoratori nei luoghi di lavoro.
Quali sono le proposte della Cisal su questi
temi?
La Cisal ha da sempre una visione moderna delle
relazioni sindacali; in questo senso vanno abbandonate
alcune posizioni, francamente non più sostenibili
in relazione ai tempi che corrono, che in Italia
sono ancora sostenute dalla Cgil. Detto questo ritengo
che la vicenda del licenziamento dei tre operai
di Melfi rappresenti per la Fiat un clamoroso
autogol, una presa di posizione obiettivamente inaccettabile
per chiunque faccia sindacato e abbia
a cuore valori come la dignità e il rispetto dei lavoratori.
In quest’ultimo periodo si è animato un dibattito
molto acceso sul tema del c.d. contratto unico
al quale si affianca la concezione, parzialmente
diversa, di uno “Statuto dei lavori” nell’ottica
della promozione di un sistema di flexicurity,
adatto al nostro Paese. Qual è la posizione della
Cisal? Quali ritiene siano le forme di tutela più
valide da affiancare ai contratti flessibili e per
sostenere i giovani nel mercato del lavoro?
La Cisal da anni sta perseguendo l’obiettivo di una
maggiore flessibilità del lavoro nella consapevolezza
che la globalizzazione dei mercati non possa
non comportare per il sistema Italia il ripensamento
del rapporto tra capitale e lavoro, passando da
un’ottica di contrapposizione a un’ottica di convergenza
e collaborazione.
In questo nuovo contesto, vanno eliminate le rigidità
che i vecchi schemi contrattuali impongono alle
nostre imprese limitandone la competitività e la
possibilità di cogliere le occasioni fornite dai mercati
emergenti, soprattutto con riferimento al
Mezzogiorno dove la disoccupazione è ormai da
allarme rosso.
La Cisal, insomma, è favorevole – come più volte
ha dichiarato in sede di confronto con il Governo e
le altre parti sociali – a rivisitare lo Statuto dei lavoratori
e/o l’impianto dei contratti di lavoro, essendo
disposta a ridiscutere anche in unico contratto
le garanzie minime da assicurare ai lavoratori,
demandando poi alla contrattazione di secondo livello
e aziendale la parte economica legata alle
peculiarità del territorio e alla turnazione e la regolamentazione
degli istituti normativi in termini di
flessibilità, di produttività e di compartecipazione
agli utili laddove possibile.
In questo schema gli enti bilaterali devono essere
chiamati a svolgere un ruolo rilevante in termini di
formazione, di riconversione dei lavoratori disoccupati
e di inserimento dei giovani nel mondo del
lavoro, il tutto attraverso una normativa di sostegno
che comporti decontribuzione e defiscalizzazione e
un occhio attento all’apprendistato professionalizzante,
rendendo più facile e meno ingessato per le
parti sociali il ricorso a questo strumento, oggi demandato
quasi esclusivamente alla iniziativa delle
Regioni con risultati assai deludenti.
* Intervista realizzata da Domenico Repetto in collaborazione
con Francesco Lauria, Scuola internazionale di Dottorato in
Diritto delle relazioni di lavoro di Adapt e della Fondazione
Marco Biagi, Università degli Studi di Modena e Reggio
Emilia.
17-03-2015