Come è poco ciò che è indispensabile ad assicurare la sopravvivenza dell'essere umano
Seneca, Consolatio ad Helviam matrem
Nel suo libro «The Antitrust Paradox», Robert H. Bork riportava la battuta di un avvocato secondo il quale l’Antitrust, è come uno sceriffo di una città di frontiera; si limitava a camminare sulla strada principale e ogni tanto scaricava un colpo di pistola a qualche passante. L’avvio di un procedimento europeo a carico di Google non sarà uno sparo nel Far West, ma viene da chiedersi quale sia il confine, nei procedimenti relativi al mercato digitale, tra il discorso legale e quello ideologico, tra il reo e il capro espiatorio. A Google vengono contestate, con procedimenti diversi, due pratiche: favorire il proprio prodotto per gli acquisti comparativi nei risultati di ricerca, ostacolare lo sviluppo di sistemi operativi alternativi ad Android tramite accordi esclusivi con i produttori di smartphone e tablet. La Commissaria alla concorrenza, annunciando l’invio di una comunicazione di addebiti sul primo profilo e l’avvio di un’indagine formale sul secondo, ha dichiarato di voler garantire che l’economia digitale possa svilupparsi senza limiti alla concorrenza imposti unilateralmente da un’impresa. La natura ideologica di questo obiettivo è tutta nell’argomento controfattuale: nessuno di noi, nemmeno chi presiede e sorveglia il diritto alla concorrenza, sa cosa succederebbe se le imprese non subissero le sanzioni dell’Antitrust, né sa se l’eventuale sviluppo del mercato si debba al controllo dell’Antitrust o ad altre cause indipendenti da questo. Nel 2004 Microsoft venne condannata al pagamento di circa 500 milioni di euro per abuso di posizione dominante, a cui si aggiunsero quasi 900 milioni in appello, per limitare deliberatamente l’installazione di prodotti concorrenti su PC con sistema operativo Windows. Come oggi Google nei motori di ricerca, Microsoft deteneva circa il 90% del mercato europeo dei sistemi operativi. Come oggi, anche allora chi si lamentava non erano i consumatori, quanto i piccoli (all’epoca) concorrenti. Dopo quella vicenda, Microsoft ha smesso di essere il gigante incontrastato del mercato elettronico e dei servizi digitali. È stato questo l’effetto di una sanzione che voleva, appunto, ridimensionare la sua quota di mercato per consentire una maggiore pluralità di attori concorrenti? Se dovessimo rispondere affermativamente, dovremmo dedurre che la regolazione europea ha sì ridimensionato Golia per lasciare che nel mercato di riferimento anche i Davide potessero crescere, ma che a partire da quel ridimensionamento í piccoli nel frattempo sono diventati grandi. Google su tutti, per ora, è diventato quindi «troppo grande» per non far paura, ai suoi competitori più che ai suoi consumatori, e per non essere quindi messo sul tavolo operatorio dell’Antitrust. Se dovessimo, invece, rispondere negativamente, dovremmo dedurne che gli obblighi imposti a Microsoft non sono serviti a mettere il mercato digitale al riparo dalla crescita di nuovi soggetti «troppo grandi». In caso di risposta affermativa, l’effetto del controllo Antitrust sembrerebbe paradossale. In caso di risposta negativa, inutile. È possibile che la risposta alla domanda sia negativa. È stata l’innovazione che ha portato il mercato a sviluppare un diverso uso delle tecnologie. E la stessa tecnologia del search engine potrà diventare obsoleta: spendiamo sempre più tempo a usare app, usiamo più smartphone che PC, arriviamo a un’informazione sempre più dai social network che dai motori di ricerca. Naturalmente i propositi dell’Antitrust sono i migliori possibili, ma le regole sulla concorrenza guardano al mercato in modo statico. Anche le imprese hanno una vita: crescono, deperiscono, muoiono, si consolidano. Chi è giovane oggi potrà diventare maturo domani, o potrà morire prematuramente. Ogni presunzione del regolatore di difendere i cittadini veicolando i destini futuri di un mercato sulla base di una fotografia del presente rischia un effetto boomerang. Specie in un mercato molto vivace come quello digitale che vale quasi il 7% del Pil europeo che non sembra stia lasciando insoddisfatti i consumatori.
Serena Sileoni da Corriere della sera - 29-04-2015