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I lavoratori delle imprese italiane e la formazione


Nell’ambito del convegno organizzato dall’ANES per illustrare i risultati di questa inchiesta, Giovanni Puglisi, rettore dell’Università IULM di Milano ha riconosciuto che, in Italia, il tema della formazione delle persone attive non è molto sentito nemmeno nel mondo universitario.
Egli ha ammesso che avviare un processo innovativo in merito alla formazione del lavoratore richiederebbe un diverso approccio del sistema universitario nei confronti del sistema produttivo.

L’Università avrebbe un meccanismo di reclutamento delle proprie professionalità obsoleto e legato ad aree disciplinari ingessate nella storia dell’Università stessa, che la rende impotente nel rispondere ai bisogni di un sistema produttivo in rapida evoluzione rispetto all’immobilismo del sistema universitario.
Un sistema dell’alta formazione, in grado di fornire qualità e livello di aggiornamento verso il sistema produttivo, avrebbe, a sua volta, bisogno di quel sistema e di quell’impresa al proprio interno, per rivitalizzare i meccanismi e i livelli di formazione. Attualmente, l’Università, salvo casi rari, non è stata in grado di attivare questo circolo virtuoso.

D 6. Quali sono gli strumenti della formazione ricevuta legata al lavoro?

La formazione legata al lavoro è avvenuta tramite …

Colloqui e incontri con persone più esperte

61,6%

Corsi organizzati dal datore di lavoro

60,8%

Lettura di libri e dispense

58,8%

Lettura di riviste specializzate

45,9%

Corsi di formazione pubblici gratuiti o quasi

44,8%

Corsi di formazione privati a pagamento

34,1%

Stage in altre imprese o uffici

24,4%

Internet

22,7%

La formazione che ha ricevuto il 51% del campione vede, quindi, la seguente articolazione, in ordine decrescente.

  1. Colloqui con persone esperte. Quindi, non una formazione formale, ma informale, all’insegna di un reticolo di relazioni interpersonali.
  2. Corsi organizzati dal datore di lavoro. Sono gli strumenti che, in genere, riscuotono maggior successo tra i lavoratori.
  3. Lettura di libri e dispense. Spesso riguarda la fase di acculturamento di carattere generale.
  4. Lettura di riviste specializzate. E’ uno strumento potente di formazione.
  5. Corsi pubblici gratuiti. Non hanno, generalmente, elevati standard qualitativi.
  6. Corsi privati a pagamento non imposti, ma scelti per aumentare la propria formazione o, specialmente al Sud, anche come area di parcheggio nell’attesa di trovare un posto retribuito.
  7. Stage presso altre imprese. Molto utili, anche se sottoutilizzati.
  8. Internet. Le sue potenzialità non sono state ancora del tutto sfruttate.

Il panorama della formazione organizzata nell’impresa per valorizzare le risorse umane è abbastanza deprimente anche perché, se togliamo il learning on the job (2), la percentuale del campione sottoposto a vere attività di formazione scende al 41%.
Io personalmente, durante la mia attività di dirigente e imprenditore ho avuto modo di constatare che il personale di imprese italiane assorbite da gruppi stranieri, in particolare Usa, dichiara che la più evidente differenza tra gestione italiana e gestione straniera sta nella maggiore importanza che questa seconda dà alla formazione.

D 7. Qual è il giudizio sulle riviste specializzate?

Le riviste specializzate nel proprio settore sono  …

Utili per tenersi aggiornati

89,1%

Utili per capire come cambia il settore

83,4%

Utili per conoscere le opinioni di esperti

76,0%

Utili per conoscere nuovi prodotti o soluzioni

75,8%

Interessanti

75,4%

Utili per conoscere innovazioni scientifiche, tecnologiche, organizzative

 

74,3%

Utili per sapere come cambiano leggi e norme italiane ed europee

 

71,5%

Utili per chi vuole arricchire le proprie conoscenze scolastiche

 

58,5%

Indispensabili perché non esistono altri strumenti di informazione specializzati

 

28,6%

Utili per trovare o cambiare più facilmente lavoro

25,4%

Affrontiamo il problema sulla base delle risposte ottenute anche con altre domande.

  1. Meno dell’1% del campione afferma di non conoscere le riviste specializzate. Questo dice che quando si parla di riviste tecnico professionali, tutti sanno di che cosa si tratta, quindi esse hanno una notorietà diffusa.
  2. Il 47% non le legge; è un dato negativo ma anche un dato che mostra un mercato potenziale di grande rilievo, d’altra parte, solo il 6,9% le ha abbandonate.
  3. Del 53% dei lettori, il 39% le legge regolarmente; il 61% sono i lettori saltuari, non abbonati che leggono le pubblicazioni che trovano  nell’impresa.
  4. I lettori delle testate specializzate, solo in un caso su due sono stati coinvolti in iniziative aziendali di formazione. Le testate specializzate sono quindi, per questo campione, uno strumento fondamentale per la formazione continua.

La ricerca condotta da Astra mostra, in sintesi, una serie di valutazioni.

  1. Un giudizio molto positivo sull’esperienza scolastica, anche se la positività è, in parte, oscurata da una valutazione prevalentemente negativa circa la funzione professionalizzante di tale esperienza.
  2. Un giudizio eccezionalmente positivo sull’importanza della formazione.
  3. Una sorta di denuncia dell’insufficiente investimento in formazione da parte delle imprese.
  4. Il ruolo fondamentale svolto dalle riviste specializzate a favore della formazione. Un ruolo, per certi versi, anche di supplenza anziché di integrazione. Da parte della popolazione che lavora c’è una forte spinta perché su esse si investa.

Il costo dell’ignoranza informatica

Una ricerca condotta, negli anni 2003 - 2005,  dall’AICA (Associazione Italiana per l’Informatica e il Calcolo Automatico), in collaborazione con la SDA – Bocconi, dal titolo Il costo dell’ignoranza nella società dell’informazione,ha stimato in 15,6 miliardi di euro il danno che l’Italia subisce ogni anno per la scarsa preparazione informatica dei suoi lavoratori.
Il tempo medio perso ogni settimana da ogni utente di PC non specialista  (sono circa 6 milioni in Italia) è stato quantificato in 171 minuti:

  1. 38 minuti per aiutare i colleghi in difficoltà,
  2. 22 per problemi di stampa,
  3. 22 in attesa di aiuto,
  4. 14 in manovre errate di accesso ai data base,
  5. 13 per tentativi impropri di accesso ad Internet,
  6. 12 per l’uso maldestro delle e-mail,
  7. 11 per l’uso maldestro dei programmi di elaborazione testi,
  8. 6 per problemi connessi ai virus.

La ricerca ha mostrato che la soluzione a questo grave problema dell’economia italiana non è tanto legato alla poca sensibilità delle imprese nei confronti dell’informatizzazione, ma alla loro poca sensibilità al problema della formazione informatica, vera leva per aumentare l’autonomia e la produttività dei lavoratori.
Si noti che l’Italia è al terzultimo posto nella graduatoria dei primi 15 paesi dell’UE per incidenza della formazione informatica di base sulla forza lavoro.
Gli addetti delle imprese che hanno avuto un minimo di formazione in materia non supera il 18% in Italia, contro il 28 % medio dei 15 paesi presi in considerazione (le star sono: Danimarca 55,6%, Finlandia 49,2% e Svezia 46,1%).

Occorre, peraltro, notare che una volta che un lavoratore abbia ricevuto una formazione informatica di base è sufficiente che segua una rivista di settore per mantenere e accrescere gradualmente la propria cultura. Inoltre i costi per una formazione di base, sufficiente per consentire al lavoratore di proseguire nell’acculturamento informatico, in modo autonomo,  sono modesti.

D’altra parte, la competitività di un’impresa passa obbligatoriamente attraverso l’innovazione, che, a sua volta, non può prescindere dall’utilizzo mirato e sistematico dell’informatica; pertanto, le imprese, specie se PMI, devono investire nella formazione informatica dei propri addetti e superare le difficoltà reali o virtuali.

La mia personale esperienza indica nei seguenti fattori le ragioni per cui le imprese non investono in formazione informatica:

  1. costi ritenuti troppo elevati,
  2. barriere culturali,
  3. incertezza sul ritorno degli investimenti,
  4. mancanza di personale da  avviare alla formazione.

Purtroppo questo atteggiamento, che come abbiamo visto investe tutto il fronte della formazione dei lavoratori italiani, sarà la ragione del decadimento e della scomparsa di quelle imprese che non adotteranno seri programmi di formazione.

Non occorre molta fantasia per comprendere quale potere comunicativo ha l’impresa che ha interiorizzato nel proprio dna la cultura informatica.

La facilità di trasmettere e ricevere e-mail, la semplicità nello scambio di documenti, fotografie o disegni, la “normalità” nello scambiarsi link e indirizzi web, l’esistenza di un sito web ben costruito e utilizzabile, trasmettono l’immagine di un’impresa viva, che sa vivere il proprio tempo.
Potrebbe sembrare poco credibile, ma le imprese con le quali le operazioni succitate avvengono con enormi difficoltà non sono poche e la sensazione che se ne ricava è dolorosamente negativa.

Eugenio Caruso


(2) Formazione acquisita lavorando.


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Tratto da Eugenio Caruso, Comunicazione d'impresa: quali strumenti? Tecniche Nuove, 2006

http://www.tecnichenuove.com


www.impresaoggi.com