Tutti si lagnano del destino che è l'unico a non ingannare nessuno
Seneca, Lettere morali a Lucilio
Il design è una componente cruciale del successo internazionale del made in Italy, al punto che è possibile utilizzare la metafora del petrolio a significare il suo valore per l’economia del Paese. Si tratta di una forma di “energia” che si nutre della storia, della cultura, del gusto, della bellezza che nei secoli hanno costruito l’immagine dell’Italia all’estero. Un’immagine che può contare su una forza di attrazione considerevole che le deriva dall’apprezzamento internazionale rispetto a uno stile di vita che continua a raccogliere successi a livello globale.
Peraltro la globalizzazione rappresenta una sfida che non sempre le imprese italiane, piccole, a volte piccolissime, sono state e sono in grado di sostenere. La dimensione diventa cioè un vulnus che impedisce alle aziende di competere in un nuovo sistema in cui si rendono necessarie la conoscenza delle lingue, un livello di capitalizzazione più importante, una capacità di gestione tale da consentire loro di operare in maniera efficace in un mercato di dimensioni globali. Risulta pertanto evidente che il modello industriale all’origine della grande industria del design, che si è sviluppata dal dopoguerra fino ai giorni nostri, non sarà quello che le consentirà di prosperare nei prossimi cinquant’anni: si impone cioè un cambio di paradigma in direzione della costituzione di aggregazioni industriali.
L’artigianalità, il saper fare che caratterizzano l’impresa italiana, che sovente raggiunge l’eccellenza in tal senso, diventa un elemento da giocare anche attraverso la valorizzazione del processo che porta al prodotto, e non quindi solo dell’esito del processo, trasformando quest’ultimo in esperienza da offrire al turista/consumatore garantendogli la possibilità di avere accesso alla fabbrica come spazio del making. Uno spazio cioè tale da favorire, nell’individuo, la consapevolezza della qualità dell’oggetto che è il prodotto di un’interpretazione e non semplicemente di un’esecuzione. È cioè il frutto non soltanto della manualità, del fare degli artigiani ma anche, e soprattutto, della loro cultura, del loro gusto, della loro storia che si traducono in un making carico di senso e unico nel suo genere.
Ma se l’artigianalità è un asset fondamentale diventa sempre più urgente affrontare la sfida che viene dalle nuove tecnologie che impongono una preparazione maggiore da parte di chi lavora nell’industria del design. Sempre più infatti si afferma la logica dell’internet of things, espressione che sta a significare l’innesto della dimensione tecnologica nella produzione, nella filiera, nonché nell’oggetto stesso. La formazione di alto livello diventa, dunque, fondamentale per garantire un’innovazione che si fa via via più complessa da realizzare, poiché maggiori sono le competenze richieste. Il design deve quindi fondarsi sul connubio tra una creatività che non dimentica la tradizione, ma che ha anche il coraggio di contaminarsi aprendosi alle suggestioni internazionali e allo sviluppo di un sapere non disgiunto dalle nuove tecnologie fondamentali, tra l’altro, anche per veicolarne efficacemente i prodotti attraverso l’e-commerce, ancora a uno stato embrionale in Italia per quanto riguardo il settore in questione.
Per raccontare il making in Italy, e non solo il made in Italy, è però indispensabile un racconto unitario del nostro Paese, un’opera corale che ne valorizzi gli elementi di forza e non ne enfatizzi invece soltanto i punti di debolezza. A tale narrazione possono e debbono partecipare il turismo alimentato da un’offerta intelligente e aggiornata, possibilmente 2.0, nonché l’azione congiunta di scuola, politica e istituzioni.
Editoriale da www.aspeninstitute.it - 13 maggio 2016
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