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I passi della grande crisi 2008 - 2009 - Parte III

Parcere subiectis et debellare superbos.

Virgilio - Eneide


L’articolo è, sostanzialmente,  il seguito di Come si è arrivati alla grande crisi del 2008 Parte I e di I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte II. Con riferimento ai succitati articoli, questo prosegue, per il secondo trimestre del 2009,  l’analisi delle performance economiche delle più importanti imprese del pianeta. Con particolare attenzione è analizzata la situazione italiana. Sono inoltre prese in considerazione tutte le più importanti iniziative delle organizzazioni internazionali e nazionali. In rosso sono evidenziati gli avvenimenti che sembrerebbero indicare qualche cenno di ripresa dalla crisi.

Il G 20 del 2 aprile 2009

"Agiremo insieme a livello globale per affrontare i problemi, faremo il necessario per far tornare a crescere l'occupazione, faremo ciò che serve per ripristinare la fiducia nel nostro sistema finanziario". E' soddisfatto Gordon Brown, presentando al termine dei lavori del G20 il documento finale. Un accordo raggiunto a fatica dai leader riuniti a Londra, un testo sezionato e cambiato più volte, per trovare una mediazione fra le spinte contrapposte di Stati Uniti (con l'appoggio inglese), e Francia e Germania (con sostegno italiano). I leader del G20 si sono impegnati a garantire 1.000 miliardi di dollari al Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e altre istituzioni internazionali, ha annunciato Brown. E' stato deciso di triplicare le risorse a disposizione del Fondo fino a 750 miliardi di dollari, ha precisato il premier britannico, di cui 500 miliardi in nuovi fondi e 250 miliardi per il cosiddetto 'Special drawing rights' (diritti speciali di prelievo, una sorta di valuta virtuale del Fmi che può essere scambiata con dollari, euro, yen e altre monete 'pesanti'). I paesi emergenti e quelli in via di sviluppo avranno "più voce" nelle istituzioni internazionali. I leader del G20 hanno deciso di immettere 5.000 miliardi di dollari nell'economia mondiale entro la fine del 2010, ha annunciato ancora Brown. Finisce il tempo del segreto bancario. Dal vertice esce l'impegno preciso a mettere fine ai paradisi fiscali. Pubblicata dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) due elenchi: nella black list Costa Rica, Malaysia, Filippine, Uruguay. Una "lista grigia" include invece 38 paesi tra cui Lussemburgo, Svizzera, Austria, Belgio, Singapore, Cile e isole Cayman, Liechtenstein Liechtenstein, Antille olandesi, Belgio e Principato di Monaco, paesi che, pur essendosi impegnati a rispettare le regole dell'Ocse non le hanno "in sostanza" applicate. I G20 hanno deciso che ci saranno sanzioni contro quei paesi che non forniscono le informazioni richieste, oltre all'irrigidimento dei vincoli amministrativi e il divieto per gli stati membri di depositare i loro fondi in questi paesi. Parole dure anche sui bonus e gli stipendi dei dirigenti. "Non ci saranno più bonus per chi provoca fallimenti", ha detto Brown, e le retribuzioni dovranno riflettere la performance, mentre i nuovi vertici delle istituzioni finanziarie dovranno venire assunti sulla base del merito. "Tutto ciò incoraggerà la responsabilità delle imprese a livello globale", ha aggiunto il premier britannico. Un nuovo G20, per fare il punto sui progressi ottenuti, si terrà nel 2009. Il vertice, ha spiegato Nicolas Sarkozy a margine della conferenza stampa, si terrà probabilmente a New York, collegato all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il presidente americano Barack Obama è soddisfatto. Lo definisce il summit della "svolta senza precedenti", plaude al rifiuto del pretezionismo e nonostante ammetta che "sapremo se abbiamo lavorato bene soltanto tra anni", si dice convinto che "le medicine usate siano quelle giuste". Parole che convincono Silvio Berlusconi pronto ad affidarsi al presidente Usa perché "lo tiri fuori dalla crisi": "Il virus si è propagato dagli Stati Uniti", ha detto il premier. "Ora spetta all'America rimboccarsi le maniche e aiutarci ad uscirne. L'importante, per risolvere i problemi, è restare tutti insieme". Anche il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy, critici fino a ieri per l'inconsistenza di certe soluzioni, ammettono che l'accordo raggiunto con gli altri leader, è un buon risultato. "Un compromesso storico",l'ha definito il cancelliere tedesca. "C'è stato un vero spirito di cameratismo - ha affermato la Merkel - e questa è una vittoria della cooperazione mondiale". Soddisfatto anche Nicolas Sarkozy che in merito alla pubblicazione della lista dei paradisi fiscali ha annunciato: "Il tempo del segreto bancario è ormai passato". L'esito positivo del summit permette al padrone di casa Gordon Brown di incassare una vittoria sul piano internazionale. Grazie alla sua mediazione, il primo ministro britannico è riuscito a mettere d'accordo i leader del G20. "Eravamo venti capi di governo - si è congraturato Obama con Brown - non era facile trovare una linea unica". "Invece l'accordo c'è stato", ha detto Brown. "Il nostro obiettivo erano i posti di lavoro, le case, le aziende e le famiglie che lavorano. Abbiamo pensato a loro e abbiamo raggiunto una strategia comune".

Società di rating sotto tiro

Agenzie di rating dagli altari alla polvere. Prima osannate e riverite, poi sulla graticola. Nella fitta agenda del G-20 di Londra ai primi posti c'è stata, come richiesto dall'Unione europea (l'amministrazione Obama condivide e rilancia, contando ancora sull'affidabilità della tripla A), «una coerente regolazione e supervisione» di società anche molto autorevoli, ma che hanno prodotto giudizi a volte troppo generosi. O, in alternativa, corretti in tempi tali da rendere vana la loro vera missione: offrire indicazioni mirate a tutelare gli interessi degli investitori.  Ma davvero le agenzie di rating - cioè Standard & Poor's, Moody's, Fitch - e la loro tanto auspicata riforma su scala internazionale restano tra i punti di riferimento obbligati per chi investe in titoli obbligazionari emessi da società quotate? Le cose potrebbero non stare esattamente così. In realtà è possibile mettere a fuoco le aspettative "implicite" della probabilità di fallimento della società emittente - e quindi capire quanto rischiamo acquistando un bond che sulla carta è stato promosso magari con il massimo dei "voti" - già a partire dalle quotazioni di mercato di strumenti derivati quali i Credit Default Swap (Cds) e da un modello matematico di formazione del prezzo.  Il clamoroso caso del fallimento della banca d'affari americana Lehman Brothers - colata a picco con 630 miliardi di dollari di debiti in una notte di metà settembre 2008 - ha dimostrato che le cosiddette "probabilità implicite" di default, se opportunamente valutate e comunicate - sarebbero state con mesi di anticipo l'unico indicatore effettivo della rischiosità del titolo in contrapposizione all'inefficienza degli indicatori tradizionali di rischio, i rating emessi dalle agenzie internazionali. Eppure tutto questo non è accaduto. Negli anni di crescita del mercato delle obbligazioni corporate - che hanno ampliato le opportunità per i prestatori di fondi, sia famiglie che investitori istituzionali, in termini di combinazioni rischio-rendimento - il rischio di fallimento della controparte (credit risk) è stato infatti associato, in modo meccanico e acritico (anche da investitori istituzionali come banche e fondi), alla valutazione del rating espresso dalle maggiori agenzie internazionali, con i titoli investment grade (quelli con il rating più elevato) accomunati con troppa facilità ai titoli di stato sul piano della rischiosità.  Il rating, in quanto indicatore atto a rappresentare e "monitorare" il credit risk associato a una obbligazione, è risultato fallimentare soprattutto (ma non solo) nel caso della banca Lehman Brothers, anche se poi si è discusso sul perché il governo Bush abbia salvato istituti di importanza sistemica come Citigroup, Bank of America e Aig, ma non Lehman. In ogni caso, le maggiori agenzie di rating avevano portato i titoli della banca guidata da Dick Fuld a CCC (grado di indicazione di un "quasi" fallimento) soltanto il 15 settembre, proprio il giorno dell'annuncio del ricorso al Chapter 11, la procedura di fallimento pilotato previsto dalla legge fallimentare statunitense.  Esaminando più a fondo la questione, gli operatori del settore avrebbero però dovuto sapere bene che il rating, per la sua natura di giudizio sintetico - troppo dipendente dai bilanci, che offrono dati statici e talvolta esposti a sottili equilibrismi - non permette di distinguere ed evidenziare le due componenti fondamentali del credit risk alle quali un investitore corporate risulta esposto: la probabilità di default (default probability) e il tasso di recupero atteso (expected recovery rate) della società emittente. Il tasso di recupero atteso (espresso in percentuale del valore nozionale dell'obbligazione) indica quanto ci si aspetta di recuperare in caso di evento di default ed è dunque un'informazione cruciale per valutare a priori quanto si è disposti a perdere sotto tale scenario. Nel caso di Lehman Brothers, gli indicatori "impliciti" della default probability e del recovery rate, desumibili dalle quotazioni di alcuni strumenti di mercato e dall'adozione di modelli matematici di pricing, sono stati molto più efficienti dei rating. Gli strumenti di mercato in questione sono, come si diceva, i Credit defaul swap e le opzioni put "out-of-money" scritte sul titolo azionario. I Cds prevalgono in quanto a liquidità rispetto alle opzioni put out-of-money: sono contratti interbancari, non scambiati su borse regolamentate (sono anche detti Otc, over-the-counter), dove una banca (protection seller) assicura un titolo obbligazionario, denominato Reference Obligation, contro il rischio di fallimento dell'emittente, percependo in cambio un premio dall'acquirente (protection buyer).  Il Cds permette dunque di isolare e trasferire il rischio di credito, associato ad un determinato emittente, dal detentore dell'obbligazione al venditore del Cds, generalmente una banca di investimento "attrezzata" per gestire il rischio stesso. Inoltre, la natura di "swap" del Cds, cioè di scambio di flussi di cassa tra le controparti, rende la sua valutazione e quindi il suo prezzo di mercato parzialmente immune dalle variazioni dei tassi di interesse.

Il modello low cost - high value.

Il 70 % degli italiani prevede di ridurre le spese nel 2009. Era il 21% nel 2001, Il 29% nel 2002 e il 42% nel 2004. Un trend crescente che ora, in periodo di crisi internazionale, impone alle imprese di ripensare i propri modelli di business. Negli ultimi anni si è visto l’affermarsi di due atteggiamenti: da una parte la ricerca di un’elevata qualità (trascurando i costi finali) e, dall’altra, lo sviluppo di prodotti “primo prezzo”, che facevano della competitività economica la loro arma più convincente. Questa seconda tendenza, focalizzata sullo sviluppo di merci economiche, è quella che oggi dimostra maggiore vitalità, anche perché un prezzo basso non è più sinonimo di qualità scadente. Chi acquista merci low cost infatti non appartiene necessariamente alle fasce meno abbienti della popolazione (il 15-20% vicino alla soglia di povertà), ma è invece, sempre più spesso, un consumatore diverso, guidato nella propria scelta da componenti etiche, ideologiche o personali. La componente soggettiva del cliente è infatti fondamentale. Quando si parla di “basso costo – alto valore” non ci si riferisce infatti necessariamente alla qualità oggettiva dell’oggetto, ma alla sua qualità percepita. Il prodotto economico diventa dunque appetibile non solo in termini di “value for money” ma anche di “value for me”: viene giudicato dunque in base al trasporto emotivo che genera nel consumatore. Di questo enorme bacino di mercato si sono accorte da tempo le grandi catene straniere, mentre l’industria italiana sembra essersene disinteressata. Forse condizionata da difficoltà di accesso al credito o da scelte errate di governance, l’imprenditoria italiana non è riuscita a generare brand internazionali low cost nei settori che da sempre hanno caratterizzato il Paese (alimentari, abbigliamento e arredamento, su tutti). E proprio in questi comparti (almeno negli ultimi due) si sono invece affermati marchi che scontavano un “made in” sfavorevole (si pensi a celeberrimi brand svedesi o spagnoli). Questi soggetti hanno fatto dell’abbattimento dei costi e della collaborazione con il consumatore il proprio tratto distintivo e sono stati capaci di non svalutare i propri marchi grazie alla qualità oggettiva dei prodotti (la durata di un oggetto è tornata ad essere criterio determinante di scelta) e a un’efficace comunicazione (collocando i propri punti vendita nei centri cittadini o puntando con costanza su biologico ed eco-sostenibilità). Il concetto di “low cost – high value” non implica soltanto una riduzione ferrea dei costi di produzione, logistica e distribuzione, che sono indispensabili per qualunque impresa. Sviluppare la filosofia “basso costo – alto valore” determina un vero e proprio modello di business, non applicabile ad ogni settore. Le imprese devono avere nel proprio Dna la vocazione a confrontarsi con questa filosofia e a volte questo non è nemmeno sufficiente. Sarebbe un peccato però, da parte degli operatori economici, non confrontarsi con questo settore sempre più importante e trascurare un trend emergente di tale portata. I consumatori oggi spendono meno e sono meno soddisfatti e, superata la crisi internazionale, le imprese si troveranno di fronte una clientela profondamente cambiata.

L'irritazione contro i manager

Dopo i dirigenti della Caterpillar Francia di Grenoble, costretti a passare la notte in azienda, dormendo sulla moquette, perchè sequestrati dagli operai che contestavano un piano di licenziamenti di 733 persone, il sequestro dei dirigenti di una filiale Fiat in Belgio e il breve sequestro di Francois-Henri Pinault, patron del gruppo PPR, leader del lusso, e la villa di Fred Goodwin presa d'assalto da piccoli risparmiatori, esplode, il 3 aprile 2009, anche la rabbia degli azionisti proprio all'assemblea di Royal Bank of Scotland l'istituto simbolo del crollo finanziario della City. Il piano compensi presentato dal consiglio d'amministrazione è stato bocciato ed è stato chiesto l'arresto dei membri del precedente board. Di quello, per intenderci che aveva espresso Fred Goodwin alla guida dell'istituto. Una richiesta, l'arresto, giunta da un'azionista ma salutata da un lungo applauso delll'assemblea. Gesto estemporaneo senza alcuna base giuridica ma sintomatico per capire gli umori di shareholders, piccoli e grandi, che hanno visto il titolo in loro possesso precipitare da 6 sterline a una piccola frazione di un solo pound. Rabbia che li ha portati, poco dopo, a bocciare il piano compensi al'interno del quale c'è anche la pensione da 700mila sterline di sir Fred. Il "no" dell'assemblea non è vincolante, ha solo valenza morale. Per il "no", infatti, hanno votato anche i rappresentanti del Tesoro che dopo gli sconquassi della gestione Goodwin è intervenuto salvando la banca e acquisendo il 70% del capitale. Nel corso dell'assemblea il presidente Philip Hampton ha chiesto di mettere fine "alle pubbliche quotidiane umiliazioni" a cui Rbs è sottoposta e ha invocato il rilancio della banca. Guardare avanti senza scordarsi il passato che per Hampton è stato segnato da un gravissimo errore di valutazione, origine vera del crollo finanziario di Rbs: la battaglia per l'acquisizione di Abn Amro. Due manager dell'azienda di accessori per auto Molex a Villemur-sur-Tarn, nel sud ovest della Francia, sono sequestrati il 20 aprile. I manager sono stati sequestrati dagli operai che contestano un piano di licenziamenti annunciato dalla direzione. David Kellermann, ex Cfo di Freddie Mac, che aveva dovuto ingaggiare una squadra di guardie del corpo per difendere la sua villa in Virginia dai debitori inferociti che, quotidianamente, sbarcavano dai pullman che offrono il "tour" dei bancarottieri e che lanciavano sassi alle finestre per chiedergli conto dei bonus e delle gratifiche pagate a lui dalla società, 800 mila dollari nel 2009, dei 210 milioni complessivamente distribuiti con i soldi dei contribuenti cacciati da case pignorate per morosità, e che lui, avrebbero dovuto difendere, si è suicidato (23 aprile 2009).

Le proposte del banchiere dei poveri

Il "banchiere dei poveri" e Premio Nobel per la Pace 2006 Muhammad Yunus ha illustrato anche in Italia il suo progetto di microcredito senza garanzie: dare prestiti ai più poveri, soprattutto donne, che non possono avere credito da una banca tradizionale e permettere loro di avviare imprese ed evitare di cadere nelle mani degli usurai. Yunus sostiene che il sistema finanziario mondiale vada smontato e rifatto "mattone su mattone" e che non valga più la pena di "aggiustare la macchina". "Non è solo la storia di come la rivoluzione del microcredito si sia espansa, aiutando i poveri di 57 paesi ad assumersi la responsabilità e il controllo della propria vita. Quella che qui presentiamo è una visione del mondo (...) Il microcredito trova ulteriori conferme con l'attuale crisi e il suo successo ci deve convincere a lavorare per cambiare le cose. Quello che cerchiamo di fare è di risvegliare la voglia di fare e la coscienza di essere persone. E' la crisi la nostra occasione, non lasciamola scappare". "Provavo sempre una sorta di ebbrezza quando spiegavo ai miei studenti che le teorie economiche erano in grado di fornire risposte a problemi economici di ogni tipo. Ero rapito dalla bellezza e dall'eleganza di quelle teorie. Poi, tutt'ad un tratto, cominciavo ad avvertire un senso di vuoto. A cosa servivano tutte quelle belle teorie se la gente moriva di fame sotto i portici e lungo i marciapiedi? (...) Dov'era la teoria economica che rispecchiava la loro vita reale?" Così, nel 1976, vede la luce il primo progetto di microcredito e in Bangladesh viene fondata la Grameen Bank. Grameen è una banca rurale (grameen significa contadino) che concede prestiti e sostegno organizzativo ai più poveri, altrimenti esclusi dal sistema di credito tradizionale. Si fonda su regole ferree, che hanno consentito ai suoi promotori di superare ogni volta difficoltà apparentemente insormontabili. Anzitutto la richiesta ai poveri di radunarsi in gruppetti di cinque persone al momento di ottenere un prestito, assumendo ciascuno la responsabilità anche per gli altri, per rafforzare l'impegno a rimborsare la somma. In secondo luogo, il meccanismo di rimborso: anziché attendere tutto il rimborso dopo una lunga scadenza, Grameen chiede ai suoi clienti di restituire il denaro in piccolissime rate settimanali. "Il denaro - spiega Yunus - è una sostanza adesiva, si attacca al suo possessore. Se il rimborso deve avvenire dopo sei mesi o un anno dalla concessione del prestito, anche se il debitore avrà in tasca il denaro proverà inevitabilmente un certo dispiacere a staccarsene. Il segreto consiste nelle brevi scadenze". (vedi www.grameenfoundation.org) Ad oggi la Grameen Bank ha concesso prestiti a più di 2 milioni di persone, il 94% delle quali donne, ha attualmente 1.048 filiali, è presente in 35.000 villaggi e in diverse città nel mondo. Il microcredito è praticato in 57 nazioni, fra cui anche gli Stati Uniti, dove ne usufruiscono i poveri dei ghetti di Chicago, la Francia, la Spagna, l'Olanda; la percentuale di restituzione dei prestiti è del 98%. Ed ora la banca del Bangladesh è diventata un modello anche per la Banca Mondiale. Muhammad Yunus, che ha presentato il suo libro "Un mondo senza povertà", edito da Feltrinelli e ha partecipato alla trasmissione "Che tempo che fa" su Rai 3, ha anche annunciato che sta progettando l'apertura di una filiale della Grameen Bank anche in Italia. "Ci stiamo lavorando insieme all'Università di Bologna e all'Unicredit - ha spiegato -. Non sarà una banca vera e propria, con tanto di licenza. Avrà piuttosto la configurazione giuridica di una ONG. La sua finalità sarà comunque quella di erogare credito a chi non può accedervi attraverso i canali del sistema bancario tradizionale. E sarà credito che andrà a finanziare l'avvio di piccole attività economiche indipendenti, secondo lo schema del microcredito". E' l'idea dell'incontro tra ricerca tecnologica e responsabilità sociale un altro dei cardini del pensiero di Yunus, che considera la globalizzazione una grande opportunità. "Il punto - spiega l'economista - è quale tipo di problemi chiediamo alla tecnologia di risolvere. Fino ad oggi le grandi imprese hanno utilizzato i loro centri di ricerca per scoperte al servizio esclusivo del profitto. Ci sono esperienze, invece, che vogliono dimostrare che un altro approccio è possibile". Yunus ha creato ad esempio in Bangladesh la Grameen Danone, che vende a prezzi accessibili anche ai poveri un particolare yogurt ad alta capacità nutritiva e sta lavorando insieme alla Volskwagen che - ha spiegato il Premio Nobel - "ci ha espresso la disponibilità a lavorare su una vettura costruita su misura dei contadini dei villaggi del Bangladesh. Dovrà essere, dunque, un'auto a basso costo, semplice, ma anche in grado di affrontare strade dissestate. Dovrà poter trasportare indifferentemente persone o merci. Quanto al motore ho chiesto espressamente che sia il più avanzato possibile in termini ecologici, perché lo sviluppo e la tutela dell'ambiente devono poter marciare insieme. Riguardo al motore - però - abbiamo avanzato ai progettisti anche un'altra richiesta: dovrà essere multiscopo. Oltre che per far marciare l'auto, lo si dovrà poter utilizzare per l'irrigazione dei campi o come generatore per l'elettricità. E dovrà essere estraibile, in modo che quando in Bangladesh abbiamo le inondazioni quello diventerà il motore per la barca". "L'Europa - sostiene Yunus - può svolgere un ruolo davvero strategico per utilizzare la globalizzazione e la tecnologia d'informazione e ottenere un risultato socialmente auspicabile" e aggiunge una serie di punti che potrebbero caratterizzare questo percorso virtuoso, dove il nostro continente dovrebbe recitare il ruolo di protagonista: 1 - L'Europa può creare una struttura governativa per la globalizzazione, sotto forma di una Commissione Europea sulla Globalizzazione. La commissione effettuerà la vigilanza sulle manipolazioni del mercato da parte di imprese e/o persone assetate di profitti rapidi, e speculatori. Preparerà delle direttive per società che commerciano con paesi extraeuropei, e società extraeuropee che commerciano con l'Europa, in particolar modo imprese socialmente sensibili sia in Europa che nei paesi del terzo mondo. Questo creerebbe un ambiente di sostegno per tutti i prodotti fatti da mani umane in qualsiasi parte del mondo. 2 - Con la creazione di questa commissione l'Europa potrà prendere l'iniziativa di persuadere il mondo a creare una struttura globale di vigilanza sulla globalizzazione - per garantire che la globalizzazione funzioni per le persone e le economie povere. 3 - L'Europa può estendere la sua politica e il suo supporto finanziario all'obiettivo stabilito al Summit sul Microcredito: di raggiungere i cento milioni di famiglie più povere attraverso il microcredito - e preferibilmente attraverso le donne in queste famiglie. Per arrivare a quest'obiettivo, l'Europa potrebbe creare un Fondo per il microcredito dando supporto ai fondi di microcredito nei paesi del Terzo mondo. (La creazione di fondi di microcredito locali, sul modello del PKSF in Bangladesh, è il modo migliore per garantire il rapido diffondersi di programmi di microcredito mirati e sostenibili in qualsiasi paese). 4 - L'Europa può creare un "Centro Europeo di Information Technology per combattere la povertà globale" - per promuovere, adattare, creare Information Technology per i poveri di tutto il mondo. Questo centro può avere sedi con iniziative e finanziamenti locali, in tutto il mondo, e può costruire una rete di persone, aziende, organizzazioni, ONG, governi che si scambino esperienze, e promuovere, creare, applicare, l'Information Technology per il beneficio dei poveri. 5 - L'Europa può influenzare i paesi del Terzo mondo per l'affrancamento delle telecomunicazioni dal controllo governativo, per permettere al settore privato di espandere la teconologia per raggiungere tutte le persone, in particolar modo i poveri, molto rapidamente. "Stiamo entrando in una fase molto eccitante della storia umana - conclude Yunus - Mentre questo accade, dobbiamo essere certi di effettuare i preparativi adeguati per creare una società di cui essere fieri. Dobbiamo creare una società che garantisca la dignità umana a ogni persona su questo pianeta, e in cui nessuno, mai più, soffra di povertà".

Italia

Rapporto Censis (4 aprile 2009)
Una crisi che si presenta «a mosaico», con alcuni settori molto più danneggiati di altri. Ma è proprio da alcuni settori specifici che l'economia italiana sta iniziando a dare segnali di ripresa. Questa la conclusione del Censis, che ha pubblicato il suo "Diario della crisi", un rapporto speciale che indaga i vari aspetti della crisi per cercare di far luce sulle sue complessità. «Alcuni player ripartono - si legge nel rapporto - inaspettatamente gli enti locali assumono un protagonismo inedito nella fase di difficile congiuntura, la finanza è ancora in fase di assestamento, e il "corpaccione" sociale sembra diviso tra reattivi e attendisti, con la voglia di reagire di una minoranza che si misura con il bisogno di rassicurazione della maggioranza». L'aumento della disoccupazione, già a partire dalla fine del 2008, ha stimolato la ricerca di un nuovo lavoro. Proprio la crisi, infatti, avrebbe messo in moto una ricerca più attiva: sarebbero «circa 100 mila le persone che prima erano genericamente disponibili a lavorare senza però far nulla per cercare lavoro, e che invece, a seguito della crisi, nell'ultimo trimestre dell'anno si sono messe attivamente in cerca di occupazione, alla ricerca di quel 5% di aziende che per il 2009 prevedono comunque di fare assunzioni». E nel Nord Est gli imprenditori intenzionati ad assumere sono aumentati del 6%. Le aziende salvate dalla versatilità.«Dopo la logica della nicchia, quello che premia è la versatilità - dice il Censis - Chi rimane "rannicchiato" aspettando che la crisi passi rischia di ritrovarsi poi spiazzato». Gli imprenditori passano da un segmento alto a uno più basso, cambiano settore, si interrogano sulle nuove opportunità, utilizzano la Cassa Integrazione anche come strumento di riassetto. A brillare sono soprattutto le aziende artigiane, che hanno dato prova di grande vivacità. Questo accade soprattutto in Toscana e nelle Marche dove, rispetto al periodo gennaio-febbraio 2009, le imprese artigiane hanno aumentato gli investimenti rispettivamente del 28% e del 30%. Vino ed energia i settori più reattivi. Hanno saputo esprimere quella versatilità utile a superare la crisi in particolare due settori: quello della produzione vinicola e dell'energia. Nel primo caso, secondo il Censis, soffre «chi ha puntato solo sui mercati anglosassoni e sulle fasce alte di prodotto, le cosiddette etichette premium, mentre si mostra più ottimista chi ha saputo reagire e riposizionarsi rapidamente su nuovi mercati (magari l'India, dove il consumo di vino cresce del 20% l'anno) o ha puntato di più sul consumo casalingo.». Per quanto riguarda l'energia, nel 2008 il settore ha visto un aumento del 9,5% delle nuove imprese, soprattutto grazie a un buon uso degli incentivi statali. E le nuove imprese, in generale, stanno aumentando nelle zone di Prato e della Brianza. L'exploit delgi enti locali. Conoscono bene il territorio e le sue complessità e sanno come affrontare le difficoltà caso per caso. Sono gli enti locali, per il Censis i veri protagonisti di questo momento, grazie al loro atteggiamento pragmatico. La finanza ancora molto prudente. I grandi investitori preferiscono mantenere liquidità, le banche sono prudenti del concedere erogazioni di denaro, ma non gli istituti più piccoli, anche in questo caso agevolati da una conoscenza più diretta dei loro interlocutori (in particolare le BCC e le CR). E, a livello di investimenti privati, «nell'ultimo periodo il 50% degli italiani al momento di scegliere un investimento mette al primo posto la sicurezza, mentre ormai solo l'8% ricerca un alto rendimento a breve termine (prima della crisi coloro che erano pronti a rischiare di più erano il 20%)». Preoccupazioni per il terziario. «Gli imprenditori del settore dei servizi sono stati molto abili nell'inventare un mercato (dalle consulenze di global provider ai servizi innovativi, dal brokeraggio ai servizi alla persona, dalla piccola manutenzione alla gestion delle mense), ma non sono stati altrettanto capaci di farlo crescere consolidare, specializzandosi sulle tipologie di servizi e diversificando la clientela»: per questo, secondo il Censis, mentre agricoltura e industria sono già "allenati" nel fronteggiare le crisi, il terziario non ha mai dovuto subire ristrutturazioni e per questo potrebbe soffrire la crisi più degli altri settori.
Spiragli di fiducia tra gli imprenditori del Nord-Est (5 aprile).
Si va attenuando il pessimismo delle imprese e migliorano le valutazioni di prospettiva sul proprio contesto operativo, dopo il brusco scivolone della fine del 2008. È questo, in estrema sintesi, il quadro che emerge dall'ultima indagine trimestrale Banca d'Italia-Il Sole 24 Ore sulle aspettative di inflazione e crescita. Diminuisce, rispetto a tre mesi fa, anche il numero delle imprese che lamentano un peggioramento nelle condizioni di accesso al credito. Intanto, nelle regioni del Nord-Est tornano a crescere gli ordinativi, come ha messo in evidenza uno studio della Fondazione, secondo il quale in febbraio gli indicatori sono ancora negativi ma la tendenza si è invertita. Il deterioramento che rallenta, per stare sul termine usato da Mario Draghi, trova puntuale riscontro, e forse qualcosa di più, a Nordest. Non è finita la crisi, non è cessato l'allarme, ma probabilmente il picco critico è stato superato. La conferma arriva dai risultati dell'opinion panel di fine febbraio che la Fondazione Nordest ha presentato, il 5 aprile 2009, a Schio in uno dei cinquanta appuntamenti del Festival delle città d'impresa. Se a novembre il 50,5% degli imprenditori interpellati prevedeva una produzione in diminuzione, ora si è scesi al 40%. Il dato è ancora negativo ma chi vede una produzione stazionaria è salito dal 40,7 al 47,2 e anche gli ottimisti, che vedono la loro azienda in crescita, passano dall'8,8 al 12,8%. Solo le previsioni relative all'occupazione indicano una sostanziale stabilità. Per le vendite all'estero aumentano di 6 punti percentuali gli imprenditori che vedono una situazione ferma e si pareggiano, o quasi, i conti fra ottimisti e pessimisti. Ma i due dati chiave sembrano essere quelli relativi agli ordini e all'utilizzo degli impianti. Chi prevede di rallentare ulteriormente l'uso della fabbrica passa dal 50,1 al 40,6%, sale l'indicatore di stabilità dal 42,7 al 48,2 ma sale anche dal 7,2 all'11,2 la percentuale di chi pensa ad una maggiore utilizzazione degli impianti nei prossimi tre mesi. «Potrebbe anche essere un segnale fuorviante - commenta Daniele Marini, direttore della Fondazione Nordest - una sorta di rimbalzo tecnico che registra la necessità delle imprese di riprendere un minimo di produzione dopo l'esaurimento delle scorte. Ma basta scorrere le previsioni degli ordini per capire che non è così, che il movimento che si intravede fra le cifre è reale». E in effetti gli imprenditori che annunciano ordini in diminuzione scendono dal 56,6 al 42,9%, sale dal 33,1 al 43 chi denuncia una sostanziale stabilità ma le aziende con ordini in crescita passano dal 10,3 al 14,1 per cento. Previsioni a tre mesi che certamente non riportano in positivo gli indicatori, ma sui grafici evidenziano una promettente curva che riprende a salire. Sale rispetto ad una fotografia scattata a febbraio che indica nelle imprese una situazione negativa nel 56,1% dei casi per la produzione, nel 67,8 per gli ordini, nel 40,2 per l'occupazione, nel 56,4 per le vendite all'estero, nel 56,6 nell'utilizzo degli impianti, nel 39,1 nelle giacenze di prodotti finiti. Marini predica prudenza ma ammette che forse c'è stata una percezione della crisi superiore rispetto alla realtà. «Anche il forte ricorso alla cassa integrazione - dice - non sempre va ricondotto direttamente alla pesantezza del momento. Alcune aziende vi hanno fatto ricorso per non perdere il proprio capitale umano, altre perchè stanno approfittando della situazione per riorganizzarsi e ristrutturare la produzione, altre ancora hanno attivato parallelamente corsi di formazione e riqualificazione». Ma i segnali non finiscono qui. La Camera di commercio di Treviso, attraverso il suo presidente Federico Tessari, parla di fondi messi a disposizione delle imprese e rimasti inutilizzati. Nel caso specifico su una leva resa disponibile per 60 milioni di euro ci sono state richieste per appena cinque. «Le imprese si stanno muovendo e lo stanno facendo nel possibile con mezzi propri - spiega Marini - e gli imprenditori, che stanno utilizzando questo periodo fiacco per andare a conquistare nuovi mercati, hanno moltiplicato le missioni all'estero. «Il Nordest - conclude - sta sfruttando a pieno le sue risorse principali, la flessibilità e l'internazionalizzazione, per anticipare il più possibile la ripresa. Ed è sicuramente favorito in questo dal fatto di non avere una monocultura industriale ma di poter contare invece su una pluralità di settori che mantiene comunque vivace la dinamica economica».
Bollettino semestrale di Bankitalia (11 aprile).
"Si intravedono alcuni segnali di allentamento della forza della recessione". Gli economisti di Banca d'Italia fanno professione di prudente ottimismo, segnalando nel Bollettino semestrale che nel mezzo di una recessione durissima qualche primo "dato preliminare", specie negli Usa, "lascia sperare in rallentamento della caduta produttiva particolare con riferimento al mercato immobiliare e ai consumi". Tra gli eventi positivi via Nazionale elenca le risposte di governi e banche centrali specie le decisioni prese dai capi di Stato al G20 di Londra: il rafforzamento della dotazione del Fondo Monetario Internazionale e i 250 miliardi di dollari per sostenere il commercio internazionale. Il Bollettino, in attesa di verificare gli effetti sull'economia reale dei vari pacchetti di stimolo approvati nel mondo, stima che l'aumento dei deficit pubblici sarà nell'ordine del 4% del Pil prodotto dai vari paesi coinvolti. Anche le banche centrali hanno contribuito a stabilizzare i mercati anche con azioni "non convenzionali" per assicurare la liquidità. I dati 2008 e d'inizio anno raccontano ancora la parte più nera della crisi e anche il primo trimestre '09 dovrebbe chiudersi con il segno negativo (sarebbe la quarta volta consecutiva: dodici mesi di recessione conclamata). Il calo dell'inflazione (che scenderà fino all'estate) e dei tassi di interesse non sembrano sufficienti a far riprendere i consumi. "Sono peggiorati i giudizi sul quadro economico e in particolare sull'andamento dell'occupazione" da parte delle famiglie, rileva il Bollettino. D'altronde la recessione è particolarmente severa e vicina ai livelli degli anni Sessanta con un calo della produzione del 5% nel primo bimestre dell'anno. Gli analisti intervistati a metà marzo da Consensus forecasts si attendono per l'Italia una contrazione media del pil del 2,8% nel 2009 (con rischi al ribasso) e una crescita appena positiva ( 0,3%) nel 2010. Il bollettino ricorda anche le previsioni dell'Ocse di un -4,3% del pil quest'anno e - 0,4% nel 2010. Peraltro Banca d'Italia ricorda che nelle precedenti fasi recessive del 1974-75 e del 1992-93 le esportazioni avevano rapidamente riavviato l'attività della produzione industriale, favorite, rispettivamente dalla pronta ripresa del commercio internazionale e dalla svalutazione del cambio mentre ora "la natura globale dell'attuale recessione rende incerti i tempi del ritorno su un sentiero di crescita che secondo le istituzioni internazionali e i previsori privati potrebbe avviarsi nel prossimo anno". Fra i comparti industriali tuttavia, un effetto immediato di parziale ripresa arriva nel settore auto dove gli incentivi varati dal governo hanno avuto un aumento delle immatricolazioni nel primo mese di operatività e una crescita degli ordini ai concessionari. Ancora a tinte fosche il fronte finanziario e bancario: la buona notizia è che nei primi mesi del 2009 è tornato alla normalità il mercato interbancario, ma in Italia diminuiscono sia la raccolta dai correntisti che i prestiti alla clientela. In particolare spicca una riduzione del 4,9% degli impieghi alle piccole e medie imprese: pesa sia la maggiore prudenza degli istituti che la minor domanda da parte dei privati (famiglie e società). La crisi ha fatto ridurre di un terzo gli utili complessivi del sistema bancario nel 2008 e peggiorato la qualità degli attivi. Tuttavia un effetto positivo potrebbe arrivare dai Tremonti-Bond. "In prospettiva l'offerta di credito potrà beneficiare degli interventi volti alla ricapitalizzazione delle banche italiane resi operativi dal governo". Altro fattore positivo sono il taglio dei dividendi e le azioni di capital management che hanno rafforzato il patrimonio delle banche. Sui conti pubblici Bankitalia conferma che i due decreti anti-crisi non hanno portato differenze di saldo: vale a dire che i 7,5 miliardi di euro sono stati reperiti spostandoli da altri capitoli del bilancio. Il deficit è peggiorato ugualmente perché: "Nei primi tre mesi dell'anno le entrate tributarie di cassa sono diminuite del 5,4% rispetto allo stesso periodo del 2008" causa crisi e sgravi su Ici e Irap. Di conseguenza la spesa corrente è tornata sopra il 40% del Pil e sono cresciuti fabbisogno e debito. Il rapporto tra quest'ultimo e il prodotto interno lordo è tornato ai livelli del 2005: 105,8%.

A marzo il gruppo Fiat Group Automobiles registra un aumento delle immatricolazioni del 14,7% a 131.315 unità. Anche la quota di mercato in Europa (paesi Ue più Efta) avanza al 9,2% dal 7,45 di un anno fa. Il trend di crescita del gruppo Fiat evidenziato dai dati sulle immatricolazioni europee di marzo «coinvolge tutti i marchi». Lo fa notare il Lingotto, che mette in luce «gli ottimi risultati in Germania», dove «il boom di vendite (+212,8%) ha permesso al gruppo di raggiungere una quota del 7,6% (in crescita di ben 4,2 punti percentuali rispetto a marzo 2008), diventando il principale costruttore estero presente nel mercato tedesco e il terzo nella classifica generale». In Germania, inoltre, la Panda conquista il primo posto nelle vendite del suo segmento. Soddisfazione anche per i numeri provenienti dalla Francia, «dove Fiat group automobiles aumenta i volumi del 25,1%, a un ritmo tre volte superiore a quello del mercato, accrescendo la propria penetrazione al 4,5% dal 3,9%». Fiat sottolinea che «continua il successo dei modelli di punta del brand»: Panda e 500 restano stabili al primo e secondo posto nella classifica delle auto più vendute del segmento a (insieme detengono una quota pari al 30%), mentre la grande punto è tra le cinque preferite del segmento b. Marzo positivo anche per il marchio Alfa Romeo, di cui spiccano le vendite in Germania (+257,3%), Francia (+85,4%) e anche Regno Unito (+8,2% a fronte di un mercato in calo di oltre il 30%). Per Lancia +29,5% in Francia e +62,2% in Germania. Giova notare che il buon andamento del gruppo Fiat contrasta con i dati dell'Ue: le vendite di auto in Europa nel primo trimestre dell'anno sono scese, infatti, del 17,2%, con immatricolazioni in calo a marzo per l'undicesimo mese consecutivo (-9%). Disco verde dei sindacati e cambio di tavolo per Sergio Marchionne i cui interlocutori, dislocati questa volta tra Washington e New York, da oggi sono le banche. Dopo la firma dei sindacati canadesi della Caw per settimane fermi su una linea di intransigenza, ieri anche con i loro colleghi americani della Uaw è stato raggiunto un accordo. Ora la strada verso l'intesa con Chrysler ha un ostacolo in meno ma non è ancora in discesa (27 aprile 2009). L'alleanza tra Fiat e Chrysler è ormai a un passo dalla firma. Dopo il sì del sindacato americano al taglio del costo del lavoro, è arrivata una prima intesa con le quattro principali banche creditrici. JP Morgan, Citigroup, Goldman Sachs e Morgan Stanley avrebbero accettato di svalutare i propri crediti, con un taglio drastico da 6,9 miliardi di dollari (a tanto ammontano complessivamente) a circa 2 miliardi, in cambio di una partecipazione azionaria (28 aprile 2009). L'accordo è stato raggiunto. Fiat e Chrysler hanno trovato l'intesa a lungo inseguita negli ultimi mesi, anche se Chrysler dovrà passare attraverso la bancarotta breve. Il presidente Usa Barack Obama, il 30 aprile 2009, alle 18 ora italiana ha annunciato la firma dell'accordo tra le due case automoblistiche. «Sono lieto di annunciare che Chrysler e Fiat hanno raggiunto un accordo di partnership» ha detto Obama. «Con questa alleanza Chrysler avrà forti chance di successo per un brillante futuro.Oggi sono stati fatti i passi necessari per ridare a Chrysler una nuova vita: Fiat è l'unica possibilità di salvezz. Fiat ha già trasferito la nuova tecnologia a Chryler». Il presidente Usa ha anche invitato i consumatori a comprare americano: «Abbiamo fatto grandi progressi. Chrysler e Gm ce la faranno».
La Fiat vuole allargare il proprio orizzonte, anche nell'America del Sud. Secondo una "fonte industriale" citata dall'agenzia Afp il gruppo italiano è "interessato" anche alle attività di General Motors in America Latina, e "sono in corso dei colloqui" al riguardo. Intanto, se Fiat riuscirà a portare a termine la fusione con Opel, non chiuderà nessuno stabilimento della casa tedesca in Germania, anche se dovrà effettuare tagli al personale. Lo ha dichiarato l'ad del Lingotto, Sergio Marchionne, in questi giorni a Berlino per trattare l'operazione, in un'intervista con il quotidiano popolare «Bild». «Non vogliamo chiudere nemmeno una delle fabbriche in Germania - ha spiegato Marchionne - ho bisogno di questi impianti per fabbricare un numero sufficiente di automobili nel futuro. Ma, naturalmente, dovremo ridurre il personale. Questo non può evitarlo nessuno». Il top manager, che assicura la restituzione in tre anni di eventuali prestiti statali, non ha fornito cifre sulla riduzione dello staff prevista. «Opel non potrà mai fare profitti con le sue dimensioni attuali, e se non si fanno profitti non si può sopravvivere - dice - Comprendo i timori dei sindacati, ma questa è la realtà». Il numero uno dell'azienda torinese ha poi dichiarato che si sentirebbe «sorpreso» se il governo tedesco desse la preferenza all'offerta concorrente del gruppo austriaco-canadese Magna, che cercherebbe di acquisire un gruppo europeo «con l'aiuto dei russi». «Il nostro piano è serio - prosegue Marchionne - Vogliamo creare un vero gruppo automobilistico europeo di successo in tutto il mondo: la divisione auto di Fiat si fonderebbe con Opel e Chrysler, così diventeremmo il secondo gruppo mondiale». Intanto l'ad di Fiat è volato nuovamente negli Stati Uniti per una serie di colloqui con il management della Chrysler. Marchionne è partito lunedì sera per gli States, al termine di una giornata fitta di impegni in Germania. Ci sono altri pretendenti per Opel, oltre alla Fiat scrive il Financial Times, che cita due fonti vicine alla controllante General Motors. Tra i gruppi interessati, il quotidiano finanziario cita Magna International e la russa Gaz, ma anche i fondi sovrani di Abu Dhabi e Singapore e tre gruppi di private equity. Dalla Svezia intanto trapela la notizia che la casa automobilistica svedese controllata da Gm Europa non sta dialogando con Fiat in merito a un possibile takeover. Lo ha dichiarato l'ad di Saab Jan-Ake Jonsson in un'intervista a un giornale svedese, il Sodermanlands Nyheter. «Non stiamo discutendo con Fiat» ha risposto il manager, secondo il quale ci sono altri acquirenti seri per Saab, che è stata messa in vendita all'inizio del 2009. Lunedì il governo svedese aveva parlato di contatti avuti con Fiat in merito al costruttore svedese controllato da General Motors. Fiat compie un nuovo passo verso Chrysler. Il tribunale per la bancarotta di New York ha dato il via libera alla procedura accelerata per la ristrutturazione della più piccola delle tre sorelle di Detroit: Arthur Gonzalez, il giudice che si occupa del dossier Chrylser, ha dato il disco verde alla vendita attraverso asta dalla maggior parte degli asset della società, con la Fiat principale offerente. Entro il 20 maggio potranno pervenire offerte concorrenti, mentre una settimana dopo, il 27, sarà decretato il vincitore. Respingendo le obiezioni sollevate da un gruppo di creditori, Gonzalez spiana così la strada all'alleanza fra Fiat e Chrysler, appoggiando il piano dell'amministrazione americana. "La corte ha deciso che le procedure di gara sono appropriate e necessarie" ha spiegato Gonzalez. Chrysler propone di cedere i propri asset a una nuova società controllata da Fiat, dal sindacato United Auto Worker (Uaw), dal Tesoro americano e dal governo canadese. Una volta conclusa l'asta, la vendita dovrà essere completata entro il 15 giugno, con un'estensione di 30 giorni per le autorizzazioni necessarie. Per gli asset di Chrysler l'offerta di Fiat sarà di 2 miliardi di dollari. Si tratta di un'offerta "equa, l'unico accordo disponibile" per la casa automobilistica americana, spiega l'advisor finanziario di Chrysler, Grenhill & Co. Se tutto procederà come previsto, Fiat si troverà inizialmente in mano il 20% della nuova Chrysler con la possibilità di salire al 35%, contro il 55% del Veba, l'8% del Tesoro americano e il 2% del governo canadese. La quota di Fiat Group Automobiles in Europa Occidentale vola al 10%, non accadeva da otto anni. Lo rileva il Lingotto (14 maggio 2009). L'azienda sottolinea anche che, in un mercato che scende dell'11,6%, le immatricolazioni del gruppo sono invece salite del 5%, ad oltre 116.300 unita'. In un mercato ancora complessivamente negativo - notano da Mirafiori - Fiat Group Automobiles si discosta dalla media e continua a muoversi in controtendenza, aumentando la quota di 1,6 punti percentuali. 10 giugno 2009. Le nozze Fiat-Chrysler ora sono una realtà. A benedirle, annunciando il closing dell'alleanza strategica globale, una nota congiunta delle due case automobilistiche, nella quale si precisa che Sergio Marchionne, ad del Lingotto, sarà anche ad di Chrysler. «Questa alleanza, creata con il pieno sostegno dell'amministrazione del presidente Obama, - commenta a caldo Marchionne - non risolve sicuramente tutti i problemi che attualmente affliggono l'industria automobilistica ma rappresenta un passo fondamentale per posizionare Fiat e Chrysler tra i leader della futura generazione di produttori a livello globale». Il nuovo ad della casa Usa saluta l'intesa parlando di un «giorno molto importante, non solo per Chrysler e per i suoi dipendenti, che hanno vissuto quest'ultimo anno in un contesto pieno di incertezze, ma anche per l'intera industria automobilistica». «D'ora in avanti lavoreremo alla definizione di un nuovo modello di riferimento per le imprese automobilistiche che vogliano produrre utili» promette Marchionne, assicurando inoltre che con il Lingotto Chrysler «può tornare ad essere una società forte e competitiva con una gamma di vetture affidabile che colpiscono l'immaginazione e ispirano fedeltà».
Indice ISAE ad aprile.
Balzo in avanti ad aprile per la fiducia dei consumatori. L'indice, rileva l'Isae, dopo due mesi di calo, è salito a 104,9 da 99,8, miglior risultato da dicembre 2007. L'indicatore sul quadro economico generale segna la crescita più marcata, attestandosi a 71,6 da 67,7 di marzo; sostanzialmente stazionario l'indice sintetico sulla situazione personale degli intervistati, a 119 da 119,1. Migliorano, in particolare, le attese relative alla situazione economica del Paese, al mercato del lavoro e alle possibilità di risparmio. La crescita della fiducia é diffusa a livello territoriale, più forte al Nord e meno intensa nel Centro Sud.
Incentivi per bici e ciclomotori ecologici (2 maggio 2009).
È sostanzialmente positivo il bilancio della prima settimana di incentivi per l'acquisto di biciclette e ciclomotori. Alla notizia, che ha suscitato da subito una grandissima attenzione, ha fatto seguito un numero sempre crescente di richieste di acquisto, specialmente di biciclette, con la possibilità di fruire di sconti per il cliente finale anche del 30% sul prezzi di listino. La situazione non è la medesima, ovviamente, per tutti i rivenditori e per tutto il territorio nazionale, e alcuni addetti del settore non rinunciano ad esprimere dubbi e perplessità, ma la sensazione è che il mercato abbia accolto con favore l'iniziativa del ministero dell'Ambiente, che lega strettamente la fruizione degli incentivi all'acquisto di modelli di due ruote "ecologici" presenti nell'elenco pubblicato dal ministero dell'Ambiente. Ecco quanto emerge da una ricognizione che Il Sole 24 Ore.com ha effettuato tra rivenditori, case produttrici e associazioni di categoria. Gli incentivi premiano le biciclette. Particolarmente significativo l'investimento sul settore delle biciclette: per la prima volta, infatti, l'incentivo del 30% (fino a un massimo di 700 euro) è sfruttabile dal cliente privato senza dover rottamare nulla, a differenza delle due precedenti annate. Non è un caso, che, per il momento, l'80% delle richieste sia dedicato proprio alle bici. Il fondo messo a disposizione del ministero dell'Ambiente ammonta a 8.750.000 euro: ad oggi ne sono stati utilizzati oltre 465.000, suddivisi in oltre 228.000 al Nord, 136.000 al Centro, 86.000 al Sud, circa 14.000 nelle Isole. Il dettaglio degli incentivi, sempre aggiornato, può essere visualizzato sul sito dedicato del ministero. Non altretttanto bene va la vendita dei ciclomotori per i quali, sostengono gli addetti del settore, gli incentivi sono molto bassi.
Rapporto UE (5 maggio 2009).
La crisi si farà ancora sentire. Il Pil italiano calerà del 4,4% nel 2009 per poi tornare a crescere dello 0,1% nel 2010. La stima è contenuta nelle previsioni economiche di primavera messe a punto dalla commissione europea, secondo cui dopo «un'altra forte contrazione nel primo trimestre del 2009» l'attività economica «continuerà a declinare per la maggior parte dell'anno, sebbene muovendosi gradualmente verso una stabilizzazione» che arriverà infine nel 2010. Il tasso di disoccupazione aumenterà dal 6,8% del 2008 all'8,8% nel 2009 e al 9,4% nel 2010. L'andamento negativo del Pil non sarà indolore per i conti pubblici. Il deficit, secondo Bruxelles, si attesterà al 4,5% quest'anno e al 4,8% il prossimo. Il debito salirà invece al 113% a fine 2009 e al 116,1% nel 2010, tornando sui «livelli record della fine degli anni '90». In calo l'inflazione, che dal 2,8% del 2008 scenderà all'1,9% nel 2009 e all'1,5% nel 2010. Gli economisti di Bruxelles, sottolineano anche «il calo sostanziale della produttività», dal 4,2% nel 2008 al 3,3% nel 2009 allo 0,8% nel 2010. Per il momento la Commissione Ue non prenderà in considerazione un'eventuale procedura di infrazione per deficit eccessivo nei confronti dell'Italia. «Per i paesi membri che avranno un deficit sopra il 3% nel 2009 e continueranno ad averlo nel 2010 considereremo la situazione in seguito», ha spiegato il commissario Ue agli Affari economici e monetari, Jacquin Almunia, sottolineando come adesso Bruxelles si concentrerà sulla situazione di quei Paesi che hanno notificato un deficit sopra il 3% già nel 2008.
Massimo Moratti si potrà consolare con la conquista dello scudetto di calcio. Ma assieme al fratello Gianmarco ha avuto poco da festeggiare alla presentazione dei conti dei primi tre mesi di Saras (12 aprile 2009). La società tra i leader europei della raffinazione di prodotti petroliferi (grazie all'impianto di Saroch, a pochi chilometri da Cagliari, uno dei più grandi e avanzati del Continente), ha presentato al mercato una trimestrale che risente pesantemente del crollo del prezzo del greggio, ma soprattutto del crollo della domanda, in particolare del diesel. La contrazione dei prezzi si vede alla voce ricavi, ridottisi del 40% a 1,22 miliardi di euro da gennaio a marzo. Di conseguenza si sono ridotti anche i margini, con l'Ebidta sceso del 38% a 91 milioni mentre l'utile netto si è più che dimezzato a 25,3 milioni dai 75,4 milioni dello stesso periodo dell'anno scorso (e i 95,1 milioni dell'ultimo trimestre del 2008). Via a misure strutturali incisive per contenere i costi in casa Rcs. Il Consiglio di amministrazione del gruppo Rcs ha approvato infatti «una impegnativa e incisiva serie di misure strutturali» per «adeguare le dinamiche dei costi dell'intero gruppo all'attuale situazione di grave deterioramento ma anche di assoluta non visibilità dell'andamento dei mercati, specie pubblicitari e delle loro prospettive». È quanto si legge nel comunicato diffuso proprio al termine del consiglio di amministrazione di Rcs che si è riunito per approvare il bilancio della trimestrale. «Il programma di azioni di Rcs - scrive ancora la casa editrice del Corriere della Sera - assume come presupposto i trend negativi della pubblicità, la contrazione delle diffusioni e dei collaterali. Il progetto assume altresì, come presupposto, il mantenimento delle linee strategiche della multimedialità integrata e dell’accelerazione dei ricavi digitali, riparametrati al relativo e più contenuto tasso di crescita. Con queste fondamentali premesse, lo schema di interventi elaborato punta a definire, oltre alla prosecuzione delle misure già avviate nella seconda parte del 2008, una struttura dei costi che possa essere sostenibile con il forte decremento dei ricavi, come sopra indicato, puntando a raggiungere nell’anno a regime, ed anche in assenza di ripresa dei ricavi, quel livello di marginalità dal quale sviluppare adeguate risorse per i nuovi modelli di business ed una sempre maggiore valorizzazione delle proprie testate e delle attività di Gruppo. Solo con questa serie di significative azioni Rcs MediaGroup potrà fronteggiare il perdurare dell’attuale situazione congiunturale». «Le misure, strutturali e permanenti, - prosegue il comunicato di Rcs - riguarderanno trasversalmente tutte le società del Gruppo (ad esclusione di Dada), sia in Italia sia all’estero, per una manovra complessiva superiore a 200 milioni di euro, comprensivi di tutte le voci rilevanti, inclusa quella relativa al costo del lavoro. Si stima che il piano, che sarà attivato fin da subito, possa produrre compiutamente i suoi effetti definitivi, in assenza - ovviamente - di ulteriori deterioramenti della situazione di mercato e di fatti al momento non prevedibili, nell’arco ipotizzabile di 24 mesi. Rcs MediaGroup ha chiuso il primo trimestre dell’anno con una perdita netta 40,7 milioni di euro, che si confronta con un risultato negativo per 18,6 milioni al 31 marzo 2008. I ricavi netti consolidati sono scesi del 17,7% a 514,9 milioni di euro, i ricavi pubblicitari del 30,2% a 155 milioni. L’organico medio al 31 marzo 2009 si riduce a 6.550 unità, rispetto alle 6.682 (al netto delle attività destinate alla dismissione) del primo trimestre 2008, grazie alle efficienze realizzate in tutte le aree del Gruppo, e nonostante le variazioni di perimetro e i nuovi ingressi nell’ambito dello sviluppo del gruppo Dada e dei new media.
Rapporto ISTAT sul Pil (14 aprile 2009)..
Nei primi tre mesi dell'anno in corso il prodotto interno lordo (Pil) dell'Italia ha subito una variazione su base annua pari a -5,9%, il dato peggiore secondo le stime preliminari dal 1980, cioè da quanto l'Istat effettua le rilevazioni. Rispetto al trimestre precedente (il quarto del 2008) il calo è del 2,4%. Su base congiunturale il Pil registra quindi il quarto calo consecutivo. I dati, espressi in termini destagionalizzati e corretti per i giorni lavorativi, sono peggiori rispetto alle previsioni degli analisti. L'Istat ha anche reso noti i dati definitivi dell'inflazione per il mese di aprile: 1,2% annuo, rivista al ribasso di un decimo la stima preliminare. «Il risultato congiunturale del Pil è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto dell'agricoltura, dell'industria e dei servizi», afferma l'Istat in una nota. Il Pil acquisito per il 2009, ovvero la crescita media annua che si avrebbe in caso di variazione nulla nei prossimi tre trimestri, è pari a -4,6%. Le ultime stime governative, diffuse il 1° maggio, danno il Pil in calo nel 2009 del 4,2%.
ISTAT su ordini e fatturato (20 maggio 2009).
Scendono a marzo 2009 per l'Istat fatturato e ordinativi dell'industria italiana. Il calo del fatturato e' dello 0,8% rispetto a febbraio e del 22,6% rispetto a marzo 2008, in base all'indice corretto per gli effetti di calendario. Gli ordinativi hanno registrato un -26% su anno e un -2,7% su mese. Per quanto riguarda l'industria dell'auto l'Istat registra -27,9% per il fatturato su anno e un calo del 19% per gli ordini.
Bankitalia - Il debito pubblico (15 giugno 2009).
Il debito pubblico italiano segna un nuovo record. Secondo quanto riportato nel supplemento al Bollettino statistico di Bankitalia «Finanza pubblica, fabbisogno e debito» nel mese di aprile è cresciuto a 1.750,4 miliardi. Il dato segna un aumento di 9 miliardi rispetto al mese precedente, quando il debito pubblico italiano aveva fatto il balzo maggiore passando da 1.707 a quota 1.741 miliardi. Rispetto alla fine del 2008 lo stock del debito è cresciuto del 5,3%, con un aumento di 87 miliardi di euro. A livello centrale, tra marzo e aprile 2009, si è passati da 1.637,8 a 1.647,1 miliardi di euro. Aumenti generalizzati per gli enti locali. Torna a salire il debito degli enti locali che, in aprile, si attesta a quota 109,5 miliardi e si avvicina così alla soglia dei 110 miliardi. Sale in particolare il debito pubblico delle Regioni, che passa dai 41,6 miliardi di marzo ai 42,6 miliardi di aprile. Cresce anche il debito dei comuni, seppure in maniera contenuta, e sale da 48,2 a 48,7 miliardi mentre sostanzialmente stabile è quello delle province che si attesta attorno ai 9,2 miliardi.
ISTAT - l'Occupazione a fine marzo (15 giugno 2009).
L'occupazione in Italia cala per la prima volta dopo 14 anni. Lo sottolinea l'Istat precisando che tra gennaio e marzo 2009 gli occupati sono diminuiti di 204 mila unità, pari allo 0,9% rispetto allo stesso periodo del 2008. Ed è il Mezzogiorno a perdere la maggior parte dei posti: 114 mila. Su base annua, il tasso di disoccupazione è pari a quasi l'8% (il 7,9% per la precisione), il più alto dal 2005. In cifre assolute, sono quasi due milioni le persone in cerca di occupazione. Cala l'occupazione di 426 mila italiani, aumenta tra le comunità straniere: rispetto a tre mesi fa, hanno trovato lavoro altri 222 mila stranieri. L'offerta di lavoro è stabile per gli uomini, registra una leggerissimo aumento tra le donne, lo 0,2%. Su quasi 60 milioni di italiani, lavorano in 23 milioni; arrotondando, significa che ogni 3 italiani, solo uno lavora. I dati, spiega l'Istituto di statistica, trovano ragione nella caduta dell'occupazione autonoma delle piccole imprese, dell'occupazione a termine e nella riduzione del numero dei collaboratori.
ISTAT - Indice dei prezzi alla produzione (30 giugno 2009).
Nel mese di maggio 2009, sulla base degli elementi finora disponibili, l’indice generale dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali con base 2005=100 è diminuito dello 0,2 per cento rispetto al mese precedente e del 6,1 per cento rispetto al mese di maggio 2008. Nella media degli ultimi tre mesi (periodo marzo-maggio) l’indice è diminuito dell’1,6 per cento rispetto ai tre mesi precedenti. L’indice relativo ai prezzi dei prodotti venduti sul mercato interno ha registrato un calo congiunturale dello 0,2 per cento e una diminuzione tendenziale del 6,7 per cento. Nella media degli ultimi tre mesi l’indice è diminuito dell’1,6 per cento rispetto alla media dei tre mesi precedenti. Per i beni venduti sul mercato estero l’indice è diminuito dello 0,3 per cento in termini congiunturali e del 3,9 per cento in termini tendenziali. Nella media degli ultimi tre mesi l’indice ha segnato una diminuzione dell’1,1 per cento rispetto ai tre mesi precedenti.
ISTAT - Rapporto deficit/Pil al 9,3% ((30 giugno 2009).
Schizza a livelli record il rapporto tra deficit e Pil. Secondo gli ultimi dati diffusi dall'Istat nel primo trimestre del 2009 l'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche rispetto al Pil è stato del 9,3%, ossia il valore più alto dal 1999, praticamente dall'inizio della serie storica. Nei primi tre mesi del 2008, invece, il disavanzo pubblico è stato del 5,7%, mentre nel quarto trimestre del 2008 si è attestato al 2,6%. C'è da dire però che tradizionalmente il primo trimestre dell'anno è quello in cui si registra il rapporto più alto tra deficit e Pil, poi nel corso dell'anno viene corretto con le decisioni di politica economica. In valore assoluto l'indebitamento netto registrato nel primo trimestre è pari a 34,082 miliardi di euro, contro i 21,8 miliardi di euro dello stesso periodo dello scorso anno. Entrate in calo, uscite in aumento. Andamento negativo per le entrate dello Stato mentre la spesa pubblica è in aumento. In particolare, comunica l'Istat, nei primi tre mesi dell'anno le entrate totali sono diminuite del 2,8% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, con un'incidenza sul Pil del 39,9% (era 39,8% nello stesso trimestre del 2008). Le uscite totali, invece, sono aumentate del 4,6% su base annua e il loro valore in rapporto al Pil è salito al 49,2% (era 45,6% nei primi tre mesi dell'anno scorso). Nel primo trimestre dell'anno, spiega l'Istat, le entrate correnti hanno segnato una flessione tendenziale del 2,9%, "dovuto all'effetto combinato di una diminuzione delle imposte dirette (-4,6%), delle imposte indirette (-4,9%) e dei contributi sociali (-0,1%), e della crescita delle altre entrate correnti (+0,9%)". Le entrate in conto capitale, invece, sono aumentate del 24,8% rispetto ai primi tre mesi dell'anno scorso. Per quanto riguarda le uscite, quelle correnti hanno registrato un aumento tendenziale del 3,9%. "Tale aumento è l'effetto combinato - spiega l'istituto di statistica - di un incremento del 7% dei redditi da lavoro dipendente, sui quali hanno influito i rinnovi contrattuali dei dipendenti dei ministeri, della scuola, degli enti pubblici non economici, dell'università e degli enti di ricerca, del 7,4% dei consumi intermedi, del 5,6% delle prestazioni sociali in denaro, dello 0,3% delle altre uscite correnti e di una diminuzione del 7,8% degli interessi passivi che risentono della discesa dei tassi d'interesse iniziata negli ultimi mesi del 2008". Le uscite in conto capitale invece sono aumentate in termini tendenziali del 15,3%. In particolare gli investimenti fissi lordi sono aumentati del 17,4%, "influenzati dal trasferimento - spiega l'istituto di statistica - agli enti di previdenza, degli immobili non ancora venduti nell'ambito delle operazioni Scip classificati come investimenti", e le altre uscite in conto capitale del 12%. Netto calo del saldo primario. Il saldo primario (indebitamento al netto degli interessi passivi) è risultato negativo e pari a 16.865 milioni di euro (meno 3.133 milioni di euro nel corrispondente trimestre del 2008), con una incidenza negativa sul Pil del 4,6% (meno 0,8% nel corrispondente trimestre del 2008). Il saldo corrente (risparmio) è risultato negativo e pari a 21.977 milioni di euro, contro il valore negativo di 11.257 milioni di euro nel corrispondente trimestre dell'anno precedente, con una incidenza negativa sul Pil pari al 6% (-3% nel corrispondente trimestre del 2008).
ISTAT Cala l'export in maggio
A maggio 2009 il saldo della bilancia commerciale é risultato positivo per 1.187 miliardi di euro a fronte del saldo negativo pari a 84 milioni di euro rilevato nello stesso mese del 2008. Lo rende noto l'Istat precisando che a maggio, su base tendenziale, le esportazioni sono diminuite del 27% e le importazioni del 30,8%. Nei primi cinque mesi dell'anno le esportazioni complessive hanno segnato rispetto allo stesso periodo del 2008 un calo del 24,9% e le importazioni del 25,6%. Il saldo nel periodo é negativo per 3.497 miliardi, in calo rispetto al deficit di 6.198 miliardi dello stesso periodo del 2008. Rispetto ai Paesi Ue, il saldo commerciale é risultato positivo per 631 milioni di euro a fronte del saldo positivo pari a 1.689 miliardi di euro rilevato nello stesso mese del 2008. A maggio, su base tendenziale, le esportazioni sono diminuite del 31,7% e le importazioni del 28,9%. In base ai dati grezzi nei primi cinque mese dell'anno l'import ha registrato una contrazione del 24,6% mentre l'export ha frenato del 27,5%. Nei primi 5 mesi del 2009 la bilancia commerciale con i Paesi Ue evidenzia un saldo positivo per 559 milioni (+4.219 miliardi nello stesso periodo del 2008).
ISTAT Ordini in crescita nel mese di maggio.
Gli indici destagionalizzati del fatturato e degli ordinativi comunicati dall'Istati, hanno registrato, nel confronto con il mese precedente, una riduzione dell'1,1%, il primo, ed un'inversione di tendenza con un aumento dello 0,4%, il secondo (dal -3,7% del mese precedente). Il fatturato è diminuito del 2,7% sul mercato interno ed è cresciuto del 3,1% su quello estero; gli ordinativi nazionali hanno registrato un incremento dello 0,5% e quelli esteri dello 0,2 per cento. Il leggero miglioramento mese su mese è in linea con il miglioramento degli indici di fiducia Isae e con il rallentamento del ritmo di contrazione dell'attività nel settore industriale. L'industria italiana, a maggio, ha fatto registrare ordini in calo del 31% su base annua e un fatturato in ribasso del 22,8% sempre su base annua

Altri paesi.

Cina. Il piano di stimolo varato da Pechino potrebbe rilanciare la crescita economica della Cina già entro il 2009 e aiutare le altre economie asiatiche a riprendersi. Lo ha detto la Banca Mondiale in un suo rapporto periodico (6 aprile 2009). "I segnali che arrivano dalla Cina indicano che la sua crescita economica potrebbe ripartire verso la metà di quest'anno", si legge nel rapporto. E ancora: "La ripresa in Cina, spinta dall'enorme piano di stimolo varato dal governo, può aiutare a stabilizzare economicamente l'intera regione e aiutarne la ripresa". Secondo le previsioni della Banca Mondiale, la Cina quest'anno vedrà una crescita economica del 5,3%, ma il premier cinese Wen Jiabao si dice fiducioso che il suo paese può ancora raggiungere l'obiettivo prefissato, ossia una crescita del prodotto interno lordo dell'8% nel 2009. La crescita del Pil della Cina è rallentata nel primo trimestre 2009 al 6,1% su base annua, contro il 6,8% nell'ultimo trimestre 2008. Lo ha reso noto l'Ufficio nazionale di statistica. Si tratta delle crescita più debole dal 1992 (quando sono cominciate le rilevazioni trimestrali) e corrisponde grosso modo alle previsioni degli economisti, che avevano parlato di una crescita nel primo trimestre del 2009 al 6,3%. Nel primo trimestre del 2008 la crescita era stata del 10,6%. La Cina torna a dare segnali confortanti alla fine del secondo trimestre, evidenziando un'accelerazione dell'attività economica e mettendo la parola fine alla fase di rallentamento. Il PIL della Cina nel secondo trimestre è cresciuto infatti del 7,9%, grazie anche alle misure di stimolo offerte dal Governo durante la crisi. Questo dato appare anche superiore al 7,7-7,8% stimato dagli economisti. La crescita alla fine del primo semestre si attesta così al 7,1%. Cresce anche l'attività industriale, con un aumento della produzione industriale a giugno pari al 10,7%, superiore al 9,5% stimato dagli economisti. Le dinamiche dei prezzi, tuttavia, mostrano ancora una decelerazione, a causa di una domanda ancora debole. I prezzi al consumo sono così scesi dell'1,7%, dopo aver registrato un calo dell'1,4% a maggio, mentre i prezzi alla produzione registrano un pesante calo del 7,8% rispetto al 7,2% precedente.

Germania. Si realizza il progetto del governo tedesco di nazionalizzare la banca Hypo Re, numero uno in Germania nel settore dei mutui immobiliari. Già alla fine di marzo, per salvare la banca dal fallimento, il governo aveva acquisto una quota iniziale dell'8,7%, con lo scopo di arrivare a detenere il pieno controllo della società. Il prezzo dell'Opa, condizionata all'approvazione della Bafin (autorità di controllo dei mercati finanziari in Germania), è stato fissato a 1,39 euro per azione (9 aprile 2009). Il gruppo Volkswagen ha limitato il calo delle vendite in aprile (-4,7% anno su anno, a 541.600 unità) grazie al sostegno legato agli incentivi in Germania e alla buona performance in Cina. In Germania ha segnato un progresso del 19,9% e in Cina, dove è leader tra le case estere, del 21,1%. La casa di Wolfsburg ha anche precisato di avere fatto molto meglio del mercato mondiale (-21% in aprile). Per il 2009 il gruppo si aspetta una flessione del 10% delle vendite, su un mercato mondiale giù del 20%, ma stima un miglioramento della quota di mercato. L'andamento di aprile «è in linea con gli obiettivi fissati». Battuta d'arresto nelle trattative tra tra Porsche e Volkswagen sul progetto di fusione. Volkswagen ha deciso di interrompere a tempo indeterminato i colloqui perchè - spiega un portavoce della casa automobilistica, Christine Ritz, citata dall'agenzia Bloomberg - «attualmente non c'è un'atmosfera costruttiva». Il grupppo Opel acquisito dalla cordata russo canadese. Apprezzamenti per il salvataggio di Opel. Sospetti per il ruolo della Russia nel consorzio guidato da Magna. E incertezza sul futuro dei posti di lavoro. L’accordo che chiude la partita Opel, raggiunto il 29 maggio a Berlino, ha suscitato reazioni contrastanti in Germania, anche se per ora le voci positive prevalgono, specie tra politici e sindacati. La cancelliera Angela Merkel si è mostrata soddisfatta. A suo giudizio, «i rischi di un’alternativa erano politicamente insostenibili», ha spiegato Merkel. La quale ha colto l’occasione per riallacciare i rapporti con Washington, dopo le critiche all’amministrazione Usa arrivate nei giorni scorsi da Berlino. «Le trattative sono state un test per le relazioni transatlantiche», ha detto. Un test «riuscito», anche grazie a una sua telefonata col presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Ora «Opel ha una prospettiva per il futuro». L’inquilino della Casa Bianca ha confermato facendo sapere di vedere l’intesa come «un passo positivo per l’industria dell’auto» in vista del salvataggio di Detroit. In Germania l’aggettivo più usato da socialdemocratici e leader regionali è «sollevato»: «sono molto sollevato» (Roland Koch, governatore dell'Assia, il Land che ospita il quartier generale di Opel); «sono sollevato dalla svolta raggiunta» (Jürgen Rüttgers, governatore del Nordreno-Vestfalia, uno dei quattro Länder con stabilimenti del marchio tedesco); «sono molto, molto sollevato» (Frank-Walter Steinmeier, ministro degli Esteri socialdemocratico con ambizioni alla cancelleria). Del resto lo spettro di un fallimento delle trattative e di uno scivolamento di Opel nell’insolvenza insieme alla casa-madre General Motors appariva tutt’altro che improbabile. Pur temendo tagli ai posti di lavoro, i sindacati - fin dall'inizio contrari a Fiat - danno il loro appoggio: l’acquisizione da parte di Magna «è un risultato molto positivo, che io stesso ho desiderato», ha detto il responsabile del consiglio di fabbrica di Opel, Klaus Franz, alla Welt am Sonntag. La stampa tedesca, però, frena. Sia perché non sono ancora chiari i dettagli dell’intesa e, per dirla con la Welt, «Opel rischia di diventare un pozzo senza fondo». Sia perché il peso di Mosca nella vicenda resta poco chiaro - dopo tutto nella nuova Opel, Magna avrà il 20%, mentre la banca russa a controllo statale Sberbank il 35% - e convince poco la promessa di «inondare» il mercato russo. «È strano che nelle discussioni sul risanamento di Opel non si sia parlato affatto della personalità più importante: il premier russo Vladimir Putin», commenta la Süddeutsche Zeitung. «Il proprietario di Magna Frank Stronach, celebrato come il salvatore di Opel, non è altro che uno junior partner di Putin». Critica anche Die Zeit. «Tanto Magna quanto il governo federale corrono un grosso rischio». Da una parte «il nuovo investitore è meno solido di quanto appaia», dall’altra «l’esecutivo crea un precedente e anche altre aziende chiederanno aiuti». Sulla stessa linea l’Handelsblatt: «non c’è motivo di lasciarsi andare all'euforia. Nessuno deve illudersi: per il momento Opel è salva, ma la partita dovrebbe andare avanti: qualcuno si ricorda ancora della società di costruzioni Holzmann, prima salvata e poi insolvente?». Deutsche Bank ha comunicato che il secondo trimestre si è chiuso con un utile netto in crescita del 67% a 1,1 miliardi di euro a fronte dei 645 milioni dello stesso periodo dell'anno precedente, grazie soprattutto alla buona performance della divisione investment banking. I ricavi del gruppo sono saliti a 7,9 miliardi, in aumento del 46% rispetto ai 5,4 miliardi del secondo trimestre 2008. Il Tier 1 capital ratio si è attestato all'11%. La banca tedesca ha dovuto tuttavia aumentare gli accantonamenti per perdite su crediti, saliti da 135 milioni a 1 miliardo di euro, a causa dell'incertezza futura sui mercati finanziari, rinunciando peraltro a fornire previsioni per l'anno.
Via libera del Bundestag alla Bad Bank. L a Camera Bassa tedesca, ha dato il via libera al piano per creare una «bad bank» che liberi le banche dalle attività tossiche. In precedenza i partiti della maggioranza avevano addolcito la legge per incoraggiare le banche a disfarsi di queste attività, potendosi così concentrare sui prestiti alle imprese e alle famiglie. Il ministro delle Finanze, Peer Steinbrueck ha detto che le banche tedesche devono uscire dalla spirale negativa delle svalutazioni, che ha definito «pericolose». In base alla nuova legge le banche potranno trasferire le attività tossiche in speciali veicoli, definiti appunto «bad bank», a un valore che è quello che i titoli avevano al 30 giugno 2008, prima del settembre 2008 quando c'è stato il collasso di Lehman e si è scatenata la tempesta finanziaria globale. In un primo tempo si era invece stabilito di prezzare i titoli al 31 marzo 2009 e il cambiamento è arrivato pochi giorni fa grazie all'intesa tra i partiti della coalizione di governo. Il progetto di legge, presentato dallo stesso Steinbrueck, è passato con i voti favorevoli del gruppo Cdu-Csu e dell'Spd (ovvero la Grande coalizione al governo) e dal 10 luglio andrà all'esame del Bundesrat, il senato della Repubblica federale. L'approvazione definitiva è attesa prima della pausa estiva. Nel corso del dibattito, il ministro delle Finanze ha tra l'altro affermato che «nessuno può escludere al momento attuale che nel corso dei prossimi mesi possano emergere nuovi problemi con una delle nostre banche». Il Bundestag ha, inoltre, chiesto al Governo tedesco di valutare la possibilità di chiedere ai vertici di Hre (Hypo Real Estate) un risarcimento per i danni causati alla banca di credito immobiliare e di proporre all'assemblea dei soci di Hre del 13 e 14 agosto prossimi di approvare una perizia speciale al riguardo.
I prezzi alla produzione sono scesi in Germania del 4,6% su anno nel mese di giugno, registrando il maggiore calo da oltre 40 anni, ha detto l'Ufficio statistico federale. La flessione è la più consistente dal dicembre 1968 ed è superiore alle attese degli analisti interpellati da Reuters, che in media si aspettavano un calo del 4,1%. Su mese, i prezzi sono scesi dello 0,1% contro attese di un +0,5%. A dettare la discesa sono stati principalmente i prezzi dell'energia, calati dell'8,4% su giugno 2008 e dello 0,3% su mese. Esclusa questa componente, i prezzi alla produzione sono scesi del 2,8% su anno, invariati su mese.

Giappone. Il Giappone è pronto a nuovi forti interventi per contrastare la crisi globale che sta mettendo in ginocchio anche l'economia del paese asiatico. L'8 aprile il partito di maggioranza lberal-democratico ha annunciato che il governo sta preparando un piano da 154 miliardi di dollari, più di quanto atteso finora. Il piano rappresenta il 3,1% del Pil del paese. Diversamente dai precedenti interventi la borsa di Tokio ha risposto positivamente con un rialzo vicino al 4%. è da 1,22 miliardi di euro.  Toyota ha annunciato la prima perdita operativa della sua storia, stimata in circa 150 miliardi di yen per l'esercizio 2008-2009 che si chiuderà a fine marzo. Se le stime di Toyota saranno confermate dai fatti, si trattera' del primo bilancio in rosso in 71 anni, ossia dal marzo del 1938. Le proiezioni di Toyota vanno raffrontate con la precedente stima di un utile operativo di 600 miliardi di yen, frutto di un primo aggiustamento al ribasso, da parte della casa automobilistica, dovuto alla domanda di auto decimata dalla recessione globale.Come conseguenza della probabile revisione dei conti, l'agenzia di rating Moody's ha fatto sapere - informa sempre la Bloomberg - che potrebbe tagliare il rating di 'tripla A' di Toyota, rendendo piu' oneroso per il colosso dell'auto pagare gli interessi su 19 miliardi di dollari di debiti. Secondo diversi analisti, Toyota, nonostante gli sforzi di contenimento dei costi, non riuscirà a sfuggire all'impatto della crisi, visto che le vendite sui principali mercati sono in picchiata. Il gruppo giapponese ha dovuto tagliare del 91% le previsioni sull'utile netto. Ad essere particolarmente colpite sono le vendite di auto negli Usa, tradizionalmente il mercato più profittevole per Toyota, con un crollo del 34% solo a novembre. Il Giappone ha chiuso l'anno fiscale 2008/2009 con un Pil in calo del 3,5%, per la prima volta in sette anni. La flessione del 15,2% del periodo gennaio-marzo 2009 (-4% sui tre mesi precedenti), informa il governo di Tokyo, rappresenta la quarta contrazione trimestrale di fila dell'economia contribuendo negativamente a determinare la peggior serie mai registrata nel Sol Levante. Il calo è più grave di quello registrato nel primo trimestre del 1974, nel pieno choc petrolifero (-13,1 per cento).

Usa. Si allunga la lista delle banche Usa fallite nel 2009. Due altri istituti sono stati chiusi, portando il totale a 22. Le autorita' hanno chiuso in North Carolina la Cape Fear Bank, prima banca a fallire nello Stato dal 1993 e che poteva contare su asset per 492 milioni di dollari e 403 milioni di depositi. In Colorado ha chiuso la New Frontier Bank, importante istituto di credito regionale, che diventa così la maggiore banca a fallire nel 2009 negli Stati Uniti (11 aprile 2009). La serie si allunga. Cade un altro istituto di credito (11 aprile): la New Frontier Bank, una delle più importanti banche del Colorado, è stata chiusa per fallimento dalle autorità. La crisi economica, insomma, continua a mietere vittime. La New Frontier Bank è la banca più grande fallita quest'anno negli Stati Uniti. Si tratta del 23° istituto di credito fallito nel 2009, dopo il fallimento di tre banche nel 2007 e di 25 nel 2008. Una sequenza di crac lunga e preoccupante. Nonostante questo, il presidente americano, Barack Obama, ha parlato di «barlumi di speranza» per l'economia statunitense (e, di riflesso, per il resto del mondo). Fiat (13 aprile) è a caccia di risorse attraverso fondi a lei riconducibili, tramite Cnh Capital, da gettare nell'operazione di salvataggio Chrysler.In pratica queste risorse aiuterebbero il Lingotto a migliorare le proprie riserve e finalizzare l'alleanza con la casa automobilistica americana, con la capacità di poter rimborsare banche Usa che poi interverrebbero attraverso i fondi di salvataggio. Goldman Sachs ha bruciato le tappe: aveva anticipato che avrebbe trovato capitali per 5 miliardi di dollari per rimborsare il prestito del governo federale e recuperare la sua completa autonomia, il 13 aprile ha già annunciato un'offerta pubblica per un aumento di capitale. L'annuncio è stato affiancato dalla divulgazione dei risultati trimestrali, migliori delle attese: profitti per 1,81 miliardi di dollari (attesi 1,49 miliardi di dollari) su un giro d'affari di 9,43 miliardi di dollari, pari a un netto di 3,39 dollari per azione. Goldman ha anche annunciato l'emissione di un nuovo fondo che cercherà affari nel mercato secondario del private equità, con l'obiettivo di raccogliere altri 5,5 miliardi di dollari. Centinaia di tagli in vista a Yahoo. Si tratta della prima riduzione significativa di personale dal gennaio scorso e cioè da quando è stata nominata amministratore delegato Carol Bartz. I tagli potrebbero essere annunciati in concomitanza coi risultati del primo trimestre. Il gruppo, mentre era amministratore delegato Jerry Yang, aveva chiuso il 2008 con un totale di 13.600 addetti, 1.600 in meno dall'inizio dell'anno. Fiat abbandonerà il matrimonio con Chrysler se i sindacati non acconsentiranno al taglio del costo del lavoro in Usa e in Canada. La Fiat cercherà un altro partner se entro fine mese non sarà possibile portare il costo del lavoro al livello degli stabilimenti in Nord America delle case giapponesi e tedesche. 'Siamo assolutamente pronti a lasciare', ha detto Marchionne (vedi Italia per la conclusione dell'accordo). La Silverton Bank passa sotto il controllo della Fdic e diventa la trentesima banca statunitense a fallire dall'inizio del 2009. La Fdic (Federal Deposit Insurance Corp, l'agenzia di assicurazione dei depositi) creerà una banca ponte per rilevare le attività della Silverton Bank, che può contare su 4,1 miliardi di dollari di asset e 3,3 miliardi depositi. L'agenzia stima che la transazione costerà 1,3 miliardi di dollari (2 maggio 2009).
Ancora problemi dalle banche (6 maggio 2009). Il governo Usa ha calcolato che a Bank of America servono capitali freschi per almeno 34 miliardi di dollari, la cifra é superiore alle stime e andrebbe ad aggiungersi ai 45 miliardi di fondi statali già ricevuti finora dalla banca. Lo rende noto la stampa Usa citando fonti vicine all'amministrazione americana che sta eseguendo gli stress test presso i 19 principali istituti di credito americani. Dieci di loro avrebbero bisogno di ricapitalizzarsi. Tra cui appunto Bank of America, ma anche Citigroup e Wells Fargo. Il Tesoro Usa ha fatto pressione perché gli istituti di credito facciano ricorso al mercato, onde evitare di esaurire i 700 miliardi del Tarp, il fondo per salvare le banche in difficoltà. Qualche settimana fa il blog americano Turner Radio Network, citando documenti ufficiali, aveva diffuso la notizia secondo cui 16 delle 19 maggiori banche americane sarebbero state tecnicamente insolventi. Le prime indicazioni che arrivano dai risultati degli stress test sembrano dargli (parzialmente) ragione (le sue previsioni infatti si sono rivelate più pessimistiche).
Disoccupazione in aumento. Sono aumentati molto più del previsto a giugno i disoccupati del settore non agricolo americano, facendo salire il tasso di disoccupazione al 9,5%. Secondo i dati diffusi dal dipartimento del Lavoro Usa, in giugno sono andati persi 467.000 posti di lavoro, dai 322.000 di maggio. Le attese puntavano su un aumento decisamente meno consistente. Nei singoli settori si sono persi 79.000 posti nel comparto delle costruzioni, 244.000 nei servizi, 52.000 negli uffici governativi, 136.000 nel settore manifatturiero. Sono stati inoltre rivisti i dati di aprile e marzo, rispettivamente a -519.000 da -504.000 e a -652.000 dal precedente -652.000 (invariato).
Il rallentamento delle vendite di pc si fa sentire più del previsto su Microsoft, che chiude il quarto trimestre fiscale (chiuso a giugno 2009) con un utile in calo del 29%, archiviando l'esercizio fiscale 2009 come il peggiore dalla sbarco in borsa 23 anni fa. Il calo della domanda globale di pc legato alla crisi si fa sentire soprattutto su Windows, principale attività del gruppo. Le vendite sono calate del 13% annuo a 14,7 miliardi e del 29% a 3,1 miliardi nel quarto trimestre.
Ford torna al profitto grazie alla ristrutturazione del debito, tagliato da 32,1 miliardi di dollari a 26,1 miliardi: la casa automobilistica americana ha chiuso il secondo trimestre con un utile netto di 2,3 miliardi di dollari, contro una perdita da 8,67 miliardi nello stesso periodo dell’anno precedente, e ha detto di essere sulla buona strada per raggiungere il punto di pareggio nel 2011.

Norvegia. Nokia, il maggior produttore mondiale di cellulari ha riportato vendite per 9,3 miliardi di euro nel primo trimestre del 2009, in netto ribasso rispetto ai 12,66 miliardi di un anno fa. L'utile è crollato a 122 milioni, dal miliardo e 220 milioni di un anno prima (-90%). Si tratta del peggior risultato da oltre un decennio, una peformance dovuta essenzialmente al calo della domanda. Gli utili sono stati pari a 0,1 euro ad azione contro gli 0,39 di un anno fa. Anche in questo caso il risultato è peggiore delle attese. Nel primo trimestre, il margine operativo è sceso allo 0,6% dal 12,1% di un anno fa. Nokia ha reso noto che, nel secondo trimestre dell'anno, l'utile netto è stato pari a 287 milioni di euro, o 0,10 centesimi di euro per azione, dagli 1,08 miliardi di euro, o 0,29 centesimi di euro per azione maturati nello stesso trimestre dello scorso anno. Le vendite hanno subito un calo del 25% a 9,9 miliardi di euro. Le attese degli analisti erano per un guadagno netto di 0,13 centesimi di euro per azione su vendite per un valore di 10,1 mililiardi di euro. L'ammontare degli ordini, per il trimestre in considerazione, è atteso a 100 milioni di unità, dalle precendenti 122 milioni di unità dello scorso anno. Nel secondo trimestre 2009 l'utile operativo di Nokia è diminuito del 71% a 427 milioni di euro, rispetto ai 1,5 miliardi di euro nel secondo trimestre 2008. L' utile operativo è diminuito del 62% a 775 milioni di euro, rispetto ai 2,1 miliardi di euro nel secondo trimestre 2008. Il margine operativo è stato riportato al 4,3% (11,2%). Il flusso di cassa per il secondo trimestre 2009 è stato pari a 716 milioni di euro, nello stesso periodo dello scorso anno era stato pari a 1,5 miliardi di euro. Totale cassa e altre disponibilità liquide erano pari a 7,0 miliardi al 30 giugno 2009, rispetto a agli 8 miliardi al 30 giugno 2008. Al 30 giugno 2009, il rapporto debito / patrimonio netto (gearing) è stato -10%, rispetto al -47% al 30 giugno 2008. Nokia ha anche reso noto che per la seconda metà dell'anno non si aspetta di guadagnare ulteriori quote di mercato.

Svizzera. Un programma di contenimento dei costi che prevede 8.700 licenziamenti entro il 2010. Lo ha annunciato la Ubs (15 aprile), prima banca svizzera, dopo aver riferito di una perdita di due miliardi di franchi nel primo trimestre (oltre 1,3 miliardi di euro). L'amministratore delegato Oswald Gruebel ha detto che ha intenzione di diminuire a 67.500 il numero degli occupati nel 2010 (da 76.200) con un risparmio stimato di 4 miliardi di franchi. La crisi finanziaria internazionale ha già costretto la maggiore banca svizzera a fare svalutazioni per circa 50 miliardi di dollari e ad annunciare il taglio di 11.000 posti di lavoro dalla metà del 2007. Sono forse i primi segni della lotta dell'Ocse ai paradisi fiscali?

Svezia .Sony Ericsson ha annunciato, per il secondo trimestre, una perdita netta pari a 213 milioni di euro e ricavi pari a 1,684 miliardi. Un anno fa il gruppo aveva guadagnato 6 milioni di euro e registrato un fatturato intorno ai 2,82 miliardi. Le previsioni di Sony Ericsson per la restante parte dell'anno sono per una situazione difficile, la società, inoltre, ha confermato le previsioni per il mercato mondiale dei telefonini, che potrebbe arrivare a registrare una contrazione del 10% nel 2009.

Istituzioni internazionali e varie

FMI e gli asset tossici (6 aprile).
Aumentano drammaticamente le stime del Fondo Monetario Internazionale sulla mole delle attività "tossiche" accumulate nei bilanci di banche e compagnie assicurative: a 4.000 miliardi di dollari, secondo quanto riporta il quotidiano britannico The Times, che cita la bozza di un rapporto che verrà pubblicato il 21 aprile prossimo. Un valore che rappresenta quasi il doppio rispetto ai 2.200 miliardi indicati dallo stesso Fmi appena lo scorso gennaio 2009. Per le attività tossiche originate negli Stati Uniti si stima un valore complessivo pari a 3.100 miliardi di dollari, a cui si aggiungono altri 900 miliardi di dollari dall'Europa. E «per la fine del mese queste stime potrebbero essere ulteriormente aggravate», avverte il quotidiano. Il rapporto definitivo verrà pubblicato nell'imminenza degli incontri di primavera di Fmi e Banca Mondiale, il 25-26 aprile a Washington. Questi dati rappresenteranno un «colpo per i governi - rileva il Times - che hanno già iniettato miliardi di dollari nel sistema bancario». Tuttavia queste stime non coglieranno di sorpresa gli economisti, che in diversi avevano suggerito come l'ammontare degli asset di difficile valutazione doveva risultare più ampio di quanto indicato in precedenza.
L'OCSE e i paradisi fiscali (7 aprile).
Non c'è più nessun Paese nella «lista nera» dei paradisi fiscali diffusa dall'Ocse dopo il G20 di Londra. Lo ha annunciato il segretario generale dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, Angel Gurria, sottolineando che Uruguay, Costa Rica, Filippine e Malaysia hanno preso l'impegno di rispettare le norme fiscali internazionali e precisando, però, che saranno mantenute le altre due liste (bianca e grigia). «Il 2 aprile - ha detto Gurria in una conferenza stampa - abbiamo comunicato al G20 il fatto che c'erano quattro giurisdizioni che non applicavano ancora in modo ampio la norma internazionale» in materia di scambio di informazioni fiscali. «Oggi, queste quattro giurisdizioni si sono tutte impegnate pienamente a procedere a scambi di informazioni fiscali in funzione delle norme Ocse». L'Uruguay, il Costa Rica, le Filippine e la Malaysia si uniranno quindi ai 38 paesi iscritti nella «lista grigia» pubblicata dall'Ocse e che comprende i paesi che si sono impegnati a scambiare informazioni fiscali ma che non hanno ancora firmato gli accordi bilaterali con stati membri del'Ocse. «Fra le 84 giurisdizioni che l'Ocse segue regolarmente - ha quindi aggiunto Gurria - non ce n'è più nessuna che faccia parte» della «lista nera». Il segretario generale si è rallegrato per «un progresso assolutamente significativo» che è stato reso possibile dalla mobilitazione dei leader riuniti a Londra il 2 aprile per il vertice del G20.
BCE, bollettino di aprile (9 aprile).
"L'economia mondiale, inclusa quella dell'area euro, è in forte rallentamento ed è probabile che nel corso del 2009 la domanda continui ad essere molto debole, sia a livello mondiale, sia nell'area dell'euro, per poi registrare una graduale ripresa durante il 2010". E' quanto si legge nel Bollettino di aprile della Bce. I dati disponibili "suggeriscono che l'economia dell'eurozona sia rimasta molto debole agli inizi del 2009. E' probabile - continua il documento - che l'attività continui a essere moderata nella rimanente parte dell'anno, ma ci si attende una graduale ripresa nel 2010". Per la ripresa economica, sottolinea la Banca centrale europea, "è necessario che sia credibile l'impegno dei Paesi a compiere un percorso di risanamento per il ripristino totale di solide posizioni di bilancio, nel pieno rispetto del Patto di stabilità e crescita". Per l'eurozona la Bce rileva che l'evoluzione decisamente avversa degli indicatori economici a breve termine disponibili per i primi tre mesi del 2009 "fa ritenere che la recessione in atto potrebbe rivelarsi già alla fine del primo trimestre di quest'anno la più grave in assoluto dal 1970" in termini di divario tra minimo e massimo. E spiega che la recessione in corso "supera già in termini di durata quella degli anni '70. Dopo il -1,5% su base trimestrale segnato dal pil dell'eurozona nel quarto trimestre 2008, dovuto all'intensificarsi della crisi, "le indagini e gli indicatori mensili segnalano un'analoga netta contrazione dell'attività nel primo trimestre del 2009". In questo quadro, si legge nel bollettino, il flusso dei prestiti alle imprese e alle famiglie "è rimasto molto contenuto" anche negli ultimi mesi. Francoforte avverte che "è probabile che l'evoluzione dei prestiti abbia anche risentito degli effetti legati all'offerta". Gli andamenti dei mesi scorsi, spiega infatti, potrebbero parzialmente riflettere i continui sforzi profusi dalle banche e dal settore delle società e delle famiglie per ridurre le posizioni da elevata leva finanziaria assunte negli ultimi anni. La Bce si attende inoltre un'ulteriore diminuzione dell'inflazione complessiva nei prossimi mesi, "che raggiungerebbe livelli temporaneamente negativi intorno alla metà dell'anno". Il carovita "in seguito riprenderebbe a aumentare". Il Consiglio direttivo della Banca centrale europa si aspetta che "la stabilità dei prezzi sia preservata nel medio periodo, sostenendo il potere di acquisto delle famiglie nell'area dell'euro". Per quanto riguarda l'Italia, Francoforte evidenzia che dal 1998 al 2006 l'ammontare della spesa pubblica rispetto al valore totale dell'economia ha segnato una riduzione, dal 49,2% al 48,9% rimanendo tuttavia a un livello superiore alla media dell'area dell'euro, dove è passata dal 48,6% al 46,7%. Guardando ai dati disaggregati sul nostro Paese, emerge che l'incidenza della spesa pubblica è aumentata su tre voci: sanità, dal 5,6% al 7%; protezione sociale, dal 17,7% al 18,2%; affari economici, dal 4% al 5,9%. Nelle sue considerazioni generali, Francoforte avverte che "data la scarsità delle risorse pubbliche, è fondamentale porre in essere piani di spesa efficienti ed efficaci, in grado di migliorare le prospettive di crescita di lungo periodo e assicurare al contempo la sostenibilità delle finanze pubbliche". Serve maggiore efficenza, puntando a rafforzare gli effetti di stimolo della spesa pubblica su produttività e crescita.
Movimenti dal settore delle commodity (11 aprile) .
L'attivismo cinese ha contribuito a una sorprendente ripresa delle commodity, a cominciare dai metalli industriali. I prezzi del rame sono saliti del 31% dall'inizio del 2009, quelli dello zinco del 9,3 e del piombo del 27. Alcuni analisti hammo interpretato questi dati come segnali di una svolta nella crisi. In un contesto di segnali positivi provenienti da varie istituzioni, i movimenti in atto nel settore delle commodity offrono uno scenario interessante. Esso rappresenta un mercato che funge da termometro non solo delle aspettative del mondo delle imprese, ma di giochi strtegici a livello di grandi investitori e di governi, come quello cinese, per meglio posizionarsi nei nuovi equilibri che si produrranno con la ripresa. I metalli potrebbero essere lo strumento privilegiato (comprando future, Etf, Etc) per chi vuole difendersi dai pericoli di un'eventuale inflazione provocata dalle manovre di stimolo economico e dagli elevati indebitamenti degli stati. Gli strumenti finanziari legati alle commodity hanno toccato il fondo nel novembre 2008, perdendo da 2/3 a 3/4 del loro valore, ma, a differenza però di tutte le altre categorie di asset che ancora languono, gli strumenti finanziari legati alle commodity stanno registrando, nel 2009, un forte risveglio. Tra le varie ipotesi la più forte è che la Cina stia perseguendo una diversificazione rispetto ai titoli del tesoro statunitensi, investendo in rame altri metalli.
La Fed intravede progressi (14 aprile 2009)
Si intravedono «progressi» nel processo di stabilizzazione dei mercati. Lo afferma il presidente della Federal Reserve. Ben Bernanke sottolinea che le «fondamenta» dell'economia statunitense sono solide, ma che la stabilizzazione dell'economia non può avvenire senza una ripresa del credito. Bernanke si è detto comunque «ottimista» sull’economia statunitense. Il numero uno della Fed ha osservato che «l'attuale crisi rappresenta uno degli avvenimenti economici e finanziari più difficili della storia moderna», ma, continua, «le fondamenta della nostra economia sono solide e non esistono problemi che non potremo risolvere con intuito, pazienza e persistenza».
Il costo della crisi, valutazioni del Fmi (22 aprile 2009)
La crisi finanziaria globale arriverà a costare oltre 4.000 miliardi di dollari alle sole economie avanzate. Il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) rivede nuovamente al rialzo il costo della crisi finanziaria: le svalutazioni, entro il 2010 - afferma nel Global Financial Stability Report - «potrebbero raggiungere i 4.000 miliardi di dollari, di cui due terzi facenti capo alle banche». Del totale fanno parte, per la prima volta, gli asset originati in tutti i mercati e non solo in quello americano, per il quale la stima delle potenziali perdite è stata portata a 2.700 miliardi, dai 2.200 miliardi di gennaio 2009 e i 1.400 miliardi di ottobre 2008. «Il sistema finanziario globale - aggiunge l'Fmi - resta sotto un severo stress a fronte di una crisi che riguarda famiglie, imprese e banche sia nelle economie avanzate che in quelle emergenti». «Il processo di deleveraging - aggiunge l'Fmi - sarà lento e doloroso nonostante le misure prese».
Secondo l'Fmi, i finanziamenti al settore privato negli Stati Uniti e in Europa «si dovrebbero contrarre a un tasso annualizzato trimestre su trimestre pari al 4%» nel 2009. E la risalita sarà «lenta e dolorosa». Particolarmente preoccupante la situazione nei mercati emergenti dove il contagio si sta rapidamente allargando. Enormi i costi della crisi. Tra Stati Uniti, Europa e Giappone le banche potrebbero vedersi costrette a svalutazioni per 2.810 miliardi di dollari (di cui 340 milioni per asset detenuti nei Paesi emergenti), le assicurazioni per 301 miliardi, le altre istituzioni finanziarie non bancarie, tra cui gli hedge funds, per 1.283 miliardi. Il conto della ricapitalizzazione varia dagli 875 miliardi di dollari necessari per riportare il «leverage» sui livelli pre-crisi, fino ai 1.700 miliardi calcolati se si vuole risalire fino a 15 anni fa, prima che l'attuale modello di sviluppo finanziario, colpevole della «bolla», prendesse piede.
«La sfida principale» della crisi in atto è quella «di spezzare la spirale al ribasso fra il sistema finanziario e l'economia globale» afferma ancora il Fondo Monetario Internazionale che, pur constatando «le iniziative senza precedenti prese nei paesi avanzati nello spezzare» il circolo vizioso venutosi a creare, invita a «ulteriori azioni forti per riportare fiducia e allentare le incertezze che stanno minando le prospettive di una ripresa economica». Un invito che arriva con un'avvertenza: «C'è il rischio che i Governi siano riluttanti ad allocare abbastanza risorse per risolvere il problema», visto che l'opinione pubblica sta assumendo un atteggiamento «disilluso su quello che percepisce, in alcuni casi, come abuso dei fondi dei contribuenti».
L'Fmi sottolinea che per «stabilizzare il sistema bancario e ridurre l'incertezza sono necessari 3 elementi: un ruolo più attivo dei supervisori nel determinare le istituzioni che possono sopravvivere e le appropriate azioni correttive necessarie a garantirne la sopravvivenza; trasparenza nei bilanci; e chiarezza da parte dei supervisori del tipo di capitale richiesto. «Le condizioni per iniezioni di capitale pubbliche dovrebbero essere stringenti», spiega il Fmi, secondo il quale la «ristrutturazione» di un'istituzione «potrebbe anche richiedere una nazionalizzazione temporanea. L'attuale incapacità di attrarre capitali privati suggerisce che la crisi è profonda e che i governi devono compiere un passo in più, anche se questo significa assumere la maggioranza o l'interezza di un'istituzione».
A causa della crisi finanziaria, il debito pubblico italiano salirà nel 2010 al 121% con un incremento di 15 punti percentuali dal 106% del 2008 aggiunge l'Fmi che precisa che i costi finora sostenuti per la stabilizzazione finanziaria sono risultati pari allo 0,9% del pil. I dati sul debito - spiega il Fmi illustrando una tabella del capitolo uno del Rapporto - sono tratti dal World Economic Outlook dell'aprile 2008, mentre le stime sui costi provengono dal dipartimento degli Affari fiscali del Fmi. Il deterioramento dei conti pubblici non è comunque un fenomeno limitato: in Germania il debito 2010 si attesterà all'87% con un aumento di 19 punti percentuali. In Giappone l'incremento sarà di 30 punti percentuali al 227%, mentre negli Usa il balzo sarà di 27 punti al 98%. In Francia, l'aumento sarà di 13 punti percentuali all'80%.
L'Europa dell'Est, già duramente colpita dalla crisi, rischia di contagiare tutto il Vecchio Continente: le forti interconnessioni finanziarie esistenti fra le due aree aumentano il pericolo di un «un ciclo vizioso avverso» all'interno di tutta l'Europa spiega ancora l'Fmi, secondo il quale «i collegamenti» fra Est e Ovest «creano un ciclo di azioni e reazioni che potrebbero esacerbare la crisi». La maggior parte delle economie emergenti europee - spiega l'Fmi - sono infatti dipendenti dalle banche del Vecchio Continente occidentale che, di fatto, possiedono molti degli istituti di credito dell'Europa dell'Est. «Le banche madri - si legge nel rapporto - sono concentrate in pochi paesi (Austria, Belgio, Germania, Italia, Svezia). E questi collegamenti creano un ciclo di azioni e reazioni tra i Paesi dell'Europa emergente e quelli occidentali che potrebbe esacerbare la crisi».
Le borse.
Un segnale di ottimismo proviene dalle borse (venerdì 24 aprile); hanno recuperato, nelle ultime due settimane, gli indici di inizio anno.
La BCE taglia il costo del denaro.
Nuova riduzione e nuovo minimo storico per i tassi di interesse nell’area euro: a partire dal 13 maggio il principale riferimento sul costo del denaro scenderà all’1%, contro l’attuale 1,25 per cento. Lo ha deciso il Consiglio direttivo della Banca centrale europea, nel corso della riunione a Francoforte, effettuando una manovra in linea con le attese dei mercati. Il taglio deciso giovedì porta il costo del denaro al minimo storico da quando la Bce ha iniziato a gestire la politica monetaria nel 1999. Anche se il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet ha sottolineato che l'istituto «non ha deciso oggi che l'attuale livello dei tassi sia il minimo possibile», anche se al momento, ha aggiunto il numero uno della Bce, i tassi «sono appropriati». Il differenziale tra il costo del denaro negli Stati Uniti e quello nell'Eurozona si attesta sull'1%, tenuto conto che la Fed ha praticamente azzerato il tasso sul Fed Funds, fissando un range compreso tra 0 e 0,25%. Diverse, rispetto al tasso di interesse nell’area euro, le dinamiche sugli altri due principali riferimenti dei tassi. Il tasso sulle operazioni di rifinanziamento marginali scende a sua volta di 0,50 punti, all’1,75 per cento, mentre non è stato ritoccato il tasso che la stessa Bce pratica sui depositi che detiene per conto delle banche commerciali: è già allo 0,25 per cento e ridurlo lo avrebbe azzerato.
Il PIL dei paesi dell'OCSE (25 maggio 2009).
Primi tre mesi dell'anno da dimenticare per l'economia della zona Ocse: il Pil ha registrato una contrazione del 2,1% rispetto ai tre mesi precedenti. Si tratta della maggiore flessione dal 1960, quando sono iniziate le rilevazioni" dell'organizzazione, e segue la contrazione del 2% del trimestre precedente. Lo riferisce in un comunicato l'Organizzazione per lo sviluppo economico, in base alle stime preliminari. Su base annua, invece, il Pil ha accusato un calo del 4,2%. I peggiori dati sono di Giappone e Germania, tanto su basi congiunturali (-4% e -3,8%) quanto tendenziali (-9,1% e -6,9%). Il Pil italiano è calato del 2,4% trimestrale e del 5,9% annuo. Nei primi tre mesi dell'anno il trend dell'economia rispetto all'ultimo trimestre del 2008 ha relativamente tenuto solo in Francia (-1,2% dopo -1,5% nel periodo ottobre-dicembre). Pesanti sono infatti i bilanci accusati dall'Eurozona (-2,5% dopo -1,6%) e dall'Ue (-2,5% dopo -1,5%), dal Regno Unito (-1,9% dopo -1,6%) e dagli Stati Uniti (-1,6% sia nel primo trimestre 2009 sia nell'ultimo 2008). Altrettanto gravi le contrazioni accusate dall'economia dei principali membri dell'Ocse nei dodici mesi a tutto marzo di quest'anno, con i dati che evidenziano un generale forte peggioramento della congiuntura. Il Pil dell'Eurozona è crollato del 4,6% (-1,4% il tendenziale nel quarto trimestre dello scorso anno), del 4,4% nell'Ue (-1,4%), del 3,2% in Francia (-1,7%), del 4,1% nel Regno Unito (-2%) e del 2,6% negli Stati Uniti (-0,8%). Gli Stati Uniti hanno contribuito per lo 0,9% al dato tendenziale complessivo dell'Ocse (-4,2%) registrato nel corso dei primi tre mesi dell'anno. Il peso del Giapponeè' stato invece dell'1%, quello dell'Eurozona (13 Paesi) dell'1,3% e quello dei rimanenti Paesi dell'1%. Il Pil delle sette maggiori economie mondiali è sostanzialmente diminuito, secondo la nota Ocse, del 2,2% (-2% in ottobre-dicembre) e del 4,4% tendenziale (-1,8%).
Rapporto di giugno della BCE (12 giugno 2009).
La recessione si attenua notevolmente, ma l'area dell'euro rischia di dover aspettare fino alla metà del 2010 per vedere la ripresa economica, a causa di "effetti ritardanti" dovuti anche all'atteso aggravamento della disoccupazione. Lo prevede la Banca centrale europea nel suo bollettino di giugno. Dopo che i primi due trimestri dell'anno si sono rivelati "fortemente negativi, l'attività economica dovrebbe diminuire a ritmi molto più contenuti nella rimanente parte del 2009 - si legge -. Ci si aspetta che, dopo una fase di stabilizzazione, i tassi di crescita sul trimestre precedente risultino positivi entro la metà del 2010". La scorsa settimana la Bce ha confermato all'1 per cento il principale livello di riferimento sui tassi di interesse, il minimo mai segnato nei suoi 10 anni di attività. Un valore raggiunto dopo che nei mesi precedenti aveva effettuato ripetute riduzioni per rispondere all'aggravamento del quadro economico. Ora l'istituzione monetaria ribadisce che a questo livello il costo del danaro appare "adeguato", termine che potrebbe indicare un orientamento del Consiglio direttivo - in cui siedono tutti i governatori delle banche centrali di Eurolandia - a non modificarlo per il più breve termine. Dal fronte inflazionistico continuano a non giungere segnali di allarme, i banchieri centrali prevedono che "l'evoluzione dei prezzi nell'orizzonte rilevante per la politica monetaria continui a essere frenata dall'indebolimento pronunciato dell'attività economica". Tornando alle prospettive dell'economia, la Bce spiega che la sua previsione di una ripresa che stenterà a manifestarsi "tiene conto di effetti avversi ritardanti che verosimilmente si concretizzeranno nei prossimi mesi, tra i quali l'ulteriore deterioramento delle condizioni nel mercato del lavoro". Altri fattori di rischio riguardano il settore bancario-finanziario. Nel capitolo dedicato all'analisi delle prospettive delle finanze pubbliche dei paesi membri, la Bce mette infatti in guardia dalla possibilità che "si renda necessario fornire ulteriore sostegno al settore bancario o che siano effettivamente utilizzate le garanzie pubbliche", decise nei mesi scorsi. Sempre la scorsa settimana i tecnici della Bce hanno aggiornato le loro previsioni su economia e inflazione, e soprattutto per quest'anno questo ha implicato una revisione peggiorativa sulla crescita. Ora stimano una contrazione del Pil dell'area euro tra il 4,1 e il 5,1 per cento sul 2009, cui seguirà nel 2010 una dinamica tra il meno 1 per cento e il più 0,4 per cento. Sommesse invece le attese sul caro vita, e in questo caso "il Consiglio direttivo si attende che la stabilità dei prezzi sia preservata nel medio periodo, sostenendo il potere di acquisto delle famiglie".
Dati Eurostat sull'occupazione (15 giugno 2009).
Nei primi tre mesi dell'anno, nell'Ue si sono persi 1.916.000 posti di lavoro. E' quanto emerge dai dati diffusi da Eurostat sull'occupazione. Le persone occupate sono pari a 223,8 milioni, di cui 146,2 nell'Eurozona. Nei soli 16 paesi dell'eurozona la perdita di posti di lavoro per effetto della recessione e della crisi economica e' stata pari a un milione 220 mila posti, con una flessione percentuale di occupati dello 0,8. I cali più accentuati si sono avuti in Grecia e in Spagna. Nell'eurozona il tasso di occupazione nel primo trimestre del 2009 si è contratto dell'1,2% in termini tendenziali, registrando il calo piu' vistoso dal 1995 (anno di inizio della rilevazione), mentre per gli ultimi tre mesi del 2008 - dato rivisto - aveva segnato un calo dello 0,4%. Le cadute peggiori, come detto, sono state osservate in Spagna con un calo dell'occupazione del 3,1%. Quindi Slovacchia (-1,9%) e Grecia (-1,8%). Nei giorni scorsi Eurostat aveva rilevato un balzo del tasso di disoccupazione al 9,2% ad aprile, ai massimi da dieci anni (in Usa era al 9,4% a maggio e in Giappone al 5% in aprile).
La disoccupazione nell'Eurozona (30 giugno 2009).
La disoccupazione nella zona euro non è mai stata così alta negli ultimi 10 anni, dall'introduzione della moneta unica. Secondo i dati diffusi da Eurostat a maggio il tasso di disoccupazione è aumentato dello 0, 2% raggiungendo il 9, 5% e sono andati persi 273 mila i posti di lavoro, dato che rappresenta comunque un rallentamento rispetto ai 399 mila di aprile ed i 423 mila di marzo. Per ora le banche centrali negano la possibilità dell'arrivo di una forte deflazione e puntano sulla «disinflazione», cioè un processo temporaneo di prezzi negativi sia alla produzione e sia al consumo. La spinta al ribasso è guidata dalla riduzione dei prezzi delle materie prime, ma anche da quella dei beni durevoli, segno di una domanda di consumo anemica. Inoltre, la flessione del 5, 8% su base annuale, rappresenta un calo record, il maggiore dal 1981, anno in cui Eurostat ha avviato per la prima volta le rilevazioni statistiche. I dati rivelano che il totale dei senza lavoro nei paesi europei sale a oltre 15 milioni, con un aumento di 3, 4 milioni rispetto a un anno fa. Per i giovani sotto i 25 anni il tasso di disoccupazione sale al 19,6%. Anche se sta cominciando a rallentare, la crescita della disoccupazione continuerà nei prossimi mesi secondo le stime dei principali organismi internazionali, tra cui l’Ocse, a esempio, che prevede per il tasso di senza lavoro nell’area euro il raggiungimento del 12, 3% l'anno prossimo. Guardando alla dinamica nei vari paesi, la Spagna mostra la situazione più difficile con un tasso di disoccupazione che a maggio sale al 18, 7%, lo 0, 7% in più rispetto al mese precedente, seguita da Lettonia (+16,3%) ed Estonia (15,6%). Invariata, invece, la situazione in Germania al 7, 7% e in lieve aumento in Francia al 9, 3%.

Eugenio Caruso

Per un approfondimento su come l'Italia sia arrivata al limite del baratro si rimanda al successo editoriale
E. Caruso, L'estinzione dei dinosauri di stato.

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