Se vuoi fare strada, dai strada..
Sam Rayburn
L’articolo è il seguito di
Come si è arrivati alla grande crisi del 2008 Parte I,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte II,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte III,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte IV,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte V,
I passi della crisi 2008 -2010 - Parte VI
I passi della crisi 2008 - 2010 - Parte VII
I passi della crisi 2008 - 2010 - Parte VIII
Con riferimento ai succitati articoli, questo prosegue, per il quarto trimestre del 2010, l’analisi delle performance economiche delle più importanti imprese del pianeta. Con particolare attenzione è analizzata la situazione italiana. Sono, inoltre, presi in considerazione tutte le più importanti iniziative degli stati e delle organizzazioni internazionali e nazionali, nonché gli andamenti delle economie di vari paesi. L’articolo viene aggiornato quasi quotidianamente.
Confindustria: il tavolo delle trattative (5 ottobre 2010).
Emma Marcegaglia, nell'esordio, chiarisce immediamente un aspetto: «Non è un tavolo politico, né è stato organizzato per criticare o supportare la politica. Non ci interessa». È «il tavolo delle parti sociali» ed è mosso dal «senso di responsabilità, con le parti sociali che hanno fatto un passo indietro su interessi particolari per lavorare per il bene del paese». I sindacati si sono detti soddisfatti. Erano quasi venti sigle, tra organizzazioni imprenditoriali e sindacali, attorno al tavolo, nella sede dell'Abi, per il primo appuntamento del negoziato sulla produttività. La ripresa troppo lenta, un decennio di scarsa crescita da recuperare impongono un cambio di passo. «Occorrono impegni comuni su crescita, occupazione e investimenti. Ci giochiamo la capacità di stare sui mercati. E bisogna fare presto», sono state le parole della presidente di Confindustria. Obiettivi condivisi da tutte le forze sociali: «Abbiamo ampiamente discusso e trovato convergenze chiare su analisi e su come fare nell'interesse del paese», ha sintetizzato la Marcegaglia, soddisfatta dell'andamento dell'incontro. Fissati i principi generali, bisognerà scendere nei dettagli: i vari temi saranno divisi e approfonditi in gruppi di lavoro, per arrivare alla conclusione, ha spiegato la Marcegaglia, presto, entro la fine dell'anno, forse anche prima. La presidente di Confindustria ha proposto tre punti di riflessione che riguardano argomenti di pertinenza delle parti sociali ed altri che andranno sottoposti al governo. Tra questi ultimi, la riforma del fisco: fatti salvi i saldi di finanza pubblica, viste le decisioni della Ue sul patto di stabilità, bisognerà lavorare a un'ipotesi che «a invarianza della pressione fiscale porti ad una ricomposizione in favore di lavoratori e imprese». Quindi imprenditori e sindacati, di comune accordo, «indicheranno dove aumentare la tassazione» per arrivare a questo riequilibrio. Sempre alla politica sarà rivolta la richiesta di andare avanti sulle riforme a costo zero, come le semplificazioni, e di spendere bene i fondi Fas. Ci saranno richieste anche su ricerca, innovazione, funzionamento della Pubblica amministrazione, mentre le parti chiederanno di avere voce sui tagli alla spesa pubblica improduttiva. Un altro pacchetto di richieste riguarda la proroga degli ammortizzatori in deroga per il 2011 (su cui il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi nei giorni scorsi aveva già dato la sua disponibilità), la detassazione del salario di produttività per un periodo più lungo, la garanzia della pensione per i lavoratori in mobilità che rischiano di perdere l'aggancio alla finestra del pensionamento. Il leader dela Cgil Guglielmo Epifani chiede l'estensione degli ammortizzatori ad altri 500mila lavoratori. Poi ci sono gli impegni che possono essere presi dalle parti: «Cosa possiamo fare noi?», si è chiesta la Marcegaglia nel suo intervento. «Lavorare sulla capacità di attrarre investimenti e in particolare aumentare gli investimenti al Sud». E poi c'è il compito di aumentare la produttività ed «un miglior incontro tra salario e competitività delle imprese». Quel "tagliando" all'accordo della riforma contrattuale del 2009, che ha il significato di disgelo con la Cgil.
Governo: 28 grandi opere (5 ottobre 2010).
Il governo sceglie 28 grandi opere prioritarie su cui far confluire fondi e sforzi amministrativi e quantifica in 19,1 miliardi le risorse incagliate in vecchi progetti che possono essere sbloccate e riprogrammate nel corso del triennio 2011-2013. Sono queste le due novità principali contenute nell'ottavo allegato infrastrutture, il documento curato dai ministeri delle Infrastrutture e dell'Economia che quest'anno è stato associato alla «Disposizione di finanza pubblica». C'è una terza novità nell'allegato, importante per la politica del trasporto aereo in Italia: il riferimento al rapporto sullo stato del sistema aeroportuale, lo studio curato da One Works, Kpmg e Nomisma, che dovrebbe portare nel 2011 all'elaborazione di un vero e proprio action plan aeroportuale. L'annuncio di questo sviluppo è appunto nell'introduzione all'allegato scritta di suo pugno dal ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, proprio per ricordare le priorità della politica della mobilità per il prossimo anno. Gli altri otto capitoli della politica che il titolare di Porta Pia dice di voler perseguire sono la liberalizzazione della rete ferroviaria comunitaria, una nuova offerta di mobilità nel trasporto locale, una offerta portuale capace di interagire davvero con le reti, un abbattimento del costo del trasporto e della logistica, l'avvio concreto della realizzazione dei valichi ferroviari del Frejus e del Brennero, una nuova organizzazione della distribuzione delle merci, l'istituzioni delle società di corridoio, la riforma del rapporto tra concedente e concessionario. La quantificazione delle risorse incagliate recuperabili per finanziare i nuovi progetti e le infrastrutture prioritarie è certamente la parte di maggiore attualità del documento di programmazione. La prossima riunione del Cipe, che dovrebbe tenersi in settimana, avvierà infatti una prima tranche della ciclopica operazione prevista dalla manovra di fine maggio: a questa riprogrammazione è demandato il compito di reperire le risorse per mandare avanti la legge obiettivo e la politica delle infrastrutture, in assenza o nella scarsità di nuove risorse. Questa prima tranche dovrebbe riguardare circa 300-350 milioni che saranno ridestinati ai cantieri che più stanno tirando in questo momento: il Mose di Venezia. Non è ancora chiaro da dove arriveranno queste prime risorse, ma l'allegato infrastrutture traccia un quadro sommario dei capitoli di spesa incagliati che verranno sbloccati: circa 3,7 miliardi dovrebbero arrivare dagli interventi della manovra di fine maggio, 3 miliardi dal Fas e altri tre dai piani regionali finanziati dal Fas, mentre 3,8 miliardi dovrebbero arrivare da fondi comunitari. Va per altro considerato che il quadro finanziario dei fabbisogni evidenziati dall'allegato non si ferma a questi 19,1 miliardi: le risorse necessarie ammontano infatti a 33,1 miliardi, di cui 19,7 da impiegare al sud e 13,4 nel centro-nord. Più significativo e realistico l'ammontare di quattro miliardi considerato necessario nel prossimo triennio per sei opere fondamentali da realizzare per «lotti costruttivi»: Torino-Lione, tunnel del Brennero e Fortezza-Verona, terzo valico dei Giovi, Verona-Padova, Venezia-Trieste, Milano-Verona. Nella scelta delle 28 priorità - che diventano 34 in un altro punto del documento se si assume come orizzonte il 2020 - non c'è nulla di veramente nuovo se non forse la consacrazione di opera prioritaria per il sud del nuovo asse ferroviario Napoli-Bari. Per il resto si tratta delle infrastrutture strategiche largamente condivise, finalmente inserite in una lista ristretta.
FMI: la ripresa perde slancio (6 ottobre 2010).
La ripresa economica mondiale stenta e mostra i segni di un risanamento parziale e incompleto, tanto nel funzionamento del sistema finanziario internazionale quanto nei bilanci pubblici degli Stati, oppressi da uno squilibrio preoccupante. Questo il responso del Fondo monetario internazionale, che mostra preoccupazione anche per i conti delle banche: «Nonostante i miglioramenti i rischi del sistema bancario sono più elevati oggi rispetto a quelli descritti lo scorso aprile. La fiducia non è stata pienamente recuperata e le vulnerabilità finanziarie persistono» aggiunge il Fmi. «La ripresa economica - scrive l'Fmi - ha iniziato a perdere slancio dopo un primo semestre migliore del previsto: i rischi di bilancio restano elevati nelle economie avanzate. Significative debolezze strutturali restano nei conti pubblici e potrebbero contagiare il sistema finanziario con conseguenze negative per la crescita nel medio termine». Per l'Fmi «difficoltà restano nell'area euro a causa dell'interazione negativa fra i rischi legati ai debiti degli stati con quelli del sistema bancario». Ma non è migliore la situazione negli Stati Uniti e in Giappone. «Il sistema finanziario resta il tallone d'Achille della ripresa economica», dice il Fondo, sottolineando come dall'aprile 2010 «i progressi verso la stabilità finanziaria hanno subito un rallentamento». «Siamo in un periodo di elevata incertezza per la stabilità finanziaria. La ripresa economica procede accompagnata da una sostenuta volatilità del mercato». Sul banco degli imputati i governi: «Se la politica non terrà fede agli impegni di risanamento, o non li accompagnerà alle riforme strutturali necessarie per generare la crescita le vulnerabilità si faranno più acute». Per l'Fmi, «Grecia e Italia hanno ambedue un elevato livello di debito e forti stabilizzatori automatici, presentando rischi di bilancio più elevati. Anche il Belgio e l'Olanda sono vulnerabili perché i loro bilanci sono più sensibili al deterioramento della crescita economica». Il Fondo prevede per l'Italia un debito 2010 al 118,4% del Pil (al 118,5% nel 2015) contro il 130,2% della Grecia. I tecnici di Washington hanno elaborato una «ricetta» in cinque punti per salvaguardare la ripresa e «aiutare a ridurre il rischio che i timori per una crisi del debito compromettano la stabilità finanziaria». Rafforzare i conti pubblici: i piani in questo senso devono tenere conto delle circostanze specifiche di ogni paese ed essere accompagnati, dove necessario, da riforme strutturali per rafforzare la crescita. Exit strategy: le banche centrali e i governi devono restare aperti, se e dove necessario, alla possibilità di fornire sostegno finanziario e rendere le exit strategy contingenti ai progressi sul fronte economico e della stabilità finanziaria. Regole e chiarezza: il Fondo promuove Basilea 3, che migliora gli standard di liquidità e rende più forte il capitale. «Ma serve di più: è essenziale un'ampia agenda di riforma per il settore finanziario che vada al di là dell'industria bancaria e gestisca i rischi sistemici creati dalle singole istituzioni e in generale». Rigidità del settore bancario: in alcuni paesi, sia all'interno sia all'esterno dell'Europa, istituzioni finanziarie deboli e non vitali devono ancora essere completamente risolte e forzate a ritirarsi da attività non redditizie per ridurre un eccesso di capacità.
Paesi emergenti: dovrebbero essere prese misure lo sviluppo dei mercati dei capitali locali e per il rafforzamento delle regole e della supervisione così da rafforzare la capacità di assorbimento dei locali sistemi finanziari.
Istat e Bankitalia: ripresa lenta (7 ottobre 2010).
Una ripresa più lenta in Italia che negli altri paesi europei e una stima di crescita per il 2010 dell'1,2% leggermente ottimistica: è questo il quadro delineato dalla staffetta delle audizioni di Istat e Bankitalia davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato in merito al nuovo strumento della Dfp, la Decisione di Finanza Pubblica. L'Istat, con il presidente Enrico Giovannini, ha promosso il nuovo strumento per avere maggiori elementi sui conti e il bilancio in quanto «l'impostazione del documento appare coerente con il quadro di rafforzamento delle procedure di controllo della qualità dei dati di finanza pubblica delineato in ambito europeo con il nuovo regolamento Ue». Giovannini, poi, ha affermato che la ripresa in Italia è più «lenta» degli altri paesi europei e che poiché la caduta del Pil è stata «analoga» a quella della Germania e «molto maggiore» comparandola con Francia, Regno Unito e Spagna, questo ha comportato un aumento del «divario» con queste economie: «Questo - ha proseguito - si riflette nell'allargamento del divario rispetto a queste economie accumulato nel corso della crisi, con effetti di trascinamento anche nel 2011. D'altro canto, la previsione di una crescita del Pil pari all'1,2% fissata nella Dfp per il 2010 è coerente con il mantenimento, nella seconda parte dell'anno, con un ritmo di crescita pari a circa lo 0,4% in ciascun trimestre». Sull'occupazione, invece, non si possono ancora definire dati certi. Per Giovannini «dall'inizio dell'anno il tasso di occupazione delle persone in età da lavoro è rimasto sostanzialmente stabile, e al netto della stagionalità, è risultato pari in agosto al 56,9%, un livello decisamente basso nel confronto internazionale». La dinamica dei prezzi, secondo il presidente dell'Istat non deve destare preoccupazione, eccezion fatta per il ritmo di crescita su base annua di quelli dei servizi, che «dall'inizio dell'anno è rimasto costantemente al di sopra di quello registrato in Francia, Germania e Spagna e, in media, oltre mezzo punto percentuale al di sopra di quello dell'Uem». In linea con Giovannini anche il direttore generale della Banca d'Italia, Fabrizio Saccomanni, intervenuto in audizione subito dopo il presidente Istat: «Il quadro macroeconomico resta difficile: la ripresa mostra segni di debolezza», ha detto. Inoltre, le proiezioni di crescita per l'anno in corso (1,2%) contenute nel quadro macroeconomico sottostante alla Dfp, secondo Saccomanni sarebbero «leggermente ottimistiche». Il prelievo fiscale in Italia è «gravoso nel confronto internazionale», ed è importante che «i progressi nel contenimento della spesa corrente e nel contrasto all'evasione fiscale si traducano quanto prima in riduzioni delle aliquote d'imposta sul lavoro e sulle imprese e in una ripresa degli investimenti». «Il sistema fiscale italiano è caratterizzato da un elevato prelievo complessivo a carico dei contribuenti che ottemperano pienamente agli obblighi. Il cuneo fiscale sul lavoro – ha spiegato Saccomanni - è superiore di circa 5 punti alla media degli altri paesi dell'area euro, il prelievo sui redditi da lavoro più bassi e quello sulle imprese, includendo l'Irap, sono più elevati di circa 6 punti». E la spesa si conterrà anche con l'innalzamento dell'età di pensionamento. Inoltre, «l'uscita dalla crisi deve essere un'opportunità per porre le basi per attuare riforme strutturali che accrescano la produttività e la competitività del nostro paese», come ad esempio le liberalizzazioni.
La produzione industriale in crescita (11 ottobre 2010).
In Italia a produzione industriale ad agosto è aumentata del 9,5% (dato corretto per gli effetti di calendario) rispetto allo stesso mese del 2009 e dell'1,6% (dato destagionalizzato) rispetto al luglio 2010. Si tratta, comunica l'Istat, del miglior risultato tendenziale dal dicembre del 1997. La produzione industriale di autoveicoli è invece calata del 17,3% tendenziale, ad agosto, secondo l'indice grezzo misurato dall'Istat. In otto mesi, la crescita è stata del 5,7%. Secondo l'indice corretto per gli effetti di calendario, invece, la produzione di auto è scesa del 20,2% tendenziale ad agosto, mentre in otto mesi è salita del 6,2%.
In Francia la produzione industriale francese è rimasta stabile in agosto su base mensile, deludendo le attese degli economisti che si aspettavano una crescita dello 0,3% da luglio. Il dato di luglio è stato rivisto dall'Insee, l'istituto di statistica francese, al ribasso a 0,8% da 0,9%. La produzione nel settore manifatturiero è pure rimasta invariata in agosto da luglio, contro un rialzo dell'1,2% il mese prima.
Tempi duri per le Regioni in deficit (11 ottobre 2010).
Con questo decreto le tasse diminuiranno», giura il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli. «Al contrario – ribatte Francesco Boccia, coordinatore delle commissioni economiche del Pd alla camera – le tasse in più sono sicure». Chi ha ragione? Il dato certo è che la «pressione tributaria complessiva» del paese non potrà superare i tetti fissati dalla «decisione di finanza pubblica» (il vecchio Dpef), e che su questo limite vigilerà una «commissione di coordinamento» composta da governo e amministrazioni territoriali. Ciò che succederà nelle singole regioni, invece, dipende appunto dalla salute dei conti locali. I sistemi federalisti promettono tasse più leggere dove i conti pubblici tengono e più pesanti nei territori che hanno vissuto parecchi problemi di amministrazione, come hanno imparato bene i cittadini romani dopo la triplice ondata di super-aliquote introdotte per coprire i buchi della sanità e del Campidoglio. Il decreto sul federalismo regionale e provinciale approvato giovedì in prima lettura promette di intensificare queste dinamiche, preparando però anche premi molto più appetitosi nei casi in cui i bilanci pubblici non siano un problema. Per i cittadini, in realtà, le "minacce" sembrano più dirette rispetto alle "promesse". Dopo il 2013, le regioni potranno infrangere il limite attuale dell'addizionale Irpef, che oggi si attesta all'1,4% (1,7% in Lazio, Molise, Campania e Calabria, dove c'è da recuperare l'extradeficit della sanità): nel 2014 potranno arrivare al 2%, e dal 2015 si potrà toccare il 3%. Tradotto in cifre, l'aumento potenziale massimo triplica il conto rispetto ai territori che oggi pagano lo 0,9%. Un reddito da 60mila euro, per esempio, oggi paga tra i 540 e gli 840 euro all'anno, arriva a 1.020 euro nelle regioni colpite dall'extradeficit ma potrà vedersene chiedere 1.800 dal 2015. Per una dichiarazione da 45mila euro, si potrà passare da 405 a 1.350 euro all'anno. Prima di assumere misure così impopolari, naturalmente, i governatori faranno di tutto, e potranno parametrare le richieste ai redditi, seguendo però l'articolazione delle fasce stabilita a livello nazionale. Il decreto, poi, introduce una clausola di salvaguardia che esclude dalla stretta del fisco locale i redditi dei primi due scaglioni, purché siano il frutto di lavoro dipendente o di pensione nata in relazione a questa forma di occupazione. Niente freno agli aumenti, invece per i professionisti e gli autonomi in generale, che almeno in teoria potrebbero vedersi inasprite le richieste delle regioni anche se i loro redditi si fermano nelle prime due fasce. Benefici maggiori dovrebbero invece arrivare dalla possibilità, assegnata ai governatori dal decreto, di irrobustire in chiave locale le detrazioni per carichi di famiglia previste dalla legislazione nazionale; all'interno di queste misure, la cui generosità dipenderà ancora una volta dalla salute delle finanze, potranno essere riordinate anche le varie forme di voucher e sussidio che oggi i territori collegano a servizi come la scuola. Per le imprese l'annuncio suona quasi irresistibile, e si chiama «Irap zero». Dal 2014 le regioni potranno cominciare a limare l'aliquota e, almeno in teoria, arrivare ad azzerarla. Ogni punto di aliquota (oggi la base è il 3,9%) vale 10mila euro di tasse per ogni milione di base imponibile, e ogni intervento in questo senso si tradurrebbe in un'iniezione di competitività soprattutto sul costo del lavoro, che rappresenta la voce più colpita dal meccanismo dell'imposta regionale. Le regioni potranno agire solo sulle aliquote, senza cambiare il mix di voci che alimenta le imposte e senza introdurre discipline di favore mirate che possono rivelarsi a rischio di bocciatura Ue come «aiuti di stato». Potranno farlo, comunque, solo con i conti in ordine: per gli altri rimane la possibilità di raggiungere il 4,82%, o il 4,97% se i bilanci sono drammatici.
Raffreddamento della tensione su Atene (12 ottobre 2010).
Due notizie rassicuranti per i conti pubblici di Atene. Il deficit è calato del 31,1% a 16,234 miliardi di euro nei primi 9 mesi del 2010 e il rendimento dei titoli di Stato all'asta odierna è sceso al 4,54%, dal 4,82% del 14 settembre per lo stesso tipo di emissione. L'ammontare iniziale dell'asta era di 900 milioni, ma l'offerta è stata aumentata per fare fronte alle richieste largamente superiori alle attese (la corsa ai titoli ad alto rendimento è una costante di questo 2010). A fronte di una domanda di 3,795 miliardi - ha precisato l'Organismo per la gestione del debito pubblico greco - sono stati collocati titoli a sei mesi per un valore di 1,7 miliardi di euro. Un segnale del raffreddamento della tensione sul debito pubblico di Atene quindi che parte dai numeri sul deficit. Il dato è leggermente migliore rispetto alle stime del Governo che puntavano su una riduzione del 29%. Il ministero greco delle Finanze pubblica questi dati mensilmente nel quadro dello sforzo per riassestare le finanze statali, pilotato dalla Ue e del Fondo Monetario Internazionale, in cambio di un prestito di 110 miliardi su tre anni. Nonostante i buoni risultati sul fronte del contenimento del deficit, Atene è comunque preoccupata che le scadenze per la restituzione di questo finanziamento, sommate a quelle del debito pubblico possano far ritornare la Grecia sull'orlo del baratro. Per evitare che ciò accada il ministro delle finanze Georges Papaconstantinou ha fatto sapere, in un'intervista all'emittente greca Skai, di aver avviato "colloqui informali" con Ue e Fondo Monetario Internazionale per un allungamento oltre la scadenza del 2015 del prestito. «Un tale accordo - ha tenuto comunque a sottolineare Papaconstantinou - non equivarrebbe a una ristrutturazione del debito greco. Dell'ipotesi di un allungamento del prestito aveva peraltro già parlato il direttore dell'Fmi, Dominique Strauss-Khan, e Papaconstantinou ha osservato che un rimborso nei tempi previsti provocherebbe un'impennata delle scadenze greche nel 2014-2015 da 40-50 miliardi all'anno a 70 miliardi. «Se sarà presa una decisione, sarà per premiare il lavoro di risanamento compiuto e non per sanzionare l'incapacità di raggiungere i nostri obiettivi, cosa che darebbe ai mercati un messaggio totalmente sbagliato», ha aggiunto Papaconstantinou. Non la vedono allo stesso modo in Germania. Ai tempi più duri della crisi greca Berlino aveva opposto le maggiori resistenze al salvataggio (che avrebbe pesato soprattutto sulle sue finanze in quanto "azionista di maggioranza della Ue"). Un portavoce del ministro delle Finanze tedesco ha fatto sapere che «la Germania è contraria alla proroga della restituzione dei debiti della Grecia verso l'Ue e il Fmi». Per poi aggiungere: «Finchè adempiono il programma non c'è alcun motivo per allungare il programma di pagamento».
Opportunità per le donne: Italia ultima in Europa (13 ottobre 2010).
Non è una sorpresa ma i nuovi dati del Global gender gap report 2010 del World economic forum indicano un peggioramento rispetto al passato. «Il rapporto del 2010 - spiega Saadia Zahidi, direttore del World Economic Forum - tiene conto dei dati raccolti negli ultimi cinque anni. Il risultato emerso indica come dei 114 paesi in esame in questo arco di tempo l'86% abbia registrato un miglioramento delle differenze d genere, mentre solo il 14% ha visto un peggioramento». L'Italia rientra nella minoranza che ha visto le condizioni delle donne in peggioramento con la conseguente discesa dell'Italia al 74esimo posto della classifica dal 72esimo del 2009 e dal 67esimo del 2008. In particolare ci penalizza l'accesso e le opportunità delle donne nel mondo del lavoro. In questo ambito l'Italia scende addirittura al 95esimo posto su un panel di 134 paesi dell'ultimo rapporto. La differenza più rilevante è nella partecipazione alla forza lavoro che vede, secondo i dati del World economic forum, le donne impegnate al 52% mentre gli uomini raggiungono il 74 per cento. In particolar modo in Italia resta molto lenta la crescita del peso delle donne sulla forza lavoro complessiva: se negli Stati Uniti, a esempio, dal 33% del 1950 le donne ora contano per il 50% dei lavoratori Usa, in Italia si è passati dal 30% del 1960 al 40,7% del 2010. Non solo, la presenza femminile nelle posizioni di comando è pari a circa un terzo del totale (33%). Un divario particolarmente pesante sopravvive anche a livello di salari: le donne italiane guadagnano in media il 50% degli uomini con stime che nel report indicano circa 20mila euro annui per le retribuzioni «donne» e circa 40mila euro per le buste paga «uomini». Nel quadro poliico l'Italia non fa meglio, ma in questo è in buona compagnia tanto che scala al 54esimo posto della classifica nonostante la presenza delle donne in parlamento sia limitata al 21% e fra i ministri al 22 per cento. Inoltre ci penalizza il fatto di non aver mai avuto un capo di stato donna negli ultimi 50 anni. Fiore all'occhiello del paese è, invece, l'accesso delle donne all'educazione. In questo caso l'Italia si posiziona al 49esimo posto della classifica grazie a parcentuali vicine al 100% per l'istruzione primaria e secondaria di entrambi i sessi. Per l'istruzione superiore, invece, le ragazze superano di gran lunga i ragazzi con il 79% contro il 56% per cento. D'altra parte le studentesse sono ormai il 60% dei laureati italiani e in media vantano un punteggio maggiore (106 contro 104) in un arco di tempo di studi inferiore (età media 26,8 anni contro 27,5 anni). Ancora una volta esce vincente a livello mondiale il modello dell'Europa del Nord. Svetta per il secondo anno consecutivo l'Islanda, che proprio nel periodo di crisi affidò il risanamento delle prime due banche nazionali a due manager donna. Segue a ruota la Norvegia, primo paese al mondo ad aver introdotto le quote di genere nella composizione dei cda nel 2006 e che oggi ha un'occupazione femminile al 74,4%, il 41% di donne nei cda e il 39,6% di donne in parlamento. Terza in classifica la Finlandia, che può vantare un'occupazione femminile al 68,2% (contro il 69,5% degli uomini) il 23,6% di donne nei cda grazie al codice di corporate governance che chiede un equilibrio fra i generi e il 40% di donne in parlamento. Nella classifica generale c'è da segnalare poi la discesa al 46esimo posto della Francia nell'edizione 2010 a causa della diminuzione delle donne nel governo Sarkozy. Di contro gli Stati Uniti risalgono dodici posizioni ed entrano per la prima volta nella top20 al 19esimo posto grazie alle numerose donne che ricoprono ruoli di comando nelle istituzioni e nel governo e alla diminuzione del gap nelle retribuzioni.
Caritas-Zancan: cresce la povertà in Italia (14 ottobre 2010).
Cresce la povertà tra le persone di mezza età, i separati e i divorziati, le donne sole con figli, i precari, i licenziati, le famiglie monoreddito. Questo è il quadro dell'Italia disegnato dal decimo rapporto su povertà ed esclusione sociale della Caritas Italiana e della Fondazione Zancan che hanno riunito i segnali di tendenza provenienti dagli oltre 150 Osservatori diocesani delle povertà e delle risorse presenti in tutta Italia. Nel biennio 2009-2010, nel periodo della crisi economica, si registra un aumento medio del 25% del numero di persone che si rivolgono alla Caritas per chiedere aiuto. Questo aumento interessa in uguale misura tutte le regioni d'Italia. Fra queste persone, cresce del 40% la presenza di italiani, anche se una gran parte di povertà italiana continua a rimanere sommersa. L'aiuto della Caritas coinvolge sempre meno individui singoli. Sono interi nuclei familiari quelli che vanno a chiedere sostegno ai centri di ascolto. Si stima siano circa un milione le persone che beneficiano ogni anno del loro intervento. L'esperienza dei centri di ascolto evidenzia, fra l'altro, «scarsa tempestività degli enti locali nell'affrontare le nuove povertà». Per il rapporto, lo stato di povertà «è sempre più veloce, complesso, multidimensionale. Anche se non si rimane a lungo in situazione di disagio economico, il persistere del '"fiatone" economico e il progressivo esaurimento delle risorse determina situazioni di disagio psicologico e conflittualità intrafamiliare». La povertà registrata da Caritas e Fondazione Zancan si traduce, nella vita di tutti i giorni in difficoltà a pagare la spesa, il mutuo e le cambiali, evidenziata nel 2009 dal 14% di persone in più rispetto al 2008. Contrariamente ad altri paesi europei, in Italia più alto è il numero di figli maggiore è il rischio di povertà. I poveri in Italia sarebbero 8.370.000 e non 7.810.000 come dicono i dati ufficiali dell'Istat, ossia circa 560 mila persone in più (+ 3,7%). «Non è vero - afferma il rapporto Caritas-Zancan, - che siamo meno poveri come farebbero pensare i dati ufficiali sulla povertà, del luglio 2010, che parlano di povertà stabile». Un'affermazione, secondo il rapporto, basata su calcoli che danno «un'illusione ottica». Alle stime sui poveri, va aggiunto un 10%, quindi circa 800 mila italiani, di impoveriti. Persone che pur non essendo povere hanno però cambiato il proprio tenore di vita e vivono in «forte fragilità economica». I dati Istat hanno il merito fondamentale di dare un unico dato. Senza quei dati la povertà resterebbe un fenomeno sconosciuto. Però i dati vanno interpretati. Il fenomeno che risente della crisi economica va letto anche secondo una «lettura» qualitativa, sostiene Francesco Marsico, vicedirettore della Caritas Italiana che con l'Istat sta conducendo un'indagine sui senza fissa dimora. E, come precisa l'istituto di statistica, «non esiste alcuna polemica con la Caritas», come era apparso nell'interpretazione di alcune cifre. Istat e Caritas, infatti, collaborano da anni in maniera proficua: «I dati dell'Istat - dice Francesco Marsico - non sono da criticare o da correggere. Sono solo da leggere e questo è il nostro obiettivo. Il nostro lavoro è quello di interpretare la povertà relativa non solo come un fenomeno legato ai consumi. Vogliamo tentare di dare un volto a quelle percentuali a partire dall'esperienza quotidiana che abbiamo sui territori». L'impressione del contrasto deriva da un ragionamento esposto nel rapporto Caritas-Zancan che non discute i dati ma una delle interpretazioni possibili. Che darebbe una visione parziale della realtà . «Secondo i dati Istat lo scorso anno l'incidenza della povertà relativa è stata pari al 10,8% (era 11,3% nel 2008), mentre quella della povertà assoluta risulta del 4,7%. Si tratta di dati stabili rispetto al 2008. Questa è la lettura reale "dell'illusione ottica". Succede che, visto che tutti stanno peggio, la linea della povertà relativa (vedi Nota) si è abbassata, passando da 999,67 euro del 2008 a 983,01 euro del 2009 per un nucleo di due persone. Se però aggiornassimo la linea di povertà del 2008 sulla base della variazione dei prezzi tra il 2008 e il 2009, il valore di riferimento non calerebbe, ma al contrario salirebbe a 1.007,67 euro. Con questa posizione di ricalcolo, alzando la linea di povertà relativa di soli 25 euro mensili, circa 223 mila famiglie diventano povere relative: sono circa 560 mila persone da sommare a quelle già considerate dall'Istat (cioè 7.810.000 poveri) con un risultato ben più amaro rispetto ai dati ufficiali: appunto 8.370.000 i poveri nel 2009 (+3,7%)». La povertà si conferma un fenomeno del Sud, delle famiglie numerose o monogenitoriali, di chi ha bassi livelli di istruzione. Inoltre - continua il rapporto - «sempre più famiglie, in cui più membri lavorano, sono povere». Infatti, «accanto ai dati ufficiali ci sono le persone impoverite che pur non essendo povere, vivono in una situazione di forte fragilità economica. Sono persone che, soprattutto in questo periodo di crisi, hanno dovuto modificare, in modo anche sostanziale, il proprio tenore di vita, privandosi di beni e servizi, precedentemente ritenuti necessari». Ecco alcuni dati che confermano questa situazione: nel 2009 il credito al consumo è sceso dell'11%, i prestiti personali del 13% e la cessione del quinto dello stipendio a settembre 2009 ha raggiunto il +8%. Il rapporto calcola un 10% in più di poveri da sommare agli oltre 8 milioni stimati. Gli ammortizzatori sociali non bastano, sostiene il rapporto Caritas-Zancan, «sono costati nel 2009 ben 18 miliardi di euro, una cifra enorme per un argine utile, ma fragile». Dati del 2008 segnalano che il 68,9% degli utenti Caritas sono stranieri, il 30,7% italiani. Rispetto ai bisogni, il 65,9% riguardano la povertà, il 62% l'occupazione, il 23,6% l'alloggio. Le richieste, per circa il 50%, si riferiscono a beni e servizi materiali, come viveri e vestiti. (Nota. Il livello di povertà relativa è individuato attraverso il consumo pro-capite o il reddito medio, ovvero il valore medio del reddito per abitante, quindi, la quantità di denaro di cui ogni cittadino può disporre in media ogni anno e fa riferimento a una soglia convenzionale adottata internazionalmente che considera povera una famiglia di due persone adulte con un consumo inferiore a quello medio pro-capite nazionale.)
Le PMI italiane (15 ottobre 2010).
Come hanno resistito le Pmi italiane alla crisi? Quali insegnamenti hanno tratto per il futuro? E come sapranno reagire a un mondo che esce completamento cambiato dal terribile biennio 2008-2009? Domande da milioni di euro alle quali cercherà di rispondere, a Prato, il XII Forum Piccola Industria organizzato da Confindustria. La due giorni, sotto la guida di Vincenzo Boccia, presidente nazionale Piccola industria, promette di essere scoppiettante. Soprattutto per la politica, spesso chiamata in causa dagli imprenditori negli ultimi mesi affinché riduca la pressione fiscale, semplifichi le procedure burocratiche e amministrative, crei rapidamente le basi per una riduzione dei costi energetici e acceleri l'ammodernamento infrastrutturale del paese. Richieste antiche, si potrà dire, ma rese ancora più urgenti dalla visibilità ridotta con la quale gli attori economici sono costretti a fare i conti anche in questa fase di ripresa. Perché uno dei dati più significativi emersi dall'analisi - preparata da Federexport, Confindustria e Luiss Lab sulla base di un sondaggio inviato a oltre 2mila imprese esportatrici e che sarà la base di discussione del Forum - è la "solitudine del piccolo". E dove per solitudine si sottolinea il fatto che circa metà delle nostre Pmi, si legge nell'analisi, «ha dichiarato di non aver ricevuto alcun aiuto e di aver dovuto fronteggiare la crisi attingendo alle risorse proprie». Secondo lo studio che sarà presentato al Forum, la stragrande maggioranza delle Pmi (2 su 3) ha cambiato la propria strategia durante la crisi con le seguenti modalità: aumentando i mercati di sbocco piuttosto che riducendoli con l'obiettivo di mantenere almeno invariata la quota dell'export sul fatturato; potenziando i canali di distribuzione; ampliando la gamma dei prodotti offerti. Uno su quattro dichiara inoltre di aver associato le forniture di prodotti alla vendita di servizi. Quanto alle strategie di innovazione, non solo hanno dovuto puntare su una maggiore differenziazione produttiva (produzioni diverse nell'ambito di uno stesso settore) ma si sono dovute impegnare in una vera a propria diversificazione, esplorando la possibilità di produrre in altri settori.
Le incognite sulla strada del consolidamento della ripresa sono ancora molte, a cominciare dalla variabile valutaria. Il recente apprezzamento dell'euro sul dollaro è una cattiva notizia della quale le Pmi, ma anche le meno piccole, avrebbero fatto volentieri a meno. Per un paese esportatore che non può più contare sullo stellone della svalutazione competitiva, rischia di diventare una discriminante tra stallo e uscita dalla crisi. «Sulla vulnerabilità del made in Italy rispetto alle oscillazioni valutarie - dice Ambra Redaelli, presidente di Piccola industria in Lombardia e amministratore delegato della Rollwasch italiana, produttrice di macchine per il trattamento delle superfici - molto dipende dai settori. Nelle macchine utensili e in genere nell'industria ad alta tecnologia le tensioni si avvertono meno. Poi, da tempo, imprese come la mia e molte altre che conosco personalmente riescono a imporre contratti in euro anche fuori dall'Unione monetaria, il che riduce a zero il rischio di cambio. Ed è una prassi molto più frequente di quanto si possa pensare. Direi che in questo senso l'euro ci ha messo subito al riparo dalle vecchie e violente oscillazioni cui eravamo abituati nei decenni scorsi». Secondo l'imprenditrice, il problema è molto complesso ed essenzialmente politico: «Non è solo una questione di euro-dollaro. C'è il renmimbi (moneta della Repubblica Popolare Cinese), che continua ad essere spaventosamente basso. Mi pare sia in corso una moderna guerra mondiale». Una quota importante delle imprese intervistate, oltre un terzo, ha infine sperimentato sulla propria pelle una recrudescenza del protezionismo, soprattutto nelle grandi economie emergenti (Russia, Cina e Brasile in ordine di importanza del fenomeno) e in Giappone.
Gli asset tossici in mano alle banche (17 ottobre 2010).
Che la notte buia della più grave crisi finanziaria del dopoguerra si stia rischiarando nessuno ha dubbi. Ma da qui a pensare che la crisi debba essere archiviata ce ne corre. Dopo il fallimento di Lehman Brothers il cordone di aiuti pubblici ha evitato la catastrofe, ma bastano le cifre in campo per dire quanto la crisi sia stata e in parte sia ancora grave. L'ultimo dato reso pubblico è del Fondo monetario internazionale che ha stimato in 2.200 miliardi di dollari le perdite delle banche a livello globale nel periodo dal 2007 al 2010. Una cifra impressionante pari al prodotto interno lordo di un grande paese dell'area euro. Soldi andati in fumo nella più grande follia finanziaria degli ultimi decenni. Le banche si stanno lentamente riprendendo, sono tornate in generale a fare utili, ma restano sorvegliati speciali. E ci sono scorie nei bilanci degli istituti di credito che vanno ancora smaltite. Queste scorie, che i più smaliziati chiamano tossiche, sono le attività illiquide: prodotti strutturati, cdo, derivati di ogni tipo che non hanno un prezzo di mercato. Potrebbero valere 100 come 50 o zero. E sono lì congelate per ora nei conti delle banche. a. Solo tra le principali banche europee, come mostra un'accurata analisi di ReS Mediobanca, il peso degli attivi illiquidi (che devono essere classificati a livello 3 nella griglia contabile) superava di poco i 347 miliardi di euro. Una cifra che vale oltre il 4% di tutte le attività regolate a prezzi di mercato. Certo il dato è in forte diminuzione rispetto all'anno clou della crisi, il 2008, quando gli asset tossici in Europa sfioravano i 440 miliardi. Un calo significativo ma resta una montagna di prodotti dal valore non definito tra le pieghe dei bilanci bancari. Il dato preoccupante è che quei 347 miliardi di euro valgono da soli il 52% del patrimonio netto tangibile delle banche esaminate. Che vuol dire tutto ciò? Che c'è solo da sperare sia da parte dei regolatori che da parte dei grandi banchieri che quelle scorie tossiche trovino prima o poi un prezzo il più possibile vicino ai valori di carico. E qui c'entra la dinamica dei mercati: se borse, bond e collaterali continueranno a riprendere quota allora quei prodotti tossichi non saranno più tali. Altrimenti, e qui è la preoccupazione, quel peso così elevato sul capitale rischia di essere una pericolosissima spada di Damocle sospesa sulla testa degli istituti. Se quelle attività si svalutassero anche solo di un 10%, impatterebbero pesantemente sul valore del patrimonio. E come tutti sanno il grande sforzo richiesto alle banche (leggi Basilea 3) è appunto quello di rinvigorire il proprio capitale. Ma cosa emerge da questo spaccato e che la media rende poco rivelatrice? Che ci sono evidentemente banche che poco o nulla hanno da temere e istituti in cui rischi futuri di svalutazioni avrebbero seri effetti. I rischi di Dexia e Deutsche B.Tra queste ultime spicca Dexia con i suoi 58 miliardi di euro di attivi che a fine 2009 erano classificati dalla banca stessa come illiquidi. Quei 58 miliardi valgono il 38% di tutte le attività a fair value della banca franco-belga. E addirittura sei volte il valore del capitala netto. Anche Deutsche Bank che ha appena ricapitalizzato per 10 miliardi aveva in pancia asset tossici per la stessa cifra cioé 58 miliardi, valore che si è confermato anche a fine giugno 2010. L'attivo è ben più elevato e l'incidenza era al 5,9%, ma sul capitale netto tangibile pre-aumento il dato valeva oltre due volte. In generale, e come è ovvio, sono le grandi banche d'affari del Nord Europa ad avere in pancia prodotti strutturati e derivati tossici. È in fondo il loro mestiere, quello di assumersi più rischio e quegli asset tossici sono lì a provarlo. Credit Suisse aveva a fine 2009 l'8% (32 miliardi di euro) di prodotti illiquidi. Secondo la banca a fine 2010 il peso dovrebbe dimezzarsi al 4%. Anche così comunque quella quota continuerà a valere oltre la metà del capitale netto della banca.Hanno pesi elevati sul capitale, istituti come Barclays, Bnp Paribas e Credit Agricole. Il sistema italiano con i suoi 14 miliardi di attivi illiquidi nel 2009 si mostra poco esposto. Certo la dinamica non è incoraggiante dato che a fine giugno 2010 gli asset tossici erano in realtà saliti a quota 16 miliardi. Un po' di tossine erano state nascoste, evidentemente, tra le pieghe dei bilanci.
Il nuovo patto di stabilità (19 ottobre 2010).
Habemus novum pactum». Così il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ha aperto la conferenza stampa organizzata al termine della riunione dei ministri finanziari europei sulla riforma del patto di stabilità e crescita Ue. Dalla riunione, in effetti, è passata la linea del ministro italiano riguardo al computo del debito pubblico: come ha spiegato il direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli, «la sostenibilità e l'andamento della riduzione del debito pubblico saranno valutati sulla base di vari fattori, comprese la situazione e l'evoluzione del debito privato». Grilli ha precisato che conteranno anche la valuta, le politiche in corso, ma i dettagli saranno definiti in un momento successivo. L'accordo, ha spiegato il ministro, impone all’Italia «di mantenere il rigore sul deficit», anche se sul fronte del debito il nuovo Patto non provoca preoccupazioni al nostro Paese. Il ministro non ha nascosto soddisfazione: «È un testo molto gestibile - ha detto - e sulle sanzioni c’è grande flessibilità, ragionevolezza, non rigidità. È un patto buono che ci permette di gestire le crisi». Tremonti ha spiegato che oggi «è finito il lavoro tecnico-politico, ora la questione passa al lavoro politico che toccherà ai capi di governo. Comunque siamo tutti concordi, si tratta di un buon testo che potrà essere migliorato». Il ministro ha aggiunto che il «buon punto italiano» è stato quello di far «considerare oltre al debito pubblico anche la finanza privata» che ha causato la crisi «in tutti gli altri Paesi». Nel testo sulla riforma del Patto di stabilità e di crescita «non c'è alcun riferimento numerico per quel che riguarda il debito pubblico», ha aggiunto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Nella proposta della Commissione Ue si prevede per i Paesi in debito eccessivo (sopra il 60%) un taglio del debito pubblico di un ventesimo l'anno. In sostanza quello di oggi è un accordo di massima, come ha spiegato il direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli, in cui le sanzioni per i Paesi che non rispettano i termini del patto saranno proposte della Commissione Ue, ma potranno essere «bloccate da una maggioranza qualificata dei governi». Saranno aumentati i meccanismi di monitoraggio sulle politiche di bilancio degli Stati e anche la stabilità macroeconomica, in sostanza la competitività di un Paese. Ed anche qui le sanzioni saranno possibili in caso di scarso attivismo. I capi di governo discuteranno la riforma nel Consiglio della prossima settimana a Bruxelles. Giova sottolineare che da questo portale da almeno due anni andiamo dicendo che era sbagliato parlare solo di debito pubblico, ma che fosse necessario introdurre anche la componente del debito privato che è stata la causa dell'avvio della crisi finanziaria negli Usa.
La patrimonializzazuione delle famiglie in Italia (20 ottobre 2010).
Osserva Marco Fortis che molti non sembrano ancora aver capito la lezione più importante che ci ha lasciato questa crisi.. E cioè che in una fase di grandi cambiamenti strutturali e di accumulo di enormi squilibri, come quella che stiamo vivendo, non è più possibile usare come indicatori di performance economica solo i flussi (come il Pil) disinteressandosi di ciò che avviene alla maggior parte degli stock macroeconomici (come la ricchezza delle famiglie, i debiti delle imprese o la qualità degli attivi delle banche). L'unico stock a cui guardiamo con attenzione da lungo tempo è quello del debito pubblico, ma a ben vedere non sappiamo nemmeno misurarne correttamente la sostenibilità perché lo rapportiamo per pura abitudine contabile al Pil, che però è un flusso. Eppure molti paesi dispongono ormai di sistemi contabili ben costruiti e aggiornati dei conti finanziari nazionali. Tali prospetti esprimono lo stato di salute finanziario dei diversi attori di un sistema economico (imprese non finanziarie, imprese finanziarie, famiglie, pubbliche amministrazioni) oltre che la riconciliazione degli attivi e passivi di ogni paese con il resto del mondo. Continuare a ignorare questi indicatori è un grave errore. Infatti, può portare a diagnosi errate e a formulare ricette sbagliate. Facciamo tre esempi. Il primo riguarda la crescita economica e il suo stesso significato. Il secondo il debito pubblico e la sua sostenibilità. Il terzo l'eccesso di indebitamento delle famiglie rispetto al loro stock di ricchezza finanziaria. 1. La crescita economica. Si continua a valutare la performance economica dei diversi paesi nel decennio prima della crisi e anche la loro capacità di uscire oggi dalla crisi stessa in base alla crescita del Pil. Con ciò ignorando che molta crescita del Pil precedente era stata generata nei paesi più "dinamici" da un accumulo di debiti privati e molta della ripresa economica oggi in corso è stata resa possibile solo da un nuovo accumulo di debiti, questa volta pubblici, senza però incidere sugli squilibri di fondo che hanno causato la crisi. L'osservazione delle tendenze del Pil e del reddito disponibile delle famiglie prima del settembre 2008 sembrerebbe "condannare" senza appello un paese come l'Italia, che negli ultimi nove anni è cresciuto meno di tutti. Ma anche la Germania, oggi da molti "ammirata" era cresciuta assai poco dal 2000 al 2007, appena un'incollatura più dell'Italia e solo grazie all'export, risultando la sua domanda interna persino più "stazionaria" di quella italiana. Mentre economie come Stati Uniti e Gran Bretagna (per non parlare dell'Irlanda o della Spagna) venivano invece esaltate per il loro maggiore dinamismo. L'analisi comparata della crescita reale della ricchezza delle famiglie (costituita dallo stock di attività finanziarie e reali al netto delle passività finanziarie) fornisce tuttavia un'immagine completamente rovesciata del concetto di performance economica e forse un po' più aderente alla realtà. Infatti, le famiglie americane, nonostante la più forte crescita del loro reddito disponibile, sono oggi più povere di sette anni fa, mentre quelle italiane e tedesche sono di gran lunga più ricche rispetto al 2000. Inoltre, mentre a prezzi costanti la ricchezza delle famiglie italiane e tedesche già nel 2009 è quasi ritornata ai livelli del 2007, quella delle famiglie americane impiegherà molto più tempo a recuperare il terreno perduto, risultando nel 2009 ancora del 17% e del 19% circa inferiore, rispettivamente, ai livelli nominali e reali del 2007. Il Pil americano è indubbiamente diminuito meno di quelli tedesco e italiano durante la recessione del 2008-2009 e forse più rapidamente si riporterà ai livelli pre-crisi (grazie a un bel po' di altri debiti, stavolta pubblici, e a una svalutazione del dollaro dagli effetti imprevedibili). Ma quanti anni saranno necessari all'America per riguadagnare la ricchezza delle famiglie e i livelli occupazionali precedenti? 2. Il debito pubblico. Non si è mai visto un governo "pagare" i propri debiti con il Pil. Il Pil è un flusso annuale che appena prodotto viene quasi totalmente allocato nel corso dell'anno stesso in consumi, investimenti, spesa pubblica ed export (e quindi non può essere utilizzato per rimborsare lo stock del debito statale). Ovviamente il Pil genera anche il risparmio (che però in alcuni paesi è molto basso) e il gettito tributario che è cruciale per far quadrare il bilancio pubblico annuale. Tuttavia, un governo che voglia ridurre il proprio stock di debito non usa il Pil ma ha alcune possibilità tra cui le principali sono: a) fare privatizzazioni, e qui conta molto lo stock di patrimonio pubblico; b) ridurre drasticamente la spesa pubblica e tagliare i servizi; c) applicare forti tasse. È chiaro peraltro che le ipotesi b) e c) presuppongono che vi sia alle spalle una società ricca, in grado di subire tagli di servizi pubblici o l'introduzione di nuove tasse senza soffrire molto o senza che si corra il rischio di una rivolta sociale. Per valutare la sostenibilità dello stock del debito pubblico ha dunque molto più senso rapportare tale debito allo stock di ricchezza finanziaria delle famiglie. Infatti, avendo l'aggregato delle imprese strutturalmente dei debiti, accesi per investire in immobilizzazioni reali, è la ricchezza finanziaria delle famiglie l'unico bacino patrimoniale consistente che può "garantire" il debito statale di una nazione. La regola del 60% del nuovo Patto di stabilità, su cui commissione europea e governi lavorano, dovrebbe dunque riguardare non più il rapporto debito/Pil ma il rapporto debito/ricchezza finanziaria netta delle famiglie. Sulla base di tale parametro (che tiene implicitamente conto anche dello stock dei debiti privati) appare evidente che i paesi oggi realmente fuori linea nell'euro-area sono solo la Grecia e l'Irlanda, mentre Italia e Finlandia sono usciti di traiettoria soltanto temporaneamente a causa della crisi. La Spagna invece è un po' più in difficoltà perché le sue famiglie si sono molto indebitate.
Per lungo tempo Italia e Belgio sono stati additati in Europa come le "pecore nere" del debito pubblico. E tale debito va ridotto senza indugi per liberare finalmente risorse sane per la crescita. Ma il Belgio e l'Italia hanno una tale ricchezza finanziaria netta delle proprie famiglie da poter sopportare un alto debito pubblico mentre la Grecia e l'Irlanda non possono permetterselo. In base ai dati del 2009, il rapporto debito pubblico/Pil dell'Italia è uguale al 115%, esattamente come quello della Grecia, ma il rapporto debito pubblico/ricchezza delle famiglie in Italia è al 65%, solo un po' più elevato di quelli di Germania e Francia, mentre l'indice della Grecia è al 194 per cento! Proprio perché il suo debito pubblico è ben "coperto" dalla ricchezza privata, l'Italia non ha dunque bisogno di alcuna "patrimoniale" ma necessita solo di tagli e risparmi graduali nel quadro di un rigoroso e credibile piano di riduzione del debito statale. Mentre la Grecia e l'Irlanda, per evitare il tracollo, dovranno invece con grande urgenza tagliare drasticamente la spesa pubblica e aumentare fortemente le tasse: il tutto per valori che andranno ben oltre il maggior differenziale di crescita del Pil che per alcuni anni tali paesi hanno accumulato verso l'Italia.
3. Le passività finanziarie delle famiglie. Se poi la Ue desiderasse davvero individuare un indicatore "predittivo" per il nuovo Patto di stabilità, che dia l'allarme in tempo utile circa le possibili crisi finanziarie future delle famiglie e conseguentemente delle banche che abbiano loro concesso prestiti in modo avventato, c'è solo l'imbarazzo della scelta: è sufficiente, ancora una volta, consultare i colpevolmente trascurati conti finanziari delle nazioni. Lì c'era tutto l'occorrente per capire che era in arrivo un grande crack di famiglie e banche. A nostro avviso, a esempio, oltre al vincolo del 3% del deficit pubblico/Pil andrebbe stabilito un vincolo del 3% anche al rapporto tra il valore assoluto della crescita annua delle passività finanziarie delle famiglie e il valore dello stock delle loro attività finanziarie nette dell'anno precedente (Indice Dpf/Afn). Se questo indice fosse stato applicato negli anni scorsi, la commissione europea avrebbe potuto lanciare con largo anticipo dei "warning" e poi minacciare con sanzioni l'eccessiva crescita dell'indebitamento privato che ha portato alla crisi i paesi della "bolla". L'Irlanda, a esempio, tra il 2002 e il 2008 ha avuto l'indice Dpf/Afn sempre costantemente sopra il 10% con due punte annue oltre il 20% nel 2005-2006. Idem la Lettonia, con punte annue ancor più vertiginose, tra il 65-70%, nel 2006-2008. Anche la Spagna, la Grecia e il Portogallo hanno "sforato" tutti gli anni dal 2002 al 2008 (con Madrid per ben quattro anni consecutivi sempre sopra il 10%); la Gran Bretagna ha "sforato" dal 2002 al 2007, mentre gli Stati Uniti, allargando il nostro giro d'orizzonte al di fuori della Ue, lo hanno fatto dal 2002 al 2006. Per contro, Italia e Germania hanno sempre mantenuto l'indice Dpf/Afn rigorosamente sotto il 3%, salvo uno sporadico 3,6% dell'Italia nel 2002. Ciò dovrebbe pure insegnare qualcosa.
ISTAT: fatturato e ordinativi alle industrie in crescita. Commercio estero (21 ottobre 2010).
L'Istituto nazionale di statistica comunica che, sulla base degli elementi finora disponibili, nel mese di agosto gli indici destagionalizzati del fatturato e degli ordinativi, calcolati con base 2005=100, hanno registrato, nel confronto con il mese precedente, un incremento del 2,8 per cento, il primo, e del 7,3 per cento, il secondo. Il fatturato è aumentato dell'1,1 per cento sul mercato interno e del 6,4 per cento su quello estero; gli ordinativi nazionali hanno registrato una crescita del 4,7 per cento e quelli esteri dell'11,5 per cento. Nel confronto degli ultimi tre mesi (giugno-agosto) con i tre mesi immediatamente precedenti (marzo-maggio) le variazioni congiunturali sono state pari a più 3,6 per cento per il fatturato e a più 2,1 per cento per gli ordinativi. L'indice del fatturato corretto per gli effetti di calendario ha registrato in agosto un incremento tendenziale del 13,5 per cento (i giorni lavorativi sono stati 22,
contro i 21 di agosto 2009). Nel confronto tendenziale relativo al periodo gennaio-agosto, l’indice del fatturato corretto per gli effetti di calendario ha segnato una crescita dell'8,5 per cento. Gli indici grezzi del fatturato e degli ordinativi hanno registrato aumenti tendenziali, rispettivamente, del 17,3 e del 32,4 per cento. Gli indici destagionalizzati del fatturato per raggruppamenti principali di industrie hanno segnato variazioni congiunturali positive per i beni strumentali (più 9,1 per cento), per i beni di consumo (più 1,7 per cento, con più 6,8 per cento per quelli durevoli e più 0,7 per cento per quelli non durevoli) e per i beni intermedi (più 1,4 per cento) e una variazione negativa per l'energia (meno 5,2
per cento). L'indice del fatturato corretto per gli effetti di calendario in agosto è aumentato in
termini tendenziali del 18,9 per cento per i beni intermedi, del 15,8 per cento per i beni strumentali, del 13,5 per cento per l'energia e del 7,2 per cento per i beni di consumo (con più 21,8 per cento per quelli durevoli e più 5,9 per cento per quelli non durevoli). In agosto, nel confronto con lo stesso mese del 2009, l'indice del fatturato corretto per gli effetti di calendario, ha segnato le variazioni positive più ampie nei settori della fabbricazione di mezzi di trasporto (più 39,7 per cento), della fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi (più 35,5 per cento) e della fabbricazione di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (più 25,0 per cento); l’unica variazione negativo si è registrata per le altre industrie manifatturiere, riparazione e installazione di macchine ed apparecchiature (meno 0,4 per cento). Gli incrementi più marcati dell'indice grezzo degli ordinativi hanno riguardato la fabbricazione di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (più 77,3 per cento), la fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di
misurazione e orologi (più 48,6 per cento) e la fabbricazione di macchinari e attrezzature n.c.a. (più 45,2 per cento). Commercio estero. Nel mese di agosto 2010 le esportazioni aumentano del 31,5 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, con andamenti leggermente più dinamici per il mercato non comunitario (più 32,5 per cento) rispetto a quello interno all’Unione europea (più 30,6 per cento). Le importazioni registrano un incremento del 38,1 per cento, derivante da una crescita del 42,3 per cento dei flussi dai paesi extra Ue e del 34,2 per cento di quelli provenienti dai paesi comunitari. Ad agosto 2010 il disavanzo commerciale risulta pari a 3,3 miliardi di euro, in peggioramento rispetto a quello di 1,6 miliardi di euro dello stesso mese dell’anno precedente. Le dinamiche congiunturali dei flussi, misurate dai dati destagionalizzati, evidenziano ad agosto 2010, rispetto al mese precedente, una flessione dell’1,6 per cento per le esportazioni, con andamenti opposti per le due aree di sbocco (più 1,6 per cento per i paesi Ue e meno 5,5 per cento per i paesi extra Ue) e un incremento del 2,8 per cento per le importazioni (più 3,8 per cento per i paesi Ue e più 1,5 per cento per quelli extra Ue). Negli ultimi tre mesi, rispetto al trimestre precedente, le esportazioni crescono del 5,7 per cento (con andamenti più dinamici per i paesi extra Ue) e le importazioni del 6 per cento (con andamenti simili per le due aree).
Nel periodo gennaio-agosto 2010, rispetto al corrispondente periodo del 2009, le esportazioni aumentano del 14 per cento, con una dinamica più vivace per i paesi extra Ue (più 15,7 per cento) rispetto a quelli comunitari (più 12,8 per cento), e le importazioni del 20,4 per cento (più 25,2 per cento per l’area extra Ue e più 16,6 per cento per quella Ue). Nei primi otto mesi dell’anno il deficit commerciale, pari a 15,8 miliardi di euro, è notevolmente più ampio di quello del corrispondente periodo del 2009 (meno 3,1 miliardi di euro).
Il G20 e la guerra dei cambi (24 ottobre 2010).
Il G-20 ha provato a mettere la parola fine alla guerra dei cambi che ha imperversato nelle ultime settimane, con un accordo di compromesso che, come sempre, al di là delle dichiarazioni di soddisfazione di fine vertice, solo la riapertura dei mercati valutari lunedì potrà giudicare. A Gyeongju, in Corea del Sud, ministri finanziari e governatori dei grandi paesi industriali e delle nuove potenze emergenti si sono impegnati a evitare di usare svalutazioni competitive e a lasciare al mercato la determinazione dei tassi di cambio. Proprio il contrario di quello che è avvenuto fino alla vigilia dell'incontro coreano, con gli Stati Uniti che hanno favorito il ribasso del dollaro, la Cina che ha impedito la rivlautazione dello yuan e diversi paesi che hanno introdotto controlli sui movimenti di capitale e sono intervenuti massicciamente per frenare i mercati. Non è passata la proposta americana di fissare dei tetti ai surplus commerciali dei singoli paesi, un'iniziativa diretta soprattutto contro la Cina, ma che ha incontrato la netta oposizione anche di Giappone e Germania. E' stato chiesto al Fondo monetario di sviluppare una serie di indicatori che facciano da campanello d'allarme quando gli squilibri globali si aggravano e mettono a rischio la stabilità del sistema. Un primo passo, compiuto nonostante la riluttanza della Cina, lo ha definito il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. I risultati più concreti, che dovranno poi ricevere l'avallo politico dei capi di Stato e di Governo del G-20 fra meno di tre settimane al summit di Seul, sono la riforma del Fondo monetario e quella delle regole della finanza globale. Sul primo punto, è arrivato l'accordo, al di là delle previsioni, per «adeguare il Fondo alla nuova realtà dell'economia mondiale», come ha detto il suo direttore, Dominique Strauss-Kahn. I paesi emergenti aumenteranno di un 6% il loro peso nel capitale dell'istituzione di Washington e i paesi europei cederanno loro due degli otto seggi che oggi detengono nel consiglio dell'Fmi. Sulla finanza, approvazione per Basilea 3, la nuova normativa che aumenta i requisiti di capitale delle banche, e impulso al lavoro del Financial Stability Board, presieduto dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, per creare un sistema di regole e di vigilanza che impedisca il bis della crisi degli ultimi tre anni.
Marchionne e il sistema Italia (25 ottobre 2010).
Il più zuccheroso conduttore della Tv italiana, amato dagli anziani e dalla sinistra, alle prese con il manager più rude e diretto, affamatore di Pomigliano e di Melfi nella vulgata della sinistra stessa. A "Che tempo che fa" Fazio Fazio ha intervistato Sergio Marchionne. E, come da consueto registro stilistico televisivo Fazio ha subito cercato di mettere a suo agio Marchionne: «Uno dei massimi manager mondiali…tutti lo attendono ... ci chiediamo come mai abbia scelto di accettare il nostro invito…». Il manager italo-canadese, che oltre all'ormai tradizionale maglioncino blu si è presentato in studio dimagrito (dopo la registrazione racconterà di essere a dieta ferrea, niente carboidrati, niente vino e niente dolci), ha riconosciuto un attestato di stima al conduttore televisivo: «Sono venuto qui, perché qui si può parlare in pace». Quindi, da parte di Fazio, subito un'altra apertura favorevole a Marchionne: «Ma è vero che lavora venti ore al giorno?». Al che perfino l'amministratore della Fiat ha precisato che no: «Diciotto, sì. Mi chiede perché lo faccio? Per senso del dovere». E, dopo un breve passaggio sulla sua formazione culturale da giovane («ho studiato filosofia, perché è la filosofia che permette di porsi in relazione con l'uomo. Il resto, dalla tecnica all'industria all'economia, viene dopo»), Marchionne ha ricordato i tratti essenziali del suo progetto: Fabbrica Italia vale 20 miliardi di investimenti, ma per renderlo operativo ci vuole la piena governabilità degli stabilimenti e dei processi industriali. Dunque, un atteggiamento diverso da parte dei sindacati, che consenta di migliorare le condizioni di contesto. Che, in Italia, non sono buone né per la Fiat, né per qualunque altro operatore. «L'Italia è al centodiciottesimo posto su centotrentanove per efficienza del lavoro ed è al quarantottesimo posto per la competitività del sistema industriale. «Negli ultimi dieci anni il nostro paese non ha saputo reggere il passo con gli altri. Non c'è nessuno straniero che investe qui. E gli attacchi verso la Fiat di questi giorni non aiutano a richiamare investimenti dall'estero». A questo proposito, è entrato nel merito delle ultime vicende: «Guardate che il sistema di tre pause da 10 minuti, anziché due da venti minuti, proposto per Pomigliano e Melfi, è già applicato a Mirafiori. Fa parte degli sforzi per ridisegnare il processo di produzione. E, poi, i dieci minuti che si perdono sono pagati». Quindi, per ricordare quali sono i termini di bilancio della questione, Marchionne ha sottolineato una cosa in sé e per sé molto spiacevole: «Quest'anno abbiamo annunciato che faremo oltre 2 miliardi di utile operativo. Guardate che nemmeno un euro è fatto in Italia. Io sto dicendo che, se dovessi togliere la parte italiana, la Fiat farebbe meglio». Per chiarire bene i termini della questione: «Non posso gestire una divisione in perdita per sempre». Finora, nessuna scelta letale per il nostro paese è stata presa: nel senso che, andando contro i consigli dei suoi collaboratori, Marchionne ha deciso di investire su Pomigliano, riportando in Italia la produzione di un modello, la nuova Panda, la cui produzione era prevista in Polonia. Una scelta di responsabilità sociale: «Pensate alla camorra e al disastro di una chiusura». Anche se non si può chiedere a un gruppo privato di compiere sempre e soltanto scelte antieconomiche. A Fazio, che con un tono da amarcord ricordava come quando lui era piccolo tutte le macchine in circolazione fossero Fiat, ha detto di rifiutare l'equazione Fiat-impresa semistatale: il passato è archiviato, i rapporti fra mano pubblica e imprese automobilistiche sono sempre esistiti (si vedano i soldi di Obama per Chrysler e della Bei per lo stabilimento Fiat in Serbia), l'importante è che i debiti si ripaghino e che si abbia un rapporto equilibrato con gli stati. A questo proposito ha aggiunto: «Qualsiasi debito verso lo stato italiano è stato ripagato, non voglio ricevere un grazie, ma non accetto che mi si dica che chiedo assistenza finanziaria. Gli incentivi? Vanno a vantaggio del consumatore. E, poi, sette auto su dieci sono straniere. Dunque hanno riguardato tutti i produttori». Poi, dopo avere scherzato sul fatto che nel nostro paese la malattia della politica contagia molti imprenditori («io in politica? Scherziamo? Faccio il metalmeccanico: produco auto, camion e trattori»), è entrato nel merito dell'Italia come piattaforma produttiva: «La proposta che abbiamo fatto è dare alla rete industriale di Fiat la capacità di competere con i paesi vicini a noi. In cambio io sono disposto a portare il salario dei dipendenti al livello degli altri. Il salario cambierà se cambierà il sistema di produzione in Italia. Può darsi che sia un cambiamento difficile da sopportare, ma vogliamo migliorare i 1.200 euro di stipendio dei nostri dipendenti». A Pomigliano, per esempio, l'aumento lordo annuo del salario è intorno ai 3.500 euro, con un orario settimanale che, inclusi gli straordinari, è pari a 34 ore. In questo, il rapporto con il sindacato italiano è un problema: «Serve un progetto condiviso. Non posso accettare che tre persone mi blocchino un intero stabilimento. Questa è anarchia, non è democrazia». Quindi, ha aggiunto: «Oltre la metà dei nostri dipendenti non è iscritta a un sindacato. Solo il 12,5% dei dipendenti è iscritto alla Fiom». Specificando poi che «a Pomigliano abbiamo cercato di assegnare la responsabilità della gestione di uno stabilimento ai sindacati, per gestire insieme a loro le anomalie. Quando il 50% dei dipendenti si dichiara ammalato in un giorno preciso dell'anno, vuol dire che c'è un'anomalia». Fazio, con aria sorniona gli ha chiesto quale sia questo giorno. E Marchionne con aria ancora più sorniona: «Dipende da che partita di calcio c'è». Molti sono stati i commenti dei politici all'intervista a Marchionne ma la più stupefacente è quella di Fini: "Marchionne ha dimostrato di essere più canadese che italiano", convincendomi ancora una volta che Fini non ha la minima idea di che cosa sia un'impresa e che non conosca il mondo: un canadese non avrebbe mai accettato le sfide raccolte da Marchionne. Epifani, da canto suo, confronta spesso la situazione italiana con quella tedesca dimenticando un aspetto importante. Quando nel 2002 la Vokswagen si è trovara in difficoltà i sindacati tedeschi hanno accettato, in cambio di un incremento della produttività, una "riduzione di stipendio". Marchonne offre in cambio di un incremento della prodittività "aumenti di stipendi".
Marcegaglia sull'intervento di Marchionne (26 ottobre 2010).
Emma Marcegaglia frena su ipotesi di elezioni anticipate e lancia un nuovo appello al governo: «È ora di occuparsi dei problemi veri del paese, e in primo luogo di crescita e produttività che sono vere e proprie emergenze», ha detto parlando a margine della XVIIesima giornata nazionale Orientagiovani, a Napoli. «Continuo a pensare - ha detto il presidente degli industriali - che il paese non possa permettersi una crisi, non possa permettersi di andare alle elezioni anticipate e a una campagna elettorale disastrosa in un momento come questo. Richiamo ancora una volta tutti a un senso di attenzione e di bene per il paese». Riferendosi all'incontro della settimana scorsa con il premier, Silvio Berlusconi, la leader di viale dell'Astronomia ha affermato che con «il presidente del Consiglio abbiamo parlato di riforme, di fisco, innovazione e Mezzogiorno. Abbiamo parlato delle priorità, delle azioni economiche da portare avanti». E per domani, dal tavolo tra Confindustria, Abi, Rete imprese Italia e sindacati, su competitità e crescita sono attese novità. «Domani dovrebbe essere già una riunione operativa dove arriviamo a conclusioni positive», ha aggiunto Marcegaglia, che ha spiegato: «L'idea è di arrivare a posizioni comuni su tre o quattro temi. Pensiamo di farlo su ricerca e innovazione, Sud, e ammortizzatori sociali». Emma Marcegaglia ha parlato anche di Fiat, sottolineando che le parole dell'ad Sergio Marchionne, «senza Italia faremo meglio», «sono parole che non devono dividere, ma unire», ha detto. E ha aggiunto: «Nessuno mi sembra abbia detto di voler lasciare l'Italia. Se un imprenditore decide di lasciare e chiudere gli stabilimenti non va in televisione, li chiude e basta». Secondo Marcegaglia, quindi le dichiarazioni di Marchionne vanno lette piuttosto come un invito «a guardare i problemi dell'Italia, i problemi di competitività e produttività, dei quali parliamo spesso e da molto tempo, e cercare di risolverli». Del resto, «il gap per le imprese italiane è un dato tecnico e non riguarda solo la Fiat ma tutte le imprese ». Sulla questione è intervenuto da Firenze Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil: «Cosa sarebbe successo in Germania se l'amministratore delegato di un grande gruppo avesse parlato in tv e non davanti al suo comitato di sorveglianza? In Germania l'avrebbero cacciato». Epifani è tornato anche su Termini Imerese, dove, «allo stato, è tutto fermo. Si avvicinano i tempi entro cui bisogna dare una risposta sennò si chiude la fabbrica. C'è uno scarto tra annunci, volontà di provocare e i risultati che si portano a casa. Ma anche Termini fa parte di Fabbrica Italia». Marcegaglia ha anche auspicato che la Fiom torni al tavolo di trattativa con l'impresa. «La contrapposizione continua - ha sottolineato - non risolve i problemi». Di qui l'invito, che come Confindustria facciamo sempre, ha precisato, «a risedersi a un tavolo». In altre imprese - ha detto Marcegaglia - la Fiom sta venendo incontro alle esigenze degli imprenditori: é importante che lo faccia anche con il primo gruppo del Paese». Sul fronte invece dell'emergenza rifiuti in provincia di Napoli, la Marcegaglia ha detto che «c'è ancora una volta il rischio che ci siano infiltrazioni della camorra, e questo è gravissimo». Basta con l'immobilismo totale che dura da troppo tempo, prosegue: «Bisogna fare interventi strutturali che non sono mai stati fatti». E per avere un esempio di cosa si può fare, aggiunge: «Non bisogna andare in Danimarca o in Svezia, basta andare a Salerno che in due anni è passato dal 7 al 75% nella raccolta differenziata». Fatto che dimostra che «anche in Campania si può fare». «Io chiedo - conclude - che veramente al di là delle colpe del passato, bisogna che le amministrazioni provinciali, regionali, e anche il governo, agiscano per mettere in piedi subito questa strumentazione». Rivolgendosi, infine, alla platea dei giovani presenti in sala, Marcegaglia ha sottolineato come l'Italia possa tornare a crescere in modo importante, soprattutto attraverso «la tecnologia, la tecnica e la ricerca». Un invito infine ad «andare avanti»: «nonostante i momenti difficili gli italiani, soprattutto i giovani, hanno speranza e vogliono andare avanti e noi dobbiamo creare le condizioni per farglielo fare».
Dai nuovi turni 4.000 euro in più a Pomigliano (26 ottobre 2010).
Almeno 3.200 euro lordi all'anno in più in busta paga. È il calcolo che il sindacato ha fatto, Cisl Fim e Uil Uilm, per stimare quale sarà l'impatto sui salari dei lavoratori quando entrerà a regime l'accordo su Pomigliano. Una stima che aiuta a mettere in cifre il rapporto tra l'incremento della produttività e l'andamento delle retribuzioni: Pomigliano cioè, in questo caso, come unità di misura. Il punto di partenza è che in questo momento un operaio di terzo livello percepisce circa 1.300 euro netti al mese se non è un turnista, 1.600 se invece lo è. A conti fatti i tre turni si traducono in una crescita di 3.200 euro lordi annui per i lavoratori che sono inseriti appunto nell'organizzazione del lavoro scandita dal meccanismo della turnazione. Somma che potrebbe aumentare se si aggiunge il notturno domenicale. Al compimento del 18° turno scatta infatti un incremento di 200 euro lordi. Dal momento che questo turno, il diciottesimo, coincide con il notturno domenicale, l'impatto netto è maggiore poiché il lavoro domenicale è tassato con una aliquota ridotta del 10 percento. «Se il compimento del diciottesimo turno avviene per quattro volte al mese - spiega Bruno Vitali segretario nazionale Fim – l'aumento raggiunge gli 800 euro mensili». L'ultimo dato da sommare ai 3.200 euro infine sono i 31 euro derivanti dalla riduzione delle pause. Questa proiezione coincide con quella effettuata dalla Uilm, come spiega Giovanni Sgambati, segretario generale della Uilm Campania. Ma quanto possono incidere effettivamente sulla vita degli operai questi oltre 4mila euro lordi. Il calcolo è piuttosto articolato. Dunque considerando la diversa tassazione del lavoro notturno, abbiamo un terzo, ovvero 1.300 euro circa di questi 4mila euro, tassati al 10% e i rimanenti due terzi (2.700) al 30 per cento. Dal lordo al netto pertanto si arriva a 3.000 euro circa, vale a dire 250 euro in più netti al mese.
Caritas: rapporto sugli immigrati (26 ottobre 2010).
In 20 anni, gli immigrati regolari in Italia sono aumentati di 10 volte: erano mezzo milione nel 1990, sfiorano i 5 milioni nel 2010 (7% dei residenti). Insieme al numero degli immigrati, anche a causa della crisi, «sono aumentate le reazioni negative, la chiusura, la paura», nei loro confronti da parte degli italiani. Lo afferma l'annuale rapporto sull' immigrazione della Caritas Italiana e della Fondazione Migrantes, giunto alla ventesima edizione («Dossier 1991-2010: per una cultura dell'altro»), presentato questa mattina. Oltre un ottavo degli immigrati, quasi 600 mila, sono di seconda generazione. Un immigrato su quattro vive in Lombardia (982.225; 23,2%). Roma (405.657) perde il primato di provincia col più alto numero di immigrati a vantaggio di Milano (407.191). Il dossier stima, al primo gennaio 2010, in 4.919.000 (uno ogni 12 residenti), il 51,3% donne, la presenza degli immigrati regolari, circa 700 mila in meno di quanti ne ha registrati l'Istat (4.235.000). Il dossier infatti, a differenza dell'Istituto centrale di statistica, include anche tutte le persone regolarmente soggiornanti ma non ancora iscritte all'anagrafe. Solo negli ultimi dieci anni l'aumento degli immigrati residenti è stato di circa 3 milioni mentre nell'ultimo biennio di quasi un milione. La comunità più numerosa si conferma quella romena (21%), segue l'albanese (11%), la marocchina (10,2%). In Lombardia vive il 23,2% degli immigrati (982.225); poco più di un decimo nel Lazio (497.940; 11,8%). Segue il Veneto (480.616; 11,3%) e l'Emilia Romagna (461.321; 10,9%). A fronte di una media del 7% di stranieri sui residenti, in Emilia Romagna, Lombardia e Umbria si supera il 10% e in alcune province il 12% (Brescia, Mantova, Piacenza, Reggio Emilia). Nel 2009 sono nati da entrambi genitori stranieri 77.148 bambini (21 mila in Lombardia, 10 mila nel Veneto, 7 mila in Emilia Romagna e Lazio); queste nascite incidono per il 13% su tutte le nascite e per più del 20% in Emilia Romagna e Veneto. I minori sono quasi un milione (932.675), il 22%; sono il 24,5% in Lombardia e il 24,3% in Veneto; il valore più basso si ha nel Lazio e in Campania (17,4%) e in Sardegna (17%). Altro dato significativo del rapporto: 572.720 (il 13%) dei residenti stranieri sono di seconda generazione. Si tratta per lo più di bambini e ragazzi nati in Italia, nei confronti dei quali l'aggettivo 'stranierò è «del tutto inappropriato», osserva il dossier. Gli iscritti a scuola sono 673.592 (7,5% degli studenti). Nel 2009, sono stati censiti 6.587 minori non accompagnati dei quali 533 richiedenti asilo, per lo più maschi (90%) con età fra i 15 e 17 anni (88%); per questi, «non sempre, al raggiungimento dei 18 anni, le condizioni attuali (3 anni di permanenza e 2 di inserimento in un percorso formativo) consentono di garantire loro un permesso di soggiorno». Quanto agli immigrati irregolari presenti in Italia, si stima che essi siano 500-700 mila. Gli irregolari, ritengono i ricercatori, sono tendenzialmente in calo (lo scorso anno le stime ipotizzavano circa un milione) e ciò è dovuto agli effetti dell'ultima regolarizzazione (300 mila) oltre al fatto che la crisi economica ha attratto di meno gli immigrati. All'origine dell'illegalità non ci sono gli sbarchi ma l'entrata legale. Ossia arrivi per turismo, affari, visita e altri motivi che una volta scaduti diventa clandestinità. Il rapporto ribadisce che il «rigore»contro la clandestinità «va unito al rispetto del diritto d'asilo e della protezione umanitaria, di cui continuano ad avere bisogno persone in fuga da situazioni disperate e in pericolo di vita». Rispetto ai «flussi imponenti, e non eliminabili, anche la punta massima di sbarchi raggiunta nel 2008 (quasi 37 mila persone) è ben poca cosa. Risulterà inefficace il controllo delle coste, come anche di quelle terrestri, se non si incentiveranno i percorsi regolari dell'immigrazione». Ciò - prosegue il rapporto - «induce a pensare in maniera innovativa la flessibilità delle quote, le procedure d'incontro tra datore di lavoro e lavoratore». Riferendo un dato di Eurostat secondo il quale con "immigrazione zero" l'Italia in mezzo secolo perderebbe un sesto della sua popolazione, la Caritas sottolinea che «l'agenda politica è chiamata a riflettere sugli aspetti normativi più impegnativi, come quelli riguardanti la cittadinanza e le esigenze di partecipazione di questi nuovi cittadini, in particolare se nati in Italia».
ISAE: sale la fiducia delle imprese (27 ottobre 2010).
La fiducia delle imprese manifatturiere sale a ottobre da 98,6 a 99,8, portandosi sui massimi dal maggio 2008. Lo stima l'Isae, l'istituto di analisi economica che fa capo al ministero del Tesoro, segnalando che recuperano nettamente gli ordini, soprattutto sui mercati esteri, le scorte di magazzino si stabilizzano al di sotto dei valori normali e crescono lievemente le attese a breve termine sulla produzione. Il dato segue il recupero della produzione industriale ad agosto. Continua pure il recupero dei livelli produttivi, ma emerge qualche nuova preoccupazione sulle prospettive a breve termine dell'economia italiana. L'aumento della fiducia é concentrato nelle imprese dei beni d'investimento e degli intermedi, mentre si registra una flessione nelle imprese dei beni di consumo. Più accentuata nel Nord-Ovest e Nord-Est, cala invece al Centro e nel Mezzogiorno. L'istituto rivela inoltre che è migliorato il clima di fiducia nelle imprese dei servizi di mercato e del commercio, a ottobre, con l'indice Isae che rispettivamente segna 100,6 (da 99,3 di settembre) e 101,4 (da 99,1). Il miglioramento nei servizi si deve al recupero dei giudizi su ordini e aspettative sull'economia, mentre si deteriorano giudizi e aspettative sull'occupazione. Traina l'ottimo andamento la fiducia delle imprese di Informazione e Comunicazione, dove l'indice guadagna 10 punti; peggioramenti si registrano per le imprese di Trasporti, Magazzinaggio e Servizi turistici. Per quanto riguarda il commercio, recuperano sia i giudizi sia le attese a breve termine sulle vendite, ma tornano a peggiorare le aspettative sul volume futuro degli ordini; minore pessimismo emerge sul mercato del lavoro. Sul fronte dei prezzi, nuove tensioni sono attese nei prossimi tre mesi. Particolare dinamicità nella grande distribuzione. Infine, l'indice di fiducia nelle costruzioni relativo a settembre è salito per il quarto mese consecutivo passando da 77,2 a 78. Migliorano i giudizi sui piani di costruzione, ma si deteriorano le prospettive sull'occupazione. Aumentano anche le attese sui prezzi praticati nel settore. La durata dell'attività assicurata dai lavori é in leggero aumento rispetto al trimestre scorso. In particolare, il recupero dell'indice é marcato nel settore della costruzione di edifici, mentre é in fase di rallentamento nell'ingegneria civile e nei lavori di costruzione specializzati. Segnali positivi arrivano anche dalla Francia dove a settembre, secondo quanto comunicato dall'Insee, l'Istitutico di statistica francese, i consumi delle famiglie sono ripartiti al rialzo, segnando un progresso dell'1,5 per cento (stesso trend registrato ieri negli Stati Uniti). Il dato ha compensato quasi completamente il declino dell'1,6% del mese precedente, grazie a un netto recupero nelle vendite di automobili. Il dato é superiore alle attese di +0,5%. Su base annua il rialzo é dell'1,1% contro una previsione del -0,3%. In giornata sono arrivati anche i dati sull'inflazione in Germania, l'economia europea che sta correndo più di tutte. Il tasso annuo di inflazione nel lander tedesco della Sassonia é rimasto stabile in ottobre rispetto a settembre, a seguito del declino dei prezzi dell'energia e dei prodotti alimentari. Lo mostrano i dati dell'ufficio statale di statistica. I prezzi al consumo sono saliti dell'1,4% in ottobre contro l'1,5% segnato in settembre. Invariata all'1% annuo anche l'inflazione a Brandeburgo. Stesso valore per la regione federale dell'Assia.
Ripresa più lenta in Lombardia, la locomotiva d'Italia (27 ottobre 2010).
E' quello che emerge dall'ultima indagine congiunturale di Confindustria Lombardia, pubblicata ieri. Nel terzo trimestre la produzione industriale ha subìto un rallentamento tendenziale, dal +5,9 al +4,8%, mentre la variazione destagionalizzata sul trimestre precedente è stata addirittura negativa (-1,2%), un dato, quest'ultimo, inatteso. La leggera flessione dell'occupazione, sia pure a fronte di una minor incidenza della cassa integrazione, conferma un quadro dove l'elemento dominante resta l'incertezza. Di questo passo quando sarà possibile, allora, tornare ai livelli pre-crisi? Le previsioni di Prometeia, rese note sempre alla presentazione dell'indagine congiunturale di Confindustria Lombardia, scommette a un "ritorno al futuro" per la regione nel 2014, con un anno di anticipo rispetto al resto del paese. Decisamente più pessimista è l'associazione degli industriali bresciani, che non vede un ritorno ai livelli di produzione del 2007 addirittura prima del 2019. Alberto Barcella, presidente della Confindustria Lombardia, fa professione di realismo e preferisce guardare le previsioni di medio-lungo termine con un po' di distacco: «Così come non esultavamo nei mesi scorsi di fronte a segnali di crescita più netti, così oggi non ci disperiamo. Nella consapevolezza, però, che ci troviamo di fronte a una ripresa contrastata e che l'uscita dalla crisi non sarà rapida, ma un processo che vedrà l'alternanza di luci e ombre». Barcella cita il rallentamento di alcuni grandi mercati e il deprezzamento del dollaro, con la conseguente guerra valutaria, come le maggiori incognite di questa fase e gli elementi che possono in parte spiegare i dati del terzo trimestre della produzione in Lombardia. Nello stesso periodo, inoltre, ha registrato una nuova flessione, al 34,4%, la quota export sul fatturato, segno di una persistente difficoltà a recuperare le posizioni sui mercati internazionali. Con questi presupposti è chiaro che l'appuntamento con la crescita dell'occupazione non è dietro l'angolo. Le previsioni di Prometeia indicano un aumento del pil a livelli sostenibili non prima del 2013 e del 2014, rispettivamente dell'1,9 e del 2,2%, cifre che dovrebbero consentire un miglioramento sensibile del mercato del lavoro: «Mi auguro che possa avvenire prima - sostiene Barcella - ma una cosa deve essere chiara: perché l'occupazione riparta davvero, l'industria lombarda dovrà tornare a livelli di produttività e dunque di competitività soddisfacenti. Sono queste le basi sane per un rilancio del mercato del lavoro e ci arriveremo soltanto se ognuno, dalle imprese ai sindacati al governo e alle istituzioni, farà la sua parte». Le imprese dovranno innovare, i sindacati rimettere in discussione alcuni modelli di lavoro e la politica creare le basi infrastrutturali - fisiche e normative - per il recupero di competitività. La crisi e l'uscita dalla crisi sono stati e sono, secondo Barcella, momenti di dura selezione per le imprese. Alcune hanno già dimostrato una velocità d'uscita impressionante e sono quelle che accompagnano ai prodotti un servizio ad alto valore aggiunto per il cliente finale. Settori come la green economy, le macchine utensili, il design, il Made in Italy continueranno ad avere un grande futuro in Lombardia e in Italia: «La politica industriale, di conseguenza, dovrà essere selettiva, modulata soprattutto sulle imprese ad alto tasso d'innovazione. Non credo invece negli interventi a pioggia», conclude il presidente di Confindustria Lombardia.
Patto sociale: prima intesa (28 ottobre 2010).
Prima intesa al tavolo sulla crescita tra le parti sociali che hanno elaborato proposte comuni sui primi 4 temi: ammortizzatori sociali, Mezzogiorno, semplificazione amministrativa, ricerca e innovazione. Si punta a chiudere in tempi stretti per chiedere l'avvio di un confronto con il governo e ottenere alcune risposte già con il decreto milleproroghe di fine anno. Dopo l'incontro di ieri che si è tenuto nella sede dell'Abi, il prossimo appuntamento plenario è fissato tra 15 giorni, e sarà preceduto il 2 novembre dal tavolo tecnico sulla produttività e l'8 novembre dal tavolo sui costi della politica, il federalismo e la spesa pubblica. Sull'accelerazione dei tempi la Cgil è più cauta. Il leader, Guglielmo Epifani, ha sottolineato come «sui temi dell'emergenza sociale c'è il consenso di tutti, è questa la questione più urgente, considerando che già da novembre abbiamo il problema della scadenza di alcuni strumenti di sostegno». Per il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, bisogna sollecitare «una strategia per lo sviluppo del Sud favorendo l'attrazione degli investimenti, altrimenti si allargherà ancora di più la distanza con il Nord». Per Paolo Pirani (Uil) «è decisivo il fattore tempo», i tavoli «vanno chiusi rapidamente, dobbiamo esser capaci di assumerci delle responsabilità per ottenere risultati concreti». Particolarmente nutrito il pacchetto di richieste sul capitolo "emergenze sociali". Imprese e sindacati propongono di incrementare e rendere strutturali gli incentivi alla contrattazione di secondo livello (aziendale o territoriale) per collegare gli aumenti retributivi al raggiungimento di obiettivi di produttività. Su questo punto peraltro c'è già stato un impegno verbale del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, come sull'altra richiesta, il rifinanziamento per il 2011 degli ammortizzatori in deroga in scadenza a fine anno, con una verifica e monitoraggio delle somme non spese nel biennio 2009-2010 per assicurarne l'immediato utilizzo. Si chiede la prosecuzione degli ammortizzatori per tutte le imprese non in condizione di ripartire, alleggerendo il vincolo relativo alla ripresa di attività pari a due terzi del periodo di Cigs concessa a causa della crisi (attualmente necessario per presentare una nuova richiesta di Cigs). Ai lavoratori in Cig va assicurato l'80% della retribuzione anche nei periodi di proroga della cassa integrazione in deroga (l'importo adesso si riduce progressivamente). Per assicurare tempi di erogazione più veloci, si chiede di consentire alle imprese l'anticipazione dei trattamenti in deroga, con il recupero sui contributi versati mensilmente all'Inps. Si propone anche l'esclusione dalle finestre mobili per il pensionamento per i lavoratori posti in mobilità con accordi firmati entro il 31 ottobre (la manovra di luglio stabiliva l'esclusione solo per 10mila lavoratori posti in mobilità da accordi entro il 30 aprile) e per i destinatari di prestazioni a carico dei fondi di solidarietà (settore bancario e assicurativo). Si propone di alleggerire i requisiti d'accesso all'una tantum per i collaboratori riguardo all'anzianità contributiva ed ai limiti di reddito. Per il Mezzogiorno le parti sociali chiedono di reintrodurre il credito d'imposta nel 2011 per «sostenere la nuova e buona occupazione e gli investimenti produttivi». Per favorire investimenti e nuova occupazione si possono utilizzare tutti gli strumenti derivanti dalla contrattazione nazionale e articolata. Le parti sollecitano un protocollo d'intesa sulla legalità con il ministero degli Interni – articolato in protocolli specifici su base settoriale e territoriale – insieme a un piano straordinario di lotta al lavoro sommerso con il coinvolgimento degli enti locali. I fondi per il sud vanno concentrati su reti materiali e immateriali, l'alta velocità ferroviaria, le opere logistiche, gli schemi idrici, la banda larga e il ciclo integrato dei rifiuti. Si propone l'esclusione dal patto di stabilità della quota di cofinanziamento dei fondi strutturali europei. Altra priorità è la semplificazione delle pubbliche amministrazioni «accelerando l'iter dei provvedimenti legislativi in corso», dalla riforma degli sportelli unici, all'applicazione del principio che vieti alle PA di chiedere ai cittadini e alle imprese documenti già in possesso di altre amministrazioni. Infine la ricerca e l'innovazione, con la proposta di un credito d'imposta per favorire gli investimenti e la creazione di una rete dell'innovazione per realizzare un'ampia collaborazione sul territorio. LE RICHIESTE ALL'ESECUTIVO Per il Mezzogiorno, reintroduzione del credito d'imposta per sostenere la nuova e buona occupazione e gli investimenti produttivi. Piano straordinario di lotta al lavoro sommerso con il coinvolgimento di parti sociali ed enti locali. Revisione delle priorità d'intervento secondo una logica di sistema con una cabina di regia, sede stabile di confronto tra governo e regioni. Concentrare i fondi su grandi progetti infrastrutturali a rete (materiali e immateriali). PA. Accelerare l'iter dei provvedimenti legislativi in corso che prevedono misure di semplificazione, dalla riforma degli Sportelli Unici, all'applicazione del divieto alle PA di chiedere ai cittadini e alle imprese documenti già in possesso di altre PA. Ridurre gli oneri amministrativi non deve significare abbassare i livelli di protezione degli interessi pubblici, ma snellire le procedure amministrative, ove possibile, rendendo più celeri i tempi burocratici a tutto vantaggio del sistema produttivo. La riforma della PA deve essere attuata in tempi rapidi per migliorare l'efficienza. Creare una anagrafe amministrativa di titoli, certificati e notizie riferite alle imprese, per semplificare la gestione dei flussi informativi. Emergenza sociale. Rendere strutturali gli incentivi alla contrattazione di secondo livello. Rifinanziare gli ammortizzatori in deroga per il 2011 con una verifica delle somme non spese nel 2009-2010 per assicurarne l'immediato utilizzo. Prosecuzione degli ammortizzatori per le imprese non in grado di attuare la ripresa del lavoro totale o parziale sulla base delle attuali normative, con un alleggerimento dei vincoli. Assicurare il trattamento iniziale (80% della retribuzione) per tutti i periodi di proroga della cassa integrazione . Esclusione dalle finestre mobili per il pensionamento per i lavoratori posti in mobilità con accordi firmati entro il 31/10/2010 e per i destinatari di prestazioni dei fondi di solidarietà. Ricerca e innovazione. Avviare un tavolo con le parti sociali, regioni e ministeri entro dicembre 2010 per definire una semplificazione degli strumenti per la ricerca e innovazione nazionali e regionali e strutturare un sistema di governance efficace e flessibile che eviti duplicazioni e sovrapposizioni di competenze. Creare un Fondo per l'innovazione tecnologica ed organizzativa (che razionalizzi i tanti fondi esistenti) con la finalità di favorire, anche mediante azioni di brokeraggio, l'incontro tra la domanda e l'offerta di innovazione e per la diffusione di nuove forme di collaborazione tra gli organismi di ricerca ed i centri di competenza presenti sul territorio nazionale e il mondo imprenditoriale rappresentato dalle micro, piccole e medie imprese.
La giornata del risparmio. L'intervento di Mario Draghi (28 ottobre 2010).
«La ripresa mondiale è a rischio», l'allarme è stato lanciato dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, secondo cui la crisi «ha investito con forza la nostra economia» e ne ha riportato «indietro il prodotto annuo, nel 2009, sui volumi di nove anni fa». «Le prospettive per la crescita del Pil, quest'anno e il prossimo, non si discostano molto dall'1 per cento». Il governatore della Banca d'Italia nel suo intervento alla Giornata mondiale del risparmio è tornato a rimarcare la difficile situazione del mercato del lavoro dove il tasso di sottoutilizzo è «superiore all'11%», conteggiando assieme ai disoccupati i lavoratori in cassa integrazione e quelli che scoraggiati hanno smesso di cercare attivamente un impiego. «Tra il secondo trimestre del 2008 e il quarto del 2009 il numero di occupati si é ridotto in italia di 560 mila persone», in gran parte, ha spiegato il governatore, appartenenti a quell'area che include i contratti di lavoro a tempo determinato e parziale e nel settore del lavoro autonomo con caratteristiche di lavoro dipendente occulto. «Nel primo semestre dell'anno in corso si è registrata una debole ripresa, con 40 mila occupati in più». Draghi ritiene che «allo sviluppo economico serva il contributo della domanda interna: quel circolo virtuoso che da consumi evoluti e investimenti lungimiranti porta a redditi alti e diffusi, e ancora a consumi e benessere». Per Draghi, i consumi «ristagnano perché i redditi reali delle famiglie non progrediscono e vi è una diffusa incertezza sul futuro». Per questo, ha sottolineato Draghi, «la condizione del mercato del lavoro è il tema centrale, da analizzare guardando a tutti gli indicatori e a tutte le buone fonti informative disponibili». Le banche, ha detto Draghi, «incidano sui costi» per sostenere la redditività in calo in questa fase e non cedano «a strategie che comportino rischi eccessivi o la richiesta di commissioni esorbitanti alla clientela meno informata o in difficoltà». Attenzione, poi, alle sofferenze afferma Draghi: «Vigileremo affinché le politiche di accantonamento delle banche tengano conto della delicatezza di questa fase, perché i modelli interni di valutazione della qualità degli attivi siano pronti a rilevare situazioni di tensione e le prove interne di stress vengano prontamente aggiornate». Parlando delle fondazioni Deaghi ha poi detto che «dovranno impegnarsi su tre fronti fondamentali: la loro stessa governance, la ricapitalizzazione delle banche, l'autodisciplina nel rapporto con il management di queste ultime». Non sono accettabili ingerenze della politica nelle banche, perché l'Italia non può tornare indietro di vent'anni. «L'esperienza italiana delle banche pubbliche - è il monito di Draghi - è viva nella nostra memoria. Certi rapporti fra gruppi economici locali, banche pubbliche e politica si sono dimostrati alla lunga esiziali per le banche, deleteri per il costume civile. La crescita del territorio ne è stata in più casi frenata, anziché favorita». Draghi ha anche osservato che la ripresa mondiale resta disomogenea, incerta e fragile. Una situazione, ha affermato, cui «non vi è altra risposta che un più stretto coordinamento tra le politiche economiche dei principali Paesi». Per Draghi, poi, regole europee quasi automatiche possono aiutare i paesi con le istituzioni più deboli a risolvere i loro problemi di politca economica. La Banca d'Italia, ha sottolineato il Governatore, istituirà un help desk per aiutare le banche nella fase di transizione alle nuove regole di Basilea 3. L'help desk chiarirà l'interpretazione della normativa e assicurerà l'attuazione da parte degli intermediari di politiche gestionali coerenti con il raggiungimento dei nuovi requisiti.
La giornata del risparmio. L'intervento di Giulio Tremonti (28 ottobre 2010).
Giulio Tremonti bacchetta la politica economica dei paesi europei e dice di avere molti dubbi su Basilea 3: «il rischio - spiega nel suo intervento - è che possa creare asimmetrie, tra il mondo bancario che finirebbe col diventare molto regolato e quello finanziario», che il ministro ha definito «shadow». Del resto, aggiunge Tremonti, «avevo criticato anche Basilea 2 che era fatta per proteggere dalla crisi ma poi la crisi é arrivata lo stesso». Parlando poi di crisi, Tremonti non ha risparmiato una stilettata ai paesi europei, che, ha detto, producono «più debito che ricchezza, più deficit che Pil. E così non si può più continuare». Tremonti ha sottolineato che «é evidente, guardando la carta geografica, che in tutta Europa é stata messa in atto dai singoli paesi una politica di rigore: l'intensità dei provvedimenti é stata diversa da paese a paese, ma è «a tutti chiaro che l'Ue produce più debito che ricchezza, più deficit che Pil e per affrontare le crisi future dell'economia non si potrà più ricorrere al debito pubblico», perché, ha detto, «non c'è un prossimo debito pubblico». Dopo la crisi, ha aggiunto, «l'attività di regolazione é centrale e strategica e lo Stability Board ha fatto un lavoro straordinario, importante per le cose scritte e gli impegni che dovranno prendere i governi in Europa, i parlamenti». Tremonti ha dichiarato di condividere i dati esposti dal governatore di Bankitalia, secondo cui l'Italia ha un tasso di «sottoutilizzo» del lavoro dell'11% tenendo conto di cassintegrati e lavoratori scoraggiati. Si potrebbe anche condivedere, ha aggiunto il ministro, un altro punto di vista: «quello evidenziato da una ricerca di Confartigianato secondo cui in Italia esistono 400 mila posti di lavoro che non vengono accettati». «Se la tua prospettiva è il posto fisso in una fondazione bancaria - ha detto Tremonti - la chance di disoccupazione è molto alta», così come se si dice «no grazie» a posti di lavoro da «infermiere, meccanico, sarto, apprendista». Il ministro ha anche parlato di banche e fisco e proposto l'idea - che potrebbe arrivare con la riforma fiscale - di avere due aliquote, una più bassa per la proprietà industriale e commerciale delle banche e una piu alta per le attività finanziarie», mentre ha escluso la tassazione di rendite e Bot: «Non è la cosa giusta al momento giusto», ha detto. Ma ha aggiunto di essere comunque aperto «a tutte le ipotesi che possono arrivare, e in parte sono già arrivate da Assogestioni e Abi, su una possibile riforma delle attività finanziarie». L'Italia, ha spiegato Tremoni, «è tra i pochi paesi d'Europa che pianifica una riforma generale del fisco. La riforma non può essere fatta in deficit. L'Europa non ce lo consentirebbe. Deve essere fatta seriamente». Il responsabile del Tesoro ha sottolineato che la lotta all'evasione fiscale «è un fatto fondamentale» per poter finanziare la riforma. «Ma - ha tagliato corto - prima incassi i soldi poi fai riforma. Prima devi averli nel sacco». Tremonti ha confermato l'impegno a reperire le risorse per la riforma dell'università, che definisce «fortemente condivisibile», mentre parlando del Fondo per la crescita dimensionale delle imprese, ha detto: «sta avendo un forte successo, che grazie alla tempistica molto apprezzabile da parte di Bankitalia, é il fondo più grande d'Italia, da quanto ci risulta ci sono già una settantina di proposte per investimenti diretti e tre per investimenti indiretti», ossia in fondi di fondi. Il Fondo , ha concluso Tremonti, «offre tempi più lunghi rispetto ai fondi privati e rendimenti non stressati, immediati».
Brunetta e la PA (29 ottobre 2010).
Nella pubblica amministrazione «per effetto delle misure in materia di blocco del turn-over, contratti di lavoro flessibile e collocamento a riposo, complessivamente tra il 2008 e il 2013 si può prevedere una riduzione dell'occupazione nel pubblico impiego di oltre 300 mila unità», pari a un calo dell'8,4%. È tra i dati portati dal ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, a un anno dalla riforma, a un convegno nel quale viene presentato anche il rapporto dell'Ocse sulla riforma della pubblica amministrazione in Italia. «Negli anni 2008 e 2009 - si legge nel documento presentato al convegno - il personale si è ridotto di circa 72 mila occupati scendendo a circa 3,5 milioni di unità». Le misure di contrasto all'assenteismo «hanno comportato una riduzione media delle assenze per malattia pro capite dei dipendenti pubblici di circa il -35%», ha detto ancora Brunetta: «Questo successo si traduce in 65 mila dipendenti in più ogni anno sul posto di lavoro, valore superiore a tutta la popolazione residente del comune di Viterbo. Anche in questo caso siamo riusciti a riallineare i valori tra settore pubblico e privato». Il contenimento dei numeri del pubblico impiego, assicura il ministro, viene raggiunto «senza pregiudicare volume e qualità dei beni e servizi pubblici offerti: dato il numero totale dei dipendenti della pubblica amministrazione al 2007 pari a 3,57 milioni di unità, la riduzione prospettata (-8,4%) nel quinquennio implica un aumento medio di produttività annuo del 2% circa».
Marcegaglia contro Berlusconi. La risposta del governo. (31 ottobre 2010).
Un Paese in preda alla paralisi, azione del governo assente in un momento molto difficile per l'economia. È un nuovo duro intervento quello che la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ha pronunciato al convegno dei giovani imprenditori a Capri, sollecitando un «cambiamento di passo». «A Genova avevo detto che la nostra pazienza stava finendo - ha ricordato la numero uno degli industriali -, a Prato avevo detto che finalmente qualcosa si era mosso, con l'elezione del ministro dello Sviluppo economico, ma ora ci risiamo, una nuova ondata di fango lambisce la credibilità delle istituzioni e del governo. C'è un senso di sfiducia forte, un senso di smarrimento. L'Italia è in preda alla paralisi». Marcegaglia rincara la dose: «Per non perdere posizioni competitive il Paese non deve perdere il senso di sé e in questo momento il rischio mi sembra forte. Se ogni giorno il dibattito politico viene travolto da questioni che nulla hanno a che fare con un'agenda seria, noi ci arrabbiamo e ci indigniamo». E rivendica: «Anche in questa situazione difficile, quando la sostanza e lo stile si allontanano da una soglia minimale di decoro, la nostra azione è di misurare parole e di parlare di cose serie». «È necessario ritrovare il senso delle istituzioni e il senso della dignità, altrimenti non si va avanti - aggiunge Marcegaglia, con un probabile riferimento alle ultime polemiche sulla vita privata del premier Berlusconi -. La politica deve riprendere il senso delle istituzioni, altrimenti l'Italia non ce la fa». In ogni caso, spiega, «Confindustria non dice che la responsabilità è del presidente del Consiglio, bisogna che la politica nel suo complesso reagisca». Come? Riprendendo «l'agenda delle riforme vere per ridare crescita e occupazione al Paese: fisco, ammortizzatori sociali, ricerca e innovazione e infrastrutture». In particolare, «la riforma fiscale bisogna assolutamente farla: bisogna tagliare la spesa pubblica, fare la lotta all'evasione e trovare risorse per ridurre le tasse al lavoro e alle imprese». Iniziative difficili da attuare, dato che «il governo non c'è, a parte qualche iniziativa singola. Il Parlamento non legifera più. Non si riesce nemmeno a eleggere il presidente della Consob». Poi una dura critica ai "movimenti" dentro il Parlamento: «È piuttosto squallido che molti deputati della maggioranza pensino al loro futuro, a dove andare di qua e di là, piuttosto che all'oggi del Paese. È inaccettabile». Anche se, sottolinea Marcegaglia, «non mancano ministri che fanno bene il loro mestiere».
Ma la leader degli industriali ribadisce anche il suo no all'ipotesi di elezioni anticipate: «Continuo a pensare che andare a votare in questa situazione è molto complicato. Resto dell'idea che non si debba andare alle elezioni, perché ad aprile c'è il piano di crescita e competitività da approvare in Europa. Abbiamo bisogno di serietà e che si facciano le cose per il Paese». Infine, un forte sostegno a Sergio Marchionne: «Confindustria è chiaramente a supporto della Fiat - dice Emma Marcegaglia -. Quel che sta facendo Marchionne è riportare l'attenzione sui problemi di competitività delle imprese. Non penso che la Fiat voglia lasciare l'Italia. Io sono d'accordo con lui, ma è anche vero che ci sono tante imprese che continuano, a ragione, a investire nel nostro Paese». La risposta del governo. Il governo non è affatto "paralizzato" e le "borghesie furbette" non possono illudersi sulla possibilità di un cambio di esecutivo senza passare per le elezioni. Lo afferma il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, dopo le parole del leader di Confindustria sulla mancanza di "azione del governo» e sul paese "in preda a una paralisi". "Tutto si può forse dire - sottolinea Sacconi in una nota - tranne che il governo sia paralizzato. Le borghesie furbette non si illudano. La parola torna sempre al popolo che sa riconoscere le élite egoiste in ricorrente combutta con i conservatori ideologizzati". "Quanto ai governi tecnici - aggiunge il ministro - sono oggi ben difficili da farsi, perché dei precedenti rimangono i ricordi pessimi di ciò che non hanno fatto, i grandi interessi privati che si sono espressi in danno del bene comune della Nazione, mentre quelli che li hanno sostenuti non sono stati rieletti. Quindi, o Berlusconi o elezioni".
se Futuro e Libertà fa suo l’invito al cambiamento di passo nel governo del Paese della presidente degli industriali Emma Marcegaglia, il Popolo delle Libertà invece la richiama all’ordine. "Al netto di polemiche passate alcune delle quali francamente del tutto inutili e sopra le righe - dice il capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto commentando le parole della presidente di Confindustria- non possiamo fare a meno di ricordare che il governo è intervenuto più volte positivamente nei confronti del mondo industriale e del mondo del lavoro, a partire dagli ammortizzatori sociali, dalla riforma delle pensioni e da incisivi interventi sul nuovo tipo di situazioni sociali, sulla semplificazione della legislazione e sulla riforma della pubblica amministrazione messa in atto dal ministro Brunetta. Questo e altro non può essere dimenticato da nessuno".
Lombardia (1 novembre 2010).
Si può ripartire dalla Lombardia, da Milano e non solo, per provare a uscire dalla crisi? La domanda viene rivolta al mondo dell’impresa, della ricerca, della solidarietà e della cultura, in occasione del forum organizzato nella Sala Albertini del Corriere della Sera. Il Paese aspetta un segnale da un’area che resta tra i motori d’Europa. E in Lombardia il sistema tiene meglio che altrove, ma ci sono urgenze da risolvere subito: la mobilità, il credito alle piccole imprese, i vincoli fiscali, gli incentivi alla ricerca. Parte da una sfida locale e globale il dibattito a cui hanno preso parte Andrea Moltrasio, vice presidente europeo di Confindustria; Valeria Fedeli, presidente della Federazione sindacale europea del tessile; Philippe Daverio, scrittore e critico d’arte; Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri; don Antonio Mazzi, fondatore della Comunità Exodus per il recupero di ragazzi tossicodipendenti. Moderatore, Giangiacomo Schiavi, vicedirettore del Corriere.
Andrea Moltrasio: «In Lombardia c’è del fermento, e questo è buono: ma non ancora dei risultati. La crisi ci ha messo in ginocchio, coinvolgendo un Paese di subfornitori industriali, per cui è necessario indagare sui prezzi e sui costi della nostra competitività. Accade qui quel che si vede in Germania: piccole e momentanee boccate d’ossigeno, e via. Un segnale positivo nella crisi? La capacità dei sindacati di dialogare con le imprese. Uno negativo? Le infrastrutture, che noi imprenditori chiediamo da anni, e sono ancora inesistenti. La scarsa mobilità penalizza in modo assurdo tutti. Milano oggi, per usare la metafora del sociologo Aldo Bonomi, è una città infinita che si estende per un raggio di oltre cinquanta chilometri, ma non ha i collegamenti adeguati: sono quarant’anni che si parla di Pedemontana...».
Giangiacomo Schiavi: «Per agganciare la ripresa bisogna essere sempre più competitivi. Milano ha messo per anni il terziario e la finanza tra i settori di punta del suo futuro. Quali sono oggi i settori trainanti?». Valeria Fedeli: «Bisognerebbe parlare di Lombardia e Italia, Lombardia ed Europa, più che di Milano-Italia o Europa. Nella regione tante piccole imprese dimostrano grande vitalità e attenzione alla dimensione globale. Vedo un futuro per settore della manifattura di qualità, perchè senza una buona manifattura non si realizzano nemmeno i servizi. È necessario investire di più in innovazione e internazionalizzazione. Come fanno le regioni della Germania e della Francia, compatte in un’idea di sistema, e non in realtà individualistiche come le nostre. In Lombardia abbiamo ancora un insieme di imprese che, se facessero sistema, potrebbero avere una voce forte in Europa».
Giangiacomo Schiavi: «Puntare sull’innovazione significa anche investire nella ricerca: l’istituto Mario Negri, realizzato negli anni Sessanta dal professor Garattini, con due sedi a Milano e a Bergamo, è nato con un mix di competenze, passione e investimenti che ne hanno reso possibile la crescita. Sarebbe possibile nel 2010 la nascita di un altro Negri?». Silvio Garattini: «In Lombardia, come nel resto dell’Italia, la ricerca è penalizzata dalla mancanza della grande impresa. Esistono gli investimenti industriali privati, ma anche qui siamo davanti soltanto al Portogallo. La ricerca, per sua natura è internazionale: il Mario Negri ha sempre guardato al mondo, accettando le regole della competitività. Vince il più bravo, il più serio. Questo è il messaggio culturale che la Lombardia deve dare. Da noi però, è triste dirlo, la ricerca non fa cultura. Siamo il Paese in cui, su mille lavoratori, solo il 2,7 fa ricerca, mentre la media europea è al 5,1 per cento. Un altro Mario Negri oggi? Negli anni ’60 c’era un diverso clima culturale. Ora, un istituto così, indipendente, senza le sue riserve-risorse economiche, sarebbe costretto a chiudere». Giangiacomo Schiavi: «Bisogna ritrovare lo spirito di un rinnovamento culturale di cui si sente l’esigenza. Di questa regione si è sempre detto che sapeva anticipare i cambiamenti. Gaetano Salvemini scriveva: quel che accade a Milano prima o poi accadrà nel Paese. Qual è il termometro culturale in Lombardia, oggi?». Philippe Daverio: «Se ricerca vuol dire fare cultura, c’è da chiedersi dove vogliamo arrivare... L’Italia ha fatto meno di quanto potesse fare in entrambi i campi, ma è anche vero che la Lombardia non svolge più il suo ruolo di traino, di faro culturale. Ieri, per esempio, eravamo all’avanguardia nel teatro, con Streheler; oggi le avanguardie non ci sono più. Guardiamo fuori: la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha stretto la cinghia, imponendo grossi sacrifici, ma escludendo i settori della cultura, della formazione e della ricerca. Alcuni dati: in Germania è laureato il 21% della popolazione, mentre in Italia mandiamo all’università solo il 7%, laureandone la metà. Io sono molto pessimista, anche se l’Italia cambia in occasione dei grandi scossoni». Giangiacomo Schiavi: «Nel modello lombardo c’è una società aperta, riformista, solidale. Qui la solidarietà è diventata quasi sistema, la rete del volontariato lo dimostra. Che cosa si muove dentro questo mondo che svolge un’azione di supplenza verso i bisogni di giovani, anziani, famiglie in difficiltà?». Don Antonio Mazzi: «Il volontariato è una risorsa. Ma sta perdendo identità. Prima a Milano e in Lombardia era un’onda, capace di cambiare le cose. Faccio un esempio: a Milano, nel ’75, i tossicodipendenti venivano recuperati segregandoli con metodi repressivi. Noi abbiamo organizzato delle carovane, un sistema diverso per tirarli fuori dall’inferno. Oggi, il volontariato è quello buonista, del cerottino: dà una mano. Ma questa è l’ultima spiaggia della disperazione. Io vorrei un volontariato creativo e progettuale, sollecitato dalle istituzioni, le quali invece sono immobili. La questione che si pone, a Milano, in Lombardia, un po' dovunque, è che tanti giovani sono disperati non perché sono senza lavoro, ma perché privi di un progetto di vita. Io credo che da noi debba partire un progetto per agire su tre aree: i ventenni (ormai i nuovi adolescenti), i quarantenni (adolescenti di ritorno) e gli anziani sani, che possono dare tanto. In Lombardia avremmo tutto per poterlo fare, ma è sparito il sogno tra i giovani. Io a ottant’anni mi rimetto in gioco: ci vuole un nuovo don Milani». Andrea Moltrasio: «Parlando di giovani, stimoli e sogni, ci sono esempi positivi: il festival di Bergamo Scienza, dove ogni anno più di 180 eventi sono seguiti da migliaia di giovani. Ecco, il consenso sociale, la partecipazione, nel tempo, possono creare sensibilità e fondi per la ricerca scientifica. Quanto alle piccole imprese, non entro in polemica col professo Garattini, ma occorre una corretta distribuzione dei fondi...». Silvio Garattini: «Certo, ma resta il fatto che l’impresa privata spende per la ricerca scientifica soltanto lo 0,40 per cento del Pil». Andrea Moltrasio: «Le piccole imprese sono fondamentali per la conoscenza, nel fornire il know-how, che è il nuovo paradigma industriale. L’innovazione spetta ai giovani, i quali devono diventare più temerari, più audaci. Su questo aspetto, la Lombardia ha bisogno di reinventarsi». Philippe Daverio: «Ma se non torniamo a fare politica, seria, è tutto inutile. La mia impressione è che il Paese - e la Lombardia, quindi - sia in una fase di pre-scoppio».
Giangiacomo Schiavi: «Torniamo alle imprese: esistono dei meccanismi di difesa da un’invasione di prodotti a basso prezzo e di scarsa qualità che mettono in crisi il mercato interno?». Valeria Fedeli: «In Lombardia, un terzo della classe dirigente ha pensato di affrontare la globalizzazione chiudendo le barriere. Ma se io non posso portare merce e prodotti in Cina, ne soffro. Servono regole globali e un secco no al protezionismo, altrimenti muore il lavoro. In Lombardia, poi, ci sono tre cose che hanno attutito gli effetti della crisi: le famiglie, gli ammortizzatori sociali estesi anche alle piccole imprese, il disinvestimento occupazionale delle donne nel mondo del lavoro. A dicembre, finiranno i soldi della cassa integrazione, e quindi via ai licenziamenti di massa. La nostra economia reale è fatta al 90% dalle piccole imprese, le quali non possono fare ricerca in quanto non sono in rete, ovvero lontane dal concetto di sistema». Silvio Garattini: «Io faccio parte degli ottimisti: vedo la luce in fondo al tunnel. Con il Mario Negri abbiamo speso ultimamente ben 90 milioni di euro per le sedi di Milano e di Bergamo, al Kilometro rosso. Un rilancio nella crisi... Però, lo Stato non ti aiuta. Su 90 milioni di investimento, per esempio, accumulo 18 milioni di Iva, che mi sbancano. Per quanto riguarda i ricercatori, invece, è un dramma: di fronte a una borsa di studio da 15 mila euro, ne pagano 3 mila soltanto di tasse. Per i nostri abbiamo costruito un residence con quaranta appartamenti. Sempre senza aiuti. Giangiacomo Schiavi: «Dodici università in Lombardia sono un punto di forza: ma nessuna è riuscita a realizzare un campus. Questo ci penalizza questo rispetto all’offerta dell’estero?». Philippe Daverio: «Il campus è un sogno impossibile: non siamo negli Stati Uniti. Però si deve fare qualcosa per gli studenti: a me sembra ridicolo che non si offra ad un giovane che vive in una città come Milano la possibilità di pagare un affitto non superiore ai 300 euro. È un vero peccato che la capitale lombarda stia venendo meno ai suoi presupposti storici di accoglienza. Servirebbe un ritorno alla buona tradizione lombarda, cioè quel sentirsi responsabile, un vero civis della propria città. Milano è svanita in una dimensione amministrativa che non le può più competere, anche se continua ad essere il riferimento psicologico della regione Lombardia: di giorno tre milioni di utenti, ci dormono un milione e mezzo di persone, ma vi pagano le tasse al massimo 900 mila. Insomma, la città metropolitana è morta. Potrebbe esserci un ultimo sussulto, ma al momento la città- struttura è in fase di rottura». Giangiacomo Schiavi: «Però l’attrazione continua: il fenomeno migratorio ha portato nella sola Milano 300 mila stranieri. Brescia è appena dietro; alcune attività in campagna e nelle aziende di servizi sono svolte da immigrati. Eppure l’integrazione resta difficile, nella società ci sono resistenze e paure...». Andrea Moltrasio: «L’integrazione è avvenuta più nelle fabbriche che nel territorio. Il pragmatismo lombardo ha dato risposte immediate al fenomeno dell’immigrazione assorbendo subito chi aveva voglia di integrarsi con il lavoro. La Lombardia dice che se vogliamo restare un paese per giovani abbiamo bisogno di immigrazione». Valeria Fedeli: «La politica usa l’immigrazione come arma elettorale. E’ vero che in Lombardia c’è stata più solidarietà dal mondo del lavoro, ma è ancora troppo poco». Giangiacomo Schiavi: «Torniamo ai fattori di sviluppo. Tra i dei punti critici resta la scarsa connessione tra piccole imprese e mondo della ricerca?». Andrea Moltrasio: «Senza un ponte fra chi la ricerca la fa e chi la usa, non si va da nessuna parte. Se pensiamo a Bergamo e alla sua provincia con un centro di trasferimento tecnologico, una facoltà d’ingegneria in grado di laureare 250 studenti all’anno, un aeroporto a livello europeo, le cose ci sono. E quando il quadro della situazione è roseo, le imprese non ci pensano due volte ad investire sul territorio. Ho assistito tempo fa ad uno spin-off con ragazzi under 30, capaci di metter su una impresa. Il nostro obiettivo è di realizzare in Lombardia un welfare attivo, sia dal punto di vista sociale che culturale, un investimento quindi sulla gente, attraverso la coesione sociale nelle imprese». Philippe Daverio: «Tutto vero, ma ho l’impressione che se non facciamo i conti col capitalismo da concessione, non ne usciamo. Dobbiamo renderci conto della battaglia in corso tra capitalismo di concessione (capace di divorarsi tutto nel nostro Paese) e capitalismo di competizione».
Valeria Fedeli: «Una delle cose da far emergere è che bisogna sostenere l’economia e il lavoro nella competizione globale, e non nel capitalismo da concessione che noi definiamo "rendite finanziarie"...». Giangiacomo Schiavi: «Dove sarebbero, qui in Lombardia, i settori di punta della competizione globale?». Valeria Fedeli: «Nella moda, ma intesa come industria della moda, e cioè tessile, abbigliamento, cuoio, occhiali, calzature. E quindi nella produzione di servizi per l’impresa, per la ricerca, per l’acquisizione di materie prime e per la commercializzazione. Oggi, l’industria manifatturiera in Lombardia potrebbe essere gestita in questo modo. Se compri una determinata giacca, a esempio, è perché ti identifichi in quella griffe, ma non si deve andare oltre. La pericolosità di alcuni messaggi pubblicitari indebolisce la dignità della donna, che invece è necessario recuperare. La reazione già si intravede, soprattutto a causa della crisi, nella ritrovata attenzione al mondo del lavoro operaio-industriale. È un piccolo ritorno a un antico senso d’orgoglio.» Andrea Moltrasio: «Rispetto al resto d’Europa, c’è ancora molto da fare in Lombardia. Un buon approccio di confronto sono 4 variabili: livello di aggregazione, dinamismo, ciclo di vita del territorio, politiche per attuarlo. In Lombardia, il livello di aggregazione funziona; il punto 2 indica invece una disomogeneità, mentre il ciclo di vita è legato alla produzione. Per il quarto parametro, occorre un leader che ci dia degli indirizzi». Silvio Garattini: «La Lombardia ha le basi per una ricerca efficace, dello stesso livello di quella danese o svedese. Servono però delle collaborazioni internazionali e anche tra le stesse istituzioni lombarde, attraverso commesse competitive nel campo sanitario, o collaborando con le piccole e medie imprese. Infine, la Lombardia dovrebbe avere almeno un progetto di ricerca da affrontare in modo interdisciplinare. E poi puntare, diminuendo i limiti fiscali, su una ricerca sempre più giovane». Don Antonio Mazzi: «Se perdiamo la passione, è finita. I giovani hanno bisogno di questo, anche a rischio di finire fuori dagli schemi». Silvio Garattini: «Non dimentichiamo che nel campo della ricerca le donne sono le migliori. Un buon sessanta per cento dei ricercatori sono donne».
Cultura della responsabilità, sistema della conoscenza, connessione tra imprese e ricerca, politica per i giovani: gli obiettivi ci sono. All’ultima domanda, tutti, tranne Daverio, danno una risposta positiva. La domanda è: «La Lombardia è ancora la terra delle grandi occasioni?». La speranza, per ora, resiste.
300 mila gli studenti universitari in Lombardia, di cui 200 mila quelli milanesi
12 le sedi universitarie in Lombardia ma ancora oggi non esiste un Campus tra di esse.
Banca mondiale: è difficile fare impresa in Italia (4 novembre 2010).
Fare impresa in Italia è più difficile che fare impresa in Ruanda. Lo dice la Banca mondiale, che nell'ultimo rapporto Doing Business relega l'Italia all'80esimo posto della classifica internazionale. Penultimo tra gli stati membri della Ue, davanti alla Grecia, appena meglio dell'Albania e in arretramento di quattro posizioni rispetto all'anno scorso. Lontana perfino dal Ruanda (58° ma con tanta buona volontà perché l'anno scorso era 70°) e della Bulgaria, stabile al 51°. Ma che cosa significa poter fare impresa secondo i canoni dell'International finance corporation (Ifc), il braccio della World Bank che opera col settore privato ed è autore del rapporto? E perché l'Italia è messa così male, a distanza preoccupante anche dai concorrenti diretti come Germania e Francia, rispettivamente al 22° e al 26° posto, per non parlare del grupppo di testa formato da Singapore, Hong Kong e Nuova Zelanda? In un contesto internazionale, aprire, gestire e chiudere un'attività economica nel nostro paese richiede sforzi immani, considerando che stiamo parlando della quinta economia manifatturiera al mondo e del secondo esportatore europeo. In generale, gli elementi microeconomici esaminati dall'Ifc riguardano gli aspetti procedurali della creazione di un'impresa, con relativi costi d'avviamento e tempi; gli iter per l'ottenimento delle licenze edilizie; la facilità o meno di registrazione della proprietà; l'accesso al credito; le modalità per il pagamento delle imposte e la loro incidenza sul reddito prodotto; il rispetto dei contratti; la capacità di commerciare con l'estero; l'efficienza delle norme che regolano la cessazione di un'attività; la flessibilità del mercato del lavoro. Nella media ponderata di questi fattori l'Italia non ha compiuto grandi progressi rispetto al rapporto precedente, anche se si è evitato il "microimmobilismo" grazie all'istituzione, nell'aprile scorso, del registro telematico delle imprese. Colpa della crisi, si dirà, che ha scompaginato l'agenda delle priorità politiche. No. Per intere aree macroeconomiche, Europa dell'Est e Asia Centrale in testa, essa è stata l'occasione per accelerare quelle riforme capaci di rendere la vita meno dura soprattutto alle piccole e medie imprese, le più esposte alla mutazione genetica subìta dal collasso della finanza nel 2007-2008. «L'85% delle economie di questa zona, tra il 2009 e il 2010 ha realizzato almeno una delle riforme elencate nel rapporto», dice Sylvia Solf, coordinatrice dello studio. «Mentre alcuni paesi sono stati colpiti più duramente di altri dalla crisi – continua l'economista dell'Ifc – la difficoltà o la facilità di avviare e condurre un'attività economica, il rafforzamento della trasparenza e dei diritti di proprietà, il miglioramento dell'efficienza delle dispute commerciali o delle procedure d'insolvenza, possono influenzare il modo in cui le imprese reagiscono alla crisi e riescono a cogliere le nuove opportunità di crescita». Secondo il dettaglio delle schede paese, ciascuna divisa in 9 categorie microeconomiche, in Italia è mediamente difficile aprire un'attività (68° posto nella classifica generale), proteggere il proprio investimento (59°). È molto difficile (92°) ottenere i permessi di costruzione, accedere ai finanziamenti (89°), pagare le tasse (128° posto in classifica) sia per l'incidenza complessiva sull'utile d'impresa, misurata dall'Ifc al 68,6% del reddito prodotto, sia per il tempo da dedicare ai relativi adempimenti: in media 285 ore all'anno contro, ad esempio, le 135 ore della Danimarca. L'unica nota di merito, alla fine, riguarda la relativa facilità con la quale ormai si può chiudere un'impresa: un 30° posto guadagnato grazie alla riforma complessiva delle procedure fallimentari, introdotta tra il 2006 e il 2007. Il che fa sintetizzare a Sylvia Solf: «Il maggior freno all'attività economica in Italia resta la burocrazia».
Draghi: l'Italia fatica a crescere (5 novembre 2010).
Mario Draghi lancia un nuovo allarme per l'economia italiana: dopo la crisi globale, l'Italia rischia di «trovarsi di fronte a un bivio tra la stagnazione e la crescita», ha detto il numero uno di palazzo Koch, nel corso del suo intervento al convegno della facoltà di Economia dell'università olitecnica della Marche. Draghi ha sottolineato che gli effetti della recessione sulla struttura produttiva italiana «devono ancora essere valutati» e la «difficoltà dell'economia italiana di crescere e creare reddito non deve smettere di preoccuparci». Per capire le difficoltà di crescita dell'Italia, ha proseguito Draghi, dobbiamo interrogarci sulle cause del deludente andamento della produttività»: un fenomeno, ha aggiunto, che negli ultimi dieci anni è stato uniforme su tutto il territorio nazionale. Insomma, è un problema del Paese». L'Italia, spiega ancora Draghi, è mediamente ricca ma ha un problema di crescita e «l'inazione» potrebbe generare un declino protratto». Il rischio é soprattutto per i giovani e la sfida «è tornare a ragionare sulle scelte strategiche collettive per creare un ambiente istituzionale e normativo, un contesto civile che coltivino i valori di cultura, conoscenza e spirito innovativo al tempo stesso rafforzando la coesione sociale». Per Draghi, l'inazione ha costi immediati e la «mobilità sociale persistentemente bassa che si osserva in Italia deve allarmarci». Studi condotti da Bankitalia, aggiunge, mostrano che il luogo di nascita e le caratteristiche dei genitori continuano a pesare molto di più delle caratteristiche personali nel determinare il successo professionale di un giovane. Il rischio del lungo declino quindi non é da escludere anche perché, ricorda Draghi, si devono ancora valutare gli effetti della recessione sulla struttura produttiva del Paese: recessione «che ha fatto diminuire il Pil italiano di quasi 7 punti». È possibile - conclude il governatore di Bankitalia - che lo shock della crisi abbia accelerato «la ristrutturazione almeno di una parte del sistema accrescendone efficienza e competitività; é possibile un semplice, lento ritorno al passo ridotto degli anni pre-crisi; ma è anche possibile un percorso più negativo», che non può essere sottovalutato.
ISTAT: segni di ripresa (5 novembre 2010).
Qualcosa si muove, anche negli umori, e non è poco. Da qui si formano aspettative che potrebbero diventare dati e irrobustire la congiuntura nel medio periodo, soprattutto se dovesse consolidarsi la tendenza a un calo delle ore di cassa integrazione, come è avvenuto anche in ottobre. L'indagine multiscopo condotta dall'Istat e relativa ai primi mesi dell'anno, lascia intravedere piccoli passi avanti verso una visione meno angosciata e più positiva del presente e del futuro prossimo, anche se con differenze di rilievo tra il Nord (meglio) e il Sud del paese (peggio). Oltre a rilevare gli atteggiamenti delle famiglie italiane, come la soddisfazione per le relazioni familiari e amicali, la situazione economica e i problemi più importanti della zona in cui vivono, l'indagine ha registrato per la prima volta informazioni sul benessere soggettivo, quali il grado di soddisfazione complessivo per la vita e quello relativo alla fiducia interpersonale. Sono quesiti che rispondono alle raccomandazioni dell'Ocse, a loro volta alimentate dal rapporto Stiglitz con il quale tre economisti, appunto Joseph Stiglitz, Amartya Sen e Jean-Paul Fitoussi mostrano nuove vie, più "immateriali", per misurare il benessere di una nazione andando oltre il pil. La pubblicazione dell'indagine Istat è coincisa ieri con quella sui dati relativi alla Cig di ottobre, dai quali partiremo per poi arrivare alle rilevazioni sul grado di soddisfazione dei cittadini. Cassa integrazione. Le ore autorizzate nel mese sono state 100,8 milioni rispetto alle 103,2 milioni di settembre e alle 97,1 dell'ottobre 2009. Il calo è sensibile soprattutto negli interventi ordinari (cigo) che segnano una contrazione dell'8,4% su base mensile e del 60% su base annua. Sono diminuite anche le ore di cassa integrazione straordinaria (cigs), del 5,1% rispetto a settembre. «Anche in ottobre si conferma che la differenza nelle richieste di cassa integrazione guadagni la fa la deroga, uno strumento innovativo che ha permesso di allargare il bacino di protezione per lavoratori e imprese», ha commentato il presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua. Gli interventi in deroga sono infatti in controtendenza rispetto agli altri due strumenti, cosa che accade puntualmente da alcuni mesi: +6,4% su settembre e più che raddoppiate rispetto allo stesso mese dell'anno prima. La Cig è un dispositivo relativamente giovane, in vigore dal 2009, che permette per la prima volta a piccole e piccolissime imprese, spesso commerciali e artigianali, studi professionali, fornitori di servizi alla persona, di beneficiare degli ammortizzatori sociali. A livello settoriale si nota un calo del ricorso complessivo alla cassa integrazione soprattutto nell'industria (-9,10% su base annua) mentre edilizia, artigianato e soprattutto commercio registrano incrementi sensibili sull'ottobre 2009: rispettivamente del 36, del 60 e del 98 per cento. È chiaro che si tratta di incrementi legati al maggior ricorso della cig in deroga. Una sequenza, del resto, che rispetta la cinghia di trasmissione della crisi: ordini e industria sono in ripresa, al traino della domanda estera; costruzioni, commercio al dettaglio e le attività locali legate allo sviluppo del territorio continuano a patire l'incertezza della domanda interna e il conseguente stallo dei consumi. Consumatori. Nei primi mesi del 2010, la percentuale di persone di 14 anni e più che si dichiara molto o abbastanza soddisfatta della propria situazione economica è del 48,4 per cento. Rispetto all'anno scorso è cresciuta leggermente la quota di quelli che si dicono abbastanza soddisfatti, dal 44,3 al 45,5 per cento. La geografia di questa soddisfazione rispecchia la solita disparità tra Nord, dove la quota dei residenti soddisfatti è maggioritaria (55%), Sud (38%) e Centro (49,8 per cento). Si registra inoltre una generale stabilizzazione della situazione economica delle famiglie rispetto a un anno fa: scende dal 50 al 44,8% la quota di quanti registrano un peggioramento. Quanto al benessere soggettivo, misurato su una scala da 0 a 10 come grado di soddisfazione complessiva della propria vita, il Nord registra un valore medio del 7,4, il Centro pari a 7,1 e il Mezzogiorno un valore di 7.
Fmi: approvaproposte del G20 (7 novembre 2010).
Una ripartizione dei diritti di voto più conforme al peso delle economie e maggiori risorse disponibili. Questi i punti cardine della riforma della governance e delle quote del Fondo monetario internazionale (Fmi) proposta dal G-20 e a cui il board del Fondo ha dato il via libera. «È una decisione storica, la più decisiva nei 65 anni di vita del Fondo e quella che rappresenta il maggiore spostamento di influenza in favore delle economie emergenti e quelle in via di sviluppo, riconoscendone un ruolo crescente nell'economia mondiale», afferma il direttore generale del Fondo, Dominique Strauss-Kahn. La riforma «è stata un nodo che ha richiesto molto tempo ed energie negli ultimi anni, e sono contento che ora sia stato sciolto: il problema di lunga data della legittimità del Fondo è stato risolto» osserva Strauss Kahn, che ha fatto della riforma del Fondo la propria priorità sin dal suo arrivo alla guida dell'istituto nel 2007. Per entrare in vigore, la riforma dovrà essere approvata dagli stati membri del Fmi: per il via libera servono almeno l'85% dei voti favorevoli. In alcuni paesi sarà necessario che la riforma venga approvata per via legislativa. È il caso degli Stati Uniti. Strauss-Kahn non ritiene che la Camera americana, ora in mano ai repubblicani, ritardi l'approvazione. Ecco di seguito i punti principali della riforma e i 20 principali membri del Fmi in base alle quote in loro possesso con la riforma. Redistribuzione seggi board. Il board resta di 24 seggi, di cui 10 saranno riservati agli stati membri più grandi (Stati Uniti, Giappone, Brasile, India, Russia, Cina e quattro economie europee). L'Europa rinuncia a due seggi, passando dagli attuali nove a sette. La maggioranza qualificata viene mantenuta all'85% dei diritti di voto. Raddoppio quote. La riforma adottata nel 2008, e mai entrata in vigore, avrebbe dovuto farle passare a 238,4 miliardi di dollari. Il G-20 lo scorso 23 ottobre si è accordato per raddoppiare tale cifra, che così supererà i 750 miliardi di dollari.
Aumento del peso dei paesi emergenti. Trasferimento del 6% dei diritti di voto dalle economie industriali a quelle dinamiche. Il tutto tutelando i diritti di voto dei paesi più poveri, ovvero quelli che chiedono prestiti al Poverty reduction and growth trust e quelli che hanno un reddito pro-capite inferiore all'International development association (nel 2008 pari a 1.135 dollari l'anno).
Marchionne: la strategia per l'auto (10 novembre 2010).
Ci vorranno un paio d'anni per far ripartire il mercato dell'auto. Ne è convinto Sergio Marchionne, amministratore delegato del Lingotto, che a margine del conferimento della laurea ad honorem a Giorgetto Giugiaro, sostiene che la Fiat non abbia perso quote di mercato a causa del mancato rinnovo dei modelli. «Non credo che sia quello il motivo», prosegue Marchionne che sottolinea che la volontà di non introdurre in un mercato depresso nuovi modelli faccia parte di una strategia. «Nel segmento A e B si è svuotato il tubo. Si faccia ripartire il mercato, ci vorrà un paio di anni». Marchionne, anticipando che la nuova Y10 sta per arrivare sul mercato, ha respinto le critiche secondo cui la crisi di mercato denunciata nell'ultimo periodo dal gruppo torinese sia riconducibile al fatto che il parco modelli di Fiat sia vecchio. «Non credo - spiega - che sia così». La strategia di Fiat è stata ben pianificata per raggiungere un determinato obiettivo. «Il mercato è in linea con le previsioni. Ho incontrato a Bruxelles tutti gli altri costruttori europei: la ripresa dei numeri delle case non solo europee ma anche americane è dovuta semplicemente alla crescita dei mercati esteri». Interpellato su un'eventuale applicazione del modello Pomigliano a Mirafiori, l'ad del Lingotto risponde: «E' un'idea fenomenale, se riusciamo ad arrivare a quel livello là partiamo immediatamente. Abbiamo le vetture da fare. C'è un accordo di principio con alcuni sindacati, vediamo se riusciamo a ricucire il tutto». Alle voci che arrivano dal sindacato che parlano di un trasferimento della produzione della Mito a Melfi e dell'inizio della produzione di un Suv a Mirafiori l'a.d. di Fiat risponde con ironia sottolineando che le strategie del gruppo torinese sono pianificate «da una massa di bravissimi ingegneri». A quanti gli fanno notare che la Fiom torinese sostiene che l'azienda non li abbia ancora convocati, Marchionne risponde secco: «Alle dichiarazioni della Fiom non rispondo più, non ne vale la pena».
Indiscrezioni sulla lista delle banche troppo grandi per fallire (10 novembre 2010).
Banche di Serie A e banche di Serie B. O meglio banche troppo grandi per fallire (perché un loro collasso creerebbe rischi sistemici) e banche che hanno un raggio d'azione più limitato e, di conseguenza, un loro choc non impatterebbe su Pil di altri paralleli. La differenza? Il bollino «to big to fail», quello delle banche alloggiate nella prima lista appunto, potrebbe costare caro: un supplemento di capitale del 2-3 per cento. Proprio in ragione della responsabilità sistemica che i big della finanza mondiale si portano sul groppone. Secondo l'indiscrezione, pubblicata dal Financial Times, sarebbe questo uno degli spunti più rilevanti, oltre allo spinoso tema delle valute, che potrebbe emergere dal G20, che si riunisce giovedi 11 e venerdì 12 a Seoul. I funzionari del G20 potrebbero spingere, infatti, gli organi di vigilanza a concentrarsi sulle grandi banche che fanno operazioni a livello mondiale, dispensando invece dai regolamenti più severi quelle che si focalizzano sul mercato interno, come gli istituti di Cina e Giappone. Gli organi di vigilanza starebbero lavorando in particolare su un quadro regolamentare per le cosiddette istituzioni finanziarie di importanza sistemica (SIFIs). Tra le iniziative in discussione per le SIFIs quello di porre un supplemento di capitale del 2-3% ai nuovi vincoli patrimoniali del pacchetto "Basilea 3", approvato a settembre e in discussione proprio al G20. Tra le banche «too big to fail» (troppo grandi per fallire) secondo il quotidiano finanziario britannico ci sarebbero una banca tedesca (Deutsche Bank), alcune banche statunitensi (Bank of America-Merrill Lynch, Citigroup, Goldman Sachs, JPMorgan Chase, Morgan Stanley), alcune britanniche (Barclays, Hsbc, Royal Bank of Scotland, Standard Chartered), una canadese (Rbc), due spagnole (Santander, Bbva), alcune banche francesi (Bbp Paribas, Société Générale), due italiane (UniCredit, Intesa Sanpaolo), una olandese (Ing) e alcune svizzere (Credit Suisse, Ubs). Ma la lista - secondo il quotidiano della City - l'elenco potrebbe ancora subire variazioni. Non a caso questa mattina le azioni di Mizuho, SumitomoMitsui Financial Groupe Mitsubishi UFJ Financial Group - la tre maggiori banche giapponesi, quelle che potrebbero essere rimosse dalla prima lista - hanno registrato forti guadagni oggi negli scambi a Tokyo. Nel dettaglio, le azioni di Mizuho sono salite del 5,9% a 125 yen, SMFG è salita del 5,1% a 2.495 yen e MUFG ha guadagnato il 4,5% a 394 yen. Nomura Holdings, la maggiore società di intermediazione del Giappone, è salita del 4,2% a 446 yen. La precisazione del Financial Stability Board
Nel primo pomeriggio, però, fonti del Financial Stability Board presieduto dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, hanno in parte smentito le indiscrezioni del Financial Times, precisando che sta lavorando a criteri generali che consentano di stabilire quali siano banche e istituzioni finanziarie che pongono rischi di portata sistemica, ma non sta stilando né ha approntato liste di specifiche di banche a rischio. Peraltro la lista citata oggi dal Financial Times è perfino scollegata, aggiungono le fonti del Board, al lavoro che si sta svolgendo sui parametri di identificazione delle banche a rischio sistemico. Risale infatti al 2008, quando il predecessore dell'Fsb, il Financial Stability Forum elencò una serie di istituzioni in cui erano necessario che fossero presenti comitati di vigilanza internazionali.
Salta la proroga al 2011 per gli incetivi del 55% (11 novembre 2010).
È saltata la proroga al 2011 della detrazione Irpef del 55% sulle spese per l'efficientamento energetico degli edifici. La misura doveva essere introdotta nella legge di stabilità (ex Finanziaria) dal maximendamento del Governo. Una misura che è stata cassata per la ristrettezza delle coperture individuate per il maxiemendamento: i 5,5 miliardi invece dei sette necessari, non hanno consentito la proroga dell'incentivo fiscale per i lavori finalizzati al miglioramento dell'efficienza energetica delle case attraverso la riqualificazione degli edifici, la sostituzione di finestre, infissi, pavimenti o impianti di climatizzazione o l'installazione di pannelli solari. Un bonus in vigore fino alla fine del 2010 che non è cumulabile con altri incentivi riconosciuti a livello locale o dalla Comunità europea per gli stessi interventi. Intanto è stato riammesso l'emendamento del Pd alla Finanziaria a firma della capogruppo in commissione Ambiente, Raffaella Mariani, che prevede un bonus del 55% per le ristrutturazioni edilizie eco-compatibili. Pier Luigi Bersani ha criticato la scelta del Governo di non prorogare le detrazioni del 55% previste per gli interventi edilizi per il risparmio energetico. «Trovo francamente demenziale una scelta di questo genere», ha detto il leader del Pd (ndr - Bersani seguendo la linea dei guitti che costellano il panorama della sinistra non perde occasione per insultare in modo becero). Per caldeggiare la proroga per «una misura di buon senso» era sceso in campo anche il Fli con il vicecapogruppo vicario alla Camera, Benedetto Della Vedova. «Si tratta di una misura che funziona egregiamente - ha sottolineato Della Vedova - che incentiva un pezzo di economia importante in modo virtuoso, con risultati straordinari in termini di risparmio energetico, che provoca l'emersione dal nero in un settore che, come l'edilizia, notoriamente vi fa ricorso anche nel nord Italia. È una misura virtuosa che chiediamo venga rifinanziata». Secondo i calcoli del Fli il costo della misura è di circa 400 milioni, «ma gli analisti ci spiegano che se uno allarga un po' i conti si accorge che la misura sostanzialmente non ha costo, nel senso che poi è difficile seguire tutti i rivoli che poi ritornano alle finanze pubbliche». I dati dell'Enea segnalano che tra il 2007 e il 2009 i privati hanno investito 7,9 miliardi per effettuare interventi agevolati (infissi isolanti, caldaie a condensazione, panelli solari, coibentazioni). Alla fine del 2010, si stima, il totale arriverà a 11,1 miliardi, che corrispondono a 6,1 miliardi di detrazioni. Per il presidente nazionale dei Verdi per la Costituente ecologista, Angelo Bonelli, il taglio del bonus fiscali del 55% per le eco-ristrutturazioni è «il colpo mortale alla modernizzazione del Paese e mette a rischio decine di migliaia di posti di lavoro legati alla green economy». Il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza si chiede come è possibile cancellare «un provvedimento virtuoso che ha creato lavoro, permesso di ridurre le bollette energetiche, riqualificato case e edifici? Le detrazioni del 55% per gli interventi di efficienza energetica in edilizia sono sicuramente il più lungimirante intervento di sviluppo sostenibile introdotto negli ultimi anni in Italia». Quella di non prorogare il bonus energetico è «una decisione grave per tutta la filiera industriale italiana delle costruzioni, ma ancora di più un errore per l'intero Paese, sia nell'immediato che in una prospettiva di lungo periodo», ha commentato Cirino Mendola, presidente di Confindustria Finco. «Le conseguenze per il sistema industriale si noteranno già nel breve periodo, anche sotto il profilo del bilancio. A ciò si aggiunge, ovviamente, l'impatto che il mancato rinnovo avrà su ambiente, occupazione e impulso tecnologico». «Un dietrofront inspiegabile del governo, che rischia di mettere ulteriormente in ginocchio il sistema industriale», secondo Rosario Messina, presidente di FederlegnoArredo, la decisione di togliere dal maxiemendamento alla Finanziaria 2011 la proroga alle detrazioni del 55% per gli interventi di riqualificazione ed efficientamento energetico degli edifici. «Si tratta di una decisione grave - prosegue Rosario Messina - che mette a rischio oltre 8.000 posti di lavoro solo nel comparto dei serramenti e colpisce pesantemente il rilancio dei consumi e di conseguenza lo sviluppo delle aziende. Non riteniamo giustificabile eliminare misure così importanti per rivitalizzare il sistema proprio in un momento di crisi e instabilità dei mercati. La decisione appare ancor più grave e incomprensibile alla luce dei risultati positivi finora registrati grazie a questa misura, in particolare a sostegno del processo di emersione dell'economia». «Il bonus del 55% per la riqualificazione energetica è uno strumento di rilancio strategico per il comparto dei serramenti e per l'intero settore - afferma Alberto Lualdi, presidente di EdilegnoArredo - una scelta necessaria per riqualificare il patrimonio immobiliare italiano e ridurre le emissioni di CO2 nell'atmosfera». A breve FederlegnoArredo e UNCSAAL presenteranno al Governo una mozione congiunta per il ripristino di tale misura. «Conviene anche al fisco e alle entrate dello Stato - sottolinea Lo dice in una nota Fulvio Giacomassi, segretario confederale Cisl - mantenere e consolidare la detrazione fiscale del 55% sulle spese sostenute per il miglioramento dell'efficienza energetica nelle abitazioni private. Sono diversi, infatti, gli studi e i riscontri documentali, pubblicati anche dall'Enea , che il meccanismo del 55% recupera tramite l'Iva, i contributi e le tasse versate, anche importanti risorse finanziarie alle casse dello Stato sottratti al lavoro nero». Sono moltissimi i contribuenti che hanno scelto di ristrutturare casa o cambiare la caldaia effettuando interventi diretti al risparmio energetico da aprile 2007 a oggi. Interventi che fra le altre consentono di ridurre di molte tonnellate le emissioni annue di anidride carbonica (una riduzione calcolata in poco meno di 200mila tonnellate l'anno). Fra i più gettonati le coibentazioni (infissi e pannelli isolanti a pareti e soffitti) e la sostituzione delle vecchie caldaie. Ma è possibile anche la riqualificazione globale dell'edificio e l'installazione di pannelli solari per l'acqua calda. Una misura che ieri il ministro dell'Ambiente Prestigiacomo «aveva garantito nel corso dell'audizione», accusa Raffaella Mariani, capogruppo del Pd in commissione Ambiente, ma che nella serata è stata «clamorosamente smentita dal vice ministro all'Economia Vegas. «Il governo con questo modo di procedere incerto e contraddittorio - ha detto l'onorevole Mariani - continua a colpire migliaia di imprese e cittadini, oltre che confermare ogni volta il disprezzo per politiche positive per l`ambiente». «In questi anni - spiega il deputato del Pd Ermete Realacci - questa misura è stata utilizzata da oltre 840 mila famiglie italiane o piccole imprese italiane, ha prodotto un giro d'affari di oltre 11 miliardi di euro, non solo l'edilizia ma anche l'indotto, un settore enorme di piccole e medie imprese che si sono qualificate in un settore strategico come quello della green economy e che oggi sarebbero mortalmente ferite dall'eliminazione dell'incentivo. Vedi articolo sul maxiemendamento del 15 novembre.
Concluso il G20 di Seul (11 novembre 2010).
I leader del G20 hanno raggiunto «un ampio accordo» per imboccare la strada della ripresa dell'economia mondiale, dice il presidente americano Barack Obama, da Seul. Ma le posizioni sono ancora distanti sulla guerra delle valute. «Le posizioni sono ancora molto distanti soprattutto per la chiusura dei cinesi» è la sintesi di alcuni sherpa riuniti al capezzale delle monete impazzite e degli squilibri globali. Toccherà alla prossima presidenza francese riavvicinarle. E trasfomare gli impegni di cui si parla nel documento finale in azioni politiche concrete. Impresa non da poco. Anche se stamane a Seul Sarkozy si è detto molto ottimista. Nel comunicato finale del G20 i leader avvertono che «restano rischi» per la ripresa dell'economia globale e che «azioni politiche non coordinate possono solo portare a conseguenze peggiori per tutti». I leader del G20, senza guizzi eccessivi né soluzioni draconiane, rilanciano la necessità per le «economie avanzate» di risanare i bilanci pubblici deteriorati dalla crisi, attuando «piani a medio termine chiari, credibili, ambiziosi e differenziati a seconda delle condizioni di ciascun Paese». «Siamo consapevoli dei rischi che lo sforzo contemporaneo di risanamento pone alla ripresa globale - si legge nelle conclusioni del summit - e del rischio che il fallimento nell'attuazione del risanamento, laddove immediatamente necessario, possa indebolire la fiducia e la crescita». Un piano di «Azione di Seul» per sostenere gli obiettivi di una crescita «forte, sostenuta e equilibrata». È quanto lanciato dal summit sudcoreano che ha messo a punto «cinque aree di intervento»: dalle politiche monetarie a quelle commerciali e di sviluppo, dal risanamento dei bilanci alle riforme finanziarie e strutturali. «Abbiamo costruito tale Piano con unità di intenti per assicurare un forte impegno a cooperare, produrre un piano orientato all'azione con gli impegni politici di ciascun paese e raggiungere i nostri tre obiettivi di crescita forte, sostenibile ed equilibrita», si legge nella dichiarazione finale del summit. Ecco le aree di intervento. Politiche monetarie e tasso di cambio Si ribadisce l'impegno ad «assicurare la stabilità dei prezzi e contribuire così alla ripresa» e ci «muoveremo verso tassi più basati sul mercato e che derivino dagli andamenti economici» scrivono ribadendo l'impegno ad «astenersi dalle svalutazioni competitive». «Daremo nuova linfa ai nostri sforzi volti a promuovere un sistema monetario internazionale stabile e ben funzionante e facciamo appello - si legge nel documento - al Fondo monetario internazionale perché approfondisca il suo lavoro in tale aree. Politiche commerciali e di sviluppo Si ribadisce l'impegno per il libero scambio e dei flussi di investimento. «Ci asterremo dall'introdurre azioni commerciali protezionistiche di qualsiasi genere» alle quali «ci opporremo», prosegue il documento che rilancia anche la necessità di una ripresa e rapida concluse dei negoziati di Doha. Risanamento di bilancio Il G20 impegna le economie avanzate a «redigere e attuare piani a medio termine di risanamento dei bilanci chiari, credibili, ambiziosi, che aiutino la crescita, in linea con gli impegni di Toronto e differenziati a seconda delle condizioni di ciascun paese: siamo consapevoli - ribadisce il G20 - dei rischi rischi che lo sforzo contemporaneo di risanamento pone alla ripresa globale e del rischio che il fallimento nell'attuazione del risanamento, laddove immediatamente necessario, possa indebolire la fiducia e la crescita». Riforme finanziarie Impegno ad «agire a livello nazionale ed internazionale per innalzare gli standard e garantire che le nostre autorità nazionali attuino gli standard globali definiti fino ad oggi, in modo coerente. «Attueremo i nuovi standard di capitale e liquidità per le banche e affronteremo problemi dei soggetti finanziari troppo grandi per fallire». Riforme strutturali Il G20 rilancia la necessità di riforma per sostenere la domanda mondiale. Nel documento si citano, in particolare, il mercato dei prodotti, le riforme del mercato del lavoro, quella fiscale, la crescita verde, riforme per ridurre la dipendenza dalla domanda esterna, quelle per rafforzare le reti si sicurezza e investimenti in infrastrutture per «far fronte alle strozzature» Squilibri commerciali e delle partite correnti Promuovere politiche per ridurre quelli eccessivi. Si da mandato ad un Gruppo di lavoro di definire le linee guida da sottoporre ai ministri Finanziari. Fissando la prima verifica del percorso a 'metà 2011', sotto la presidenza francese.
Il brand Italy perde quota (13 novembre 2010).
Il brand Italia perde appeal a livello globale ed esce dalla top ten della classifica del Country Brand Index 2010, lo studio sull'immagine dei principali paesi del mondo condotta da FutureBrand in collaborazione con Bbc World news. Scende infatti al dodicesimo posto dal sesto dell'anno scorso cedendo terreno a paesi come la Svizzera (quinta, l'anno scorso non era tra le prime dieci), Giappone (sesto, l'anno scorso era settimo), Finlandia (ottava), Gran Bretagna (nona, perde una posizione rispetto al 2009) e Svezia (decima). Al primo posto si classifica il Canada, seguito da Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti che perdono lo scettro. Il nostro paese mantiene però la leadership nella classifica dei 25 migliori paesi per il patrimonio artistico e culturale avendo ottenuto ottimi piazzamenti nei parametri di valutazione della categoria: prima per arte e cultura davanti alla Francia; seconda, alle spalle di Israele, per il ruolo nella storia. Si posiziona, però, al quindicesimo posto nella classifica dei 25 migliori paesi per il turismo dietro Spagna (dodicesima), Francia (tredicesima) e Austria (quattordicesima) tra le destinazioni Europee, e superata da Mauritius (al primo posto seguita da Australia, Nuova Zelanda, Canada, ma anche Giappone e Stati Uniti tra le mete più lontane. Un primato però nei parametri di valutazione della categoria turismo l'Italia lo guadagna: quello del cibo (l'anno scorso era seconda), seguita da Giappone e Francia; mentre è terza (nel 2009 era settima), dopo Stati Uniti e Francia per lo shopping; settima per la vita notturna (da sedicesima l'anno scorso) con gli Usa primi; ottava (dal 48° posto del 2009) per bellezza e cura delle spiagge (qui il primato spetta all'Australia). Non appare, però, come l'anno scorso, nella top ten dei parametri rapporto qualità-prezzo resort e offerta alberghiera, due segmenti fondamentali per un paese, come il nostro, a forte vocazione turistica, che sta cercando di guadagnare le quote di mercato cedute ai competitor. «La classifica del Country Brand Index – spiega Susanna Bellandi, amministratore delegato di FutureBrand Italia e Francia – riconferma la nostra forza in storia, arte e cultura, ma anche food e shopping anche se nel turismo non eccelle per il rapporto tra prezzo e qualità, ma anche la Francia, che solitamente ha un buon rapporto, è andata male. Questo è attribuibile, oltre che a motivi interni, forse anche al fatto che sta aumentando la concorrenza di altri paesi che stanno migliorando la loro offerta. Bisognerebbe continuare a investire sugli asset nei quali siamo più forti, arte e cultura, perché l'attenzione da parte della gente c'è». I paesi primi nella classifica generale, fa notare l'amministratore delegato, hanno stabilità politica e un'immagine di posti in cui si vive bene. «L'Italia – si legge nello studio – nonostante gli sforzi compiuti e le iniziative per presentarsi internamente ed esternamente quale destinazione turistica ricca di arte, cultura, bellezze naturali, paga lo scotto della continua litigiosità, degli scandali e, naturalmente, delle difficoltà della crisi globale». L'instabilità del governo, ma anche fatti di cronaca come i rifiuti in Campania, alluvioni, terremoti e scandali di vario genere, secondo Bellandi «hanno offuscato la filosofia tutta italiana della "dolce vita". Infatti abbiamo perso, come marchio-paese, anche nella qualità di vita percepita dal di fuori e dalla facilità di fare affari nel nostro paese. Tutto questo dipende dai valori che comunichiamo come la trasparenza e la correttezza per il business. Quando sia parla di buon cibo, shopping e spiagge bisogna capire che è necessario tenere alta la qualità e le industria italiane, dall'alimentare alla moda, possono contribuire in maniera importante».
Pressioni della Germania per salvare l'Irlanda (14 novembre 2010).
Si fa più insistente il pressing della Germania sull'Irlanda, perchè il Paese accetti di ricorrere al Fondo di aiuti predisposto dall'Unione europea. Secondo quanto riporta l'agenzia Bloomberg, un funzionario governativo tedesco, che ha preferito rimanere anonimo, ha confermato che Berlino sta tentando di convincere Dublino ad accedere al Fondo prima dell'Eurogruppo di martedì 16 novembre, in modo da ridurre la volatilità dei mercati. Secondo il Sunday Times, però, il ministro delle Finanze irlandese, Brian Lenihan, ha intenzione di resistere in ogni modo alle pressioni che gli arriveranno in sede di Eurogruppo. Sempre il quotidiano londinese, riporta che, nell'ambito delle prime trattative su un possibile ricorso del Financial Stability Fund, sarebbe stato chiesto all'Irlanda di aumentare la tassa sulle società, attualmente ferma al 12,5%. Il Fondo Monetario Internazionale peraltro si è detto disposto ad assistere l'Irlanda, se necessario, ma di non avere ricevuto ancora alcuna richiesta in tal senso: lo ha reso noto il direttore dell'Fmi, Dominique Strauss-Kahn, intervistato a margine del forum economico dell'Asia-Pacifico (Apec). Nonostante le rassicurazioni del governo di Dublino, secondo quanto pubblicato dal quotidiano britannico The Times l'Ue avrebbe già preparato un piano di aiuti per 80 miliardi di euro.
Maxiemendamento alla finanziaria 2011 (15 novembre 2010).
Giro di vite sugli accertamenti fiscali, nuove risorse e proroga per tutto il 2011 per gli ammortizzatori sociali e via libera all'assegnazione dei diritti d'uso delle frequenze radioelettriche, che dovrà portare nelle tasche dello Stato almeno 2,4 miliardi. E che in gran parte finanzia le misure del maxiemendamento che ammontano in totale a 5,5 miliardi. Dopo un lungo tira e molla, Tremonti riduce poi il taglio alle università: nel 2011, il fondo di funzionamento riceverà un assegno "extra" di 800 milioni, che dovranno servire anche per il piano di "promozione" ad associato dei ricercatori. Disco verde pure (ma solo nel 2011) a un credito d'imposta, fino a 100 milioni, in favore delle imprese che affidano le attività di ricerca agli atenei (o agli enti pubblici di ricerca). Prorogato al 2011, poi, il regime di detassazione dei contratti di produttività. Novità anche per il patto di stabilità di enti locali, regioni e province autonome di Trento e Bolzano. IL Governo sta valutando la possibilità di reinserire la proroga del bonus del 55% per la riqualificazione energetica degli edifici, rimasto fuori dal testo del maxiemendamento. Ecco, in sintesi, l'abc del maxiemendamento alla legge di stabilità 2011 (ex finanziaria) presentato dal Governo. Accertamenti fiscali (articolo 1, commi 23-28). Arriva una stretta sulle sanzioni: vengono elevate da un quarto a un terzo del minimo previsto per legge le sanzioni amministrative applicabili nel caso di accertamento con adesione riferito alle imposte sui redditi, all'Iva, e alle altre imposte indirette. Sono innalzate (in egual misura) le multe in caso di rinuncia a impugnare l'avviso di accertamento o liquidazione o di formulare istanza di accertamento con adesione. Crescono anche le sanzioni pecuniarie dovute alle diverse ipotesi di ravvedimento operoso. Agevolazioni contributive in agricoltura (articolo 1, commi 51-53). Viene quantificato in 86 milioni per il 2010 l'onere della rideterminazione delle agevolazioni contributive del settore agricolo. Confermata a regime dal 1° agosto 2010 la rideterminazione delle agevolazioni contributive (articolo 9, commi 5, 5-bis e 5-ter della legge 67/1988) per i datori di lavoro agricoli di zone svantaggiate o particolarmente svantaggiate.
Ammortizzatori sociali (articolo 1, commi 36-39 e 43). Rifinanziati anche per il 2011, sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non superiori a 12 mesi. Disco verde anche (sempre per il 2011) all'erogazione da parte dell'Inps di un incentivo per i datori di lavoro che assumono lavoratori destinatari di ammortizzatori sociali in deroga o licenziati a causa della crisi. Apprendistato (articolo 1, comma 42). Proroga per il 2011del finanziamento statale (fino a 100 milioni) per le attività di formazione nell'esercizio dell'apprendistato. Borse di studio e prestiti d'onore (articolo 1, comma 32). Disco verde a 100 milioni, per il 2011, per la concessione dei prestiti d'onore e l'erogazione delle borse di studio. Contributi all'editoria e stampa italiana all'estero (articolo 1, commi 61 e 62). Viene estesa alla stampa italiana la disciplina introdotta dall'articolo 10-sexies della legge 25/2010 che per i contributi 2009 ha escluso una serie di testate dall'applicazione di una disposizione della Finanziaria 2010 (articolo 2, comma 62 della legge 191/2009) che stabilisce che contributi e provvidenze spettano nel limite dello stanziamento iscritto sul capitolo del bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri procedendo, ove necessario, al riparto proporzionale dei contributi fra gli aventi diritto (cosiddetto "tetto" ai contributi). Per i contributi 2009 sono inclusi fra i soggetti ai quali non si applica il "tetto" i giornali quotidiani italiani editi e diffusi all'estero, nonché giornali e riviste italiane pubblicate all'estero e le pubblicazioni con periodicità almeno trimestrale edite in Italia e diffuse prevalentemente all'estero (le disposizioni si applicano nel limite di 5 milioni di euro per l'esercizio 2011 procedendo se necessario alla rideterminazione degli importi con riduzione proporzionale). In questo modo la stampa italiana all'estero viene esclusa dalla riduzione del 50% dei contributi 2009 prevista dalla legge 25/2010.
Credito d'imposta per la crescita dimensionale delle aggregazioni professionali (articolo 1, comma 49). Viene limitato il credito d'imposta per la crescita dimensionale delle aggregazioni professionali alle operazioni di aggregazione effettuate nel periodo compreso fra il 1° gennaio 2008 e il 31 dicembre 2009 (prima il termine finale era il 31 dicembre 2010). Credito d'imposta per ricerca e sviluppo (articolo 1, comma 31). Arriva un credito d'imposta, nel limite di spesa di 100 milioni, in favore di imprese che affidano attività di ricerca e sviluppo a università o enti pubblici di ricerca. Esso spetta per investimenti realizzati dal 1° gennaio 2011, fino al 31 dicembre 2011, in una misura percentuale che verrà stabilita con apposito decreto ministeriale. Il credito d'imposta dovrà essere indicato nella dichiarazione dei redditi, ma non occorre alla formazione del reddito e (soprattutto) non concorre alla formazione della base imponibile Irap e non rileva ai fini della determinazione della percentuale di deducibilità degli interessi passivi. Specifica importante: il credito d'imposta è utilizzabile solo in compensazione. Decorrenza dei trattamenti pensionistici (articolo 1, comma 44). Modificato l'articolo 12, comma 5 del decreto legge 78/2010, che riguarda l'applicazione della normativa previgente, in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici, per una serie di lavoratori che maturino i requisiti per l'accesso al pensionamento a decorrere dal 1° gennaio 2011, nei limiti di 10mila soggetti beneficiari. Tra i beneficiari della disposizione (lavoratori collocati in mobilità ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 223/1991, sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 30 aprile 2010, che maturino i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità), vengono ricompresi oltre quelli indicati al comma 2, anche quelli indicati al comma 1 dell'articolo 7 della legge 223/1991. Inoltre il ministro del Lavoro, di concerto con quello dell'Economia, può disporre il prolungamento dell'intervento di tutela del reddito per il periodo di tempo necessario al raggiungimento della decorrenza del trattamento pensionistico. Il prolungamento avviene per un periodo non superiore a quello che intercorre tra la data computata sulla base delle norme sui trattamenti pensionistici vigenti prima del decreto 78/2010 e quella computata sulla base dell'articolo 12 del decreto n. 78. L'intervento avviene nei limiti delle risorse disponibili del Fondo sociale per occupazione e formazione e in deroga alla normativa vigente, in via alternativa a quanto previsto al primo periodo dell'articolo 12, comma 5. Detassazione premi di produttività (articolo 1, comma 54). Prorogato al 2011 il regime di detassazione dei contratti di produttività (articolo 5 del Dl 185/2008) in base al quale il lavoratore dipendente può optare per l'applicazione di un'imposta sostitutiva (10%) in luogo dell'Irpef e relative addizionali, sui redditi percepiti in relazione a incrementi di produttività e lavoro straordinario. L'agevolazione per il periodo 1° gennaio 2011-31 dicembre 2011 prevede già anche uno sgravio dei contributi dovuti dal lavoratore e dal datore di lavoro nei limiti delle risorse disponibili. La proroga 2011 si applica ai soggetti che hanno realizzato nel 2010 un reddito di lavoro dipendente non superiore a 40mila euro e comunque su un ammontare non superiore a 6mila euro. Se il sostituto d'imposta che dovrà applicare il regime sostitutivo per il 2011 è diverso da quello che ha rilasciato la certificazione dei redditi per il 2010, il lavoratore deve presentare una attestazione ad hoc del possesso del requisito reddituale. Lo stanziamento previsto nel 2011 è di 60 milioni di euro. Detrazione fiscale per carichi di famiglia per non residenti (articolo 1, comma 60). Viene prorogata per il 2011 la detrazione fiscale per carichi di famiglia in favore dei soggetti non residenti. Viene anche stabilito che il beneficio non rileva ai fini della determinazione dell'acconto d'imposta sul reddito delle persone fisiche da versare per l'anno 2011. Emittenza televisiva locale ed emittenza radiofonica locale e nazionale (articolo 1, comma 67). Vengono incrementati di 45 milioni di euro per il 2011gli incentivi a sostegno dell'emittenza televisiva locale e dell'emittenza radiofonica locale e nazionale. Le risorse sono reperite a valere sugli introiti della gara diritti d'uso di frequenze radioelettriche prevista dal comma 13 dell'articolo 1. Federalismo fiscale (articolo 1, comma 29). In vista dell'attuazione del federalismo fiscale, vengono aumentati compiti e risorse alla società Sose e all'Ifel. Finanziamento del Fondo nazionale per le politiche sociali (articolo 1, comma 45). Viene incrementato di 200 milioni di euro per il 2011 il Fondo nazionale per le politiche sociali. Fondi Fas (articolo 1, comma 6). Viene rimodulata la quota di 1,5 miliardi per il 2012 delle risorse Fas (Fondo aree sottosviluppate) da destinare a interventi di edilizia sanitaria pubblica. Si specifica che l'85% di questi soldi dovranno essere dirottati al Sud e il restante 15% alle regioni del Centro Nord. Fondo esigenze indifferibili e urgenti (articolo 1, comma 47). Viene incrementato di 800 milioni per il 2011 la dotazione del Fondo esigenze indifferibili e urgenti. Le risorse saranno ripartite con Dpcm tra le finalità contenute nell'elenco 1 della Finanziaria 2010 (legge 191/2009). Non rientra nel riparto il Fondo università che ha un finanziamento ad hoc contenuto nell'articolo 1, comma 30 del maxiemendamento. Fondo interventi strutturali politica economica e definizione agevolata delle controversie pendenti da parte di ex concessionarie della riscossione (articolo 1, comma 50). Viene modificata la destinazione delle maggiori entrate derivanti per il 2010 dalla raccolta del gioco a distanza con vincite in denaro ed esercizio delle scommesse: non saranno più destinate al Fondo per le missioni internazionali, ma andranno al Fondo per gli interventi strutturali di politica economica. Modificata anche la quantificazione delle maggiori entrate derivanti per il 2010 dalle misure in materia di definizione agevolata delle controversie pendenti da parte delle ex concessionarie della riscossione: viene innalzata di 31 milioni (passa da 50 a 81 milioni nel 2010). Modificata anche una quota parte di tali risorse (pari a 17 milioni per il 2010): non saranno più destinate al Fondo per le missioni internazionali di pace, ma al Fondo per gli interventi strutturali di politica economica. Sempre a questo fondo è destinata la maggiore quantificazione di entrata delle misure sopra indicate pari, come segnalato, a 31 milioni. Fondo interventi politica economica (articolo 1, comma 19). Arrivano riduzioni di 1.752 milioni, per il 2011, di 255 milioni, per il 2012, e di 49 milioni, a decorrere dal 2013.Fondo pagamento dei comuni alle imprese (articolo 1, commi 65 e 66). Istituzione di un Fondo per velocizzare i pagamenti da parte dei comuni verso le imprese fornitrici. Il fondo, dotato di 60 milioni di euro, è finalizzato al pagamento degli interessi passivi dei comuni per il ritardato pagamento dei fornitori. Un decreto Interno individuerà modalità e criteri di riparto e i comuni che avranno accesso al fondo: saranno quelli virtuosi, che rispettano il patto di stabilità ed evidenziano un rapporto tra spese del personale ed entrate correnti interiore alla media nazionale. Fondo sociale per l'occupazione e la formazione (articolo 1, commi 35-40). Viene incrementato di un miliardo. Una parte di queste risorse dovrà essere dirottata alle regioni per le esigenze del trasporto pubblico locale.Fondo strategico per il paese a sostegno dell'economia reale (articolo 1, comma 59). Ridotta di 242 milioni per il 2011 la dotazione del Fondo strategico per il paese a sostegno dell'economia reale, istituito presso la presidenza del Consiglio dei ministri. In questo modo il fondo viene azzerato. Frequenze radioelettriche (articolo 1, commi 13-18). Si parla di assegnazione di frequenze radioelettriche da affidare a servizi di comunicazione elettronica. Si prevede che entro 15 giorni dall'entrata in vigore del presente Ddl di Stabilità, l'Authority di settore (l'Agcom) avvii le procedure per assegnare tali frequenze, che saranno destinate ai servizi di comunicazione elettronica mobile in banda larga. Il ministro dello Sviluppo economico individuerà la data di assegnazione (sentendo l'Europa) e potrà sostituire le frequenze già assegnate, con altre che si rendano nel frattempo disponibili. Attenzione: il piano di ripartizione delle frequenze e il piano di assegnazione dovranno essere aggiornati secondo le nuove norme. Sviluppo economico ed Economia dovranno quantificare e attribuire le misure finanziarie compensative (10% degli introiti, e comunque entro al massimo 240 milioni), che saranno finalizzate a promuovere un uso più efficiente dello spettro attualmente destinato alla diffusione di trasmissioni in ambito locale. Si prevede poi che entro il 31 dicembre 2012, data di cessazione delle trasmissioni in tecnica analogica, lo Sviluppo economico provvederà ad assegnare i diritti d'uso del radiospettro, anche mediante trasformazione del rilascio provvisorio in assegnazione definitiva. L'Agcom dovrà normare diritti e doveri gravanti sui titolari dei diritti d'uso delle radiofrequenze destinate alla diffusione dei servizi di media audiovisivi. In caso di mancato utilizzo delle radiofrequenze assegnate, il ministero dello Sviluppo economico revocherà la concessione o ridurrà l'assegnazione, acquisendo il diritto di disporre delle frequenze precedentemente assegnate. In caso poi di trasmissioni di programmi televisivi in digitale, privi del titolo abitativo, al responsabile editoriale si applicano pesanti sanzioni amministrative: fino a 2,5 milioni di multa, sempre che il fatto non costituisca un più grave reato penale. Mentre l'operatore di rete che ospiti un fornitore di servizi di media audiovisivi privo del titolo abitativo è sanzionabile con la sospensione o la revoca dell'utilizzo della risorsa assegnata con diritto d'uso. Il Governo stima in non meno di 2,4 miliardi i proventi derivanti dall'assegnazione dei diritti d'uso di frequenze radioelettriche. Le procedure di assegnazione di tali diritti si dovranno concludere con il versamento dei relativi introiti nelle casse erariali entro il 30 settembre 2011. Il mancato raggiungimento dell'introito stimato, farà scattare una riduzione lineare delle spese di ciascun dicastero.Giochi, dal rafforzamento del contrasto al gioco illegale fino al recupero dell'evasione (articolo 1, commi da 70-84). Le disposizioni tendono a rafforzare il contrasto al gioco illegale e al recupero della base imponibile a fronte di fenomeni di elusione ed evasione fiscale. Per chi sottrae base imponibile all'imposta unica dei concorsi pronostici o delle scommesse è prevista una sanzione amministrativa dal 120 al 240 per cento della maggior imposta e, se la base imponibile sottratta è superiore a 50mila euro è anche prevista la chiusura dell'esercizio da uno a sei mesi. Sanzione amministrativa da 516 a 2mila euro per chi non presenta o presenta con indicazioni inesatte la dichiarazione di inizio attività. Vengono perseguite le giocate simulate: sanzione amministrativa pari alla vincita conseguente alla giocata simulata, oltre alla chiusura dell'esercizio da tre a sei mesi. In caso di recidiva chiusura da sei mesi a un anno e revoca della concessione se viene accertata una ulteriore violazione. Vengono estesi i poteri sanzionatori dell'Amministrazione autonoma Monopoli di Stato. Disposizioni per ottenere la riduzione delle sanzioni. Ci sono anche due disposizioni interpretative. La prima prevede che l'imposta unica sui concorsi pronostici e le scommesse sia comunque dovuta anche se la raccolta, compresa quella a distanza, avviene in assenza o inefficacia della concessione rilasciata da Aams. In base alla seconda si intende per soggetto passivo d'imposta chiunque, anche in assenza o inefficacia della concessione rilasciata da Aams, gestisca con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all'estero, concorsi pronostici o scommesse. Se l'attività è esercitata per conto terzi il soggetto per conto del quale viene esercitata l'attività è obbligato in solido al pagamento di imposta e sanzioni. La base imponibile sottratta, accertata ai fini dell'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, è posta a base di rettifiche e accertamenti ai fini delle imposte sui redditi, dell'Iva e dell'Irap eventualmente applicabili. Nuove disposizioni su accertamento delle base imponibile e controlli in materia di Preu (prelievo erariale unico). Prevista un'intesa in sede di Conferenza unificata per la prevenzione, il contrasto e il recupero della ludopatia conseguente a gioco compulsivo. Vietato consentire la partecipazione ai giochi pubblici a minorenni: prevista una sanzione da 500 a mille euro, con chiusura dell'esercizio fino a 15 giorni. Dal 2011 i concessionari abilitati alla raccolta di scommesse sportive a quota fissa che abbiano conseguito percentuali di restituzione in vincite inferiori all'80% sono tenuti a versare all'erario il 20% della differenza lorda così maturata. Decadenza automatica del nulla osta quando apparecchi e congegni risultino temporaneamente non collegati alla rete telematica per un periodo superiore a 90 giorni (e non più a 60 giorni). Nuove indicazioni sulla competenza territoriale per le cause di opposizione all'ordinanza di ingiunzione. Con decreto Aams saranno introdotte nuove tipologie di giochi e avviate le procedure per il loro affidamento in concessione. Interventi per la rideterminazione delle dotazioni organiche del personale dirigenziale e del personale non dirigenziale. L'Aams è autorizzata all'aggiornamento dello schema tipo di convenzione accessiva alle concessioni per l'esercizio dei giochi pubblici. Stilato l'elenco analitico dei requisiti necessari ai concessionari dei giochi che sottoscriveranno le convenzioni, con relativi obblighi. Viene consentito ad Aams di esercitare una serie di poteri in materia di controllo, indirizzo e segnalazione alle autorità e di sanzioni sullo svolgimento dell'attività da parte dei concessionari dei giochi. Programma straordinario di 30mila controlli nel 2011 da parte di Aams in materia di giochi pubblici per contrastare gioco illecito ed evasione fiscale. L'Aams potrà avvalersi della collaborazione di Siae e Guardia di finanza. Aams dovrà istituire dal 1° gennaio 2011 un elenco con : soggetti proprietari o possessori di apparecchi o terminali per l'esercizio dei giochi; concessionari per la gestione della rete telematica di apparecchi e terminali; ogni altro soggetto che svolga attività relativa al funzionamento e al mantenimento in efficienza degli altri o qualsiasi altra attività funzionale alla raccolta del gioco. Leasing immobiliare (articolo 1, commi 20-22). Si interviene sul regime fiscale (imposte di registro, ipotecarie e catastali) dei contratti di locazione finanziaria di beni immobili. Intanto, si prevede che l'utilizzatore del bene (che cioè paga il canone alla società di leasing) sia responsabile in solido per il pagamento dell'imposta di registro e delle imposte ipotecarie e catastali dovute dal locatore (vale a dire la società di leasing). L'imposta di registro è dovuta solo in caso d'uso e in misura fissa. A partire dal 1° gennaio 2011 poi le imposte ipotecarie e catastali dovute sui contratti di leasing immobiliare sono sostituite da un'imposta unica sostitutiva, determinata dalla differenza tra imposta di registro applicata sui canoni di locazione e un ammontare forfettario corrispondente al 4% moltiplicato per gli anni di durata residua del contratto. Il termine per il versamento è fissato al 31 marzo 2011, con modalità decise dal Fisco. Linea ferroviaria Torino-Lione (articolo 1, commi 68 e 69). Risorse per la realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino-Lione. La società Rete ferroviaria italiana (Rfi) è autorizzata a destinare massimo 35,6 milioni di euro alle spese di studi e progettazione a carico dello Stato conseguenti alla variazione del tracciato della nuova linea ferroviaria Torino-Lione in territorio italiano. Le risorse sono disponibili nel contratto di programma 2007-2011 stipulato nel 2007 fra ministero delle Infrastrutture e Rfi. Interamente a carico dello Stato la spesa massima di 12 milioni per far fronte ai costi aggiuntivi necessari per la realizzazione del cunicolo esplorativo della Maddalena, nell'ambito dei lavori per la Torino-Lione. La spesa è effettuata a valere sulle risorse assegnate al Fondo per il finanziamento di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale.
Missioni di pace (articolo 1, comma 33). Arriva un ulteriore stanziamento di 750 milioni per la proroga della partecipazione italiana fino al 30 giugno 2011 alle missioni di pace internazionali.Patto di stabilità interno per gli enti locali (articolo 8). Viene riformulata la disciplina del patto di stabilità interno per gli enti locali per gli anni 2011-2013 che si applica alle province e ai comuni con popolazione superiore a 5mila abitanti. Patto di stabilità per le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano (articolo 9). Introdotte novità per il patto di stabilità interno per le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano per il triennio 2011-2013. Rapporti finanziari con la regione autonoma Friuli Venezia Giulia (articolo 10). L'articolo recepisce il protocollo d'intesa stipulato fra Friuli Venezia Giulia e Governo in data 29 ottobre 2010. Rapporti finanziari con la regione Valle d'Aosta (articolo 11). Recepito l'accordo fra Governo e regione ai fini dell'attuazione dei principi del federalismo fiscale (legge 42/2009). Regime Iva per le cessioni di immobili (articolo 5). Non sono esenti da Iva le cessioni di fabbricato effettuate dalle imprese costruttrici entro 5 anni (prima 4 anni) dal termine della costruzione. L'estensione interessa anche le imprese di ristrutturazione che effettuano interventi previsti dalla normativa.Regioni in disavanzo sanitario (articolo 1, commi 56-58). Per i risultati dell'esercizio 2010 alle regioni che non hanno raggiunto gli obiettivi programmati di risanamento e riequilibrio economico previsti dal piano di rientro dai disavanzi sanitari di provvedere alla copertura del disavanzo sanitario con risorse di bilancio regionale, purché le misure siano adottate entro il 31 dicembre 2010. Divieto di intraprendere o proseguire fino al 31 dicembre 2011azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali o ospedaliere delle regioni sottoposte a piani di rientro e commissariate alla data di entrata in vigore del dl 78/2010 (31 maggio). I pignoramenti e le prenotazioni di debito sui pagamenti che le regioni sottoposte a piani di rientro e commissariate trasferiscono alle aziende sanitarie locali e ospedaliere, se effettuati prima del 31 maggio 2010 non producono effetti da late data e fino al 31 dicembre 2011. Gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri possono disporre, per finalità istituzionali, delle somme che gli sono state trasferite durante il periodo sopra indicato. Consentita una deroga del 10% del blocco del turnover del personale sanitario a condizione che entro il 31 ottobre 2010 sia avvenuta la verifica positiva dell'attuazione parziale delle misure contenute nel piano di rientro dal deficit sanitario presentato dalla regione interessata. Ricerca aerospaziale ed elettronica (articolo 1, comma 63). Per assicurare la continuità degli interventi a sostegno della ricerca aerospaziale ed elettronica le risorse previste dall'articolo 3-bis del dl 135/2009 (che si occupa di disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia europea) sono ridestinate, fino a un massimo di 400 milioni, in favore di interventi per lo sviluppo e l'accrescimento delle industrie del settore aeronautico. Servizio sanitario nazionale (articolo 1, comma 55). Viene incrementato di 347,5 milioni per il 2011 il finanziamento del Servizio sanitario nazionale cui concorre ordinariamente lo Stato, come rider minato dall'articolo 11, comma 12 del Dl 78/2010 (che prevede una rigerminazione in riduzione di 600 milioni a decorrere dal 2011). L'incremento copre i cinque dodicesimi delle maggiori risorse (834 milioni) che lo Stato si è impegnato nel prossimo esercizio ad assicurare alle regioni con il "Nuovo patto per la salute" del 3 dicembre 2009. Sicurezza (articolo 1, comma 34). Prorogato fino al 30 giugno 2011 il piano di impiego di polizia e forze armate per il controllo del territorio. Spesa prevista: 36,4 milioni. Sostegno all'editoria (articolo 1, comma 64). Incremento dello stanziamento per l'editoria previsto dalla finanziaria 2010 (tabella C) limitatamente al 2011, per 60 milioni di euro. Tabelle A e C. Il maxiemendamento modifica gli importi iscritti nella tabella A, relativa al Fondo speciale di parte corrente e apporta alcune variazioni di carattere compensativo agli stanziamenti della tabella C relativi ad alcune autorizzazioni legislative di spesa.Trasporto pubblico locale ferroviario (articolo 1, commi 7 e 7-bis). Viene introdotta una "norma di responsabilità", prevedendo che l'erogazione dei 480 milioni l'anno (fino al 2011) è subordinata alla verifica, nei contratti di servizio del trasporto pubblico locale su ferro, di misure di efficientamento e razionalizzazione del trasporto. La verifica va fatta entro il primo semestre 2011 da parte dei ministeri dell'Economia e dei Trasporti. Si prevede poi la ripartizione dei 425 milioni (annualità 2009) destinati all'acquisto di nuovo materiale rotabile: sarà necessario acquisire il parere favorevole della Conferenza unificata. Nella ripartizione bisognerà tener conto, tra l'altro, degli aumenti tariffari, da cui risulti l'incremento del rapporto tra ricavi da traffico e corrispettivi e la razionalizzazione dei servizi, con conseguente incremento del carico medio annuo dei passeggeri trasportati.Università (articolo 1, comma 30). Arrivano 800 milioni in più, nel 2011, per incrementare il fondo di funzionamento degli atenei, che passa quindi da 6,1 miliardi a 6,9. Per il 2012 e 2013, l'incremento sarà di 500 milioni. Entro il 31 gennaio di ogni anno, e per gli anni 2011-2016, arriverà un decreto interministeriale (Istruzione - Economia) per l'approvazione di un piano straordinario per la promozione ad associato dei ricercatori. tannico The Times l'Ue avrebbe già preparato un piano di aiuti per 80 miliardi di euro. Revisione del 19 novembre 2010. La detrazione al 55% sulla riqualificazione energetica degli edifici sarà concessa anche nel 2011 ma verrà ripartita in dieci anni con identiche quote annuali. Lo conferma il testo dell'emendamento alla legge di Stabilità del relatore Marco Milanese. L'agevolazione riguarda l'installazione di nuovi infissi termici, di caldaie a basso consumo e di pannelli solari. La relazione tecnica stima in termini di cassa un maggior gettito di 124,8 milioni nel 2011, un calo di entrate (Irpef, Ires e Irap) pari a 32,4 milioni nel 2012, a 292,8 milioni nel 2013 e a 168,2 tra il 2014 e il 2016. Il maggior gettito di 124,8 milioni sul 2011 (dovuto essenzialmente all'effetto di stimolo sull'attività edilizia) andrà a rimpinguare il fondo da 750 milioni che nel maxiemendamento figura come "annesso uno". Il totale delle risorse, pari a 874 milioni, servirà a finanziare spese di piccolo importo già previste nel maxiemendamento e alle quali si aggiungerà l'intervento per i malati di Sclerosi laterale amiotrofica.
Timori per l'Uem dall'Irlanda (16 novembre 2010).
I mercati reagiscono velocemente alle informazioni utili, e, quindi, anche agli annunci delle autorità politiche e monetarie. Nello scenario europeo di questi giorni la volatilità dei tassi d'interesse sui titoli pubblici dei paesi periferici, specialmente di Grecia, Irlanda e Portogallo, è contemporanea ad annunci controversi da parte della Bce e dei capi di stato. Gli uomini di Trichet assicurano che nessun paese dell'Uem potrà mai fallire o ristrutturare il proprio debito, mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel chiede una revisione dei trattati che preveda l'introduzione di un meccanismo di ristrutturazione del debito sovrano con una parziale punizione dei creditori. La gran parte degli economisti ha fin qui attaccato la Merkel accusandola di gettare benzina sul fuoco. Mettere in dubbio la solvibilità di un paese in un momento di incertezza e di pressioni speculative è, in effetti, un azzardo. Ma basta questa considerazione a risolvere una questione così complessa come quella della stabilità finanziaria del sistema monetario europeo? La valutazione del debito e della solvibilità di un paese dipende da molti fattori, in parte legati a variabili strutturali, come la crescita e la produttività, in parte legati alla capacità dei governi di contenere le spese e far pagare le tasse ai cittadini. Ogni paese ha una storia e una prospettiva diversa in relazione a questi fattori. Una crisi di debito può deflagrare per varie ragioni. Perché un paese subisce un deterioramento della sua posizione competitiva, a causa di una caduta della produttività o di un aumento del costo del lavoro. Perché, come nel caso irlandese, le istituzioni finanziarie hanno assunto rischi eccessivi, o, come nel caso della Grecia, perché i governi hanno fatto politiche troppo populiste. In assenza di un qualsiasi accordo sovranazionale di mutuo sostegno, il mercato determina il valore del debito (e i tassi d'interesse) sulla base dei rischi di insolvenza. Ciò limita la capacità dei governi di ricorrere al debito estero e determina un freno all'indebitamento. I creditori hanno tutto l'interesse a dare una valutazione realistica della solvibilità di un paese per evitare i costi del default. La Bce ritiene che la solvibilità dei paesi membri dello Sme debba essere assolutamente garantita, avendo posto sotto il controllo dell'Unione Europea i conti pubblici degli stati, mediante il patto di stabilità, e creato un fondo per la stabilità finanziaria. La questione che dobbiamo porci, però, dopo la bufera finanziaria di questi mesi, è se questa strategia funzioni. Il bail out di istituzioni indebitate (come gli stati, le banche o le imprese) è giustificato quando appare chiaro che l'istituzione in questione è vittima di un'ondata di panico, non giustificata sulla base dei fattori strutturali. Il problema è che il Pil della Grecia sta scendendo al ritmo del 3-4% all'anno e il governo Papandreou ha già dovuto rivedere al rialzo le stime sul disavanzo pubblico. La Spagna è sostanzialmente ferma, con un disavanzo pubblico intorno al 10 per cento. La concessione di ulteriori prestiti da parte delle istituzioni europee non fa che aggravare il problema della sostenibilità del debito sovrano, alimenta le aspettative di una ristrtturazione e provoca l'allargamento degli spread. È evidente che l'esposizione delle banche europee nei confronti dei paesi del Sud Europa e dell'Irlanda è stata alimentata proprio dalle garanzie (implicitamente o esplicitamente) offerte dall'Unione Europea. Ancora adesso, nonostante le incertezze, sembra che le banche greche prendano a prestito dalla Bce a tassi irrisori per comprare il debito pubblico del proprio paese lucrando sulla differenza tra i tassi. È una conseguenza perversa delle rassicurazioni della Bce che provoca l'ulteriore concentrazione dei rischi. L'idea della Merkel di istituire un meccanismo di ristrutturazione del debito che penalizzi i creditori privati è quindi del tutto ragionevole. Questo meccanismo consentirebbe di ridurre i danni da contagio causati da un default sul debito sovrano e renderebbe più costoso il ricorso al debito per i paesi meno solidi sul piano dei fattori strutturali (produttività, reputazione dei governi). Chi si oppone a questa proposta lo fa perché crede che essa possa indebolire la capacità dell'Unione Europea di imporre il rispetto della disciplina fiscale. Se uno stato ha l'opzione di fallire, e se l'Unione Europea non è necessariamente chiamata in soccorso dopo una crisi di insolvenza, i governi potrebbero avere meno incentivi a rispettare la disciplina di bilancio? Trovare una risposta a questa domanda non è facile. Tuttavia, sappiamo che delegare la disciplina solo ai trattati, in un contesto in cui il rischio di credito ricade sui contribuenti e non sui creditori, non è la strada giusta, perché aumenta il rischio, determina un eccesso di indebitamento degli stati meno virtuosi e aumenta i costi della ristrutturazione dei conti pubblici dopo che una crisi si è manifestata. Le sanzioni dell'Unione Europea nei confronti degli stati che non rispettano il patto di stabilità saranno sempre e comunque esercitate nei limiti posti dal consenso dei paesi membri, e quindi poco credibili. Ciò non significa che l'Unione Europea non debba esercitare una sorveglianza severa o imporre sanzioni ai paesi inadempienti. Ma non dobbiamo nasconderci che qualunque patto di stabilità sarà sempre un po' «stupido», nella misura in cui i limiti quantitativi al debito o al disavanzo degli stati non potranno tener conto di tutti i fattori strutturali che rendono più o meno credibile la solvibilità di un paese.
Emma Marcegaglia tra le prime 50 top manager donna (17 novembre 2010).
Emma Marcegaglia, presidente di Confidustria e presidende del gruppo Marcegaglia (metalsiderurgia, engineering, energia, energie alternative, turismo, immobiliare - 6.500 dipendenti - 4,2 miliardi di fatturato) è l'unica italiana nella classifica delle 50 donne manager più potenti al mondo, pubblicata dal Financial Times. Al top della lista c'è Indra Nooyi, amministratore delegato di PepsiCo, seguita da Andrea Jung, che guida la Avon Products, Guler Sabanci di Sabanci Group e Irene Rosenfeld di Kraft Foods. Emma Marcegaglia è al ventinovesimo posto e nel profilo pubblicato dal Ft si legge che, oltre ad essere alla guida dell'industria fondata da suo padre nel 1959, è «la prima donna a guidare Confindustria in 100 anni di storia» e di se stessa ha detto in un'intervista al Ft che la «sua migliore qualità manageriale è saper scegliere le persone giuste». Le 50 signore del potere sono scelte in base alla durata e ai risultati ottenuti nel loro incarico; il giudizio viene espresso tenendo conto di diversi fattori, tra cui dati biografici, grandezza e complessità dell’azienda e ambito competitivo. Nella giuria un altro italiano, Ferdinando Beccalli-Falco, una lunga carriera cominciata nel 1975 in America alla General Electric Company di cui, dal 2005, è presiedente e chief executive.
Ocse: ripresa timida . Trichet: situazione difficile (21 novembre 2010).
La ripresa è in corso ma «restano rischi concreti per il futuro». L'allarme arriva dall'Ocse che cita, nell'Economic Outlook, come fattori di rischio «il perdurare della fragilità dei mercati finanziari, i problemi sui debiti sovrani e le tensioni sui mercati dei cambi». Rischi potrebbero esserci anche dal lato dei bilanci delle famiglie: il calo dei prezzi immobiliari, come si sta verificando negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, potrebbe «rallentare i consumi». «Nel caso in cui alcuni di questi rischi dovessero materializzarsi - dice l'Ocse - e minacciare di far deragliare il recupero, misure aggiuntive dovrebbero essere garantite da quei Paesi che hanno ancora spazio di manovra». La crescita economica nell'area Ocse, secondo il rapporto, si attesterà quest'anno al 2,8% per scendere al 2,3% nel 2011 e risalire al 2,8% nel 2012. «La ripresa globale è in corso ormai da qualche tempo anche se la disoccupazione resta ancora alta in molti Paesi», sottolinea il vice segretario generale dell'organizzazione Pier Carlo Padoan. «La ripresa - aggiunge - è molto più forte nelle economie emergenti mentre resta debole ed irregolare in gran parte dell'Ocse, e ha mostrato recentemente incertezze». La ripresa «continua ma ha rallentato il passo», dice l'Ocse. Quanto all'Italia, il nostro debito pubblico «crescerà nel 2012 a circa il 120%» in rapporto al prodotto interno lordo. Secondo le ultime stime del governo italiano, quelle contenute nella Decisione di Finanza Pubblica, il debito italiano nel 2012 dovrebbe invece cominciare a scendere e attestarsi al 117,5%. La crescita italiana, invece, si attesterà nel 2010 all'1%, nel 2011 all'1,3% e nel 2012 all'1,6%. L'organizzazione di Parigi evidenzia che «l'economia italiana ha avviato una fase di moderata ripresa che dovrebbe rafforzarsi nel corso dei prossimi due anni». Per l'Ocse le proiezioni «suppongono che siano sufficienti le misure introdotte per raggiungere nel corso dei prossimi due anni l'obiettivo sul deficit; tuttavia - avverte - una ripresa più debole rispetto a quella delle proiezioni ufficiali potrebbe mettere a rischio l'obiettivo di tenere il deficit sotto il 3% del Pil». Una «sfida» dunque per l'Italia che dovrebbe ora, «per assicurare credibilità», mettere in campo «misure strutturali». «Le lacerazioni della crisi finanziaria sono profonde e la situazione attuale rimane molto difficile». È quanto ha affermato il presidente della Bce Jean Claude Trichet in apertura della Conferenza dei banchieri centrali organizzata dall'istituto centrale. «In una situazione ancora eccezionalmente problematica e incerta per il settore finanziario e l'economia reale è essenziale conservare e rafforzare il potere delle pubbliche autorità», ovvero banche centrali e governi, ha poi aggiunto Trichet. Le misure non convenzionali decise dalla Bce, contro la crisi, «sono temporanee» e la Banca centrale deve stare attenta a che «queste misure, necessarie in tempo di crisi, non si trasformino in una dipendenza quando la situazione si normalizza» ha sottolineato ancora il presidente della Bce, spiegando che «misure non convenzionali anti-crisi devono essere pienamente accompagnate da uno scenario che punti a riattivare i mercati privati. In particolare, il settore privato, i regolatori e le Autorità di vigilanza, così come le Autorità di bilancio devono avere il giusto incentivo a risolvere i principali problemi che stanno alla base come le difficoltà delle banche e i punti deboli dei bilanci pubblici».
La finanziaria 2011 (22 novembre 2010).
Disco verde all’ecobonus per le ristrutturazioni edilizie, a 100 milioni di euro per i malati di Sla, la Sclerosi laterale amiotrofica, e scendono da 350 a 250 i milioni a disposizione per gli interventi di carattere sociale. Taglio anche ai fondi del 5 per mille che scendono a quota 100 milioni. Il ddl di stabilità per il 2011, l’ex legge finanziaria, che passa ora all’esame del Senato, contiene anche un giro di vite sugli accertamenti fiscali, nuove risorse e proroga per tutto il 2011 per gli ammortizzatori sociali e il via libera all’assegnazione dei diritti d’uso delle frequenze radioelettriche, che dovrà portare nelle tasche dello Stato almeno 2,4 miliardi. Dopo un lungo tira e molla, Tremonti riduce poi il taglio alle università: nel 2011, il fondo di funzionamento riceverà un assegno “extra” di 800 milioni, che dovranno servire anche per il piano di “promozione” ad associato dei ricercatori. Disco verde pure (ma solo nel 2011) a un credito d'imposta, fino a 100 milioni, in favore delle imprese che affidano le attività di ricerca agli atenei (o agli enti pubblici di ricerca). Prorogato al 2011, poi, il regime di detassazione dei contratti di produttività. Novità anche per il patto di stabilità di enti locali, regioni e province autonome di Trento e Bolzano. Ecco l’abc del ddl stabilità approvato da Montecitorio e ora all’esame del Senato.
Accertamenti fiscali (articolo 1, commi 17-22). Si ampliano i poteri degli uffici periferici del Fisco e quelli degli uffici dell’amministrazione finanziaria in tema di accertamento parziale. Arriva poi una stretta sulle sanzioni: a decorrere dal 1° febbraio 2011, vengono elevate da un quarto a un terzo del minimo previsto per legge le sanzioni amministrative applicabili nel caso di accertamento con adesione riferito alle imposte sui redditi, all’Iva, e alle altre imposte indirette. Sono innalzata (in egual misura) le multe in caso di rinuncia a impugnare l’avviso di accertamento o liquidazione o di formulare istanza di accertamento con adesione. Crescono anche le sanzioni pecuniarie dovute alle diverse ipotesi di ravvedimento operoso. Infine in tema di conciliazione giudiziaria di una controversia tributaria: si innalzano le sanzioni da un terzo al 40% delle somme irrogabili in rapporto dell’ammontare del tributo conciliato. Agevolazioni contributive in agricoltura (articolo 1, commi 43-46). Viene quantificato in 86 milioni per il 2010 l’onere della rideterminazione delle agevolazioni contributive del settore agricolo. Confermata a regime dal 1° agosto 2010 la rideterminazione delle agevolazioni contributive (articolo 9, commi 5, 5-bis e 5-ter della legge 67/1988) per i datori di lavoro agricoli di zone svantaggiate o particolarmente svantaggiate.
Agevolazioni fiscali piccola proprietà contadina (articolo 1, comma 41). La disposizione rende permanenti le agevolazioni individuate dal comma 4-bis dell’articolo 2 del Dl 195/2009 in favore della piccola proprietà contadina, la cui applicazione era finora prevista fino al 31 dicembre 2010 (termine ora soppresso). Si tratta di agevolazioni destinate agli atti di ricomposizione fondiaria della piccola proprietà contadina che incidono sull’imposta di registro, ipotecaria e catastale.
Aliquote contributive (articolo 1, comma 39). Abrogato il comma 10 dell’articolo 1 della legge 247/2007 che prevedeva, a decorrere dal 2011, l’innalzamento di 0,09 punti percentuali dalle aliquote contributive di finanziamento relative all’Assicurazione generale obbligatoria e alle sue forme sostitutive ed esclusive, con riferimento agli iscritti lavoratori dipendenti e per la quota a carico dei medesimi lavoratori; alle gestioni pensionistiche degli artigiani, degli esercenti attività commerciali e dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni iscritti alle rispettive gestioni speciali dell’Inps; alla gestione separata Inps di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 335/1995. Si prevede che, sempre a decorrere dal 1° gennaio 2011, le aliquote contributive per il computo delle prestazioni pensionistiche siano incrementate in misura corrispondente alle aliquote di finanziamento (cioè la quota della retribuzione lorda che viene versata sotto forma di contributo obbligatorio).
Ammortizzatori sociali (articolo 1, commi 30-33 e 36). Rifinanziati anche per il 2011, sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non superiori a 12 mesi. Disco verde anche (sempre per il 2011) all’erogazione da parte dell’Inps di un incentivo per i datori di lavoro che assumono lavoratori destinatari di ammortizzatori sociali in deroga o licenziati a causa della crisi.
Apprendistato (articolo 1, comma 35). Proroga per il 2011del finanziamento statale (fino a 100 milioni) per le attività di formazione nell’esercizio dell’apprendistato.
Bonus energetico per la riqualificazione edifici (articolo 1, comma 47-bis) Per le spese documentate, sostenute entro il 31 dicembre 2011, relative ad interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti, che conseguono un valore limite di fabbisogno di energia primaria annuo per la climatizzazione invernale inferiore di almeno il 20% rispetto ai valori riportati nell'allegato C, numero 1), tabella 1, annesso al Dlgs 192/2005, spetta una detrazione dall'imposta lorda per una quota pari al 55% degli importi rimasti a carico del contribuente, fino a un valore massimo della detrazione di 100mila euro, da ripartire in dieci quote annuali di pari importo. La detrazione spetta anche per le spese documentate, sostenute entro il 31 dicembre 2010, relative a interventi su edifici esistenti, parti di edifici esistenti o unità immobiliari, riguardanti strutture opache verticali, strutture opache orizzontali (coperture e pavimenti), finestre comprensive di infissi fino a un valore massimo della detrazione di 60mila euro, da ripartire in dieci quote annuali di pari importo, a condizione che siano rispettati i requisiti di trasmittanza termica U, espressa in W/m2K, della Tabella 3 allegata alla legge 296/2006. Spetta, inoltre, per le spese documentate, sostenute entro il 31 dicembre 2010, relative all'installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda per usi domestici o industriali e per la copertura del fabbisogno di acqua calda in piscine, strutture sportive, case di ricovero e cura, istituti scolastici e università, spetta una detrazione dall'imposta lorda per una quota pari al 55% degli importi rimasti a carico del contribuente, fino a un valore massimo della detrazione di 60mila euro, da ripartire in dieci quote annuali di pari importo. Vale anche per le spese documentate, sostenute entro il 31 dicembre 2010, per interventi di sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione e contestuale messa a punto del sistema di distribuzione, spetta una detrazione dall'imposta lorda per una quota pari al 55% degli importi rimasti a carico del contribuente, fino a un valore massimo della detrazione di 30mila euro, da ripartire in dieci quote annuali di pari importo.
Borse di studio e prestiti d’onore (articolo 1, comma 26). Disco verde a 100 milioni, per il 2011, per la concessione dei prestiti d’onore e l’erogazione delle borse di studio.
Cinque per mille (articolo 1, comma 40). Taglio alle risorse per il 5 per mille, principale esempio di sussidiarietà fiscale vigente: si scende per il 2011 da 400 a soli 100 milioni.
Copertura degli oneri correnti (articolo 1, comma 168). La copertura del provvedimento per le nuove o maggiori spese correnti, per le riduzioni di entrata e per le nuove finalizzazioni nette da iscrivere nel fondo speciale di parte corrente è assicurata, ai sensi dell'articolo 11, comma 6, della legge 196/2009, in base al prospetto allegato alla presente legge.
Credito d’imposta per la crescita dimensionale delle aggregazioni professionali (articolo 1, commi 42 e 45). Viene limitato il credito d’imposta per la crescita dimensionale delle aggregazioni professionali alle operazioni di aggregazione effettuate nel periodo compreso fra il 1° gennaio 2008 e il 31 dicembre 2009 (prima il termine finale era il 31 dicembre 2010). Si prevede poi l’entrata in vigore della norma dalla data di pubblicazione della presente legge di stabilità in Gazzetta ufficiale.
Credito d’imposta per ricerca e sviluppo (articolo 1, comma 25). Arriva un credito d’imposta, nel limite di spesa di 100 milioni, in favore di imprese che affidano attività di ricerca e sviluppo a università o enti pubblici di ricerca. Esso spetta per investimenti realizzati dal 1° gennaio 2011, fino al 31 dicembre 2011, in una misura percentuale che verrà stabilita con apposito decreto interministeriale (Economia-Istruzione). Il credito d’imposta dovrà essere indicato nella dichiarazione dei redditi, ma non occorre alla formazione del reddito e (soprattutto) non concorre alla formazione della base imponibile Irap e non rileva ai fini della determinazione della percentuale di deducibilità degli interessi passivi. Specifica importante: il credito d’imposta è utilizzabile solo in compensazione.
Decorrenza dei trattamenti pensionistici (articolo 1, comma 37). Modificato l’articolo 12, comma 5 del decreto legge 78/2010, che riguarda l’applicazione della normativa previgente, in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici (le cosiddette “finestre”), per una serie di lavoratori che maturino i requisiti per l’accesso al pensionamento a decorrere dal 1° gennaio 2011, nei limiti di 10mila soggetti beneficiari. Tra i beneficiari della disposizione (lavoratori collocati in mobilità ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 223/1991, sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 30 aprile 2010, che maturino i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell’indennità di mobilità), vengono ricompresi oltre quelli indicati al comma 2, anche quelli indicati al comma 1 dell’articolo 7 della legge 223/1991. Inoltre il ministro del Lavoro, di concerto con quello dell'Economia, può disporre il prolungamento dell'intervento di tutela del reddito per il periodo di tempo necessario al raggiungimento della decorrenza del trattamento pensionistico. Il prolungamento avviene per un periodo non superiore a quello che intercorre tra la data computata sulla base delle norme sui trattamenti pensionistici vigenti prima del decreto 78/2010 e quella computata sulla base dell’articolo 12 del decreto n. 78. L’intervento avviene nei limiti delle risorse disponibili del Fondo sociale per occupazione e formazione e in deroga alla normativa vigente, in via alternativa a quanto previsto al primo periodo dell’articolo 12, comma 5 (ossia oltre il tetto dei 10mila beneficiari).
Detassazione premi di produttività (articolo 1, comma 47). Prorogato al 2011 il regime di detassazione dei contratti di produttività (articolo 5 del Dl 185/2008) in base al quale il lavoratore dipendente può optare per l’applicazione di un’imposta sostitutiva (10%) in luogo dell’Irpef e relative addizionali, sui redditi percepiti in relazione a incrementi di produttività e lavoro straordinario. L’agevolazione per il periodo 1° gennaio 2011-31 dicembre 2011 prevede già anche uno sgravio dei contributi dovuti dal lavoratore e dal datore di lavoro nei limiti delle risorse disponibili. La proroga 2011 si applica ai soggetti che hanno realizzato nel 2010 un reddito di lavoro dipendente non superiore a 40mila euro e comunque su un ammontare non superiore a 6mila euro. Se il sostituto d’imposta che dovrà applicare il regime sostitutivo per il 2011 è diverso da quello che ha rilasciato la certificazione dei redditi per il 2010, il lavoratore deve presentare una attestazione ad hoc del possesso del requisito reddituale. Lo stanziamento previsto nel 2011 è di 60 milioni di euro.
Detrazione fiscale per carichi di famiglia per non residenti (articolo 1, comma 53). Viene prorogata per il 2011 la detrazione fiscale per carichi di famiglia in favore dei soggetti non residenti. Viene anche stabilito che il beneficio non rileva ai fini della determinazione dell’acconto d’imposta sul reddito delle persone fisiche da versare per l’anno 2012.
Editoria, contributi alla stampa italiana all’estero (articolo 1, commi 54 e 55). Viene estesa alla stampa italiana all’estero la disciplina introdotta dall’articolo 10-sexies del decreto legge 194/2009 (legge 25/2010) che, per i contributi relativi all’anno 2009, ha escluso una serie di testate dall’applicazione dell’articolo 2, comma 62, della legge finanziaria 2010, la legge 191/2009. Che stabilisce che i contributi e le provvidenze spettano nel limite dello stanziamento iscritto sul pertinente capitolo del bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri procedendo, ove necessario, al riparto proporzionale dei contributi tra gli aventi diritto (cosiddetto “tetto” ai contributi). Vengono inclusi tra i soggetti cui, con riferimento ai contributi per il 2009, non si applica il cosiddetto “tetto”, i giornali quotidiani italiani editi e diffusi all'estero, nonché i giornali e le riviste italiani pubblicati all’estero e le pubblicazioni con periodicità almeno trimestrale edite in Italia e diffuse prevalentemente all’estero. Conseguentemente, la stampa italiana all’estero viene esclusa dalla previsione per cui per i contributi relativi al 2009 si applica la riduzione del 50%, recata dall’art. 10-sexies, comma 1, lett. d), del decreto legge 194/2009. Le disposizioni si applicano nel limite di 5 milioni di euro per l’esercizio 2011, procedendo, se necessario, alla rideterminazione degli importi, con riduzione proporzionale.
Editoria, sostegno (articolo 1, comma 57). Autorizzata la spesa di 100 milioni di euro per il 2011 per interventi di sostegno all’editoria. L’incremento è disposto in considerazione dei tempi di adozione del regolamento per la semplificazione e il riordino della disciplina dei contributi all’editoria previsto dall’art. 44 del D.L. 112 del 2008 [1] e in attesa della definizione della disciplina di settore.
Emittenza televisiva locale ed emittenza radiofonica locale e nazionale (articolo 1, comma 60). Vengono incrementati di 45 milioni di euro per il 2011 gli incentivi a sostegno dell’emittenza televisiva locale e dell’emittenza radiofonica locale e nazionale. Le risorse sono reperite a valere sugli introiti della gara diritti d’uso di frequenze radioelettriche nonché di 15 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2012 e 2013.
Entrata in vigore (articolo 1, comma 169). Il provvedimento entra in vigore il 1° gennaio 2011, mentre entrano in vigore il giorno della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del provvedimento, le misure per le regioni in disavanzo sanitario (commi da 49 a 51), l’azzeramento del Fondo strategico per il Paese a sostegno dell’Economia reale (comma 52) e la proroga della detrazione fiscale per carichi delle famiglie per le famiglie residenti all’estero (comma 53).
Eventi sismici del dicembre 2009 in Umbria (articolo 1, comma 83). Per far fronte agli interventi conseguenti ai gravi eventi sismici che hanno colpito alcune zone del territorio della regione Umbria il 15 dicembre 2009, individuate dall’ordinanza n. 3853 del 3 marzo 2010, viene autorizzata la spesa di 3 milioni di euro annui per il biennio 2011-2012.
Federalismo fiscale (articolo 1, comma 23). In vista dell’attuazione del federalismo fiscale, vengono aumentati compiti e risorse alla società Sose e all’Ifel.
Finanziamento Inps (articolo 1, commi 2-4). Arriva l’adeguamento, per il 2011, dei trasferimenti dovuti dallo Stato verso la gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali (Gias), a favore di alcune specifiche forme di gestioni pensionistiche: fondo pensioni lavoratori dipendenti, autonomi, minatori ed Enpals. Gli incrementi da trasferirie sono pari complessivamente a 542,07 milioni di euro.
Finanziamento del Fondo nazionale per le politiche sociali (articolo 1, comma 38). Viene incrementato di 200 milioni di euro per il 2011 il Fondo nazionale per le politiche sociali.
Fondo per interventi strutturali di polirica economica (articolo 1, comma 82). La dotazione del Fondo per interventi strutturali di politica economica è incrementata di 192 milioni di euro per l'anno 2012, 61 milioni di euro per l'anno 2013 e 195 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2014.
Fondo pagamenti dei comuni alle imprese (articolo 1, commi 58 e 59). Istituzione di un Fondo per velocizzare i pagamenti da parte dei comuni verso le imprese fornitrici. Il fondo, dotato di 60 milioni di euro per il 2011, è finalizzato al pagamento degli interessi passivi maturati dai comuni per il ritardato pagamento dei fornitori. Un decreto Interno individuerà modalità e criteri di riparto e i comuni che avranno accesso al fondo: saranno quelli virtuosi, che hanno rispettato il patto di stabilità nell’ultimo triennio ed evidenziano un rapporto tra spese del personale ed entrate correnti interiore alla media nazionale.
Fondi Fas (articolo 1, comma 5). Viene rimodulata la quota di 1,5 miliardi per il 2012 delle risorse Fas (Fondo aree sottosviluppate) da destinare a interventi di edilizia sanitaria pubblica. Si specifica che l’85% di questi soldi dovranno essere dirottati al Sud e il restante 15% alle regioni del Centro Nord.
Fondo esigenze indifferibili e urgenti (articolo 1, comma 40). Viene incrementato di 924 milioni per il 2011 la dotazione del Fondo esigenze indifferibili e urgenti. Una quota di tali risorse, pari a 874 milioni, saranno ripartite con Dpcm tra le finalità contenute nell’elenco 1 della Finanziaria 2010 (legge 191/2009). Non rientra nel riparto il Fondo università che ha un finanziamento ad hoc, mentre rientrano i 25 milioni per gli atenei privati, i 245 milioni per il sostegno delle scuole paritarie e i 250 milioni per garantire i libri gratis alle elementari, la stabilizzazione degli Lsu (i Lavoratori socialmente utili) della scuola (Palermo-Napoli, in testa) e la partecipazione italiana a banche e fondi internazionali. Arrivano anche 100 milioni per i malati di Sla e 124 per interventi a sostegno del settore dell’autotrasporto. Taglio alle risorse per il 5 per mille, principale esempio di sussidiarietà fiscale vigente: si scende per il 2011 da 400 a soli 100 milioni.
Fondo interventi politica economica (articolo 1, comma 14). Arrivano riduzioni di 1.752 milioni, per il 2011, di 255 milioni, per il 2012, e di 49 milioni, a decorrere dal 2013.
Fondo sociale per l’occupazione e la formazione (articolo 1, commi 29 e 34). Viene incrementato di un miliardo. Una parte di queste risorse dovrà essere dirottata alle regioni per le esigenze del trasporto pubblico locale.
Fondo strategico per il paese a sostegno dell’economia reale (articolo 1, comma 52). Ridotta di 242 milioni per il 2011 la dotazione del Fondo strategico per il paese a sostegno dell’economia reale, istituito presso la presidenza del Consiglio dei ministri. In questo modo il fondo viene azzerato.
Frequenze radioelettriche (articolo 1, commi 8-13). Si parla di assegnazione di frequenze radioelettriche da affidare a servizi di comunicazione elettronica. Si prevede che entro 15 giorni dall’entrata in vigore del presente Ddl di Stabilità, l’Authority di settore (l’Agcom) avvii le procedure per assegnare tali frequenze, che saranno destinate ai servizi di comunicazione elettronica mobile in banda larga. La liberazione delle frequenze per essere destinate ai servizi di comunicazione elettronica mobili in larga banda deve comunque avere luogo entro e non oltre il 31 dicembre 2012. Il ministro dello Sviluppo economico individuerà la data di assegnazione (sentendo l’Europa) e potrà sostituire le frequenze già assegnate, con altre che si rendano nel frattempo disponibili. Attenzione: il piano di ripartizione delle frequenze e il piano di assegnazione dovranno essere aggiornati secondo le nuove norme. Sviluppo economico ed Economia dovranno quantificare e attribuire le misure finanziarie compensative (10% degli introiti, e comunque entro al massimo 240 milioni), che saranno finalizzate a promuovere un uso più efficiente dello spettro attualmente destinato alla diffusione di trasmissioni in ambito locale. Si prevede poi che entro il 31 dicembre 2012, data di cessazione delle trasmissioni in tecnica analogica, lo Sviluppo economico provvederà ad assegnare i diritti d’uso del radiospettro, anche mediante trasformazione del rilascio provvisorio in assegnazione definitiva. L’Agcom dovrà normare diritti e doveri gravanti sui titolari dei diritti d’uso delle radiofrequenze destinate alla diffusione dei servizi di media audiovisivi. In caso di mancato utilizzo delle radiofrequenze assegnate, il ministero dello Sviluppo economico revocherà la concessione o ridurrà l’assegnazione, acquisendo il diritto di disporre delle frequenze precedentemente assegnate. In caso poi di trasmissioni di programmi televisivi in digitale, privi del titolo abitativo, al responsabile editoriale si applicano pesanti sanzioni amministrative: fino a 2,5 milioni di multa, sempre che il fatto non costituisca un più grave reato penale. Mentre l’operatore di rete che ospiti un fornitore di servizi di media audiovisivi privo del titolo abitativo è sanzionabile con la sospensione o la revoca dell’utilizzo della risorsa assegnata con diritto d’uso. Il Governo stima in non meno di 2,4 miliardi i proventi derivanti dall’assegnazione dei diritti d’uso di frequenze radioelettriche. Le procedure di assegnazione di tali diritti si dovranno concludere con il versamento dei relativi introiti nelle casse erariali entro il 30 settembre 2011. Il mancato raggiungimento dell’introito stimato, farà scattare una riduzione lineare delle spese di ciascun dicastero.
Giochi, dal rafforzamento del contrasto al gioco illegale fino al recupero dell’evasione (articolo 1, commi da 63 a 81). Le disposizioni tendono a rafforzare il contrasto al gioco illegale e al recupero della base imponibile a fronte di fenomeni di elusione ed evasione fiscale. Per chi sottrae base imponibile all’imposta unica dei concorsi pronostici o delle scommesse è prevista una sanzione amministrativa dal 120 al 240 per cento della maggior imposta e, se la base imponibile sottratta è superiore a 50mila euro è anche prevista la chiusura dell’esercizio da uno a sei mesi. Sanzione amministrativa da 516 a 2mila euro per chi non presenta o presenta con indicazioni inesatte la dichiarazione di inizio attività. Vengono perseguite le giocate simulate: sanzione amministrativa pari alla vincita conseguente alla giocata simulata, oltre alla chiusura dell’esercizio da tre a sei mesi. In caso di recidiva chiusura da sei mesi a un anno e revoca della concessione se viene accertata una ulteriore violazione. Vengono estesi i poteri sanzionatori dell’Amministrazione autonoma Monopoli di Stato. Disposizioni per ottenere la riduzione delle sanzioni. Ci sono anche due disposizioni interpretative. La prima prevede che l’imposta unica sui concorsi pronostici e le scommesse sia comunque dovuta anche se la raccolta, compresa quella a distanza, avviene in assenza o inefficacia della concessione rilasciata da Aams. In base alla seconda si intende per soggetto passivo d’imposta chiunque, anche in assenza o inefficacia della concessione rilasciata da Aams, gestisca con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse. Se l’attività è esercitata per conto terzi il soggetto per conto del quale viene esercitata l’attività è obbligato in solido al pagamento di imposta e sanzioni. La base imponibile sottratta, accertata ai fini dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, è posta a base di rettifiche e accertamenti ai fini delle imposte sui redditi, dell’Iva e dell’Irap eventualmente applicabili. Nuove disposizioni su accertamento delle base imponibile e controlli in materia di Preu (prelievo erariale unico). Prevista un’intesa in sede di Conferenza unificata per la prevenzione, il contrasto e il recupero della ludopatia conseguente a gioco compulsivo. Vietato consentire la partecipazione ai giochi pubblici a minorenni: prevista una sanzione da 500 a mille euro, con chiusura dell’esercizio commerciale, locale o, comunque, punto di offerta del gioco fino a 15 giorni. Dal 2011 i concessionari abilitati alla raccolta di scommesse sportive a quota fissa che abbiano conseguito percentuali di restituzione in vincite inferiori all’80% sono tenuti a versare all’erario il 20% della differenza lorda così maturata. Decadenza automatica del nulla osta quando apparecchi e congegni risultino temporaneamente non collegati alla rete telematica per un periodo superiore a 90 giorni (e non più a 60 giorni). Nuove indicazioni sulla competenza territoriale per le cause di opposizione all’ordinanza di ingiunzione. Con decreto Aams saranno introdotte nuove tipologie di giochi e avviate le procedure per il loro affidamento in concessione. Interventi per la rideterminazione delle dotazioni organiche del personale dirigenziale e del personale non dirigenziale. L’Aams è autorizzata all’aggiornamento dello schema tipo di convenzione accessiva alle concessioni per l’esercizio dei giochi pubblici. Stilato l’elenco analitico dei requisiti necessari ai concessionari dei giochi che sottoscriveranno le convenzioni, con relativi obblighi. Viene consentito ad Aams di esercitare una serie di poteri in materia di controllo, indirizzo e segnalazione alle autorità e di sanzioni sullo svolgimento dell’attività da parte dei concessionari dei giochi. Programma straordinario di 30mila controlli nel 2011 da parte di Aams in materia di giochi pubblici per contrastare gioco illecito ed evasione fiscale. L’Aams potrà avvalersi della collaborazione di Siae e Guardia di finanza. Aams dovrà istituire dal 1° gennaio 2011 un elenco con: soggetti proprietari o possessori di apparecchi o terminali per l’esercizio dei giochi; concessionari per la gestione della rete telematica di apparecchi e terminali; ogni altro soggetto che svolga attività relativa al funzionamento e al mantenimento in efficienza degli altri o qualsiasi altra attività funzionale alla raccolta del gioco.
Istituti universitari a ordinamento speciale (articolo 1, comma 84). Viene autorizzato un contributo di 5,2 milioni per il 2011 da destinare alle Scuole superiori a ordinamento speciale, riservando due milioni di euro alla Scuola Imt (istituzioni, mercati, tecnologie) alti studi di Lucca, istituto di istruzione universitaria di alta formazione dottorale con ordinamento speciale istituito con Dm 18 novembre 2005.
Leasing immobiliare (articolo 1, commi 15-16). Si interviene sul regime fiscale (imposte di registro, ipotecarie e catastali) dei contratti di locazione finanziaria di beni immobili. Intanto, si prevede che l’utilizzatore del bene (che cioè paga il canone alla società di leasing) sia responsabile in solido per il pagamento dell’imposta di registro e delle imposte ipotecarie e catastali dovute dal locatore (vale a dire la società di leasing). L’imposta di registro è dovuta solo in caso d’uso e in misura fissa. A partire dal 1° gennaio 2011 poi le imposte ipotecarie e catastali dovute sui contratti di leasing immobiliare sono sostituite da un’imposta unica sostitutiva, determinata dalla differenza tra imposta di registro applicata sui canoni di locazione e un ammontare forfettario corrispondente al 4% moltiplicato per gli anni di durata residua del contratto. Il termine per il versamento è fissato al 31 marzo 2011, con modalità decise dal Fisco entro il 15 gennaio 2011.
Missioni di pace (articolo 1, comma 27). Arriva un ulteriore stanziamento di 750 milioni per la proroga della partecipazione italiana fino al 30 giugno 2011 alle missioni di pace internazionali.
Nuova linea ferroviaria Torino-Lione (articolo 1, commi 62 e 62). Risorse per la realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino-Lione. La società Rete ferroviaria italiana (Rfi) è autorizzata a destinare massimo 35,6 milioni di euro alle spese di studi e progettazione a carico dello Stato conseguenti alla variazione del tracciato della nuova linea ferroviaria Torino-Lione in territorio italiano. Le risorse sono disponibili nel contratto di programma 2007-2011 stipulato nel 2007 fra ministero delle Infrastrutture e Rfi. Interamente a carico dello Stato la spesa massima di 12 milioni per far fronte ai costi aggiuntivi necessari per la realizzazione del cunicolo esplorativo della Maddalena, nell’ambito dei lavori per la Torino-Lione. La spesa è effettuata a valere sulle risorse assegnate al Fondo per il finanziamento di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale.
Patto di stabilità interno per gli enti locali (articolo 1, commi da 86 a 122). Il patto di stabilità per gli enti locali per gli anni 2011-2013, che, come negli anni precedenti, si applica alle province e ai comuni con popolazione superiore a 5mila abitanti. Fra le novità introdotte viene consentito ai comuni che hanno superato nell’anno 2008 la soglia di 5mila abitanti di escludere dal calcolo del saldo rilevante ai fini della Patto di stabilità interno per il 2010 alcune particolari voci di entrata originate da operazioni di carattere straordinario ( come cessione di azioni, vendita del patrimonio immobiliare, distribuzione di dividendi) qualora destinate dagli enti alla realizzazione di investimenti o alla riduzione del debito.Vienemodificato l’articolo 14, comma 32, del decreto legge 78/2010 che obbliga i comuni fino a 30mila abitanti a mettere in liquidazione le società costituite prima dell’entrata in vigore del decreto legge n. 78, escludendone l’applicazione nei confronti delle società che presentano il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi finanziari. Il comma 103-bis fornisce una norma interpretativa. Restano ferme le disposizioni previste dal comma 4-quinquies dell’articolo 4 del Dl 2/2010 che prevede che gli enti che abbiano operato l’esclusione prevista dal comma 10 dell’articolo 7-quater del Dl 5/2009 sono tenuti a operarla anche negli anni 2010 e 2011. Il comma 10 prevede che restano invariate le previsioni di saldo e di entrata e di spesa degli enti locali che abbiano approvato i bilanci di previsione alla data del 10 marzo 2009, escludendo, sia dalla base di calcolo dell’anno 2007 assunta a riferimento che dai risultati utili per il rispetto del patto di stabilità interno per il 2009, le risorse originate dalla cessione di azioni o quote di società operanti nel settore dei servizi pubblici locali nonché quelle derivanti dalla distribuzione dei dividendi determinati da operazioni straordinarie poste in essere dalle predette società, qualora quotate in mercati regolamentati, e le risorse relative alla vendita del patrimonio immobiliare, se destinate alla realizzazione di investimenti o alla riduzione del debito. Modificato il comma 9 dell’articolo 14 del decreto legge 78/2010 che contiene disposizioni finalizzate al contenimento di costi del personale per gli enti locali e le camere di commercio: la norma consente agli enti nei quali l’incidenza della spesa per il personale sia inferiore al 35% della spesa corrente di effettuare assunzioni per turnover in deroga al limite del 20% della spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno precedente.
Patto di stabilità per le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano (articolo 1, commi da 123 a 148). Disciplina del patto di stabilità interno per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per il triennio 2011-2013, le cui norme sono dichiarate principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica ai sensi del terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione e del secondo comma dell’articolo 119. Nel corso dell’esame è stata sostituta la tabella allegata relativa alla ripartizione tra le regioni a statuto speciale del contributo agli obiettivi di finanza pubblica da applicare alle singole regioni.
Rapporti finanziari con la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia (articolo 1, commi da 149 a 157). Viene recepito il protocollo d'intesa stipulato tra la regione Friuli Venezia Giulia e il Governo il 29 ottobre 2010, con il quale viene definito da una parte il contenzioso riguardante le quote delle ritenute Irpef sui redditi da pensione spettanti alla regione (comma 149) e dall'altra il contributo regionale all'attuazione del federalismo fiscale (commi 150, 151 e 154). Viene disciplinato il patto di stabilità (commi 152 e 153), modificato l'ordinamento finanziario regionale, riguardo i tributi locali e l'accertamento tributario (comma 155 e 156) e vengono dettate norme generali per il coordinamento tra l'attuazione del federalismo fiscale e l'ordinamento finanziario della regione (comma 157).
Rapporti finanziari con la Regione Valle d’Aosta (articolo 1, commi da 158 a 162). Viene recepito l'accordo intervenuto tra il Governo e la Regione Valle d'Aosta per l’attuazione dei principi del federalismo fiscale contenuti nella legge 42/2009. Viene determinato il contributo della regione agli obiettivi di perequazione e solidarietà (commi 158 e 161), si rinvia all'adozione di norme di attuazione per il necessario adeguamento dell'ordinamento finanziario della regione (commi 159 e 160), si dettano norme generali per il coordinamento dello stesso con l'attuazione del federalismo fiscale (comma 162).
Regime Iva per le cessioni di immobili (articolo 1, comma 85). Si interviene sul regime Iva per le cessioni di fabbricati: viene disposta l’estensione dell’ambito di applicazione dell’imposta. In particolare viene stabilito che non sono esenti da Iva le cessioni di fabbricati effettuate dalle imprese costruttrici entro cinque anni (in luogo di quattro anni attualmente previsto) dal termine della costruzione.
Regioni in disavanzo sanitario (articolo 1, commi 49-51). Per i risultati dell’esercizio 2010 alle regioni che non hanno raggiunto gli obiettivi programmati di risanamento e riequilibrio economico previsti dal piano di rientro dai disavanzi sanitari di provvedere alla copertura del disavanzo sanitario con risorse di bilancio regionale, purché le misure siano adottate entro il 31 dicembre 2010. Divieto di intraprendere o proseguire fino al 31 dicembre 2011azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali o ospedaliere delle regioni sottoposte a piani di rientro e commissariate alla data di entrata in vigore del dl 78/2010 (31 maggio). I pignoramenti e le prenotazioni di debito sui pagamenti che le regioni sottoposte a piani di rientro e commissariate trasferiscono alle aziende sanitarie locali e ospedaliere, se effettuati prima del 31 maggio 2010 non producono effetti da late data e fino al 31 dicembre 2011. Gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri possono disporre, per finalità istituzionali, delle somme che gli sono state trasferite durante il periodo sopra indicato. Consentita una deroga del 10% del blocco del turnover del personale sanitario a condizione che entro il 31 ottobre 2010 sia avvenuta la verifica positiva dell’attuazione parziale delle misure contenute nel piano di rientro dal deficit sanitario presentato dalla regione interessata.
Ricerca aerospaziale ed elettronica (articolo 1, comma 56). Per assicurare la continuità degli interventi a sostegno della ricerca aerospaziale ed elettronica le risorse previste dall’articolo 3-bis del dl 135/2009 (che si occupa di disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia europea) sono ridestinate, fino a un massimo di 400 milioni, in favore di interventi per lo sviluppo e l’accrescimento delle industrie del settore aeronautico.
Saldi di bilancio (articolo 1, comma 1). Intanto si fissa il livello massimo del saldo netto da finanziare: per il 2011, 41,9 miliardi, in termini di competenza, al netto di 11,3 miliardi per regolazioni debitorie, come indicato nella Decisione di finanza pubblica. Per quanto riguarda invece il ricorso al mercato, per il 2011, è fissato un livello massimo in termini di competenza, pari a 268 miliardi. In quest’ultima cifra è compreso anche l’indebitamento all’estero, per un importo non superiore a 4 miliardi, relativi a interventi non considerati nel bilancio di previsione. Per il biennio successivo, il livello massimo del saldo netto da finanziareè pari a 22,8 miliardi, per il 2012, e a 15 miliardi, nel 2013. Il ricorso al mercato è fissato in 276 miliardi, per il 2012 e 242, per il 2013.
Servizio sanitario nazionale (articolo 1, comma 48). Viene incrementato di 347,5 milioni per il 2011 il finanziamento del Servizio sanitario nazionale cui concorre ordinariamente lo Stato, come rider minato dall’articolo 11, comma 12 del Dl 78/2010 (che prevede una rigerminazione in riduzione di 600 milioni a decorrere dal 2011). L’incremento copre i cinque dodicesimi delle maggiori risorse (834 milioni) che lo Stato si è impegnato nel prossimo esercizio ad assicurare alle regioni con il “Nuovo patto per la salute” del 3 dicembre 2009.
Sclerosi laterale amiotrofica (articolo 1, comma 40). Arrivano 100 milioni per garantire ricerca e assistenza domiciliare ai malati di Sla.
Sicurezza (articolo 1, comma 28). Prorogato fino al 30 giugno 2011 il piano di impiego di polizia e forze armate per il controllo del territorio. Spesa prevista: 36,4 milioni.
Tabelle A e B, Fondi speciali (articolo 1, comma 163). Il comma 163 dispone in ordine all’entità dei fondi speciali, ossia gli strumenti contabili, disciplinati dall’articolo 18 della nuova legge di contabilità, mediante i quali si determinano le disponibilità per la copertura finanziaria dei provvedimenti legislativi che si prevede possano essere approvati nel corso degli esercizi finanziari compresi nel bilancio pluriennale. Il comma determina gli importi da iscrivere nei fondi speciali per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013, determinati nelle misure indicate per la parte corrente nella Tabella A e per quella in conto capitale nella Tabella B allegate al disegno di legge di stabilità, ripartite per ministeri.
Tabella C (articolo 1, comma 164). Il comma 164 reca l’approvazione della Tabella C, che riguarda la determinazione delle dotazioni finanziarie da iscrivere in bilancio delle leggi di spesa permanente, la cui quantificazione, in base alla nuova normativa contabile, è rinviata alla legge di stabilità.
Tabella D (articolo 1, comma 165). Il comma segnala che la Tabella D determina gli importi delle riduzioni delle autorizzazioni legislative di spesa di parte corrente, aggregate per programma e missione.
Tabella E (articolo 1, commi 166 e 167). Gli importi delle quote destinate a gravare su ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013 per le leggi che dispongono spese a carattere pluriennale in conto capitale, con le relative aggregazioni per programma e per missione e con distinta e analitica evidenziazione dei rifinanziamenti, delle riduzioni e delle rimodulazioni sono indicati nella Tabella E allegata al provvedimento.
Trasporto pubblico locale ferroviario (articolo 1, commi 6-7). Viene introdotta una “norma di responsabilità”, prevedendo che l’erogazione dei 480 milioni l’anno (fino al 2011) è subordinata alla verifica, nei contratti di servizio del trasporto pubblico locale su ferro, di misure di efficientamento e razionalizzazione del trasporto. La verifica va fatta entro il primo semestre 2011 da parte dei ministeri dell’Economia e dei Trasporti. Si prevede poi la ripartizione dei 425 milioni (annualità 2009) destinati all’acquisto di nuovo materiale rotabile: sarà necessario acquisire il parere favorevole della Conferenza unificata. Nella ripartizione bisognerà tener conto, tra l’altro, degli aumenti tariffari, da cui risulti l’incremento del rapporto tra ricavi da traffico e corrispettivi e la razionalizzazione dei servizi, con conseguente incremento del carico medio annuo dei passeggeri trasportati.
Università (articolo 1, comma 24). Arrivano 800 milioni in più, nel 2011, per incrementare il fondo di funzionamento degli atenei, che passa quindi da 6,1 miliardi a 6,9. Per il 2012 e 2013, l’incremento sarà di 500 milioni. Entro il 31 gennaio di ogni anno, e per gli anni 2011-2016, arriverà un decreto interministeriale (Istruzione - Economia) per l’approvazione di un piano straordinario per la promozione ad associato dei ricercatori.
Il piano per l'Irlanda (22 novembre 2010).
L'Irlanda infine ha ceduto, con una riunione d'emergenza del suo governo ha chiesto soccorso all'Unione Europea e ha messo sul piatto un piano di austerity che ammonterebbe a 15 miliardi di euro in quattro anni. E l'Unione Europea ha risposto: assicurerà il «salvataggio» dell'ex «tigre celtica» oggi in crisi perché questo è «giustificato» dalla necessità di «salvaguardare la stabilità finanziaria nella Ue e nella zona Euro». Così ha deciso l'Eurogruppo, il vertice dei ministri finanziari ed economici della zona Euro, riunito per telefono in sessione straordinaria e poi allargato ai ministri economici di tutta la Ue e ad alcuni dirigenti del G7. Ogni singolo passo è stato concordato e condiviso con il Fondo monetario internazionale e con la Banca centrale europea. Il piano di aiuti - che prevede anche un contributo attraverso prestiti bilaterali da Gran Bretagna e Svezia, due Paesi al di fuori dell'Eurozona - si svilupperà sull'arco di 3 anni e sarà «legato a precise condizioni»: l'entità esatta sarà fissata fra pochi giorni, ma già si parla di una cifra compresa fra 80 e 90 miliardi, poco meno dei 110 concessi mesi fa alla Grecia. Per la parte di competenza Ue, i fondi verranno attinti dal «Meccanismo per la stabilità finanziaria» che dispone di 60 miliardi di prestiti garantiti presso le casse della Commissione Europea, e dal più sostanzioso «Fondo europeo di stabilità finanziaria» pronto ad attingere sui mercati fino a 440 miliardi, anche attraverso prestiti bilaterali fra Paesi dell'Eurozona. Ora la palla torna a Dublino, che dovrà a sua volta approvare in dettaglio le misure che Bruxelles ha proposto in una domenica sera dai momenti a tratti drammatici. «Fate in fretta», aveva detto il ministro delle finanze Brian Lenihan ai suoi colleghi di governo. E questi, almeno ieri, lo hanno ascoltato. Dublino ottiene - almeno così pare dalle prime indiscrezioni - di non aumentare la sua imposta sulle imprese, al 12,5%, considerata da altri Paesi come una misura di concorrenza sleale (in Francia la stessa aliquota è al 34%, in Spagna e in Germania al 30%, e solo in Bulgaria e Cipro al 10%). Resta anche nel vago, ma non poteva essere diversamente, come e quando gli aiuti promessi potranno riguardare anche le disastrate banche irlandesi, per metà nazionalizzate e accusate da molti di aver contribuito in modo decisivo alla crisi: ci penserà il governo, e già oggi la Bce - in un suo primo commento - si augura significativamente che l'intervento europeo serva «a stabilizzare il sistema bancario irlandese». Il programma di aiuti, dice l'Eurogruppo, «si rivolgerà in un modo decisivo» alle sfide poste dai bilanci dell'economia irlandese. Punterà «all'aggiustamento del bilancio e alle riforme strutturali che saranno presentate dalle autorità irlandesi la prossima settimana, nel loro Piano strategico quadriennale». E questa stesso piano strategico, confida ancora Bruxelles, «fornirà i dettagli dell'impegno preso dal governo per raggiungere il consolidamento del bilancio di 6 miliardi nel 2011, come parte di una strategia che porterà a un rapporto deficit-Pil del 3% entro il 2014». Per l'Eurogruppo, quelli dell'economia irlandese sono «fondamentali forti» e se perciò il programma verrà realizzato si tornerà «a una crescita robusta e sostenibile». Commento. L'Irlanda non ha niente a che vedere con la Grecia. Nel 2007 il debito pubblico irlandese era appena il 12% del prodotto interno lordo, contro il 50% in Germania e l'80% in Grecia. Anche la Spagna nel 2007 aveva un debito pubblico pari solo al 27% del Pil. Se le regole di bilancio fossero state applicate con lo stesso rigore che vorrebbero oggi le autorità tedesche (anche se i loro predecessori fecero resistenza, all'inizio del decennio, quando si trattava di sanzionare la Germania stessa), tra la nascita dell'euro e l'attuale ondata di crisi Francia e Germania sarebbero incorse in sanzioni il doppio delle volte rispetto a Irlanda o Spagna. In Irlanda e in Spagna non è lo stato che ha fatto corto circuito, ma il settore privato. In un contesto di tassi di interesse bassi, determinato principalmente dalla cronica debolezza della domanda nei Paesi chiave del vecchio continente (nel 2008 la domanda interna reale in Germania era cresciuta del 5% rispetto al 1999), in diversi Paesi della periferia dell'euro c'è stato un boom dei prezzi delle attività e del credito. Una politica monetaria espansiva deve produrre effetti di questo genere da qualche parte. Inoltre, fino a novembre 2007 lo spread dei titoli di Stato irlandesi e spagnoli rispetto ai tedeschi era prossimo allo zero. Non c'è da sorprendersi che i fornitori di credito privati non siano riusciti a disciplinare il boom: lo avevano provocato. Poi è arrivato il "Minsky moment", quella fase in cui un eccesso di indebitamento scatena le vendite. I mercati finanziari hanno cambiato umore, i prezzi delle attività sono precipitati, tutta la sciagurata orgia creditizia è venuta alla luce e il governo irlandese è dovuto correre affannosamente in soccorso delle sue banche. L'effetto combinato delle garanzie pubbliche sulle banche e dell'enorme disavanzo causato dalla nuova austerità del settore privato (quest'anno il settore privato irlandese registrerà un'eccedenza pari al 15% del Pil, secondo i dati Fmi) ha scatenato un'esplosione dell'indebitamento pubblico. Ma questa calamità è la conseguenza delle crisi, non la causa. E l'idea che l'Irlanda dovesse riportare in attivo i conti pubblici tanto da compensare l'impatto del boom del settore privato è ridicola. Non era nemmeno richiesto dai trattati, che si disinteressano dei comportamenti scorretti del settore privato. Fin qui per quanto riguarda le cause. Ora soffermiamoci sulle soluzioni. L'Irlanda non è certamente deficitaria sul piano della flessibilità. Al contrario, il suo costo unitario del lavoro è precipitato rispetto alla Germania, e questo, sul lungo periodo, le garantisce buone chances di uscire dalle sue difficoltà attraverso la crescita. Ma sul breve periodo la caduta dei prezzi e dei salari rende ancora più pesante il fardello del suo debito in euro. Messa sotto pressione, l'Irlanda ha anche imposto una cura dimagrante per i conti pubblici. Ma sgonfiare un'economia colpita da una bolla speculativa spesso non funziona, anche se l'Irlanda, una piccola economia aperta, ha più speranze di tirarsi fuori dai guai con l'export rispetto ad altri Paesi a rischio di Eurolandia. Malauguratamente, mentre l'Irlanda si profondeva in sforzi proprio in questo senso, i Paesi membri dell'euro hanno concordato, su iniziativa tedesca, di introdurre un meccanismo di ristrutturazione del debito pubblico. L'accordo del 18 ottobre tra la cancelliera Merkel e il presidente Sarkozy, in cui si dichiara l'intenzione di procedere a una modifica dei trattati per introdurre questo meccanismo, ha scatenato un crollo dei prezzi dei titoli di Stato in Grecia, Irlanda e Portogallo che ha contribuito a originare una nuova ondata di panico. Come osserva Paul de Grauwe dell'Università di Lovanio, fiero avversario di queste teorie, legittimare la ristrutturazione del debito pubblico è destinato senz'altro a scatenare assalti speculativi. De Grauwe raccomanda invece la creazione di un grande fondo monetario europeo per finanziare i necessari aggiustamenti. A sostegno di tale tesi sta il fatto che il settore privato crea eccessi capaci di autoalimentarsi, sia verso l'alto che verso il basso. Presupponendo il peggio, rende quasi inevitabili esiti drammatici. Tutto ciò giustifica la creazione di questo prestatore d'emergenza. Non preclude una ristrutturazione del debito, ma questo è uno scenario che dovrebbe verificarsi solo quando l'aggiustamento è impraticabile. Ma senza misure di sostegno della liquidità, il risanamento da solo spesso e volentieri non riuscirà a far cambiare idea ai mercati, perché gli investitori trovano inverosimile la promessa di un'austerità più drastica. Il default a questo punto può essere inevitabile, anche quando non sarebbe necessario, con condizioni meno onerose sull'indebitamento. Ovviamente le idee tedesche sulle misure da adottare non rispecchiano solamente le convinzioni della classe dirigente. L'ostilità dell'opinione pubblica tedesca ai "salvataggi" e il ruolo della sua Corte costituzionale rendono inevitabili richieste di questo tipo. Ma il grande interrogativo è se un'unione monetaria organizzata secondo le linee guida tedesche possa funzionare. Nella migliore delle ipotesi, la linea della disciplina di bilancio e della ristrutturazione del debito pubblico genererà sicuramente una politica drasticamente prociclica. Nella peggiore delle ipotesi, genererà depressioni e default a catena tra gli Stati membri. E c'è anche un problema globale: l'enfasi su un aggiustamento deflattivo nei Paesi più deboli rischia di trasformare l'eurozona nel suo complesso in una colossale Germania, dipendente dalla domanda di prodotti d'importazione da parte del resto del mondo. Come osserva Philip White, la zona euro è decisamente troppo grande per poter interpretare un ruolo del genere all'interno dell'economia mondiale. Il problema degli squilibri all'interno della zona euro, per quanto poco possa piacere alla Germania, è ineludibile. La crisi è una sfida colossale per l'Irlanda, che dovrebbe convertire il debito non garantito delle banche in capitale netto invece di costringere i suoi cittadini a venire in soccorso dei prestatori allegri. Ma il caso irlandese dimostra anche l'infondatezza delle idee tedesche su come dovrebbe funzionare l'euro: il problema maggiore non è la leggerezza di bilancio, e il risanamento dei conti pubblici e la ristrutturazione del debito non sono le uniche soluzioni. .
Marcegaglia e il federalismo (22 novembre 2010).
«Chi è pronto al federalismo deve poter partire prima degli altri, perché stare fermi, aspettare chi è indietro, è una politica suicida per tutti». Lo ha sostenuto il presidente di Confidnustria, Emma Marcegaglia, nel corso del suo intervento agli Stati Generali che si sono tenui a Cernobbio, in provincia di Como. Alla presenza del presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, il numero uno di Confidustria ha sottolineato come proprio la Regione Lombardia sia pronta e quindi debba poter partire. «Se federalismo significa ridurre i costi, i tempi e una maggiore responsabilizzazione di chi governa - ha sottolineato la Marcegaglia - noi siamo assolutamente favorevoli. In un Paese dove c'è una tra le regioni più avanzate d'Europa ma anche alcune tra le più arretrate, questo non può andare bene. Non possiamo pensare a una soluzione unica per tutti e il federalismo deve significare che chi è pronto parta prima degli altri. Se i più forti vanno avanti ne trarranno un vantaggio anche le regioni del mezzogiorno, quelle più arretate. Se vedremo l'appplicazione del federalismo solo nel 2014- ha concluso la Marcegaglia- forse non ci saranno più le aziende a cui applicarlo». Dopo i Bocchino, i Casini, i Granata che tuonano contro il federalismo, finalmente, la voce di chi le cose le sostiene per il bene del paese, voce che emerge dal coro dei detrattori solo impauriti di perdere consensi e potere.
La manovra del governo irlandese (25 novembre 2010).
La manovra quadriennale per risanare i conti irlandesi equivale a 15 miliardi di euro fino al 2014. Il piano - spiega il governo - prevede di aumentare l'iva al 22% nel 2013 e al 23% nel 2014, e prevede di tagliare la spesa complessivamente di 10 miliardi. I tagli alla spesa previsti nel piano quadriennale, frutto del negoziato con la Ue e il Fmi per ottenere il salvataggio dell'Irlanda, equivalgono a un quinto dell'esborso totale. Si tratta di tagli complessivi per 10 miliardi, di cui riduzioni della spesa per finanziare il welfare per 2,8 miliardi entro il 2014. La composizione dei tagli è suddivisa fra tre miliardi di tagli alla spesa corrente e sette alla spesa per investimenti. Gli stipendi agli impiegati pubblici di nuova assunzione saranno tagliati del 10%, e il numero complessivo sarà riportato ai livelli del 2005. L'aumento del gettito fiscale è stimato in cinque miliardi di euro, di cui 1,9 in più provenienti dalle imposte sui redditi. Secondo il documento di circa 130 pagine il 40% della manovra, pari a sei miliardi, dovrà essere realizzato il prossimo anno. «Gli obiettivi del piano sono esigenti ma realistici» - si legge nel documento - «la manovra genererà fiducia nel Paese e all'estero». Intanto, secondo quanto riporta il Financial Times, il governo irlandese assumerà una quota di maggioranza nella Bank of Ireland. Il governo avrebbe intenzione di evitare una completa nazionalizzazione ma la dose di capitale che verrà immessa nella banca lascerà Dublino con una grossa quota nell'istituto di credito, hanno indicato fonti del governo. Dal fronte europeo, la Germania ha fatto sapere di voler rispondere ok alla richiesta di aiuto finanziario dall'Irlanda. Anche se la cancelliera Angela Merkel ha detto che il via libero è «con una condizionalità» che dovrà permettere al Paese di «ritornare sulla via della stabilizzazione dei conti pubblici». Positivi riscontri anche da parte di Danimarca e Francia. Dal canto loro, sia il presidente Ue Herman Van Rompuy che il presidente della Commissione José Barroso hanno steso una cortina di rassicurazioni nei confronti di Eurolandia: «Non c'é il rischio contagio, l'euro é solido, l'Eurozona e la Ue stanno vivendo una fase molto difficile, ma la crisi sarà superata». In Italia il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia sottolinea che sul fronte della crisi economica e della tenuta dei conti pubblici «il nostro paese è in una condizione diversa rispetto alla Grecia e all'Irlanda». SandP abbassa il rating Sul mercato, intanto, l'agenzia di rating Standard and Poor's ha abbassato il rating sul debito a lungo termine dell'Irlanda di un livello ad "A" rispetto all' "AA-" precedente, citando la probabilità che l'Irlanda debba ricorrere al mercato del credito più di quanto stimato in precedenza. Questo rating, attribuito al debito a lungo termine del paese, il quinto su una scala di 21, corrisponde a un credito solido, ma può essere influenzato da cambiamenti nelle condizioni economiche. Il rating sul debito a breve é stato abbassato di uno gradino da "A-1+" ad "A-1". L'euro scivola a nuovi minimi Sul fronte dei cambi, la crisi irlandese schiaccia l'euro: la divisa unica ha segnato un nuovo minimo da due mesi contro il dollaro a 1,3359, livello più basso dal 24 settembre, immediatamente dopo il taglio del rating irlandese da parte della SandP. La divisa di Eurolandia ha poi leggermente ribalzato, portandosi di nuovo a quota 1,34.
Titoli statali, si stringe lo spread BTp/Bund Poche tensioni sui titoli di Stato italiani che, nel giorno del declassamento del rating irlandese, addirittura recuperano terreno rispetto ai pari scadenza tedeschi. Al momento lo spread BTp/Bund stringe di ben 4 punti base rispetto a ieri mentre i titoli di Stato irlandesi, e soprattutto spagnoli cedono ulteriore terreno, toccando nuovi record. A pesare sul mercato è stata anche la deludente asta dei nuovi Bund tedeschi, andata tecnicamente scoperta. Mentre i bond di Paesi come Spagna, Portogallo e Irlanda scambiano in un mercato praticamente illiquido che amplifica gli scarti di prezzo, i BTp, dice un trader, «sono sostenuti da un mercato secondario ancora profondo, che consente di scambiare i titoli senza difficolta». Asta tedesca coperta dall'intervento della Bundesbank Oltre al declassamento dell'Irlanda il mercato, dicono gli operatori interpellati da Radiocor, è stato molto condizionato dall'asta dei Bund tedeschi che è stata integralmente coperta solo grazie all'intervento della Bundesbank. A fronte di una offerta pari a 6 miliardi di euro il Tesoro tedesco ha ricevuto richieste pari solamente a 5,6 miliardi di euro, di cui 4,7 miliardi sono state accettate. «La ragione del flop - spiega un trader - sta non solo nel fatto che il rendimento dei titoli decennali tedeschi é ormai ai minimi ma anche nel fatto che in molti sul mercato iniziano a chiedersi se è giusto considerare i Bund come l'ultima riserva del flight-to-quality, ovvero se é giusto comprare Bund a qualsiasi costo anche quando la crisi finanziaria non sembra più risparmiare l'intera l'Eurozona, con tutte le conseguenze che ne potrebbero discendere anche per la Germania». È anche per questo che oggi i titoli di Stato di Paesi come l'Italia, con un merito di credito inferiore, hanno ripreso a guadagnare terreno, stringendo il proprio differenziale di rendimento rispetto ai Bund tedeschi. Lo sciopero generale in Portogallo In un altro paese in crisi, il Portogallo, oggi è la giornata dello sciopero generale convocato dai sindacati: funzionari pubblici e dipendenti privati protesteranno insieme contro i tagli alla spesa decisi dall'esecutivo del premier socialista José Socrates per fare fronte alla grave crisi finanziaria del Paese. Il Parlamento dovrebbe infatti adottare in via definitiva venerdì la legge finanziaria per il 2011, che - dopo lunghi negoziati fra i partiti, dato che il governo è di minoranza - si pone come obbiettivo una riduzione del rapporto deficit-Pil dall'attuale 7,3% al 4,6% alla fine del prossimo anno. Il provvedimento prevede in particolare il congelamento dei salari, un aumento della pressione fiscale e un taglio dei servizi sociali, con l'effetto cumulativo di una forte diminuzione del potere d'acquisto in un Paese in cui il salario medio non supera gli 800 euro mensili.
Merkel: nessun rischio per l'euro (25 novembre 2010).
La Germania vuole un «euro forte». Nessun partner dell'eurozona avrà bisogno di una ristrutturazione del debito. Gli investitori privati saranno inseriti nel meccanismo europeo anti-crisi solo a partire dal 2013. In primavera l'Unione europea uscirà più forte dalla crisi. Dopo aver spaventato i mercati nei giorni scorsi («l'eurozona è a rischio») la cancelliera tedesca Angela Merkel è tornata a parlare di euro, Europa e di strategie per uscire dalla crisi ribadendo che è fondamentale creare un meccanismo di ristrutturazione del debito sovrano per far pagare agli investitori privati parte dei costi dei futuri salvataggi. Le parole della Merkel fanno eco a quelle del connazionale Axel Weber, presidente della Bundesbank, membro della Banca centrale europea e prossimo candidato alla presidenza dell'istituto di Francoforte, secondo cui il fondo europeo salva-stati di 750 miliardi di euro può essere aumentato, se è necessario, per riportare un clima di fiducia attorno all'euro, che comunque non è in discussione: «L'euro è una delle valute più stabili del mondo e non è in pericolo. La fonte dei problemi della zona euro sta nelle politiche di bilancio, non nella valuta unica», ha precisato Weber. Il banchiere tedesco è intervenuto a poche ore dalla formale richiesta di aiuti avanzata dell'Irlanda (che dovrebbe ricevere un ammontare compreso tra 80 e 90 miliardi di euro), secondo paese dell'eurozona ad attingere al fondo stanziato lo scorso maggio proprio per sostenere la Grecia (un piano di prestiti per 110 miliardi). Dopo l'Irlanda si teme che il prossimo paese a poter dover ricorrere agli aiuti sia il Portogallo. E, a ruota, la Spagna. Non a caso ieri il differenziale tra il Bund decennale tedesco e quello spagnolo ha toccato nuovi massimi da quando esiste l'euro a 240 punti base. «Spagna troppo grande per fallire» E proprio il quadro economico e finanziario della Spagna interessa più gli investitori in questo momento dato che - secondo quanto riporta il New York Times - anche se il Portogallo dovesse divenire il terzo paese a chiedere aiuto, la situazione sarebbe ancora gestibile. Ma ogni eventuale richiesta di salvataggio da parte della Spagna - che ha un'economia che è due volte quella di Grecia, Irlanda e Portogallo insieme - metterebbe in serio pericolo il progetto della moneta unica. Le tensioni sulla Spagna sono confermate anche da Pablo Vazquez, economista di Fundacion de Estudios de Economia Aplicada, un istituto di ricerca spagnolo. «L'Europa può permettersi il collasso dell'Irlanda, forse anche quello del Portogallo, ma non quello della Spagna. L'ultima linea di difesa della Spagna è nella consapevolezza di essere troppo grande per fallire ("too big to fail", ndr) e questo rappresenta un rischio sistemico per l'euro». Nuovi stress test in arrivo per le banche europee Intanto, per la serie "prevenire è meglio che curare" le banche europee potrebbero essere sottoposte nuovamente a stress test «nel corso del 2011», dopo quelli effettuati lo scorso luglio. Lo ha detto un alto dirigente della Commissione Ue nel corso di un convegno organizzato dalla Amf, l'Autorità dei mercati finanziari francesi. "Bisogna ricominciare con gli stress test. Ne servono degli altri", ha indicato Jonathan Faull, direttore generale della direzione Mercato interno respingendo tuttavia collegamenti con la situazione delle banche irlandesi.
Fiat: investimenti a Mirafiori (26 novembre 2010).
Oltre un miliardo di investimenti a Mirafiori in una joint venture con Chrysler per produrre auto e Suv con i marchi Jeep e Alfa Romeo. Questa è la proposta che Sergio Marchionne ha fatto questa mattina ai sindacati per il rilancio dello stabilimento torinese. Ai sindacati il ceo ha chiesto una decisione entro un mese per poter avviare la produzione nella seconda metà del 2012. «Mirafiori è il cuore industriale della Fiat e uno dei simboli della storia dell'auto ed è nato con la chiara volontà di proiettarsi nel futuro. Il nostro piano prevede la creazione di una jv tra Chrysler e Fiat per portare, qui a Torino, una nuova piattaforma dagli Usa che servirà per produrre auto e Suv di classe superiore, sia per il marchio Jeep sia per l'Alfa Romeo». Da questa piattaforma universale comune ai due gruppi, ha detto Marchionne, «nasceranno tutte le future vetture dei segmenti C e D, automobili e Suv». I modelli che verranno prodotti a Mirafiori dalla nuova società non saranno venduti solo nell'Ue, più della metà è destinata a raggiungere i mercati di tutto il mondo al di fuori dell'Europa, specialmente l'America. Marchionne ha esortato i sindacati a «tenere la politica fuori dalla porta e gli estremismi lontano dalla fabbrica, a lasciare le prove di forza ai deboli». Nel suo intervento durante l'incontro, il manager italo-canadese ha affermato: «Portiamo a questo tavolo idee e proposte, portiamo la voglia costruttiva e l'impegno di fare qualcosa di valore. Portiamo anche la disponibilità a rinunciare a qualcosa, nessuno escluso, in vista di un obiettivo più alto di un titolo sul giornale. Lo dobbiamo in primo luogo ai nostri lavoratori». Marchionne ha anche lanciato un forte appello a «stringere i tempi il più possibile. Non possiamo permetterci di passare mesi a discutere. Ci sono ragioni industriali che non possono aspettare se vogliamo avviare gli investimenti e far partire il progetto. Mirafiori è già stato, in un passato recente, un esempio di come si possono cambiare le cose. Il mio augurio è che torni ad essere di nuovo un esempio in un futuro molto prossimo».
Governo il piano per il Sud (26 novembre 2010).
Opere e interventi in tempi certi oppure scatterà la nomina di un commissario straordinario. È uno degli elementi centrali del piano Sud appena approvato dal consiglio dei ministri. Ieri il governo ha presentato le linee guida alle parti sociali e agli enti locali, si è discusso del documento programmatico sugli otto punti per il rilancio del Mezzogiorno e si è delineato il percorso per metterlo in atto: due decreti in attuazione del federalismo fiscale, una delibera Cipe sui fondi, un decreto legislativo sugli incentivi. In particolare, sul tavolo dei ministri oggi sono arrivati il decreto interministeriale sulla perequazione infrastrutturale (articolo 22 della legge 42/2009 sul federalismo) e il decreto legislativo sulle «risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali». La bozza di quest'ultimo decreto trasforma il vecchio Fas in "Fondo per lo sviluppo e la coesione", che insieme ai fondi strutturali europei e ai relativi cofinanziamenti nazionali dovrà alimentare i prossimi piani pluriennali (dopo il 2013). Il fondo è finalizzato a finanziare «progetti strategici, sia di carattere infrastrutturale sia di carattere immateriale, di rilievo nazionale, interregionale e regionale». Si fa riferimento a «obiettivi e risultati quantificabili e misurabili», anche per il profilo temporale. Nasce il «contratto istituzionale» tra le amministrazioni competenti, cui possono partecipare anche i concessionari di servizi pubblici. Il contratto prevede «il definanziamento anche parziale degli interventi ovvero la attribuzione delle relative risorse ad altro livello di governo». Nella bozza si legge che, «in caso di inerzia o inadempimento delle amministrazioni pubbliche» (ad esempio mancato rispetto delle scadenze) il governo esercita il potere sostitutivo ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione «anche attraverso la nomina di un commissario straordinario». In una delle prime versioni del decreto circolava anche una quantificazione del fondo, «non meno dello 0,4% e non più dello 0,6% del Pil» previsto nell'intero periodo di programmazione; e una nuova responsabilità del fondo che passerebbe dallo stato di previsione del ministero dello Sviluppo a quello dell'Economia. Entrambi i punti sarebbero però stati stralciati. Meno ricca la bozza del decreto sulla perequazione infrastrutturale. In questo caso, infatti, si fissano soprattutto dei principi: l'obiettivo è «ridurre il deficit di dotazione infrastrutturale» tra le aree più sviluppate del paese e quelle deboli. Entro 90 giorni dalla pubblicazione del decreto, i ministri competenti completano «la ricognizione degli interventi necessari all'avvio della fase di riduzione» del gap. L'illustrazione alle parti sociali è stata coordinata dal ministro degli Affari regionali Raffaele Fitto, che dalla scorsa estate ha assunto anche le competenze sulla politica di coesione territoriale e la delega sul piano. Il premier, Silvio Berlusconi, ha parlato di un «problema nazionale» per il quale bisogna concentrare «i fondi su iniziative strategiche». Fitto ha messo in luce tra le linee guida «la concentrazione degli interventi su poche e rilevanti questioni, l'imposizione di regole e condizioni preliminari all'impiego delle risorse», mentre il titolare dell'Economia Giulio Tremonti parla di un «lavoro del governo che si è previsto di inserire in previsione del semestre europeo come parte qualificante». Tremonti ha anche preannunciato che per la Banca del Sud, parte integrante del piano, i tempi sono maturi: martedì arriverà l'offerta di acquisto di Mediocredito Centrale da parte di Poste e Bcc. Giudizi sostanzialmente positivi dalle parti sociali, in attesa però di vedere i primi atti concreti (ieri tra l'altro, a margine dell'incontro, si è svolto un tavolo a tre Berlusconi-Marcegaglia-Bonanni sulla situazione economica del paese). «Bene la concentrazione degli aiuti, la cabina di regia e la razionalizzazione delle risorse» commenta la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, che si sofferma anche sulla previsione di aiuti automatici per le imprese: «Sono importanti ma – sottolinea – serve aprire un negoziato con la Commissione europea». Commenti positivi anche da Raffaele Bonanni (Cisl) e Luigi Angeletti (Uil) mentre Susanna Camusso (Cgil) resta molto cauta: «Si è parlato di 75-80 miliardi tra tra fondi precedenti e nuove programmazioni ma attendiamo di capire se i titoli si trasformano in procedure concrete». Stefano Fassina, responsabile economico Pd, sollecita chiarimenti sulle risorse: «Esistono soltanto in termini di competenza, non in termine di cassa». Divise le regioni: buon passo secondo quelle di centro-destra (Campania e Calabria), critiche la Puglia e la Basilicata.
Marchionne: la nuova Fiat (29 novembre 2010).
Fiat riparte nel 2011 con un nuovo marchio. Con le previsioni di un fatturato in crescita a 29 miliardi nel 2014. E con l'appoggio dei sindacati a replicare il modello Mirafiori. Questi gli spunti che sono emersi finora nella presentazione delle nuove strategie del Lingotto. Presenti l'a.d. Sergio Marchionne, il ceo di Cnh, Harald Boyanovsky, il numero uno di Iveco e Fpt, Alfredo Altavilla, il tesoriere Camillo Rossotto e il capo Investor Relator, Marco Auriemma. Nuovo marchio Per effetto della scissione di Fiat Group, decisa in occasione dell'assemblea degli azionisti il 16 settembre, ci saranno il primo gennaio 2011 Fiat Spa e Fiat Industrial Spa, due nuovi gruppi, entrambi quotati alla Borsa di Milano, che avranno marchi distinti. Fiat, con una chiara missione di business concentrata nel settore automobilistico (lo scorso 22 novembre ha presentato a Los Angeles la nuova 500 per il mercato degli Stati Uniti), si legge in una nota, sarà contraddistinta da un logo che riporta la scritta Fiat con lettere allungate e di colore blu. Il nuovo marchio nasce in risposta all'esigenza di differenziare il logo del gruppo automobilistico dal brand di prodotto in modo tale da rafforzare il ruolo guida della holding nella gestione di un complesso produttivo plurimarche. La progettazione del marchio, in particolare, é stata guidata dalla volontà di creare un'icona in cui fosse possibile ritrovare un forte legame tra passato e futuro. Questo ha portato alla riedizione di un logo già rappresentato nell'iconografia storica dell'azienda, ma nel cui carattere é rintracciabile una forte tensione alla modernità e all'innovazione. Fiat Industrial Spa, rappresentata dai veicoli industriali, dalle macchine per l'agricoltura e le costruzioni e dai relativi motori e trasmissioni, ha mantenuto l'iconografia che era stata creata per Fiat Group. Di questa, infatti, conserva l'intento di rappresentare solidità di un grande gruppo industriale. Rispetto al marchio Fiat Group, lo sfondo é il tradizionale blu dell'azienda e la denominazione Fiat Industrial é rappresentata con il colore giallo-arancio. I nuovi marchi, che sono stati realizzati da "Robilant Associati", sostituiscono il logo Fiat Group che era stato adottato nell'ottobre di cinque anni fa. Previsioni sui conti L'indebitamento netto di Fiat Spa, la società concentrata nel settore automobilistico, è previsto tra 1,6 e 2 miliardi al primo gennaio 2011. La liquidità sarà pari a 10 miliardi. Per i ricavi la previsione è di una crescita dai 32 miliardi stimati per quest'anno a 64 miliardi nel 2014, mentre il trading profit dovrebbe salire da 0,6 a 3,5 miliardi. Mentre il fatturato di Fiat Industrial crescerà dai 19 miliardi di euro previsti per il 2010 a 29 miliardi nel 2014, mentre il trading profit passerà da 0,6 a 3,3 miliardi.
Sindacati, ok al modello Mirafiori «Il modello Mirafiori (dove è anche lo studio l'ipotesi di produzione di Suv, ndr) ci piace perché ristabilisce un positivo canale di comunicazione tra azienda e sindacatì: lo ha detto, in una nota, il segretario generale regionale della Basilicata della Cisl, Nino Falotico, il quale ha auspicato «l'apertura in tempi brevi di un tavolo di discussione anche sul futuro di Melfi». Secondo il sindacalista, «il riposizionamento dello stabilimento torinese verso le fasce alte del mercato apre nuove e interessanti prospettive anche per Melfi e, soprattutto, fuga le perplessità manifestate da una parte minoritaria del sindacato e della politica circa l'intenzione della Fiat di mantenere gli impegni sul nuovo piano industriale, Se la situazione si è finalmente sbloccata - ha aggiunto Falotico - è anche merito di chi, come la Cisl, ha creduto fin da subito al progetto Fabbrica Italia e ha dato la propria disponibilità a mettere in campo tutta la flessibilità necessaria dentro la cornice del contratto nazionale per aumentare produttività ed efficienza degli impianti. Il mio auspicio è che il modello di relazioni industriali inaugurato a Mirafiori possa essere trasferito, con i dovuti aggiustamenti, anche a Melfi. Noi stiamo già lavorando e siamo pronti ad aprire una discussione a tutto campo sulla Sata e sul relativo indotto per aumentare produzione e occupazione». Per la Cisl lucana, »ci sono le condizioni in termini di capacità produttiva inutilizzata e di know-how per fare di Melfi lo stabilimento guida del segmento B, ma per realizzare questo obiettivo occorre andare oltre il mono-prodotto. Senza la destinazione di almeno un secondo modello la Sata rischia di continuare a lavorare a singhiozzo e di non essere messa nelle condizioni di centrare l'obiettivo contenuto nel piano industriale di produrre oltre 400 mila vetture a regime. Noi gli obiettivi li vogliamo centrare, ma - ha concluso - servono garanzie su investimenti e occupazione».
I primi 50 top manager (30 novembre 2010).
Netflix è un nome poco noto per gli italiani: è una cineteca per il noleggio e la visione di film in diretta su internet, con un pubblico stimato di 5 milioni di persone. E ha stretto accordi con alcune tra le principali major. Il suo fondatore, Reed Hastings, ha conquistato il titolo di uomo d'affari dell'anno, assegnato dalla giuria del settimanale Forbes. Ma, secondo il giudizio dei lettori, il primo posto spetterebbe invece a Alan Mulally, amministratore delegato di Ford, arrivato invece secondo. Unico italiano selezionato per la classifica è il numero uno di Fiat e Chrysler, Sergio Marchionne, in 45esimo posizione.Al quarto posto troviamo Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook: il suo social network ha più di 500 milioni di iscritti. Forbes ha premiato soprattutto imprenditori, banchieri e manager che hanno affrontato la crisi a testa alta. John Stumpf, 44esimo, che guida l'istituto di credito Wells Fargo, non è stato travolto dall'ondata dei mutui subprime e ha raggiunto un profitto record di 3,3 miliardi di dollari nel terzo trimestre dell'anno. Oppure Jamie Dimon, amministratore delegato di JPMorgan Chase (37esimo): secondo il settimanale, è stato l'unico a segnare risultati positivi anche nella tempesta finanziaria. E ancora Roger Altman (29esimo), soprannominato "il banchiere dell'apocalisse": ha ristrutturato General Motors con un investimento di 80 miliardi di dollari. Riflettori puntati sulla tecnologia. E sui successi dell'ultimo anno. Farmville è un videogioco accessibile da Facebook per vestire i panni di contadini e gestire una fattoria online: è un'invenzione di Zynga, la società fondata da Mark Pincus, dodicesimo in classifica. Entra nella lista esclusiva anche il social network Twitter, ma con un volto poco noto: Dick Costolo (24esimo), direttore del marketing che sta costruendo un modello di business a partire dai micromessaggi pubblicati dagli utenti. Meno famosa, invece, è la radio Pandora, accessibile soltanto dagli Stati Uniti: sceglie brani seguendo le preferenze dagli utenti, come una sorta di juke box aggiornato alle capacità interattive di internet. Il suo fondatore, Tim Westergren (26esimo), ha raggiunto per la prima volta profitti dopo anni trascorsi senza incassi sostanziosi. Non sono passati inosservati due ex pionieri della tecnologia che hanno puntato sugli investimenti di venture capital. Marc Andreessen (19esimo), inventore del browser Netscape, ha fondato una società finanziaria che sostiene startup impegnate nella ricerca online (Blekko) e nella navigazione del web (RockMelt). Reid Hoffman (41esimo), invece, ha contribuito a lanciare il social network LinkedIn, ma la sua ultima sfida è il fondo Greylock Partners. Dalla Cina arriva Robin Li (sesto): ha lanciato il Google in mandarino, Baidu.
Un circolo vizioso nell'area dell'euro (1 dicembre 2010).
Oggi la tensione sugli spread dei titoli dei paesi periferici è un po' scemata. Ieri la differenza tra il rendimento del BTp e il Bund era andata oltre i 200 punti base (2%): un record da quando esiste l'euro. In mattinata, però, gli spread si sono un chiusi dando un po' di respiro al mercato del reddito fisso. Così, gli occhi degli investitori erano quest'oggi puntati su due importanti eventi. In primis, l'asta governativa tedesca. Su questo fronte le cose non sono andate benissimo: i titoli di stato a cinque anni (Bobl) hanno ricevuto richieste minori rispetto all'offerta. Un segnale di come anche il mercato del debito tedesco, considerato il paradiso della sicurezza dei governativi, non sia al riparo da tensioni. Berlino ha "battuto all'asta" 5 miliardi di euro di controvalore in titoli, ricevendo una domanda per soli 4,55 miliardi. In conclusione, il governo ha collocato Bobl per un controvalore di 4,13 miliardi, con scadenza il 9 ottobre 2015 al tasso medio dell'1,73%. A ben vedere, non si tratta del primo evento di questo tipo: la scorsa settimana anche i più tradizionali Bund a 10 anni avevano ricevuto accoglienza un po' tiepida.
L'altro evento atteso, sempre sul reddito fisso, era l'incanto in quel di Lisbona, soprattutto dopo che SandP's ha messo sotto osservazione il suo rating sovrano con un "negative watch". Il Portogallo doveva collocare 500 milioni in titoli di stato a 12 mesi. A differenza della Germania, qui la domanda è stata pari a 2,5 volte l'offerta. Quale il motivo di questo interesse? Evidentemente il rendimento dei bond che è stato alzato al 5,28%, dal precedente 4,81 per cento. Nel complesso l'asta é stata giudicata un successo sia in termini di domanda, superiore alle attese, che di rendimenti: alcuni esperti temevano un balzo dello yield fino al 5,6 per cento. Al di là di quest'ultima considerazione particolare, quali conclusioni si possono trarre dal confronto dei due dati: solo un aumento dell'appetito al rischio o l'ulteriore segnale di una crisi che si sta allargando? «Si tratta di una scelta degli investitori - risponde Angelo Drusiani, esperto obbligazionario di Albertini Syz-. Comprare la Germania adesso, con questi rendimenti, è poco conveniente. Ci può ben stare che gli operatori cerchino più rendimento. Sono due eventi che, a tutt'oggi, non indicano un ulteriore peggioramento della situazione». Sorge peraltro un sospetto. Considerando che gran parte del debito portoghese è nelle mani di banche dell'area euro (in particolare tedesche) non è forse conveniente che queste acquistino titoli di stato al 5,6% di interesse, nonostante SandP's, sapendo che, comunque in caso di default la banca centrale europea e il Fmi interverrebbero a salvare il Paese? A che pro banche tedesche dovrebbero comprare il Bund all'1,73% quando comprando i Bond portoghesi possono ottenere interessi molto maggiori e possono immettere liquidità in un paese che potrebbe mettere a rischio i loro investimenti?
Le imprese italiane schiacciate dal fisco (2 dicembre 2010).
La virtù sta nel mezzo. In chi, non essendo né troppo piccolo né troppo grande, è in grado di creare ricchezza, innovazione e tenere botta alla crisi: la media impresa, sia essa italiana, tedesca o spagnola. Presentato ieri a Milano come una prima assoluta a livello internazionale, il rapporto di Confindustria, ReS-Mediobanca e Unioncamere sulle "Medie imprese in Europa". I dati esaminati, secondo un criterio che era stato messo a punto da Enrico Cuccia, riguardano la categoria di società di capitali a controllo autonomo, con un fatturato compreso tra i 13 e i 290 milioni di euro e un numero di dipendenti oscillante tra i 50 e i 499. Medie imprese, insomma, messe a confronto in tre paesi, l'Italia, la Germania e la Spagna. Più delle grandi, dice la ricerca, sanno creare ricchezza, misurata con il Return on investment (Roi) che è un indice di redditività del capitale investito. Meno delle grandi, però, sono capaci di generare profittabilità, il Roe, ritorno sul capitale proprio. Come mai? Il fisco fa la differenza, ha spiegato Gabriele Barbaresco di ReS-Mediobanca, nel senso «che è più pesante a carico delle medie». E proprio dal fisco arrivano le prevedibili note dolenti per le aziende italiane rispetto alle tedesche e alle spagnole che beneficiano di un trattamento fiscale complessivo decisamente più leggero, del 26% circa in entrambi i casi, contro il 48% per le nostre. In tutti e tre i paesi la tipologia produttiva più rappresentativa in relazione al fatturato è il settore meccanico, ma con pesi relativi diversi: in Germania è nettamente preponderante (46,1%); in Italia è importante (34,3%); in Spagna un po' meno (27%). L'Italia registra l'incidenza maggiore nei beni per la persona e per la casa (24,8%), la Spagna nell'alimentare (24,2%). Diverso il senso di appartenenza alle realtà distrettuali, con il 66% delle medie imprese italiane collocate nelle rispettive filiere e il 41% di quelle spagnole, mentre le tedesche, che pure danno vita alla leadership mondiale dell'export, non hanno un sistema di distretti codificato. Alla ricerca hanno contribuito l'Institut für Mittelstandforschung di Bonn, forte di un database di 4mila aziende, e il dipartimento di Economia Financiera y Contabilidad III dell'Università Complutense di Madrid, che ne ha in archivio 1700. La Germania ha il sistema di medie imprese più produttivo, seguita dall'Italia, nonostante debba affrontare il costo del lavoro più pesante fra i tre. Le società spagnole e italiane registrano però una redditività superiore rispetto alla tedesche. Renato Pagliaro, presidente di Mediobanca, ha voluto mettere in evidenza un aspetto: «Mi ha colpito soprattutto il dato sul ricorso al debito», dal quale risulta che le imprese più virtuose in questo senso sono in Germania, con debiti finanziari a breve pari al 21,1% del capitale investito rispetto al 22,8% registrato in Spagna e al 34,6% dell'Italia: «Porre troppa enfasi sull'allargamento del credito bancario per aiutare la crescita delle imprese è a mio avviso negativo. Il debito è dannoso perché indebolisce le imprese, soprattutto quando è eccessivo, e perché le espone all'andamento dei tassi». Secondo Giorgio Squinzi, amministratore unico di Mapei e consigliere delegato di Confindustria per l'Europa, lo studio mostra che le aziende italiane «reggono bene il confronto con quelle tedesche, considerando il contesto più sfavorevole». A capo di un gruppo internazionale da 1,7 miliardi di fatturato che lui stesso definisce come la somma di tante Pmi, Squinzi è più preoccupato dai fattori esterni di freno all'attività economica che non dal costo del lavoro o dall'organizzazione produttiva. A cominciare dalla bolletta energetica, in Italia più cara del 30% rispetto alla media Ue, e dal carico burocratico e amministrativo che in Italia si manifesta spesso con accanimento quasi terapeutico.
A livello geografico, la maggior concentrazione di medie imprese in Italia si registra nel Nord-Ovest (40% del totale) e nel Nord-Est (37%), in Spagna il catalizzatore è nel Nord/Nord-Est (50%) con densità importanti soprattutto in Catalogna e nei Paesi Baschi. In Germania le regioni del Sud (38%) e dell'Ovest (36%) fanno la parte del leone, in particolare Nord Reno-Vestfalia e Baden Württemberg.
Trichet rallenta sull'exit strategy (2 dicembre 2010).
La Bce frena sulla exit strategy: il presidente Jean-CLaude Trichet, ha annunciato una serie di aste a tasso fisso e liquidità illimitata per i primi mesi del 2011, quando in precedenza aveva previsto di tornare gradualmente alla normalità. È questo uno dei passaggi più importanti della conferenza stampa. Una decisione che è stata presa a stragrande maggioranza dall'istituto centrale europeo anche sulla contatazione «che ci sono state delle tensioni» sui mercati. Il governatore europeo, ovviamente, « non ha voluto fare alcun commento» alla domanda se questo nervosismo fosse legato all'allargamento degli spread su Italia e Spagna. Un no comment dovuto anche se, a fronte della scelta della Bce, le rivelazioni di oggi del Wall Street Journal - riguardo a pressioni di Roma, Madrid e Lisbona per il mantenimento della politica espansiva - assumono una rilevanza differente. Trichet ha poi aggiunto: «Che la ripresa economica dell'area ha una dinamica di fondo positiva, ma con un livello di incertezza elevato». Ed è per questo che la politica monetaria «resta accomodante» e «il programma di acquisti di bond prosegue». Rispetto all'Irlanda, il presidente della Banca centrale europea sottolinea che «si tratta un piano positivo che contribuisce alla stabilizzazione dei mercati». Sul fronte dell'inflazione la Bce continua a non vedere, nel 2011, un rischio di surriscaldamento delle economie di Eurolandia. Possibili manovre correttive La Banca centrale europea, peraltro, richiama tutti i paesi dell'area euro a specificare con precisione le misure di risanamento dei conti relative ai bilanci 2011, e a effettuare «ove sia necessario» eventuali manovre correttive volte a garantire gli obiettivi di aggiustamento prefissati. «Tutti i paesi devono perseguire piani di risanamento credibili - ha aggiunto Trichet - che facciano leva su tagli alla spesa».
Migliorano le stime del Pil Francoforte ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita economica dell'area euro. Ora sul 2010 stimano una espansione tra l'1,6 e l'1,8 per cento, sul 2011 tra lo 0,7 e il 2,1 per cento. Inoltre, per la prima volta, sono state diffuse stime sul 2012: secondo gli esperti della Bce la crescita si attesterà tra lo 0,2 e il 2,8 per cento. I tassi restano invariati
In precedenza, com'era scontato, sul fronte dei tassi, il costo del denaro in Eurolandia è stato lasciato invariato all'1 per cento. ll tasso sulle operazioni di rifinanziamento marginali resta all'1,75 per cento, mentre il saggio che la stessa Bce pratica sui depositi che detiene per conto delle banche commerciali resta allo 0,25 per cento. Sono a questi livelli da oltre un anno e mezzo: dal maggio 2009. La conferma di questi saggi è stata decisa dalla Bce, durante la riunione odierna del Consiglio direttivo a Francoforte. Un incontro che cade mentre il tema più pressante in agenda resta quello delle tensioni dei mercati che da settimane si sono reinnescate sui rischi di debito di diversi paesi dell'Unione valutaria, fino a portare a un nuovo piano di aiuti di Ue e Fmi all'Irlanda. Tensioni che si sono attenuate solo in questi ultimi due giorni, proprio nell'attesa che oggi la Bce assuma decisioni tranquillizzanti sul proseguimento di alcune cruciali misure anti-crisi a carattere eccezionale, approntate nei mesi passati per contrastare le tensioni della finanza. Si spera che la Bce prosegua con il suo programma di acquisti mirati di titoli di Stato di paesi dell'eurozona, che serve a garantire il corretto funzionamento dei segmenti sotto stress, ma anche con i rifinanziamenti agevolati a favore delle banche commerciali, in particolare con prestiti a tre mesi.
Borse in rialzo (2 dicembre 2010).
Le borse europee vanno al rialzo e chiudono sui massimi della giornata, complice l'andamento positivo di Wall Street e il balzo a sorpresa a ottobre dell'acquisto di case negli Stati Uniti. I listini hanno superato dunque l'iniziale delusione suscitata dalle dichiarazioni di Trichet, da cui si aspettavano l'adozione di misure extra contro la crisi e non solo il rinvio del programma di acquisto di bond. Alla chiusura il Cac40 di Parigi guadagna il 2,12%, il Dax30 di Francoforte l'1,32% e il FTSE 100 Londra il 2,22%. Netto il balzo di Madrid che segna un +2,78% in una giornata segnata dal buon esito dell'asta di titoli pubblici spagnoli. A Piazza Affari FTSE Mib guadagna il 2,49% e FTSE IT All Share il 2,51%.
Dopo una mattinata positiva i listini sono scivolati in ribasso a metà giornata dopo l'incremento sopra le attese delle richieste settimanali di sussidi Usa e le dichiarazioni di Trichet, il quale non ha voluto commentare le indiscrezioni relative alla possibile adozione da parte dell'istituto centrale di misure extra contro la crisi. Gli indici hanno bruscamente virato al ribasso ma poi sono migliorati sui dati immobiliari. I dati macro americani Negli Stati Uniti - ha reso noto l'Associazione nazionale degli agenti immobiliari - i compromessi per l'acquisto di case sono aumentati del 10,4% a ottobre. Il dato é migliore delle attese degli analisti, che avevano pronosticato un calo dell'1,5%. Su base annua, tuttavia, il dato risulta ancora in flessione del 20,5% inferiore a quello dell'ottobre 2009. I listini, Wall Street in testa,hanno beneficiato anche del positivo andamento, superiore alle stime degli analisti, delle vendite registrate a novembre dai grandi magazzini americani, in testa Abercrombie and Fitch (+22% contro 6,4% stimato) e J.C. Penney (+9,2% contro 3,3% stimato). Nel complesso le oltre 30 catene commerciali esaminate da Retail Metrics hanno registrato a novembre un aumento delle vendite del 5,3% (+ 3,5% le stime), grazie soprattutto agli acquisti effettuati durante il weekend del Thanksgiving. In quei quattro giorni 212 milioni di americani, l'8,7% in più rispetto al 2009, hanno acquistato merci per 45 miliardi di dollari, con un incremento del 9,1% sull'anno precedente. L'asta spagnola Gli occhi, come detto, erano puntati su Madrid e sull'asta dei titoli di stato. Il Tesoro ha effettuato un'emissione di 2,468 milioni di buoni del Tesoro a tre anni. La domanda è stata buona, 5,59 miliardi nella forchetta prevista, ma la Spagna ha dovuto concedere un tasso in forte rialzo rispetto alla precedente emissione similare. La Bolsa di Madrid ha reagito comunque bene con uno scatto in avanti. Euro in crescita dopo l'asta spagnola: la divisa europea è salita sopra 1,32 dollari fino ad un massimo giornaliero di 1,3250 dollari, dopo il tonfo sotto 1,30 dollari di martedì 30 novembre. Il rimbalzo dell'euro ha trascinato anche le materie prime, il petrolio e l'oro che risentono delle fluttuazioni del dollaro, la valuta in cui sono denominate. L'oro quotato 1.399 dollari l'oncia sul mercato di Chicago si riavvicina pertanto alla soglia di 1.400 dollari su sui aveva stabilito nuovi record a inizio mese. In rialzo anche l'argento, sui massimi da oltre 30 anni a 28,97 dollari l'oncia, e il platino a 1.726,3 dollari l'oncia.
Infine, ancora una seduta positiva, in sostanziale recupero, per il mercato obbligazionario europeo. Dopo il terreno guadagnato mercoledì, i bond euro, e quelli del Paesi periferici in particolare, continuano a stringere le proprie posizioni contro il Bund tedesco. Sulla scadenza decennale lo spread del Portogallo e della Spagna scende, rispettivamente, di 41 e 26 punti base attestandosi a 404 e 234 centesimi. Scende anche lo spread Germania-Irlanda, che ritorna su quota 600 punti base (era a 642 mercoledì). Bene anche l'Italia, con la forbice BTp/Bund che si attesta sui 160 punti base (in chiusura era a 174 punti base mercoledì).
CENSIS: rapporto sulla situazione sociale del Paese/2010 (3 dicembre 2010).
Sei famiglie su 10 sono in difficoltà a pagare bollette, mutui, prestiti. Il 7,8%, nel 2009, non è riuscito a rispettare le scadenze previste, il 13,4%, lo ha fatto con molte difficoltà, il 38,5% con qualche difficoltà. Risultato? Che «l'Italia appiattita dalla crisi stenta a ripartire», sottolinea l'annuale rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese, presentato al Cnel, dal presidente del Censis, Giuseppe De Rita. A soffrire di più sono state le famiglie monogenitoriali e le coppie con figli. E per cercare di resistere alla crisi si punta soprattutto sul risparmio: nel biennio 2009-2010 è aumentata la liquidità detenuta dalle famiglie (+4,6% in termini reali i biglietti e depositi a vista, +10,3%, gli altri depositi), con la quale si cerca di tamponare spese impreviste. Il 28% degli italiani é «molto preoccupato» e il 40% «abbastanza preoccupato» perché il proprio reddito in vecchiaia sarà insufficiente a garantire un livello dignitoso di vita. Gli aumenti tariffari per il prossimo anno vengono calcolati in poco meno di mille euro a famiglia. Poi ci sono i contributi aggiuntivi per le scuole dell'obbligo, le fasce blu per i parcheggi, le multe che sostengono le esangui casse dei comuni, le revisioni di auto e caldaie, le parcelle per la dichiarazione dei redditi. Complessivamente, la stima della «tassazione occulta» elaborata dal Censis porta a 2.289 euro all'anno per una famiglia di tre persone. La crisi globale ha mandato al tappetto anche il lavoro autonomo: 437mila imprenditori e lavoratori in proprio (vale a dire artigiani e commercianti) in meno dal 2004 al 2009 (-7,6 per cento). Crolla anche l'occupazione giovanile, colpa soprattutto della troppa "flessibilità". Nel 2009 tra gli occupati di età compresa fra i 15 e i 34 anni sono stati persi circa 485mila posti di lavoro (- 6,8%), mentre nei primi due trimestri del 2010 ne sono stati bruciati quasi 400mila (-5,9 per cento). Dunque in un anno e mezzo sono stati circa 885mila i posti persi dai giovani. Sono invece 2.242.000 i giovani tra 15 e 34 anni che non studiano, non lavorano e neppure cercano un impiego. E ben il 91% dei disoccupati monoreddito in Italia sono da considerarsi a rischio povertà, contro il 32% in Belgio, il 55% in Spagna e il 75% del Regno Unito. Imprenditori a rischio "despecializzazione". Per il Censis, l'Italia è anche il paese europeo con il più basso ricorso a orari flessibili nell'ambito dell'organizzazione produttiva: solo l'11% delle aziende con più di 10 addetti utilizza turni di notte, solo il 14% fa ricorso al lavoro di domenica e il 38% al lavoro di sabato. E siamo pure il paese dove è più bassa la percentuale di imprese che adottano modelli di partecipazione dei lavoratori agli utili dell'azienda (lo fa solo il 3% contro una media europea del 14 per cento). Esiste però un rischio di despecializzazione imprenditoriale. La quota dell'export italiano sul mercato mondiale è passata negli ultimi nove anni dal 3,8% al 3,5 per cento. È migliorato il nostro posizionamento per prodotti come gli articoli di abbigliamento, i macchinari per uso industriale, i prodotti alimentari, ma abbiamo perso terreno nei comparti a maggiore tasso di specializzazione, come le calzature (-3,8%), la gioielleria (-4,3%), i mobili (-4,7%), gli elettrodomestici (-5,8%) e i materiali da costruzione (-13,7 per cento). Il pericolo, evidenzia lo studio, «è che strategie di nicchia, design e qualità non bastino più senza maggiori iniezioni di innovazione nei prodotti». Evasione fiscale da record: una tassa occulta da 100 miliardi di euro l'anno. E se il Paese non imbocca con decisione il sentiero della ripresa dipende anche, secondo il Censis, dal fatto che sul sistema pesano come macigni un debito pubblico enorme, che ogni anno drena risorse per il 4,7% del Pil, e un'evasione fiscale che le stime più rosee valutano intorno a 100 miliardi di euro l'anno. L'economia irregolare, dopo un lungo periodo di frenata, ha ripreso a crescere, registrando tra il 2007 e il 2008 un aumento del valore del 3,3%, portando l'incidenza sul Pil dal 17,2% al 17,6 per cento. A trainarla è stata la componente più invisibile, legata ai fenomeni di sottofatturazione e di evasione fiscale (+5,2%), la cui incidenza sul valore complessivo del sommerso raggiunge ormai il 62,8 per cento. Di contro, il valore imputabile al fenomeno del lavoro irregolare resta sostanzialmente stabile (+0,1%) e la sua incidenza scende dal 38,4% al 37,2 per cento. I grumi perversi della criminalità organizzata. Il rapporto del Censis sottolonia poi come in Sicilia, Campania, Calabria e Puglia siano ben 448 i comuni in cui sono presenti sodalizi criminali, 441 quelli in cui si trovano beni immobili confiscati alle organizzazioni criminali, 36 quelli sciolti negli ultimi tre anni per infiltrazioni mafiose. Complessivamente si tratta di 672 territori comunali, che occupano il 54,8% della superficie delle quattro regioni, dove vive il 79,2% della popolazione (più di 13,4 milioni di persone, che rappresentano il 22,3% dell'intera popolazione italiana). Rispetto a tre anni fa, il numero dei comuni è aumentato (nel 2007 erano 610). La regione dove la presenza della criminalità organizzata e il controllo del territorio sono più pressanti è la Sicilia (dove il 52,3% dei comuni presenta almeno un indicatore di criminalità organizzata, coinvolgendo l'83,1% della popolazione), segue la Puglia (con il 43% dei comuni), la Calabria (38,4%) e la Campania (36,3 per cento). Se la politica non fa la differenza. Secondo il Censis, il 34,4% degli italiani ritiene che la classe politica litigiosa sia il principale freno alla ripresa economica del Paese. I beneficiari della social card sono 450mila, a fronte di 830mila richieste e una platea di riferimento annunciata di circa 1,3 milioni di persone. Per il Piano casa si parlava di investimenti per 70 miliardi di euro, ma a più di un anno di distanza in oltre 60 comuni capoluogo di provincia sono state presentate poco meno di 2.700 istanze (in media 42 per comune). Per realizzare un'opera pubblica nel settore dei trasporti di valore superiore a 50 milioni di euro ci vogliono ancora mediamente 3.942 giorni, quasi 11 anni. I lavori dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria sono stati avviati nel 1997 e il loro completamento, fissato al 2003, è stato posticipato prima al 2008 e poi al 2013. Si capisce allora lo scoramento degli italiani. Il distacco è più marcato è più marcato tra i giovani (75 per cento). Ma anche le donne non scherzano (77%) e soprattutto le persone con titolo di studio elevato (quasi il 74% dei diplomati e oltre il 73% dei laureati). In Italia piace l'e-book. Italiani amanti dei libri, meglio se digitali. Una tendenza importata dagli States (nel 2009 l'e-book costituiva solo l'1,5% del mercato, le stime per il 2010 indicano una quota del 5%, più del triplo), ma che sta prendendo piede anche in Italia. Qui, scrive il Censis, si prevede una quota di mercato dello 0,1% al dicembre 2010, pari a oltre 3,4 milioni di euro. Una fetta di mercato ancora molto piccola, ma triplicata rispetto allo 0,03% del dicembre 2009. Anche i primi mesi del 2010 sono positivi: rispetto al giugno del 2009, le librerie on line fanno registrare un incremento dell'attività del 24,5 per cento. Nel comparto dell'editoria digitale, sono in diminuzione cd rom e dvd (-24%), mentre il segno è sempre positivo per banche dati e altri servizi Internet (+61,5% tra il 2006 e il 2009, +30% tra il 2008 e il 2009).
Mirafiori: salta l'accordo (3 dicembre 2010).
Al termine di una riunione ristretta con i sindacati la Fiat «ha preso atto che non esistono le condizioni per raggiungere una intesa sul piano di rilancio dello stabilimento di Mirafiori». È quanto afferma in una dichiarazione lo stesso Lingotto. La trattativa sul piano per Mirafiori è dunque finita. A chiudere il confronto è stata la Fiat. I sindacati avevano infatti proposto di riprenderlo tra qualche giorno per poter valutare complessivamente le proposte della società. L'interruzione é avvenuta su un punto nodale, spiegano le fonti, vale a dire che «la cornice contrattuale della jv creata per Mirafiori nell'ultimo passaggio non prevede alcun riferimento all'accordo nazionale», il che ha spinto, non solo la Fiom, ma anche le altre sigle a «dover riconsiderare» la proposta. «La nostra priorità adesso - ha indicato un rappresentante della Fiom - é che da lunedì, con il rientro dei lavoratori dalla cassa integrazione, vengano organizzate assemblee e si informino i lavoratori». L'azienda ha detto, aggiungono le fonti, che «informerà l'a.d. del gruppo, Sergio Marchionne, di quanto accaduto, ma che al momento non esistono le condizioni per definire una nuova data di incontro. Non é per niente scontato che la trattativa possa riprendere». «Non sono stupito dalla piega che il confronto ha preso. Da Pomigliano diciamo che la Fiat vuole costruire un suo contratto aziendale al posto di quello nazionale. È stato un errore seguirli sulla strada delle modifiche contrattuali e delle deroghe». Lo afferma Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom, a proposito dell'andamento della trattativa su Mirafiori. «Vogliono un loro contratto e usare quello nazionale come un supermercato dai cui scaffali prendere di volta in volta quello che gli serve», aggiunge Airaudo. «La Fiat è la prima importante azienda italiana - conclude l'esponente della Fiom - che ci porta fuori dal contratto nazionale e dalle regole sociali ed europee. Una specie di zona franca». Secondo Eros Panicali (Uilm nazionale) l'investimento sullo stabilimento torinese di Mirafiori «deve essere fatto, si deve trovare una soluzione». «Noi - dice - non abbiamo interrotto la trattativa, avevamo chiesto alcuni giorni per fare una valutazione complessiva con i lavoratori e la risposta dell'Azienda, che non ci è piaciuta, è stata la presa d'atto che non ci sono le condizioni per fare l'investimento. Questo noi lo riteniamo inaccettabile». Panicali spiega: «Abbiamo sottoscritto un contratto nazionale, la Fiat vuole applicare un contratto fuori dal sistema contrattuale e noi, sottoscrittori di contratti nazionali, abbiamo qualche perplessità». Per la Cisl la rottura della trattativa sullo stabilimento Fiat di Mirafiori «è solo una sospensione del confronto. Non vengono certo da noi gli ostacoli e le difficoltà a concludere positivamente la trattativa». Lo ha dichiarato il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. «sperare che nel confronto in corso a Torino non vengano poste pregiudiziali o fatte 'sceneggiate' tipiche dei tavoli politici, ma prevalga invece - ha detto Bonanni - il senso di responsabilità e la necessità di portare avanti l`investimento nell`interesse della comunità torinese e del paese. Occorre sviscerare per la Cisl ogni aspetto pur di arrivare ad una soluzione condivisa dalla Fiat e dai sindacati». Il segretario generale della Fismic, Roberto Di Maulo, ha invece affermato che «Fim e Uilm si sono assunte una responsabilità gravissima che contraddice il percorso fatto da Pomigliano in avanti. È una responsabilità che si devono assumere nei confronti dei lavoratori che non hanno più un piano industriale che prometteva investimenti». Sacconi, «riprendere il dialogo». Una ripresa immediata del dialogo è chiesta dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi: «L'investimento ipotizzato da Fiat per lo stabilimento di Mirafiori é talmente importante per il futuro dei lavoratori, del territorio, dell'intero gruppo e dell'economia italiana da meritare la ripresa del dialogo tra le parti con priorità di attenzione a quegli aspetti sostanziali che consentono la piena utilizzazione degli impianti con i conseguenti incrementi retributivi detassati». Secondo il ministro «ciò richiede l'abbandono di ogni pregiudizio e di ogni rigido formalismo da parte di tutti per ricercare ciò che unisce nel nome del lavoro e dell'impresa. Faccio appello alla responsabilità di tutti gli attori del negoziato - conclude Sacconi - affinché intelligenza ed esperienza conducano a far prevalere il bene comune». Nessun riflesso particolare in Borsa. Fiat ha limato parzialmente i guadagni a Piazza Affari dopo l'annuncio della mancata intesa su Mirafiori. A circa tre ore e mezza dalla chiusura della Borsa, le azioni del Lingotto guadagnano comunque l'1,04% a 13,62 euro (con un volume di scambi pari a oltre 13 milioni e 780mila pezzi). Nella prima parte della seduta, molto positiva per la casa di Torino, il titolo aveva toccato un massimo di 13,70 euro.
Si tratta per Mirafiori (5 dicembre 2010).
Diplomazie al lavoro per rilanciare il confronto sulla trattativa Mirafiori dopo la rottura tra Fiat – che non ha riscontrato condizioni favorevoli a un accordo – e i sindacati. Ieri c'è stata una telefonata tra l'ad del Lingotto Sergio Marchionne e la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, nella quale sono stati esaminati i vari aspetti di una trattativa complessa e al tempo stesso importante per il gruppo automobilistico. Il confronto tra Marchionne e Marcegaglia continuerà la prossima settimana. La presidente di Confindustria sta infatti partendo per gli Stati Uniti e venerdì prossimo è in programma un nuovo incontro con il manager del Lingotto nell'ambito della missione. Nel frattempo i sindacati sono in pressing per riaprire il tavolo anche se si pongono alcune condizioni – sorattutto sul fronte del contratto – che dovranno essere verificate, da domani alla riapertura dei cancelli di Mirafiori e nei prossimi giorni negli incontri in fabbrica (assemblee Fiom). «Stiamo lavorando, troveremo una soluzione perché per Mirafiori non esiste alternativa all'accordo» ha detto il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti. «Lo stabilimento di Mirafiori si può salvare solo con l'investimento di Fiat e Chrysler, non c'è alternativa. A meno che qualcuno non si voglia assumere la responsabilità di un futuro di sola cassa integrazione», ha aggiunto il leader Uil che insieme al segretario Cisl, Rafaele Bonanni, è in prima fila per ricucire. Sempre critica la Cgil. «Dietro la rottura con Fiat c'è l'indisponibilità ad applicare i contratti nazionali di lavoro. E quindi un grande interrogativo che riguarda le altre confederazioni, ma anche Confindustria, su come si fa a difendere il sistema di rappresentanza dei contratti nazionali di lavoro» ha rilanciato la leader Cgil, Susanna Camusso. «Sarebbe utile – ha sottolineato – che Confindustria facesse qualche passo per dire che il contratto nazionale resta lo strumento di regolazione dei rapporti di lavoro ma anche tra le imprese. La trattativa è stata interrotta da Fiat. Bisognerebbe riprenderla. Non per sancire le volontà Fiat ma per trovare una soluzione condivisa per ogni stabilimento». La Cisl media. «Dobbiamo trovare un equilibrio tra specificità Fiat e contratto nazionale. L'accordo per Mirafiori deve stare dentro a uno schema che è quello dell'attuale sistema di regole. Stiamo riflettendo su questo, Federmeccanica e Confindustria devono dare il loro contributo e la Fiat deve tenere conto delle nostre opinioni» ha sottolineato il segretario generale Fim, Giuseppe Farina, che si è detto «fiducioso sulla possibilità di trovare una soluzione e su una rapida ripresa della trattativa».
Draghi: crescita e rigore (7 dicembre 2010).
Crescita economica prima di tutto. E poi rigore nei conti pubblici. Sono questi gli ingredienti della ricetta anticrisi del governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, che ha presentato il nuovo Rapporto sulla stabilità finanziaria. Bisogna dare priorità alla crescita, perché i rischi principali per le banche e la stabilità finanziaria derivano dalla debolezza dell’economia, ha sottolineato Draghi, aggiungendo che «i rischi per gli intermediari italiani derivano soprattutto dalle debolezze della nostra economia, prima fra tutte la bassa crescita: emerge ancora una volta il legame inscindibile che unisce la stabilità finanziaria alla crescita economica». C’è «una forte connessione a livello internazionale - ha aggiunto il numero uno di via Nazionale - tra la solidità del settore finanziario e quella dei conti pubblici. Al fine di preservare la stabilità del sistema finanziario, la priorità oggi è adottare politiche che aumentino il potenziale di crescita dell’economia italiana». Quanto alla finanza pubblica, il rigore è indispensabile poiché «di fronte alle forti tensioni che proprio in questi giorni colpiscono più Paesi europei, è essenziale proseguire nelle politiche di consolidamento dei conti pubblici». «Il rigore di bilancio - ha aggiunto Draghi - è fondamentale per la salvaguardia della stabilità finanziaria». Il Governatore ha dedicato qualche parola anche all'euro minacciato dalla speculazione: «L'euro non è in discussione - ha detto - è uno dei maggiori successi del processo d'integrazione europea da cui sono derivati benefici straordinari per tutti i Paesi». L'allargamento degli spread dei titoli di Stato europei causato dalla crisi è un processo di «riprezzamento» degli stessi inevitabile, ma «eccessivo che non riflette i fondamentali» dell'area euro e le condizioni «effettive di finanza pubblica di alcuni Paesi», ha affermato il governatore di Bankitalia. Per quanto riguarda le banche italiane, secondo Draghi alcune devono lavorare di più per rafforzare il loro patrimonio, «sia per affrontare la situazione presente, con la crescita delle sofferenze registrata negli ultimi 24 mesi, sia per adeguarsi, anche se gradualmente, ai nuovi requisiti di Basilea 3».
OCSE: migliorano gli studenti italiani (7 dicembre 2010).
Ogni tanto, una buona notizia: gli studenti italiani migliorano le loro performance. I dati presentati a Parigi dall'Ocse (l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ed elaborati per l'Italia dall'istituto Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell'istruzione) sulle competenze in Lettura, Matematica e Scienze danno risultati confortanti. Per la prima volta dopo dieci anni, i quindicenni italiani scalano le classifiche internazionali recuperando posizioni. I dati si riferiscono alla rilevazione condotta nel 2009. Sta di fatto che, dopo due lustri, gli studenti italiani recuperano sei posizioni nella classifica internazionale sulle competenze in Lettura, passando dal 36° al 30° posto. E questo, nonostante il numero di nazioni partecipanti alla ricerca sia aumentato da 57 a 65. L'Italia, con un score medio di 486 punti, riduce considerevolmente il divario rispetto alla media Ocse, che fa segnare 493 punti: "appena" 7 in meno. Nel 2006, erano 23 i punti che ci separavano dalla media Ocse. Stesso discorso per le competenze in Matematica: i quindicenni italiani si piazzano al 36° posto con 483 punti. Tre anni fa, si piazzarono al 38° posto, con 462 punti. Anche in questa classifica ci avviciniamo alle performance degli altri paesi Ocse (media 496 punti): il vero e proprio baratro di 36 punti del 2006 è stato ridotto a 13. In Matematica spiccano i quindicenni dei paesi del Sol levante: Shanghai (la provincia cinese con l'incredibile punteggio di 600 punti), Singapore, Hong Kong, Corea, Cina-Taipei. La Finlandia, prima tra le europee, si attesta in sesta posizione. In Scienze, la media Ocse è decisamente più alta: 501 punti. E l'Italia fa registrare anche in questa occasione un trend positivo: 489 punti, che la collocano al 35° posto, un gradino in più rispetto al 2006. Ma è il punteggio medio conseguito dai ragazzi italiani che conforta: tre anni fa, si fermarono a 475 punti, 25 in meno della media Ocse. Nel 2009, il divario è stato più che dimezzato: 12 punti. Anche in quest'ultimo ranking i paesi asiatici la fanno da padrone: con 5 nazioni/ambiti su 6. Al primo posto, ancora Shanghai, al secondo la Finlandia. Per l'Italia hanno partecipato all'edizione 2009 quasi 31 mila studenti provenienti da 1.097 licei, istituti tecnici e professionali e scuole medie di tutte le regioni italiane. E sono gli studenti dei licei che fanno registrare i migliori risultati nel nostro Paese. Come avviene nelle indagini nazionali, le ragazze superano i compagni maschi e i ragazzi delle regioni settentrionali quelli delle regioni meridionali, con l'unica eccezione della Puglia. Il progetto Pisa (Programme for International Student Assessment) è la quarta fase e si svolge ogni tre anni. E si pone come obiettivo quello di accertare le competenze dei quindicenni scolarizzati, se e in che misura abbiano acquisito alcune competenze giudicate essenziali per svolgere un ruolo consapevole e attivo nella società e per continuare ad apprendere per tutta la vita. L'indagine non accerta soltanto le competenze in Lettura, Matematica e Scienze, ma si focalizza piuttosto sulla misura in cui gli studenti sono in grado di utilizzare competenze acquisite durante gli anni di scuola per affrontare e risolvere problemi (problem solving) e compiti che si incontrano nella vita quotidiana e per continuare ad apprendere. Ogni tre anni il Pisa prevede un approfondimento in una delle tre aree indagate. Quest'anno, è stata la volta della cosiddetta "reading literacy" (competenza in lettura), che si riferisce alla comprensione, all'utilizzo e alla riflessione su testi scritti al fine di raggiungere i propri obiettivi, di sviluppare le proprie conoscenze e le proprie potenzialità e di svolgere un ruolo attivo nella società. E gli studenti italiani hanno risposto positivamente. Ma di chi sarà il merito? Forse il merito è degli studenti e dei professori. Non sembra possibile, infatti, pensare che riforme parziali o attuate solo nei primi anni dei diversi cicli, come quelle degli ultimi 15 anni, abbiano potuto produrre effetti tanto evidenti. La cosa più probabile è che i quindicenni italiani, con l'aiuto dei loro professori, in questi anni abbiano avuto il tempo di esercitarsi con batterie di test che dai banchi della scuola nostrana non passavano. E, adesso, i risultati cominciano a vedersi. Il dibattito su a chi attribuire il merito di questo miglioramento non ci interessa. Interessa sapere che i nostri studenti possono competetre con quelli degli altri paesi. Non c'è solo il recupero in lettura e matematica dei nostri 15enni. Nel rapporto Ocse-Pisa 2009 spicca anche il divario Nord-Sud negli apprendimenti, che si riduce, ma resta significativo. Così come pure altri due dati che peggiorano rispetto alle precedenti rilevazioni e su cui è bene prestare attenzione. Il primo è l'alta percentuale di "varianza" tra scuole. Vale a dire che in Italia frequentare una scuola piuttosto che un'altra, nella stessa città o nello stesso quartiere, fa una bella differenza per quanto riguarda le performance degli studenti. L'Italia si colloca al secondo posto in questa "speciale" classifica, con una media del 62% e con picco del 64% in Sicilia. Era prima nel 2006. «È un dato preoccupante - ha commentato Benedetto Vertecchi, docente di pedagogia sperimentale all'università di Roma Tre - perchè dimostra che il nostro sistema scolastico è sempre più a macchia di leopardo e i risultati non dipendono tanto dalle caratteristiche degli allievi quanto dal tipo di scuola scelta». Come rimediare? Per Vertecchi, è importante recuperare «l'attività pratica». Una dimensione della didattica, aggiunge, che è «alla base di rapporti come l'Ocse-Pisa nel quale è implicita una cultura mista dove l'apprendimento teorico si coniuga con la capacità di tradurre in pratica le nozioni acquisite». L'altro aspetto preoccupante che emerge leggendo nel dettaglio lo studio Pisa è che i miglioramenti negli apprendimenti in lettura, matematica e scienze sono stati "frenati" dalle cattive performance degli studenti di scuole e corsi professionali. In lettura, i ragazzi dei professionali hanno totalizzato 417 punti (contro i 541 dei liceali). Addirittura peggio quelli della formazione professionale, con appena 399 punti. Praticamente, tra istituti professionali e formazione professionale sono risultati insufficienti in lettura oltre il 50% degli studenti 15enni (contro il 21% di tutte le altre tipologie di scuole). Risultati simili anche in matematica e scienza, a testimonianza, spiega Elena Ugolini dell'Invalsi, che la vera sfida che attende la scuola italiana nei prossimi tre anni (quando uscirà il nuovo rapporto Pisa 2012) è «recuperare questo gap e lavorare affinchè tutti gli studenti acquisiscano (almeno) le competenze fondamentali».
Ecofin: accordo sul segreto bancario. Tasse anti crisi sulle banche (8 dicembre 2010).
L'Ecofin ha raggiunto un accordo per rafforzare l'assistenza reciproca fra gli Stati e lo scambio di informazioni sulla tassazione diretta allo scopo di contrastare l'evasione e le frodi fiscali e facilitare una migliore valutazione delle imposte dovute. La revisione della direttiva assicurerà che il modello di convenzione fiscale sul capitale e sul reddito sia atta allo scambio di informazioni su richiesta impedendo così agli Stati Ue di rifiutare di fornire dati su un contribuente di un altro stato membro sulla base del fatto che l'informazione é detenuta presso una banca o presso altre istituzioni finanziarie. L'irritazione di Juncker per il no di Berlino agli eurobond: è un rifiuto anti-europeo È un elemento di grande importanza in relazione al segreto bancario esistente in alcuni paesi Ue (Lussemburgo in primo luogo) e in Svizzera (le convenzioni con i paesi Ue con i paesi terzi hanno come base la direttiva Ue). Le regole europee a questo punto estendono la cooperazione tra gli stati membri per coprire ogni tipo di imposizione fiscale; stabilisce limiti di tempo per fornire informazioni su richiesta e altre indagini amministrative; introduce procedure per lo scambio di informazioni automatico; permette a funzionari di uno stato di partecipare a inchieste amministrative nel territorio di un altro stato membro. L'Ecofin ha concordato che per evitare il rischio che gli stati membri facciano richieste imprecise volte a verificare l'esistenza di irregolarità, debbano essere individuati certi dettagli che vanno specificati nelle richieste di informazioni in particolare l'identità della persona sotto tiro e lo scopo della tassa in questione. Tali dettagli saranno "meno stringenti" rispetto a quelli della convenzione Ocse per garantire più spazio allo scambio di informazioni. Proprio sullo scambio automatico delle informazioni, l'Ecofin ha deciso di procedere gradualmente puntando "eventualmente" ad assicurare lo scambio di informazioni non condizionato per otto categorie di capitale e reddito (reddito da lavoro, retribuzioni dei direttori, dividendi, guadagni di capitale, royalty, certi prodotti di assicurazione vita, pensioni, proprietà e reddito da proprietà immobiliare). Dal 2015 gli stati comunicheranno automaticamente informazioni per un massimo di 5 categorie, a patto che "siano già disponibili" (non sarà richiesto di inviare più informazioni di quelle che si ricevono). Da luglio 2017 la Commissione elaborerà un rapporto e se necessario una proposta specifica esaminando la possibilità di rimuovere la condizione della disponibilità delle informazioni e di estendere il numero delle categorie da 5 a 8. I ministri economici e finanziati dell'Unione hanno invece espresso scetticismo sull'introduzione generalizzata di nuove tasse anti-crisi sulle banche (operazione fortemente voluta da Francia e Germania). La decisione politica della Ue concordata dai governi (a eccezione della Repubblica Ceca) resta quella di giugno: gli stati dovrebbero introdurre sistemi di prelievi e tassazione sulle istituzioni finanziarie per assicurare una equa ripartizione dei costi delle crisi volta al contenimento dei rischi sistemici. Tali sistemi devono essere parte di un regime di "risoluzione" (fino alla liquidazione ordinata) delle crisi di singole banche. Il problema é che i governi si sono mossi in ordine sparso e comunque non c'é accordo neppure sull'utilità della tassazione anti-crisi. È proprio per questo motivo che non é stata fissata e non sarà fissata una scadenza. Dieci stati hanno introdotto o stanno per introdurre prelievi, che nella maggior parte dei casi entreranno in vigore dal primo gennaio 2011. Si tratta di Belgio, Danimarca, Francia, Cipro, Austria, Portogallo, Germania, Ungheria, Svezia e Regno Unito. Altri dieci stati sono favorevoli in linea di principio, ma si riservano di decidere più avanti «in attesa che ci sia maggiore chiarezza sui termini del coordinamento a livello europeo», é scritto nel rapporto preparato per l'Ecofin. L'Italia «non intende introdurre un nuovo prelievo o una tassa sul settore bancario a causa del carico fiscale già pesante se paragonato ad altri stati membri». La posizione italiana si spiega, inoltre, con il fatto che il sistema bancario nazionale ha resistito bene agli scossoni della crisi, e non ha richiesto interventi di salvataggio. Nel rapporto viene presentata una stima del peso dell'operazione in dieci grandi gruppi bancari europei compresa Unicredit, sulla base di un prelievo dello 0,05% sul complesso dei fondi di lungo termine (debito senior scadenza oltre l'anno, prestiti subordinati e altri fondi), depositi, finanziamenti dal mercato monetario e a breve dedotti i depositi della clientela). Sotto tali assunzioni il costo addizionale dovuto al prelievo rappresenta in media lo 0,04% dell'attività ponderata per il rischio, il 3% della spesa per il personale, il 41% della spesa per la tassazione e l'8% dei profitti prima delle imposte. «Tali cifre non sono irrilevanti», secondo il rapporto. Nel caso di Unicredit a fronte di fondi lordi di 315 miliardi di dollari avremmo un costo addizionale dovuto al prelievo pari allo 0,04% dell'attività ponderata per il rischio, al 2% della spesa per il personale, al 18% della spesa per la tassazione, al 5% dei profitti prima delle imposte. Per altre banche si va dal 171% della spesa per tassazione nel caso del Crédit Agricole a -240% nel caso di Ing al 60% nel caso di Deutsche Bank. Oppure per quanto concerne i profitti prima delle imposte dal 24% del Crédit Agricole al 3% di Deutsche Bank, al 21% di Ing. In ogni caso, secondo l'Ecofin, «é estremamente difficile valutare in termini quantitativi la reazione del settore» che «probabilmente deve essere considerata caso per caso». Inoltre é complicato separare l'effetto del prelievo anti-crisi dagli effetti degli altri cambiamenti nelle regole sul capitale. Il rischio di doppia tassazione può dipendere dall'imposizione in un paese di una tassa che copre anche le controllate in un altro paese o là dove Regno Unito e Francia hanno grandi controllate (sono i due soli paesi con prelievo che coinvolge anche le controllate in altri stati). Una doppia tassazione potenziale può essere subita verso la Francia dalla Repubblica Ceca (dove le controllate francesi pesano per il 15,1% sugli asset totali del settore bancario), dalla Grecia (7%), dal Lussemburgo (7%), dalla Romania (14), dalla Slovenia (5%); verso il Regno Unito da Malta (12%). Regno Unito e Francia hanno sancito un accordo in questo senso. In ogni caso la dimensione del problema viene giudicata "moderata", ma potrebbe diventare più importante se più stati introducessero i prelievi: complessivamente 21 stati membri ospitano controllate di banche Ue per una quota di oltre il 5% del totale degli asset bancari mentre 9 stati ospitano filiali di "importanza equivalente".
Indonesia: nuova tigre economica (9 dicembre 2010).
Mentre gli economisti discutono per capire chi tra Cina e India dominerà l'economia mondiale del XXI secolo, sta per entrare in scena un'altra potenza asiatica in forte espansione. Uscita relativamente indenne dall'impatto della crisi finanziaria globale, l'economia indonesiana nel 2010 pare abbia raggiunto una crescita del 6,1% e si prevede che continui con il 6,3% l'anno prossimo, uno dei tassi di crescita più rapidi in Asia (e nel mondo). Cosa ancora più importante è che il suo Pil procapite secondo le stime dovrebbe aumentare del 20% nel prossimo biennio. Dal 2009 il mercato azionario indonesiano è stato il secondo di tutta l'Asia per la migliore performance. Parecchi analisti ipotizzano ormai che ben presto occorrerà aggiungere un'altra "I" all'acronimo BRIC (che comprende Brasile, Russia, India e Cina). In buona parte, la crescita in Indonesia è trainata dalle risorse naturali del paese – è uno dei più importanti esportatori al mondo di legname, carbone e argento – ma anche il settore manifatturiero indonesiano sta vivendo una rapida espansione. Le aziende d'abbigliamento e i mobilifici cinesi, che hanno registrato un periodo di forte crescita producendo articoli e prodotti destinati al mercato americano, sempre più delocalizzano la produzione in Indonesia, in virtù soprattutto di un accordo di libero commercio tra i due paesi che sta entrando in vigore proprio in questo periodo. L'anno scorso le elezioni presidenziali, svoltesi in modo pacifico e senza inconvenienti, in un certo senso hanno rassicurato i mercati internazionali sulla stabilità politica del paese, e gli investimenti diretti dall'estero in Indonesia sono aumentati quest'anno del 34%, arrivando nel secondo trimestre a un volume di 3,7 miliardi di dollari.
Naturalmente sussistono alcune difficoltà. Il settore bancario indonesiano è ancora meno sviluppato rispetto alla media, per quanto paradossalmente proprio questa caratteristica abbia impedito il peggio del crollo subito da altri mercati. Le infrastrutture del paese sono mediocri, la corruzione continua a rallentare lo sviluppo in molte aree del paese, sebbene ciò indubbiamente sia valido anche per Cina e India. L'Indonesia, inoltre, ha anche uno dei più alti tassi di deforestazione al mondo, quantunque a maggio si sia impegnata a rispettare una moratoria di due anni per l'abbattimento di alberi. Il paese ha ancor oggi un tasso di povertà che si aggira intorno al 14 %, leggermente più alto quest'anno a causa della crisi. Dalle proiezioni della Deutsche Bank, tuttavia, si desume che nei prossimi cinque anni saranno ben 52 milioni gli indonesiani che potrebbero entrare a far parte della classe media, miglioramento che in teoria potrebbe avere conseguenze di grande portata. E non soltanto da un punto di vista economico: l'Indonesia ha ottime chance di diventare anche la prima superpotenza mondiale musulmana e democratica. Io, personalmente, durante un lungo periodo di collaborazione con il PLN (Perusahaan Listrik Negara), l'ente elettrico indonesiano, ho avuto modo di notare l'enorme potenziale di sviluppo del paese, legato a una grande desiderio di occidentalizzazione e a una forte religiosità priva, però, degli aspetti radicali presenti in altri paesi musulmani.
BCE: preoccupazione per i conti di alcuni paesi europei (9 dicembre 2010).
Forte preoccupazione per la tenuta dei conti di alcuni paesi dell'Unione europea. In uno scenario in cui la durata della disoccupazione è bruscamente aumentata. Quanto ai tassi di interesse, fermi da 18 mesi all'1%, «sono adeguati». Mentre il Prodotto interno lordo dell'area euro crescerà dell'1,7% nel 2010, l'inflazione si attesterà all'1,6 per cento. E in Italia? Il debito pubblico resterà oltre il 100% del Pil anche nel 2012 ma in questa data l'Italia sarà l'unico paese, con la Germania, a non registrare un aumento del passivo.
Lo scrive la Banca centrale europea nel bollettino di dicembre. In base alle previsioni economiche elaborate dalla Commissione europea nell'autunno 2010 - ricorda la Bce - nel complesso i rapporti tra disavanzo pubblico e Pil nell'area dell'euro sono in fase di stabilizzazione quest'anno e dovrebbero diminuire nel 2011 e 2012, mentre «quelli tra debito pubblico e Pil continuano ad aumentare». Secondo l'istituto di Francoforte, i governi «nei bilanci per il 2011 devono precisare interventi di aggiustamento credibili dei conti, incentrati sul lato della spesa». La crescita del Pil dell'area euro dovrebbe attestarsi in un intervallo compreso tra l'1,6 e l'1,8% nel 2010, tra lo 0,7 e il 2,1% nel 2011 e tra lo 0,6 e il 2,8% nel 2012. Germania e Italia sono gli unici paesi dell'area euro in cui nel 2012 l'incidenza del debito pubblico rispetto al Pil non dovrebbe ulteriormente aumentare, osserva la Banca centrale europea citando le ultime previsioni della Commissione, sebbene l'Italia resterà tra i paesi dove il rapporto debito-Pil risulterà superiore al 100 per cento. In generale l'istituzione monetaria di Francoforte si attende riduzioni dei deficit di bilancio nell'Unione valutaria a partire dal 2011, proprio sulla base delle ultime previsioni della Commissione, ma continua a richiamare i governi a «strategie ambiziose e credibili» sul risanamento, necessarie a ripristinare la fiducia sulla tenuta delle finanza pubbliche. Quanto alla dinamica dei debiti pubblici, «secondo la Commissione - rileva ancora la Bce - è probabile che il debito pubblico in rapporto al Pil aumenti in tutti i paesi dell'area euro nel 2011 e in quasi tutti nel 2012 (a eccezione di Germania e Italia). Sempre nel 2012 il rapporto medio tra debito e Pil dell'area ammonterebbe all'87,8 per cento del Pil e quattro paesi, Belgio, Irlanda, Grecia e Italia registrerebbero rapporti superiori al 100 per cento». Fra la fine dello scorso agosto e i primi di dicembre gli incrementi dei rendimenti di Italia e Grecia «sono risultati considerevolmente inferiori» rispetto a Irlanda, Portogallo e Spagna. La Bce rileva che dopo da fine novembre, quando è stato annunciato l'accordo per fornire assistenza finanziaria all'Irlanda, «il clima di mercato ha continuato a peggiorare». Il bollettino è aggiornato al 1 dicembre e dunque non tiene conto del calo di tensioni degli ultimi giorni. Ricostruendo la dinamica della disoccupazione nell'eurozona a partire dal 2008, l'istituto di Francoforte sottolinea che «la durata della disoccupazione è bruscamente aumentata nell'area dell'euro: il numero di persone rimaste disoccupate per almeno dodici mesi ha subito un incremento del 30% nell'anno fino al secondo trimestre del 2010, a fronte di una crescita media del 4% registrata nel periodo 2008-2009». La Bce auspica quindi «al fine di ridurre la disoccupazione strutturale e il rischio di erosione del capitale umano associato ai lunghi periodi di disoccupazione, politiche intese a promuovere la moderazione e la flessibilità salariale, insieme ad altre politiche attive per il mercato del lavoro, che rendano più efficiente l'incontro tra domanda e offerta e che rafforzino l'attaccamento al mercato del lavoro da parte dei disoccupati di lungo periodo». L'Italia è tra i paesi dell'area euro che hanno registrato un aumento solo «moderato» della disoccupazione a partire dal 2008. La disoccupazione dell'area dell'euro, ricorda la Bce, è aumentata dal 7,6% nel quarto trimestre del 2007 al 10% nel secondo trimestre del 2010, raggiungendo il livello più elevato dal terzo trimestre del 1998. «A livello nazionale - spiega l'istituto di Francoforte - i maggiori incrementi del tasso di disoccupazione sono stati registrati in Spagna e Irlanda, principalmente per effetto dell'aggiustamento nel settore delle costruzioni. Vi è poi un gran numero di paesi dell'area dell'euro in cui il tasso di disoccupazione ha evidenziato solo un incremento moderato. In particolare, dall'ultimo trimestre del 2007 al secondo del 2010 è aumentato di 2 punti percentuali in Italia (portandosi all'8,5%) e di 1 punto percentuale in Francia e Belgio (salendo rispettivamente all'8,9 e all'8,2%)». Secondo la Banca centrale europea, «vari fattori possono spiegare l'impatto più contenuto della crisi sulla disoccupazione in questi paesi, fra cui la riduzione dell'offerta di lavoro (dovuta in parte a un aumento dei lavoratori scoraggiati) e una notevole espansione dell'occupazione a tempo parziale». La Bce continua a considerare «adeguato» il livello attuale dei tassi d'interesse ma «continuerà a seguire tutti gli andamenti nel prossimo periodo con molta attenzione». L'istituto sottolinea inoltre che «l'offerta di liquidità e le modalità di aggiudicazione saranno modificati secondo opportunità, tenendo conto del fatto che l'insieme delle misure non convenzionali adottate nel periodo di acute tensioni finanziarie è pienamente coerente con il mandato della Bce e, per come strutturato, di natura temporanea». L'andamento dei prezzi dovrebbe restare moderato nel medio termine. La politica monetaria condotta dalla Bce resta «accomodante», si legge ancora. La Bce ribadisce, inoltre, di voler adeguare, a seconda delle necessità, «l'orientamento monetario, il livello di liquidità fornito al mercato e le condizioni applicate alle aste di rifinanziamento», poiché tutte le misure straordinarie decise contro la crisi sono «temporanee».
Draghi: commenti sulla BCE al Financial Times (10 dicembre 2010)
Mario Draghi tutto questo l'ha già vissuto. All'inizio degli anni 90 l'Italia era in piena crisi. Il deficit dello stato era schizzato oltre il 10% del Pil, l'inflazione era quasi in doppia cifra e il terrorismo interno rappresentava una minaccia. «Era una situazione sicuramente peggiore di quello che ci si può immaginare oggi», ricorda. Draghi, che all'epoca era direttore generale del ministero del Tesoro, contribuì a mettere in pratica un rigoroso piano di risanamento dei conti pubblici elaborato dal governo di Giuliano Amato, che portò al programma di privatizzazione più ampio della storia d'Europa. L'Italia riuscì a evitare una catastrofe. Vent'anni dopo, il messaggio di Draghi è che con l'approccio giusto, focalizzato su un'azione aggressiva da parte dei governi nazionali, si può sconfiggere anche questa crisi drammatica che sta colpendo l'eurozona. «L'euro non è in discussione – insiste in apertura dell'intervista al Financial Times – l'euro è uno dei pilastri dell'integrazione economica europea, e tutti i paesi, dal primo all'ultimo, ne hanno ricavato grandi benefici». Le opinioni di Draghi sono importanti non soltanto perché è uno dei membri più influenti del consiglio direttivo della Banca centrale europea, ma anche perché presiede il Financial stability board, un panel di regolatori globali incaricato di ridisegnare le regole del sistema finanziario, e perché è visto come un possibile successore di Jean-Claude Trichet (Germania permettendo), il cui mandato alla guida della Bce scade il prossimo ottobre. Nel giro di un anno, Draghi potrebbe ritrovarsi a essere uno dei personaggi di maggiori rilievo della politica economica mondiale. In Europa, la crisi di quest'anno ha messo a nudo i difetti di funzionamento di un'unione monetaria a 16 paesi. I problemi sono stati esacerbati dai litigi e dai ritardi nel lancio dei piani di salvataggio per paesi come la Grecia e l'Irlanda, e da una certa incapacità di comunicazione. Angela Merkel ha fatto infuriare gli altri leader dell'eurozona insistendo a voler discutere dei meccanismi per costringere anche gli investitori privati ad accollarsi il peso dei futuri salvataggi di paesi Ue, ottenendo come unico risultato di far innervosire ancora di più i mercati. I costi del credito per Irlanda e Portogallo sono schizzati alle stelle; gli investitori sono inquieti per la stabilità finanziaria della Spagna, e perfino dell'Italia. Ma Draghi fa eco alle parole di Trichet, dicendo che «la situazione generale dei conti pubblici è più solida che in altre parti del mondo» e che i mercati dei titoli di stato complessivamente funzionano bene. «Stiamo parlando di problemi all'interno di singoli paesi, non di problemi dell'eurozona nel suo complesso». Anche all'interno del vertice della Bce la posizione di Draghi è prudente. Il governatore della Banca d'Italia sembra convinto che le possibilità di risolvere la crisi sul lungo termine dipendono dalla capacità di affrontare le cause di fondo, più che dai meccanismi di salvataggio. All'inizio degli anni 90, sottolinea, l'Italia doveva emettere circa 60 miliardi di dollari al mese di titoli di stato, nuovi o per rifinanziare il debito esistente, cifre che fanno sembrare trascurabili i problemi attuali dei paesi dell'eurozona. «Non andammo a chiedere aiuto all'Fmi e non ci fu nessun intervento di salvataggio da parte della Ue». Certo, l'Italia fu aiutata dagli effetti di una svalutazione della moneta, che spinse in alto le esportazioni, ma questo contribuì solo in parte. La flessibilità del cambio ha anche l'effetto di «far salire significativamente lo spread perché si deve tener conto dell'incertezza sul cambio». Questa settimana Giulio Tremonti e il primo ministro lussemburghese Jean-Claude Juncker hanno proposto un altro meccanismo, l'emissione di titoli di stato comuni a tutta l'area euro per risolvere la crisi attuale. Draghi dice che un'idea del genere, oltre a presentare problemi di natura giuridica, non risolverebbe le cause di fondo della crisi. «La mia esperienza personale mi dice che un paese è in grado di uscire efficacemente da una crisi senza alcun aiuto». E aggiunge: «È difficile pensare che un meccanismo possa correggere squilibri strutturali di fondo, che devono essere affrontati a livello nazionale». Quando i governi mostrano sufficiente determinazione nel risanare i conti pubblici, sostiene Draghi, i mercati finanziari ne tengono conto. «Se la comunicazione è efficace, se l'azione politica è solida e se l'impegno è percepito come persistente, i mercati sicuramente lo accoglieranno positivamente». Considerando la sua insistenza sul fatto che l'iniziativa spetta ai governi, c'è poco da sorprendersi che Draghi veda un ruolo limitato per la Bce. Le mosse della Bce sono state molto contestate quest'anno, specialmente in Germania. A maggio, quando la crisi dell'euro era nella sua fase più acuta, la Bce ha infranto un tabù ed è intervenuta sui mercati dei titoli di stato nel tentativo di calmare la situazione. Negli ultimi giorni, ha incrementato gli acquisti di questi bond, nonostante gli ammonimenti di Axel Weber, il presidente della Bundesbank, sui rischi che questa confusione tra politica monetaria e politica di bilancio può comportare per la credibilità della Bce nella lotta all'inflazione. Draghi dice che «bisogna fare molta attenzione a stabilire le condizioni per effettuare questi acquisti, perché sono perfettamente consapevole che esiste il rischio concreto di passare il segno e perdere tutto quello che abbiamo, perdere l'indipendenza e sostanzialmente violare il trattato europeo». La Bce non sta prestando soldi ai governi, sta correggendo mercati finanziari mal funzionanti, dice Draghi. Forse non è un caso, visto che avrà bisogno del sostegno di Berlino se vuole succedere a Trichet, che il governatore della Banca d'Italia citi il tedesco Otmar Issing, l'intransigente ex capo economista della Bce, sul fatto che gli spread fra i tassi di interesse sui titoli di stato dei governi dell'eurozona dovrebbero riflettere le diverse situazioni dei conti pubblici. Prima della crisi gli investitori facevano poca differenza fra i titoli di stato dell'eurozona, trattando di fatto quasi allo stesso modo la Germania e la Grecia. La situazione è cambiata drammaticamente. Il problema è che «questi processi di "riprezzamento" in realtà non avvengono in modo armonioso e ordinato. Spesso c'è un incremento sproporzionato. Queste oscillazioni eccessive potrebbero causare danni permanenti se non vengono contrastate». Avere mercati dei titoli di stato ben funzionanti è fondamentale perché servono a garantire un corretto trasferimento delle decisioni della Bce sui tassi di interesse all'economia in generale. Comprare titoli di stato, come sta facendo ora la Bce, non ha lo scopo di garantire finanziamenti a buon mercato ai governi, ma di mantenere sotto controllo le dinamiche della politica dei tassi, e di garantire il buon funzionamento dei mercati. «Quando la Bce opera su questi mercati non fa finanziamento monetario, fa politica monetaria – dice, ma poi sottolinea – quello che fa la Bce è temporaneo e strettamente legato al cattivo funzionamento di certi mercati». Seguendo un ragionamento analogo, Draghi afferma che la Bce deve trovare un modo per risolvere il problema delle banche "drogate", cioè quegli istituti di credito che dal momento del fallimento della banca d'affari americana Lehman Brothers, nel settembre del 2008, fanno affidamento sulla liquidità illimitata garantita dalla Bce. Non è chiaro quante siano queste banche "drogate" che non riescono a trovare fonti di approvvigionamento alternative, ma i dati sull'utilizzo della liquidità della Bce sembrano indicare che a Francoforte sono molto preoccupati. «Prima o poi», spiega Draghi, la Bce dovrà tornare al sistema delle aste per la liquidità. Il rischio è che queste banche a quel punto facciano salire artificiosamente i tassi di interesse perché hanno un bisogno disperato di fondi, interferendo nuovamente con la politica monetaria. Gli analisti hanno suggerito un sistema di liquidità a due livelli, con misure particolari per le banche in difficoltà. Senza entrare nei particolari, Draghi dice che sono in discussione «proposte concrete». «Vogliamo essere assolutamente certi che la nostra politica monetaria non sia inquinata dalle richieste delle banche in questione». Come presidente del Financial stability board (e in precedenza alto dirigente della banca d'affari americana Goldman Sachs, dal 2002 al 2005), Draghi conosce benissimo il sistema bancario. A livello globale, dice, «Dobbiamo avere una trasformazione culturale». È un processo già iniziato, «ma deve continuare». In passato c'è stato un «grave squilibrio degli incentivi» e un'errata valutazione dei rischi insiti nei prodotti creditizi, con le persone responsabili di questi errori «che si autoretribuivano in modo eccessivamente munifico». Per quanto riguarda l'eurozona, durante l'intervista prolungatasi per un'ora, Draghi ha insistito ripetutamente sull'iniziativa dei governi e ha detto che sarebbe favorevole a una maggiore integrazione dei bilanci, come complemento all'unione monetaria. Ma ha aggiunto di non sapere se sarà possibile. «Si comincia con un gruppo di paesi che decidono di avere un'unica moneta, e che pensano che tutto il resto possa rimanere così com'è. Poi scoprono che non può rimanere così com'è, e allora stabiliscono delle regole e cercano di vincolarsi a un comportamento uniforme attraverso di esse. Poi, se scoprono che le regole non bastano, devono trovare un modo per rafforzare il coordinamento politico, e magari introdurre nuove regole per vincolarsi ancora di più». La Ue sta facendo «progressi positivi» in questa direzione, dice, ma la destinazione ultima sarà decisa dai politici, non dai governatori delle banche centrali. «Gli stati saranno disposti a rinunciare alla sovranità nazionale sui loro bilanci? Gli stati saranno pronti a interessarsi dei problemi di altri stati, e tassare i loro cittadini per risolvere questi problemi?». Per adesso, la Ue prosegue faticosamente nel tentativo di contenere la crisi finanziaria. Draghi, però, resta cautamente ottimista. Trae ispirazione dal suo percorso italiano vent'anni fa e dall'esperienza tedesca seguita al lancio dell'unione monetaria nel 1999, che ha lasciato il paese con un tasso di cambio sopravvalutato. «La recente ristrutturazione della Germania e la sua reazione alla crisi rappresentano un modello per varie ragioni». Ma data la gravità della crisi nell'eurozona e l'entità dei problemi fiscali ed economici che devono affrontare paesi come la Grecia, è ragionevole aspettarsi una svolta di tipo tedesco in grado di cambiare l'umore sui mercati finanziari? Anche in questo caso, Draghi guarda indietro alle turbolenze dei primi anni 90. «In tutte queste crisi, a una prima occhiata si vede un profilo finanziario che sembra molto difficile da gestire. L'attenzione si concentra sulle scadenze, gli spread, i tassi d'interesse e altri fattori di questo tipo. A mio avviso, la realtà dimostra che se si concede un tempo sufficiente, pretendendo una reazione nazionale seria e rigorosa, qualsiasi paese può superare la crisi e vincere la sfida. L'idea che si possa risolvere rapidamente una crisi finanziaria per me non ha senso». L'altra realtà è che, a tre anni e mezzo dall'esplosione della crisi finanziaria, bisogna prepararsi ad altri shock. Si sono combattute le battaglie, ma è troppo presto per una cessazione delle ostilità e, a maggior ragione, per una dichiarazione di vittoria. Lo dice anche Draghi: «È una guerra lunga».
Giuliano Amato: considerazioni sulla crisi (12 dicembre 2010).
Scriveva l'Economist della scorsa settimana che ci sono vicende nelle quali l'impensabile comincia ad apparire inevitabile. Fino a qualche tempo fa, erano solo gli euroscettici più incalliti a sostenere che l'uno o l'altro dei paesi deboli dell'eurozona avrebbe finito per non pagare i suoi debiti e che l'euro non sarebbe sopravvissuto alle conseguenti turbolenze. Ora, entrambe le eventualità sono entrate nella discussione pubblica e da giorni leggiamo pagine e pagine sui paesi che potrebbero alzare bandiera bianca, sui modi, intricati ma secondo alcuni non impossibili, per farli uscire dall'euro, sulla desiderabile forza e bellezza di un euro finalmente nibelungo o poco più. E' interessante notare le seguenti considerazioni espresse da Giulano Amato "Seguo come tutti queste discussioni e devo dire che non mi sembrano affatto campate in aria, così come non mi sembra facile imputare alla solita irrazionalità dei mercati le impennate degli spread che tanto mettono in difficoltà i paesi più fragili. Quello che in realtà sta accadendo è che sempre più si diffonde la convinzione che gli strumenti sin qui predisposti per prevenire possibili default sono inadeguati e che, di conseguenza, l'euro potrebbe trovarsi davanti a scenari sino ad ora mai messi nel conto. Né una convinzione del genere è espressa soltanto dagli operatori di mercato, innervositi dalla enorme quantità dei bond pubblici che sono chiamati a coprire, avendo alle spalle una garanzia degli stati membri che gli stati stessi devono di volta in volta ribadire. Sono anche altri a esprimere sempre più la stessa convinzione con argomenti, per di più, che vanno oltre tecnicalità finanziarie più o meno farraginose e quindi più o meno migliorabili. Impressiona leggere analisti conservatori come sono quelli del Wall Street Journal e prestigiosi esponenti della cultura e della politica laburista come Stuart Holland, che battono all'unisono su un medesimo punto. Se continuiamo così - ci viene detto numeri alla mano - nei paesi più fragili il debito continuerà a presentare un conto che ogni anno crescerà di più del sempre più esangue reddito nazionale. Il "programma irlandese", perciò, serve soltanto a far rotolare il problema un po' più in là, ma già si scrive negli uffici studi delle banche che l'Irlanda è di fatto insolvente, che lo è anche la Grecia e che sta per diventarlo lo stesso Portogallo. Siamo dunque davanti a bancarotte statali inevitabili, così come inevitabile sarà il naufragio dell'euro nel mare di tali bancarotte? Chi ha sempre sostenuto che una moneta unica ha senso solo in un contesto politico integrato dice a questo punto che per evitare l'inevitabile occorre dar vita finalmente alla federazione politica europea. È difficile dar torto a questa posizione e di certo non sarò io a farlo, ma è giocoforza notare che una tale soluzione, nel contesto europeo attuale, appare a dir poco lontana. Altri hanno fatto proposte che non arrivano a quel punto, ma impongono di fare a breve qualche passo d'integrazione in più. Sono le proposte di cui più volte abbiamo parlato anche qui e che vanno dall'assorbimento di una parte dei debiti nazionali in eurobond (come tali più forti dei bond nazionali e fonte per ciò stesso d'interessi più contenuti), all'avvio di politiche comuni per la crescita, che aiutino i paesi più inguaiati ad aumentare le risorse per pagare quanto devono.
Una luce si è accesa per i fautori di queste proposte, quando giorni fa a lanciare gli eurobond sul Financial Times sono stati insieme il presidente dell'Ecofin Jean-Claude Juncker e il nostro Giulio Tremonti. Ma la luce l'hanno spenta venerdì a Francoforte Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, che hanno detto seccamente di no, convinti che per uscire dalla crisi basta quello che stiamo facendo. L'impensabile diventerà allora inevitabile? O potrebbero aver ragione Merkel e Sarkozy? Gli argomenti più articolati a sostegno della tesi che l'impensabile non è affatto inevitabile li ha svolti Mario Draghi nell'intervista che proprio venerdì (10 dicembre 2010) è apparsa sempre sul Financial Times e sul Sole 24 Ore. In questa, come in altre occasioni, il nostro governatore ha ricordato l'esperienza che vivemmo insieme nel '92, quando fronteggiammo una crisi senza precedenti, con mercati riottosi e spread da capogiro. Eppure ne uscimmo - ricorda Draghi - senza ricorso al Fondo monetario, senza aiuti europei e solo grazie al rigore finanziario, ad appropriate riforme strutturali e a un'intensa politica di privatizzazioni, che arrivò a un totale prossimo al 10% del Pil italiano. Gli eurobond potrebbero anche servire - è la sua conclusione - ma non è facile farli, mentre chi si dà regole serie e dimostra di seguirle e di riformare ciò che va riformato, riacquista la fiducia dei mercati, torna ad attrarre investimenti e ce la fa. Come potrei non simpatizzare con una conclusione del genere, appoggiata com'è a una esperienza da me condivisa? Proprio per questo, però, una cosa la devo aggiungere e cioè che a spiegare il nostro successo di allora concorse una ragione ulteriore: la svalutazione della lira, accompagnata da una rigida politica dei redditi e in primis del costo del lavoro, che consentì alle esportazioni italiane di avvalersi dei maggiori margini offerti dalla stessa svalutazione, senza incrementi dei costi interni. L'economia ne fu tonificata e ci facilitò ovviamente nel fronteggiare poi il servizio del debito. Io confido molto, perciò, nelle prescrizioni di Mario Draghi e sono certo che la Grecia che uscirà dalle cure di George Papandreou sarà comunque migliore e più affidabile di quella che aveva una spesa pubblica senza freni e che per questo si era cacciata nei guai. Allo stesso modo potrà essere migliore e più affidabile l'Irlanda, che certo è stata sbilanciata dall'immenso debito assorbito per salvare le sue banche, ma che anche indipendentemente da ciò aveva costruito la sua fortuna più sulle bolle che su una solida economia reale. Tuttavia, non dovremmo disporre per loro di qualcosa che equivalga alla svalutazione di cui si poté avvalere allora l'Italia, a evitare insieme il loro soffocamento e la disgregazione della zona euro? Parliamoci chiaro. Oggi c'è chi punta a un tale sgretolamento, non necessariamente per sfasciare tutto, ma per arrivare all'euro forte dei pochi, attorniato, se gli altri ci riescono, dall'euro debole dei più. Sarebbe un male per l'Europa, come ha scritto Paul Krugman. E allora alla Merkel non diciamo sempre di sì, ma convinciamola che devono essere una priorità europea, se non gli eurobond per il debito, almeno le politiche e le risorse finanziarie per una crescita, che nello stesso interesse tedesco coinvolga anche chi deve destinare oggi a interessi il poco Pil che produce. O dobbiamo pensare che l'inevitabile è ciò che in effetti si vuole?"
OCSE: rapporto sull'euro (13 dicembre 2010).
Nella zona euro è in atto «una modesta ripresa» che resta tuttavia fragile, dopo la grave recessione e la successiva crisi del debito sovrano di alcuni Paesi che sono state «il primo, grande test di robustezza per l'area». L'euro si è comunque ben comportato e l'Eurozona, nel suo insieme, ha evitato alcuni dei peggiori eccessi della crisi finanziaria, mostrando una buona resistenza. Ora vi sono segnali incoraggianti di rafforzamento della domanda interna e le condizioni finanziarie sono migliorate. Tuttavia, «gli squilibri economici, finanziari e fiscali nei singoli Paesi membri hanno ostacolato un funzionamento efficiente dell'unione monetaria e portato a una sua crescente vulnerabilità». Vanno pertanto affrontati con un mix di sane politiche di bilancio, di strumenti macroprudenziali e di riforme strutturali. È partendo da queste considerazioni che l'Ocse rivolge alla zona euro una lunga lista di raccomandazioni nel rapporto sulla politica economica dell'area, diffuso oggi a due anni di distanza dal precedente. Con un avvertimento: riportare all'equilibrio economie che soffrono di ampi squilibri, sarà un lavoro lungo e difficile. «L'immediata priorità» é l'avvio del consolidamento fiscale in tutti i paesi entro il 2011, anche se questo potrà frenare la crescita nel breve termine. Ripetere gli stress test sulle banche a intervalli regolari Tra le misure per stabilizzare e riparare il sistema finanziario, l'Ocse suggerisce di ripetere gli stress test sulle banche a intervalli regolari, di introdurre in tutti i Paesi strumenti che permettano di affrontare in modo ordinato ed efficiente le crisi finanziarie e tali da «assicurare che i costi dei fallimenti bancari ricadano il più possibile su azionisti e creditori». L'Organizzazione sottolinea che «nonostante il massiccio sostegno pubblico, la salute del settore bancario europeo resta il rischio-chiave per la ripresa», dopo gli eccessi degli anni del boom. È dunque necessaria una maggiore sorveglianza e supervisione del sistema bancario, anche con un efficace sistema 'cross border', così come una normativa più stringente. Il tutto ai fini di ridurre il rischio sistemico. Bene Basilea III, ma andrebbe accelerata Positiva l'introduzione di Basilea III (ma secondo l'Ocse "si dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di accelerare la sua completa entrata in vigore") e ben venga l'European Banking Authority che dovrebbe avere sufficienti poteri e risorse per assicurare la coerenza e l'efficacia dei sistemi nazionali di supervisione. A livello generale, va rafforzata la governance dell'area euro, con un maggiore coordinamento tra le politiche nazionali e con la creazione anche di un meccanismo permanente di risoluzione delle crisi, il cui intervento e sostegno preveda condizioni stringenti, che se non rispettate portino a un ritiro dell'aiuto. Considerando che la crisi risulterà probabilmente in una perdita del 3% dell'output potenziale, sia per il maggior costo del capitale, sia per un aumento della disoccupazione strutturale dell'area, l'Ocse consiglia di attuare una serie di riforme che limitino gli effetti di lungo termine della crisi e portino produttività e utilizzo del lavoro ai livelli dei 'top performer' dell'area Ocse. Vanno in primis allentate le norme che hanno effetti restrittivi sui mercati dei prodotti e del lavoro e va aumentata la concorrenza nelle industrie di rete. Benefici sul Pil, da aumento età pensionabile e riduzione tasse su redditi anziani Un considerevole contributo all'aumento del Pil pro capite (+0,5%-1%) potrà venire dall'aumento dell'età di pensionamento e dalla riduzione della tassazione del reddito dei lavoratori più anziani. Le riforme potrebbero anche portare a riduzione di salari e dei prezzi, che in alcuni casi potranno rivelarsi "inevitabili" per spostare le risorse dai settori interni diventati troppo grandi negli anni del boom e per aumentare la competitività all'export. L'impossibilità di ricorrere a svalutazioni della moneta, richiede in effetti "considerevole moderazione dei prezzi e dei salari nei Paesi con deficit" delle partite correnti. Sarebbero «particolarmente efficaci le riforme che riducono la 'viscosita" di prezzi e salari, considerando le barriere relativamente elevate che in molti Paesi ostacolano l'aggiustamento». Tra queste l'Ocse elenca le norme stringenti di protezione del lavoro, l'elevata copertura da accordi collettivi tra sindacati e aziende e le normative restrittive del mercato dei prodotti. Le riforme contribuirebbero a frenare l'aumento della disoccupazione strutturale e il calo della partecipazione al lavoro. Conti pubblici, accelerare su riduzione debito/pil Tra le priorità per le finanze pubbliche, l'Ocse indica che il consolidamento dovrebbe privilegiare la riduzione della spesa pubblica e la riduzione del rapporto debito/Pil dovrebbe avvenire a "un ritmo sostenuto" in modo che in tutti i Paesi non vada oltre al 60% del Pil. Un obiettivo che "richiederà ad alcuni Paesi uno sforzo prolungato". Va inoltre rafforzata l'applicazione dei vincoli di bilancio europei, con l'introduzione sistematica di sanzioni. Sul fronte monetario, lo stimolo andrebbe ritirato non appena emergessero pressioni inflative, così come deve continuare il ritiro delle misure non standard, restando tuttavia pronti a reagire se si materializzano rischi nel settore finanziario. Vanno tenuti d'occhio anche fattori quali i prezzi dei beni immobiliari che potrebbero avere rischi di lungo termine, ricordando però che la politica monetaria «è uno strumento spuntato per sgonfiare le bolle, se non ai margini» e che invece servono politiche macro-prudenziali. Politica monetaria e consolidamento fiscale La politica monetaria può restare accomodante più a lungo, se il consolidamento fiscale, viene avviato come previsto e se emergono pressioni deflazionistiche. Tuttavia, va monitorato il rischio di distorsioni sui mercati finanziari che potrebbero emergere se i tassi restano bassi per un periodo prolungato. Tornando alle banche, infine, anche se i risultati sono migliorati, così come le situazioni patrimoniali, «è improbabile che abbiano ripulito i loro bilanci di tutti gli asset deboli e continueranno a soffrire perdite per il protrarsi delle ricadute della recessione». La possibilità di nuove svalutazioni è elevata e probabilmente saranno necessari rafforzamenti patrimoniali per assicurare che la provvista di credito sia adeguata.
Lo spesometro: dal 2011 spesa con il codice fiscale (14 dicembre 2010).
Uno «spesometro» a due vie, che per imprese e operatori economici rappresenterà la versione semplificata dell'elenco clienti-fornitori abolito nel 2008, ma per gli altri cittadini intende rappresentare una finestra aperta su tutti i consumi significativi. Il nuovo strumento, su cui l'amministrazione finanziaria sta lavorando per attuare le previsioni della manovra d'estate, vedrà le prime comunicazioni ufficiali solo dall'autunno 2011, ma già dalla metà del prossimo anno dovrebbe imbarcare tutti i contribuenti che effettuano acquisti superiori a 3.500 euro. Spese e prestazioni di cui il fisco chiederà conto a professionisti, artigiani e commercianti domandando loro di inviargli i dati, magari indicati negli scontrini fiscali, relativi a chi acquista. Il censimento Secondo il calendario ipotizzato dai tecnici dell'agenzia delle Entrate, il debutto ufficiale della nuova comunicazione unica avverrà entro la fine di ottobre 2011, quando imprese e intermediari dovranno mandare al fisco i dati sulle vendite di beni o le prestazioni di servizi che avvengono in ambito business; il primo monitoraggio sugli acquisti effettuati dai consumatori finali dovrebbe invece scattare a maggio 2012, e riguardare le operazioni effettuate nel 2011, escludendo quindi le puntate nei negozi in queste ultime settimane dell'anno. Il censimento, che nelle intenzioni dell'amministrazione finanziaria non può deragliare dai binari della semplificazione, sarà una comunicazione unica, in via telematica, su tutte le operazioni rilevanti avvenute nel corso dell'anno precedente. Per essere considerate «rilevanti», le operazioni 2010 (dunque solo quelle fra imprese) dovranno superare una soglia ancora da fissare, ma comunque molto superiore a quella minima da 3mila euro indicata dalla manovra correttiva, mentre nel 2011 per entrare nel censimento sarà sufficiente superare i 3.500 euro. Gli obblighi Le date lontane in cui è prevista la comunicazione telematica, però, non devono ingannare, perché la raccolta di informazioni deve cominciare molto prima: per le attività tra imprese l'avvio sarà praticamente immediato (il provvedimento del direttore dell'agenzia dovrebbe arrivare in settimana), mentre per quelle che riguardano i consumatori l'avvio sarà a metà 2011 (anche se è possibile un periodo-finestra di qualche mese). È questo l'aspetto che interessa più da vicino i contribuenti: quando si effettuerà un acquisto superiore a 3.500 euro, insieme all'importo bisognerà fornire al venditore il proprio codice fiscale, che il commerciante o l'impresa provvederanno poi a comunicare al fisco. I nodi applicativi Il meccanismo ricorda da vicino lo «scontrino parlante» che si usa per ottenere le detrazioni fiscali sui farmaci, con una differenza fondamentale: lo scontrino stampato in farmacia finisce nelle mani del contribuente, che lo allega alla dichiarazione per ottenere lo sconto Irpef. Con lo «spesometro», invece, il dato rimane nelle mani del venditore, e bisognerà vedere in che modo si supereranno gli importanti problemi di privacy che un sistema del genere comporta. Il provvedimento del direttore dell'Agenzia dovrà anche risolvere la questione degli acquisti a rate, in cui al debutto si paga solo l'acconto. È probabile che il valore per considerare rilevante o meno l'operazione sia quello complessivo, ma sarà necessario introdurre una serie di strumenti per evitare frazionamenti che nascano solo per dribblare il censimento.
BCE: aumento di capitale (16 dicembre 2010).
Il consiglio direttivo della Banca centrale europea ha deciso di aumentare il capitale dell'istituto di 5 miliardi, portandolo a 10,76 miliardi dai 5,76 attuali con effetto a partire dal 29 dicembre. Lo comunica la Bce in una nota, citando "l'aumentata volatilità del rischio di credito» così come dei tassi, dei cambi e dei prezzi dell'oro". La notizia era stata anticipata nei giorni scorsi da indiscrezioni stampa in cui si era fatto riferimento soprattutto ai rischi legati ai consistenti acquisti di titoli di Stato dei paesi a rischio come Grecia, Irlanda, Spagna e Portogallo. Proprio recentemente peraltro Moody's ha annunciato la revisione del rating della Spagna. Raddoppia il capitale sociale Il capitale sociale dell'Eurotower è attualmente pari a 5,76 miliardi di euro (e sale così a 10,76 miliardi di euro) a fronte di attivi pari a 138 miliardi. In questi mesi ha sborsato 72 miliardi di euro per i piani di acquisto di titoli di Stato dei paesi più a rischio dell'Eurozona. In una recente intervista al Financial Times il governatore della Banca d'Italia e presidente del Financial stability board Mario Draghi aveva messo in guardia dai rischi legati a questa politica. «Bisogna fare molta attenzione - dice - a stabilire le condizioni per effettuare questi acquisti, perché sono perfettamente consapevole che esiste il rischio concreto di passare il segno e perdere tutto quello che abbiamo, perdere l'indipendenza e sostanzialmente violare il trattato europeo». La Banca d'Italia contribuirà con 624,8 milioni di euro Il contributo delle 16 banche centrali dei paesi dell'Eurozona sarà pari a 7,51 miliardi, gli altri 3,25 miliardi arriveranno dalle altre 11 banche centrali dell'Unione europea che però non aderiscono all'Eurozona. La Banca di Italia fa sapere in una nota che contribuirà con 624,8 milioni di euro all'aumento di capitale della Bce. La quota di capitale detenuta da via Nazionale è pari al 12,496%. Prima della decisione di oggi il capitale sottoscritto e versato da Bankitalia risultava pari a 719.885.688 di euro. Post-aumento, 29 dicembre 2010, il capitale sottoscritto salirà a 1.344.715.688 euro. Stretta sui titoli tossici usati come collaterali dalle banche Parallelamente la Bce ha comunque ha annunciato una stretta sugli «abs» (Asset backed securities) i titoli garantiti da prestiti e altre attività finanziarie che la Banca centrale europea accettava come garanzia per la liquidità che fornisce alle banche. La Bce - informa una nota - ha deciso infatti di «stabilire requisiti informativi "prestito su prestito"» per quanto riguarda le attività impacchettate all'interno degli «Abs». Le nuove regole entreranno in vigore nei prossimi 18 mesi, a partire dai titoli garantiti da mutui e poi gradualmente per gli altri «Abs». Gli "asset backed securities" fanno parte della famiglia dei titoli tossici, quelli che hanno dato il via alla crisi dei mutui subprime. Per arginare la crisi di liquidità innescata dal crack della banca americana Lehman Brothers, la Bce iniziò a immettere liquidità nel sistema accettando come "collaterale" (cioè garanzia) quegli stessi titoli tossici che nessuno voleva sul mercato. Con la stretta decisa oggi l'Eurotower pone una sorta di argine.
Confindustria: vede al ribasso le previsioni sul Pil (16 dicembre 2010).
Il Centro studi di Confindustria rivede al ribasso le stime sul Pil. Il Prodotto interno lordo nel 2010 crescerà dell'1% (stima di settembre +1,2%), nel 2011 dell'1,1% (stima di settembre +1,3%) e nel 2012 dell'1,3 per cento. La revisione al ribasso, rileva il CsC nei nuovi scenari economici, «incorpora il rallentamento più forte di quanto atteso». Secondo il CsC «l'Italia delude. La frenata estiva e autunnale é stata decisamente più netta dell'attesa e il 2010 si chiude con produzione industriale e Pil quasi stagnanti. La malattia della lenta crescita non é mai stata vinta, come la migliorata dinamica della produttività nel 2006 e nel 2007 aveva lasciato sperare. Il comportamento durante la crisi ha dissipato ogni dubbio al riguardo». L'Italia «ancora una volta rimane indietro» e «il confronto con la Germania é impietoso». La presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia ha ribadito oggi che «siamo in una situazione di incertezza politica, con il governo che ha avuto la fiducia ma che adesso deve trovare la maggioranza per fare le riforme e non solo iniziative per il contenimento del debito pubblico. Se sprechiamo anche i prossimi mesi, per il paese è un serio rischio». Disoccupazione al 9% nel 2011, tornerà a scendere solo nel 2012 Con la crisi, dal primo trimestre 2008 al terzo trimestre 2010, il numero di occupati in Italia è diminuito di 540mila unità, senza contare le ore di Cig che hanno un impatto pari a 480mila unità di lavoro. Lo calcola il centro studi di Confindustria, stimando che «il numero delle persone occupate continuerà a diminuire nel 2011», con un calo atteso dello 0,4%. Il tasso di disoccupazione toccherà il 9% nel quarto trimestre 2011, e «inizierà a scendere molto gradualmente nel corso del 2012». Il numero dei disoccupati è ad ottobre 2010 (2,167 milioni) «più del doppio rispetto ad aprile 2007. Si tornerà a livelli prerecessivi solo nel 2015 Con la crisi «la contrazione economica è stata violenta: -6,8% il Pil da massimo a minimo, 35 trimestri perduti». Lo sottolinea il Centro studi di Confindustria sottolineando che «il recupero si dimostra indeciso e lentissimo: +1,5% finora». Così, spiegano gli economisti di via dell'Astronomia nel rapporto di autunno, «non si ritornerà sui valori prerecessivi che nella primavera del 2015. Per riagguantare entro la fine del 2020 il livello del trend, peraltro modesto, registrato tra 2000 e 2007, l'Italia dovrebbe procedere d'ora in poi ad almeno il 2% annuo». Un obiettivo «raggiungibile in un arco di tempo ragionevole, come insegna la lezione tedesca, entro il 2012 secondo gli stessi documenti governativi». Ma «per coglierlo gli strumenti messi in campo appaiono insufficienti». Perché il rapporto debito-Pil è la variabile più importante? E perché, quindi, la crescita è il fattore critico per la sostenibilità del debito pubblico? Quando chiediamo un mutuo o un prestito, la banca accerta la nostra capacità di rimborsarlo sulla base dei nostri redditi da lavoro, sia correnti che futuri. Solo questi ultimi, infatti, possono generare i risparmi necessari a ripagare il debito contratto. Così, per uno stato, i redditi correnti e futuri, cioè il gettito fiscale al netto della spesa pubblica, sono la migliore garanzia per la sostenibilità del debito pubblico. Anche le garanzie collaterali, come la casa di proprietà, o altri patrimoni, sono importanti, perché possono essere appropriati dal creditore in caso di bancarotta. Ma, per il debito pubblico, la garanzia del patrimonio pubblico è meno importante, perché non è semplice alienarlo, e raramente esso consente di abbattere il debito in modo consistente. Dunque, il contenimento del nostro debito pubblico dipende crucialmente dalla capacità dei nostri governi di ridurre la spesa pubblica e aumentare il gettito fiscale. A loro volta, queste grandezze possono essere modificate solo grazie alla crescita economica. Gran parte delle tasse dipendono proprio da quanto l'economia produce in un anno, cioè dal Pil. Se il Pil cresce, crescono anche le entrate tributarie e si riducono le spese per gli ammortizzatori sociali. Se i cittadini lavorano di più e più a lungo, aumentano i contributi previdenziali e si riducono i trasferimenti pensionistici. L'Italia è un paese dove la pressione fiscale è già molto elevata. Un aumento del gettito non potrà quindi derivare da una crescita delle aliquote. Se queste cresceranno ancora, aumenterà l'evasione, si contrarrà il reddito, e, probabilmente, le entrate non aumenteranno. Se l'aliquota fiscale fosse del 100%, nessuno lavorerebbe e le entrate fiscali sarebbero nulle. Nell'aritmetica della sostenibilità del rapporto debito-Pil sono quindi importanti gli avanzi correnti e futuri che sapremo generare, ma anche il fattore "g", crescita del Pil, e il fattore "i", tasso d'interesse sul debito. Se il fattore "g" è superiore al fattore "i", allora un rapporto debito-Pil del 120% è sostenibile, cioè si può ripagare, anche se si mantiene un rapporto deficit-Pil costante nel tempo. Con un deficit-Pil del 3%, il fattore crescita deve superare il costo del debito del 2,5% ogni anno. Se, invece, il fattore "g" è inferiore a "i", cominciano i problemi, perché il rapporto debito-Pil diventa sostenibile solo se riusciremo a generare degli avanzi di bilancio. Con una crescita reale dell'1% all'anno, e con un costo medio reale del debito del 3% all'anno, un rapporto debito-Pil del 120% è sostenibile solo con un avanzo primario pari al 2,4% del Pil. Ma il rapporto deficit-Pil, il fattore "g" e il fattore "i" non sono indipendenti fra loro. Se un paese cresce molto, i mercati danno poco credito alla possibilità di un default. In tal caso, si riduce il costo del debito e diminuisce il disavanzo. Anche nelle alienazioni del patrimonio pubblico, come le privatizzazioni, non è tanto importante il gettito immediato, quanto, piuttosto, la possibilità di aumentare l'efficienza produttiva e la concorrenza sui mercati. Cioè, di nuovo, il fattore "g". Una tassa sul patrimonio finanziario delle famiglie, invece, non aumenta la crescita e determina una fuga del risparmio dagli impieghi interni. Proprio il contrario di ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento. Per stare tranquilli con il nostro debito e con i mercati, l'unica strada è la crescita.
ISTAT: inflazione stabile (16 dicembre 2010).
L'inflazione in Italia a novembre è rimasta stabile registrando un aumento dell'1,7%, lo stesso segnato a ottobre. Lo comunica l'Istat confermando le stime provvisorie. Su base mensile l'indice dei prezzi al consumo è risultato invariato. «Dopo essere salito ad ottobre all'1,7%, a novembre il tasso di inflazione, misurato sulla base dell'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività, si è stabilizzato», spiega l'Istat. Inflazione nel 2010 L'inflazione acquisita per il 2010, ovvero quella che si avrebbe ipotizzando che l'indice stesso rimanga al medesimo livello, è pari al +1,5%. Al netto della componente energetica e degli alimentari freschi (tasso di fondo), il tasso tendenziale di crescita dei prezzi è risultato pari all'1,5%, lo stesso valore registrato a ottobre. Quanto all'indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca), che tiene conto anche delle riduzioni temporanee di prezzo come saldi e promozioni, ha registrato una variazione nulla sul piano congiunturale mentre è aumentato del 1,9% in termini tendenziali (dati rivisti al rialzo rispetto alle stime provvisorie). Aumentano i prezzi delle comunicazioni, giù la ristorazione Guardando ai diversi capitoli di spesa, nel mese di novembre gli aumenti congiunturali più significativi sono stati rilevati per comunicazioni (+0,7%), abitazione, acqua, elettricità e combustibili (+0,4%) e ricreazione, spettacoli e cultura (+0,2%); variazioni congiunturali negative si sono verificate nei capitoli servizi ricettivi e di ristorazione (-1%) e trasporti (-0,1%). Gli aumenti tendenziali più elevati si sono registrati per bevande alcoliche e tabacchi (+3,9%) e trasporti (+3,3%). Un calo si è, invece, verificato per le comunicazioni (-1,6%). Riguardo alle venti città capoluogo di regione, i rialzi annui più elevati si sono verificati nelle città di Aosta (+3,6%), Napoli (+2,3%) e Bari (+2,2%); le variazioni più moderate hanno interessato Potenza (+1,2%), Palermo (+1,3%) e Torino, Campobasso e Cagliari (per tutte e tre +1,4%).
Spagna: si allarga lo spread (16 dicembre 2010).
La Spagna ha collocato oggi titoli di Stato a 10 e 15 anni per 2,401 miliardi di euro, a metà della forbice di 2-3 miliardi preventivata dal governo iberico. Secondo quanto reso noto dal ministero dell'Economia spagnolo, la domanda dei mercati per i bond governativi é stata solida, con richieste per 4,544 miliardi di euro. Per il bond a 10 anni, il Tesoro ha raccolto 1,782 miliardi al tasso medio del 5,446%, in deciso rialzo rispetto all'asta del 18 novembre scorso (4,615%), ma in linea con la chiusura di ieri (5,452%). Per le obbligazioni a 15 anni, il governo ha invece collocato titoli per 619 milioni di euro al tasso medio del 5,953% contro 4,541% del 21 ottobre scorso. Anche in questo caso tuttavia il tasso é in linea, anzi leggermente al di sotto, dei valori di chiusura di ieri (5,984%). I risultati delle aste sono stati accolti positivamente dalla Borsa di Madrid che rimane in territorio positivo; d'altra parte lo spread rispetto ai bund tedeschi è molto alto. L'asta arriva all'indomani dell'annuncio dell'agenza di rating Moody's di mettere in revisione il rating Aa1 della Spagna per un possibile ulteriore taglio dopo quello di fine settembre, quando Moody's ha tolto la tripla A al giudizio sulla solvibilità del debito del paese iberico.
UE: via libera al decreto salva stati (17 dicembre 2010).
Raggiunto a Bruxelles l'accordo per modificare il Trattato europeo di Lisbona inserendo il testo per poter creare un meccanismo di intervento permanente anti-crisi a favore degli stati dell'unione monetaria. Al Consiglio europeo partecipavano i capi di Stato e di governo dell'Ue e il presidente della Commissione José Manuel Barroso, sotto la presidenza di Herman Van Rompuy. Lo hanno indicato fonti diplomatiche europee. Stando alle stesse fonti, l'accordo prevede che il testo da inserire nel Trattato Ue abbia un riferimento alla «indispensabilità» del ricorso al fondo anti-crisi in relazione alla stabilità finanziaria dell'unione monetaria. In sostanza, ci si riferisce alla possibilità di attivare il meccanismo permanente anti-crisi «se indispensabile a salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme». Nell'ultima bozza portata al tavolo dei Ventisette il riferimento all'indispensabilità non c'era. È stata la Germania a chiedere che l'idea dell'intervento «in ultima istanza» apparisse in qualche forma nel testo da inserire nel Trattato.
In definitiva, il testo concordato indica che «gli stati membri della zona euro sono autorizzati a stabilire un meccanismo di stabilità che sarà attivato se ciò si renderà indispensabile per garantire la stabilità della zona euro nel suo insieme. L'accesso all'assistenza finanziaria nel quadro del meccanismo sarà sottoposto a una stretta condizionalità». Si tratta della condizionalità relativa alle misure di consolidamento del bilancio e di riforma strutturale dell'economia che comporta l'accesso ai prestiti.
In compenso, per non smetirsi troppo sull'attitudine a marciare uniti e divisi allo stesso tempo, i leader dei 27 restano di opinioni contrapposte sull'idea di emettere eurobond. La questione, a quanto si è appreso, è stata sollevata nel corso della cena di lavoro dei capi di Stato e di governo dell'Ue, ma «non ha raccolto consensi». «Spero che avremo un bianco Natale ma non spero che questa sarà una notte in bianco». Era stata questa la battuta scaramantica con cui Van Rompuy aveva sdrammatizzato, nel suo intervento in apertura del vertice, le ipotesi di discussioni notturne. I leader dei Ventisette avevano sul tavolo un solo, crucialissimo, punto: l'approvazione di un emendamento "limitato" all'articolo 136 del Trattato di Lisbona sul funzionamento dell'Ue, necessario (secondo la Germania che lo ha preteso) per poter predisporre il futuro "Meccanismo europeo di stabilità" (Esm), ovvero il sistema permanente di risoluzione delle crisi che sostituirà dal giugno 2013 l'attuale Fondo temporaneo di stabilizzazione dell'Eurozona (European Financial Stability Facility o Efsf) da 440 miliardi di euro. La discussione fra i Ventisette si è focalizzata sulla richiesta tedesca di due condizioni per evitare che si abusi del futuro Esm: da una parte, prevedendo esplicitamente che il ricorso al meccanismo sarà possibile solo come estrema risorsa (o "ultima istanza", come dicono i tedeschi) per i paesi dell'Eurozona altrimenti a rischio di 'default'; dall'altra, assicurandosi che tutte le decisioni per attivare il meccanismo siano prese all'unanimità (ma questo porrebbe il problema del veto) dagli Stati membri che ne faranno parte. Per fare un esempio, la "facility" temporanea che scade a metà 2013 e viene usata per la prima volta per salvare l'Irlanda richiede il voto unanime. La modifica "limitata" del Trattato sul funzionamento dell'Ue (ma solo della sua terza parte, relativa alle politiche e azioni interne dell'Unione) è resa possibile dalla "procedura di revisione semplificata'' prevista dall'art.48, par.6 dell'altro Trattato, quello che istituisce l'Ue. A differenza delle revisioni ordinarie, la revisione semplificata viene attivata in base a una decisione unanime del Consiglio europeo, senza la convocazione di una conferenza intergovernativa, e dovrebbe consentire passaggi rapidi di ratifica parlamentare in tutti i gli Stati membri, evitando il ricorso (soprattutto in Irlanda e in Danimarca) al referendum, che è sempre un rischio, come insegna la travagliata vicenda del Trattato di Lisbona. La decisione del Consiglio europeo consentirà di sottoporre la modifica del Trattato al parere consultivo della Commissione europea, dell'Europarlamento e della Bce, (come prevede sempre l'art.48). L'emedamento dell'art.136 verrà quindi approvato ufficialmente dal Consiglio europeo di marzo 2011, ciò che darà il via alle ratifiche da parte degli Stati membri, da concludersi entro il primo gennaio 2013.
ISTAT: aumenta il fatturato dell'industria (17 dicembre 2010).
Il fatturato dell'industria italiana ha registrato a ottobre un aumento dell'1% rispetto a settembre e del 13,3% rispetto allo stesso mese del 2009 (+9,8% dato grezzo). Lo rende noto l'Istat, aggiungendo che la crescita è stata trainata dai mercati esteri. Il fatturato su base congiunturale è, infatti, aumentato dello 0,4% sul mercato interno e del 2,4% su quello estero (dati destagionalizzati). Su base annua si è registrata una crescita del 9,7% sul mercato nazionale e del 22,4% su quello estero (dati corretti per gli effetti di calendario). Nel confronto tendenziale relativo al periodo gennaio-ottobre, l'indice del fatturato corretto per gli effetti di calendario ha segnato una crescita del 9,8%. Guardando ai raggruppamenti principali di industrie il fatturato ad ottobre, rispetto allo stesso mese del 2009, è aumentato del 17,9% per i beni intermedi, del 17,6% per l'energia, del 16,1% per i beni strumentali e del 4,9% per i beni di consumo. Quanto ai settori di attività economica le variazioni positive più ampie, sempre su base tendenziale, si sono rilevate per i settori della metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (+26,9%), della fabbricazione di macchinari e attrezzature (+21,8%), nelle fabbricazioni di prodotti chimici e delle industrie tessili, abbigliamento, peli e accessori (+19,8% in entrambi i casi).
Accordo governo regioni sul federalismo fiscale (17 dicembre 2010).
Regioni e governo hanno raggiunto, in Conferenza Unificata, l'intesa sul decreto sul federalismo fiscale regionale che contiene anche i costi standard sulla sanità. Nel testo dell'accordo siglato le Regioni, ritenendo «strategica l'attuazione della legge 42» sul federalismo, spiegano che «per le esigenze di finanziamento del trasporto pubblico locale, il Governo si impegna ad assicurare, in aggiunta ai 425 milioni di euro previsti dalla legge di stabilità, ulteriori 75 milioni di euro per il 2011». Gli impegni di governo e regioni Sempre per il trasporto pubblico locale, il governo si impegna, a fronte di un «completo adempimento da parte delle Regioni di quanto stabilito in materia di Fondo sociale europeo» a reintegrare i trasferimenti alle Regioni per un importo di 400 milioni di euro per il 2011. L'Esecutivo si impegna inoltre a escludere dal calcolo delle spese rilevanti ai fini del rispetto del Patto di stabilità interno per il 2011 le spese per il trasporto pubblico locale. Le Regioni si impegnano a mantenere l'accordo sulla Cigs sulla parte di loro competenza, ad adottare ogni iniziativa per contrastare il fenomeno dei falsi invalidi e a partecipare alla lotta contro l'evasione fiscale. Il Governo si impegna a prevedere dal 2012 la fiscalizzazione dei trasferimenti relativi al trasporto pubblico locale su ferro ed elimina i tagli previsti per il 2012 pari a circa 4 miliardi. Premi a chi rispetta il Patto di stabilità La revisione dei tagli pari a 4 miliardi per il 2012 e la fiscalizzazione dei trasferimenti relativi al trasporto pubblico locale avverrà solo nei confronti delle Regioni che rispettino il Patto di stabilità interno. Nell'allegato del documento siglato da Regioni e Governo vi sono delle proposte di modifica della legge di stabilità 2011. In particolare, le Regioni si fissano i criteri grazie ai quali possano considerarsi adempienti al patto di stabilità, e si dice che sono tali solo se procedono ad applicare una serie di prescrizioni: innanzitutto, impegnare spese correnti, al netto delle spese per la sanità in misura non superiore all' importo annuale minimo dei corrispondenti impegni effettuati nell'ultimo triennio. In secondo luogo non devono ricorrere all' indebitamento per gli investimenti. Infine, non devono procedere ad assunzioni di personale «a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione continuata e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto». I commenti dei governatori «Siamo solo all'inizio del percorso - ha detto il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani - abbiamo evitato una situazione gravissima, in particolare sul trasporto pubblico locale. Dopo un lungo e difficile lavoro è stato fatto un passo avanti e abbiamo stretto l'intesa ma la strada sarà impegnativa e richiederà risposte concrete e puntuali». «Una giornata positiva a coronamento di un semestre di grande impegno», commenta il presidente della Lombardia. «Dopo mesi di trattative - dice Roberto Formigoni - abbiamo finalmente superato il grave empasse che si era aperto fin dal mese di giugno tra lo Stato e le Regioni, causato dalla manovra finanziaria nazionale. Abbiamo fatto bene a tenere duro a non deflettere mai dalla difesa delle nostre ragioni e anche dalla volontà di dialogo e di raggiungere un accordo con il Governo». «L'accordo - precisa - è stato raggiunto sulla base della proposta formulata 15 giorni fa da Regione Lombardia, nota anche come lodo Colozzi e questo ci ha permesso anche di raggiungere un'intesa sul federalismo fiscale». Raggiante il governatore del Piemonte, Roberto Cota: «L'intesa appena raggiunta è un fatto epocale, sono molto soddisfatto». Cota ha voluto dire un «sentito grazie al ministro Calderoli per il lavoro di paziente ricucitura che ha fatto». «Oggi abbiamo ottenuto quanto richiesto da sempre: il collegamento tra la manovra finanziaria e il federalismo fiscale e la garanzia delle risorse per il trasporto pubblico locale», ha commentato il presidente della Regione Lazio, Renata Polverini. Le politiche per il Mezzogiorno «L'accordo sul trasporto pubblico locale» è «positivo e rispecchia il lavoro e l'attenzione che abbiamo riservato al settore», ha osservato il ministro dei Trasporti, Altero Matteoli.
Soddisfazione è stata espressa anche dal ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto: «dopo una giornata di incontri e di lavoro chiudiamo con piena soddisfazione. C'è il parere favorevole delle Regioni sul decreto sul federalismo fiscale ed è stata definita anche l'intesa sulla delibera Cipe che riguarda una bella fetta del Piano per il Mezzogiorno». Su questo punto c'è però un commento negativo da parte del governatore della Basilicata Vito De Filippo: «Ancora una volta abbiamo verificato che fondi aggiuntivi per il Mezzogiorno non ve ne sono, con buona pace del tanto sbandierato Piano per il Sud utilizzato in queste ore dal Governo Berlusconi per accreditare una svolta che non c'è‚ nelle politiche in favore del Mezzogiorno». A parte i lamenti di alcuni amministatori le cassandre che prevedevano la morte del federalismo fiscale, la sua inutilità, il suo costo, sono per ora smentite.
Federalismo a due velocità (20 dicembre 2010).
«Chi è pronto parta subito, senza aspettare gli altri». È il principio del «federalismo differenziato»; all'inizio era sembrato poco più di una boutade, ma le tempeste politiche di questi giorni riportano il tema al centro dell'attualità. «Chi è in grado di andare avanti – ha rilanciato un mese fa la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia –, lo deve fare per trascinare gli altri. Stare fermi in attesa di chi è indietro è una politica suicida per tutti». I governatori del Nord si sono detti entusiasti, quelli del Centro-Sud si sono mostrati perplessi. Sulla carta, il federalismo differenziato esiste dal 2001, ed è scritto nella riforma del Titolo V della Costituzione approvata dall'allora maggioranza di centro-sinistra. Secondo l'articolo 116, le regioni ordinarie possono concordare con il parlamento «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia», facendosi attribuire una serie di funzioni e i finanziamenti per svolgerle. Per passare ai fatti basta una legge ordinaria, approvata a maggioranza assoluta dalle due camere. Per anni la norma è rimastanel cassetto poi, tra 2007 e 2008, Piemonte, Lombardia e Veneto si sono fatte avanti per chiedere un elenco più o meno ampio tra le funzioni a disposizione. La fine repentina della scorsa legislatura stroncò sul nascere le trattative, e con il ritorno al governo di Pdl e Lega tutti gli occhi si sono rivolti al federalismo vero e proprio: il percorso verso l'attuazione, però, si sta rivelando piuttosto tortuoso, e le tempeste parlamentari rendono ancora più incerta la sorte di una macchina delicata, che dovrebbe muovere i primi passi nel 2012 per entrare a regime nel 2019. Un calendario lungo per chi si aspetta dalla riforma una botta di efficienza e una spinta alla crescita in tempi di Pil asfittico. Oltre a Confindustria («le regioni del Nord non possono più aspettare», ha ribadito qualche settimana fa anche Antonio Costato, il vicepresidente con delega al tema), l'interesse è alto anche in altre categorie economiche: Unioncamere del Veneto, insieme al centro studi Sintesi, si è messa a spulciare i numeri, per capire quanto può valere la partita nelle quattro principali regioni ordinarie del Nord. La «lista della spesa» delle funzioni trasferibili dal centro alla periferia è fissata dalla Costituzione, e si concentra soprattutto su istruzione (prevista anche dal federalismo della legge delega), infrastrutture regionali, protezione civile e beni culturali. Completano il quadro alcune attività, per esempio nei campi della giustizia di pace, dell'ambiente e della previdenza complementare, che però offrono un orizzonte piuttosto limitato e spostano pochi poteri reali. Se le quattro regioni chiedessero tutte le funzioni «disponibili», il pacchetto da trasferire sul territorio si aggirerebbe intorno 15,8 miliardi di euro. I dati, elaborati in base alla spesa statale sul territorio calcolata dalla ragioneria generale dello stato, non sono rivoluzionari, nel senso che rispetto ai livelli attuali la spesa delle quattro regioni aumenterebbe del 35,3% (traducendosi ovviamente in un risparmio equivalente per il bilancio statale). La Lombardia, da sola, vanta funzioni trasferibili per 6,2 miliardi, mentre nelle altre tre regioni il gioco si attesta intorno a quota 3 miliardi. Il risultato di quest'ipotesi è un'Italia a tre velocità, con un blocco di regioni a Statuto speciale da 9 milioni di persone, un gruppo intermedio (quello del federalismo differenziato) da 23,4 milioni di italiani e le 11 regioni ordinarie residue, in cui abitano 27,6 milioni di cittadini. Il modello, del resto, è proprio quello delle Autonomie speciali (la Regione Lombardia si definisce «autonoma» anche nel nuovo Statuto), ma il federalismo differenziato non ha la stessa forza. Nelle regioni davvero autonome la capacità di spesa arriva al 21,2% del Pil, in quelle del federalismo differenziato non supererebbe il 10,5%.
La disoccupazione in Italia (20 dicembre 2010).
Secondo le ultime rilevazioni del Centro studi di Confindustria nel 2011 l'occupazione rimarrà pressoché immobile (+0,1%), dopo il forte calo registrato nel 2010 (-1,7%, dopo il -2,6% del 2009) e riprenderà a salire solo nel 2012 (+0,9%). Il tasso di disoccupazione invece continuerà ad aumentare: solo dopo aver toccato l'apice (9%) nel quarto trimestre, inizierà a scendere molto gradualmente nel corso del 2012. Il nostro paese, in base alle proiezioni di CsC, recupererà il livello di attività pre-recessione solo nel secondo trimestre del 2015, «ma ciò non basterà a tornare ui valori di crescita pre-crisi». Così, se da inizio 2010 si sono persi 600mila posti di lavoro che in assenza di recessione sarebbero stati disponibili, per l'anno prossimo il job gap sarà di 440mila unità. «Oltre che dalla crescita anemica del Pil - commenta Tito Boeri, ordinario di economia del lavoro alla Bocconi - il riassorbimento della forza lavoro è indebolito da un sistema di ammortizzatori sociali estremamente dilatato che prolunga la durata del paracadute pubblico anche in situazioni in cui si potrebbe tornare alle normali condizioni di attività». Secondo il Centro studi di Confindustria, il ricorso alla Cig rimarrà alto nel 2011 e interesserà 315mila lavoratori. «È fondamentale - commenta Boeri - riformare gli ammortizzatori sociali per evitare ogni forma di utilizzo improprio». Riforme in tempo di tagli ai bilanci? «È possibile - risponde il giuslavorista Michel Martone -, ma bisogna trovare un punto di equilibrio tra rigore dei conti pubblici e consenso sociale». Di fronte ai drammatici livelli di disoccupazione giovanile «è necessario incentivare fiscalmente le imprese avviate dai giovani, tagliare il più possibile la burocrazia e proseguire sulla strada della detassazione dei premi di produttività». Senza trascurare il mismatch tra domanda e offerta di lavoro che induce molti giovani a scegliere percorsi di studio sbagliati dopo la scuola dell'obbligo. «L'orientamento - aggiunge Martone - deve portare anche alla riscoperta dei lavori manuali, in primis nel campo dell'artigianato, dove ci sono opportunità concrete di trovare un impiego». C'è chi propone di potenziare le aree a cosiddetto "doppio dividendo", il cui sviluppo produce effetti positivi sia a livello sociale sia sull'occupazione. «La green economy - sottolinea Maria Cecilia Guerra, docente di scienze delle finanze all'Università di Modena e Reggio Emilia - ha potenzialità ancora poco sviluppate nel nostro paese, così come nel campo del welfare c'è una domanda di assistenza sociale insoddisfatta che andrebbe sostenuta». Azioni da realizzare in un'ottica di lungo periodo? «Bonus e incentivi fiscali spot - spiega Guerra - sono soluzioni tampone: tra gli interventi più urgenti c'è una riforma fiscale strutturale che sposti il baricentro del prelievo dal lavoro al patrimonio, in modo da abbassare il costo del lavoro e realizzare una redistribuzione della ricchezza più equilibrata». E per preservare il valore del capitale umano «bisognerebbe investire di più in formazione - conclude Luciano Gallino, professore emerito di sociologia all'Università di Torino -, non solo iniziale ma anche training on the job». Interventi sempre più difficili da realizzare, secondo Gallino, in uno scenario in cui la maggior parte delle nuove assunzioni è a tempo determinato: «Contratti brevi spesso sono sinonimo di scarsa formazione in azienda, con conseguenze negative sulla produttività».
Gli investimenti degli italiani (20 dicembre 2010).
E' l'abitazione la voce di maggior ricchezza per le famiglie italiane: il mattone infatti rappresenta un valore pari a 4.667,4 miliardi, poco più della metà del valore complessivo della ricchezza (9.088,9 mld), ossia circa 196 mila euro a famiglia. Tra le attività reali, dopo l'abitazione, ci sono gli oggetti di valore per un valore di 122,1 miliardi. Nel bollettino di Bankitalia, si legge che gli investimenti nelle abitazioni sono cresciuti a prezzi correnti tra il 2007 e il 2008 di circa il 2,8% (127 mld), un valore inferiore al tasso medio annuo del periodo 1995-2007 (circa il 6,6%), a causa del rallentamento del mercato immobiliare. In termini pro capite la crescita della ricchezza in abitazioni tra il 2007 e il 2008 è stata inferiore, pari al 2,1%, dato l'aumento della popolazione pari allo 0,7% nello stesso periodo. A prezzi costanti, la variazione della ricchezza in abitazioni rispetto al 2007 è risultata lievemente negativa, pari a -0,4% complessivamente a -1,1% in termini pro capite. È proseguita nel 2009 la fuga delle famiglie dai titoli di stato complici, probabilmente i bassi tassi di interesse. Secondo il rapporto della Banca d'Italia «nel 2009 è proseguita la ricomposizione dei portafogli delle famiglie verso forme di investimento più liquide, quali i depositi in conto corrente e il risparmio postale, le cui quote di ricchezza finanziaria sono cresciute rispettivamente di 1,4 e 0,3 punti percentuali». Il 10% delle famiglie più ricche deteneva a fine 2008 quasi il 45% della ricchezza complessiva. Lo segnala Bankitalia rilevando inoltre che la metà più povera delle famiglie deteneva il 10% circa della ricchezza complessiva. Nel confronto internazionale, inoltre, l'Italia registra un livello di disuguaglianza della ricchezza netta tra le famiglie piuttosto contenuto anche rispetto ai soli paesi più avanzati. Le famiglie italiane sono più povere: tra il 2007 e il 2008 la loro ricchezza è calata del 3,5% a prezzi correnti, e del 6,5% a prezzi costanti tornando ai valori di inizio decennio. Secondo quanto si evince dal Bollettino di Bankitalia sulla ricchezza delle famiglie, nel 2008, la ricchezza netta pro capite ammontava a circa 138 mila euro: vale a dire, a prezzi correnti sul 2007 è diminuita del 2,6% mentre a prezzi costanti 2008 il calo è stato del 5,6% rispetto all'anno precedente. Alla fine del 2009 la ricchezza lorda delle famiglie italiane era stimabile in circa 9.448 miliardi di euro mentre quella netta ammontava a 8.600 miliardi corrispondenti a circa 350mila euro a famiglia. Su questo totale circa il 62,3% é rappresentato da attività reali mentre il 37,7% è costituito da attività finanziarie. Secondo Bankitalia inoltre la ricchezza netta complessiva delle famiglie é aumentata, tra fine 2008 e fine 2009 dell'1,1% per effetto di un aumento del valore delle attività finanziarie (+2,4%) superiore a quello delle passività (+1,6%). Più contenuto l'aumento delle attività reali che é stato pari allo 0,4 per cento. Secondo stime preliminari, segnala Bankitalia, nel primo semestre del 2010 la ricchezza netta sarebbe diminuita dello 0,3% nominale, principalmente a causa di una diminuzione delle attività finanziarie e di un aumento delle passività. Resta stabile, alla fine del 2009, il valore del mattone detenuto dalle famiglie italiane. Secondo l'indagine della Banca d'Italia la ricchezza in abitazioni detenuta dalle famiglie italiane poteva essere stimata in circa 4.800 miliardi di euro. In termini reali è aumentata rispetto alla fine del 2008 dello 0,4 per cento. In media per famiglia il valore delle abitazioni è pari a circa 200mila euro. La ricchezza in abitazioni, a prezzi correnti, è cresciuta tra la fine del 2008 e la fine del 2009 di circa lo 0,3 per cento (circa 13 miliardi di euro), un valore molto inferiore al tasso medio annuo del periodo 1995-2008 (circa il 6,3 per cento), a causa del rallentamento delle quotazioni sul mercato immobiliare. In termini reali, la variazione della ricchezza in abitazioni rispetto al 2008 è risultata pari a circa lo 0,4 per cento. Secondo i dati dell'Osservatorio del Mercato Immobiliare dell'Agenzia del Territorio, durante la prima metà del 2010 i prezzi degli immobili sono risultati sostanzialmente stabili rispetto alla fine del 2009. Sulla base di queste e di altre informazioni, si ipotizza un incremento del valore della ricchezza in abitazioni per il primo semestre del 2010 inferiore all'1 per cento.
ISTAT: tasso di disoccupazione in ottobre (21 dicembre 2010).
Il tasso di disoccupazione in Italia è salito a ottobre all'8,7% dall'8,4% di settembre. Lo rende noto l'Istat sottolineando che si tratta del livello più alto dall'inizio delle serie storiche del gennaio 2004. Nella media del terzo trimestre il tasso di disoccupazione risulta invece pari all'8,3% con un calo di un decimo di punto rispetto al secondo e un aumento di tre decimi rispetto allo stesso periodo del 2009. Il ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, prova a guardare l'aspetto positivo della vicenda: «La rilevazione trimestrale sulle forze di lavoro dell'Istat ci consegna la prima diminuzione del dato di disoccupazione dopo sette trimestri, a un livello distante quasi due punti dalla disoccupazione media europea. L'Italia continua a mantenere contenuto l'impatto della crisi grazie all'uso massiccio di cassa integrazione, anche in deroga, e di contratti di solidarietà». Per il ministro del Lavoro rimane «ovviamente significativa la disoccupazione giovanile e femminile soprattutto nel Mezzogiorno, cronica espressione del divario di sviluppo del Sud e del disallineamento tra le competenze richieste e quelle disponibili nei più giovani». Ma anche qui c'è una risposta che secondo Sacconi si realizza «attraverso il Piano straordinario per il Sud e il Piano per l'occupabilità dei giovani, del quale é stato recentemente approvato l'accordo con Regioni e Parti sociali per la promozione dell'apprendistato ed é ormai prossima al varo definitivo la riforme dell'università». Lettura naturalmente di segno opposto quella effettuata da Susanna Camusso: il segretario generale della Cgil definisce infatti «allarmante» la crescita del tasso di disoccupazione che ad ottobre, secondo i dati forniti dall'Istat, è salito all'all'8,7% dall'8,4% di settembre, al top dal 2004. «Se al tasso di disoccupazione giovanile, che ha raggiunto il 24,7% e toccato un massimo del 36% per le donne nel Mezzogiorno, aggiungiamo il numero degli scoraggiati, vale a dire di coloro che hanno rinunciato a cercare un lavoro, possiamo sicuramente affermare che nel Mezzogiorno del nostro paese quasi la metà dei giovani e delle donne non trova un lavoro o ha rinunciato a cercarlo». Sui giovani e le donne si sofferma anche il commento della Cisl. «I dati forniti dall'Istat confermano che sono prioprie queste categorie la vera emergenza del nostro Paese», dichiara il segretario confederale Liliana Ocmin. «Ecco perchè la Cisl - sottolinea Ocmin - ritiene prioritario porre al centro dell'agenda politica la questione giovani come anche donne e Sud, costruendo attorno a tale obiettivo una strategia partecipativa e un confronto pragmatico tra tutte le forze sane del Paese. Bisogna dare vita nello specifico a politiche attive del lavoro a partire dalla formazione scolastica e universitaria, agire sul nesso formazione-lavoro, prevedendo incentivi fiscali e contributivi per le aziende che assumono al Sud. Valorizzare il talento giovanile e femminile significa dare un futuro all'Italia». Secondo il sindacalista, «l'aumento del tasso di disoccupazione giovanile come anche quello femminile devono spingere tutte le forze sociali e istituzionali a uno sforzo maggiore per creare nuove condizioni di ingresso e permanenza nel mercato del lavoro. Solo così sarà possibile uscire compiutamente dalla crisi e avvicinare l'Italia ai parametri europei per quanto concerne l'occupazione giovanile e femminile. Dare un futuro ai giovani è una priorità per il bene del Paese». Per il segretario confederale Uil, Guglielmo Loy, «colpisce il dato della diminuzione dell'occupazione, rispetto a pochi mesi fa, che si concentra esclusivamente nel lavoro dipendente e in quello a tempo indeterminato, segnalando che le pur relativamente poche assunzioni sono prevalentemente a termine. Per Loy si evidenzia, quindi, la necessità di attivare non solo serie ed efficaci politiche attive per chi perde il posto di lavoro, ma soprattutto azioni che incentivino le assunzioni e che consentano una stabilizzazione del lavoratore, anche se graduale, come ad esempio il contratto d'apprendistato». Dall'opposizione - compresa quella nuova rappresentata da Futuro e Libertà - arrivano commenti ancora più forti. «I dati Istat - dichiara a esempio Adolfo Urso - sono un campanello d'allarme sulla questione giovanile che non può assolutamente essere ridotta ad una questione di ordine pubblico. L'aumento della disoccupazione giovanile ed il fortissimo disagio che cresce tra le giovani generazioni per un futuro sempre più incerto non possono lasciarci indifferenti». Secondo il coordinatore nazionale di Futuro e Libertà «è assolutamente necessario realizzare le riforme che servono ai giovani, dal welfare alle liberalizzazioni, e investire in cultura, formazione, ricerca e innovazione, cioè sul futuro del Paese. La linea è quella indicata con grande saggezza e responsabilità dal Presidente della Repubblica: la politica ascolti ed agisca». Tra le voci allarmate, allarmanti, preoccupate, tra i sermoni, ricchi di esortazioni e vuoti di contenuti, dovremo abituarci anche a quelli di coloro che fino a pochi anni fa sostenevano che Mussolini fosse stato il più gramde statista italiano. Almeno sindacati e opposizione fanno il loro dovere "istituzionale". Cesare Damiano, capogruppo Pd in commissione Lavoro della Camera, è molto tranchant: «La politica del lasciar fare portata avanti dal governo Berlusconi ha fatto raggiungere un altro record al nostro Paese: l'Istat oggi certifica che la disoccupazione ha toccato un livello mai raggiunto dal 2004», ha detto. «Adesso il ministro Sacconi ci risparmi interpretazioni surreali di questi dati e prenda atto, piuttosto, del fallimento del suo governo. In particolare desta allarme il dato della disoccupazione giovanile. Ai giovani non mancano motivi per manifestare, nel rispetto della legge; hanno diritto ad un futuro dignitoso e il governo li deve ascoltare. Ma la destra che pensa solo a tirare a campare giorno per giorno, dovrebbe convincersi che si rende necessario far cambiare rapidamente strada alle politiche dell'Esecutivo sul mercato del lavoro: anzichè ampliare le flessibilità e, di conseguenza, la precarietà del lavoro, si renderebbe necessario far costare di meno il lavoro a tempo indeterminato - ha concluso - con appositi incentivi alle imprese». Un invito al Governo a correre immediatamente ai ripari arriva dal vicecapogruppo dell'Italia dei valori alla Camera, Antonio Borghesi: «La situazione economica del paese é sempre più grave. il governo non può più far finta di niente». Secondo Borghesi il quadro che fornisce oggi l'Istat «é drammatico». È la fotografia di una «società in fase di decadenza, disoccupazione giovanile in salita, aumento degli inattivi dovuto allo scoraggiamento e alla rinuncia della ricerca di un impiego: sono segnali allarmanti, che si vanno ad aggiungere a dati di per sé gravissimi: si sono già persi 600 mila posti di lavoro e si ha la certezza che se ne perderanno altri 550 mila. tutto questo non accennerà a rientrare se il governo non interviene immediatamente con un pacchetto di riforme per la crescita». Per i consumatori i dati Istat sulla disoccupazione dovrebbero far riflettere. Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti, presidenti di Federconsumatori e Adusbef sostengono che sia «ormai improrogabile un determinato intervento teso a rilanciare il Paese attraverso una detassazione per le famiglie a reddito fisso, di almeno 1200 Euro annui e un piano di rilancio degli investimenti per lo sviluppo tecnologico e la ricerca, indispensabile per l'occupazione e per la competitività sul piano internazionale». Commento dell'ISAE sull'occupazione del terzo trimestre. I dati della rilevazione ISTAT delle Forze di Lavoro, riferiti al terzo trimestre del 2010, evidenziano una persistente debolezza della situazione occupazionale, con qualche segnale di stabilizzazione delle tendenze negative in determinate aree e settori. I dati mostrano un deterioramento delle condizioni nel mercato del lavoro al Centro e nel Mezzogiorno, cui si accompagna una situazione sostanzialmente stazionaria nel Nord. Si ravvisano, inoltre, primi segnali di lieve miglioramento nel settore manifatturiero, che era
stato maggiormente colpito dalla crisi occupazionale. Su base tendenziale di osserva una moderata crescita dei lavoratori temporanei. Nei dati al netto di influenze stagionali, nel terzo trimestre del 2010 l’occupazione è diminuita (-0,2%, 57 mila occupati in meno rispetto al precedente trimestre), facendo
seguito alla contrazione già avvenuta nei primi sei mesi dell’anno (-0,1% in entrambi i trimestri nei dati al netto di influenze stagionali). La diminuzione si è verificata nel centro (-0,4%) e, soprattutto, nel Mezzogiorno (-0,7%) mentre al Nord l’occupazione è rimasta stazionaria. Quanto ai settori produttivi, la diminuzione ha interessato i servizi (-0,1%), l’agricoltura (-2,1%) e le costruzioni (-1,4%); nell’industria in senso stretto, dopo le pesanti flessioni subite negli scorsi due trimestri, l’occupazione è rimasta stabile. Le inchieste ISAE di novembre segnalano inoltre un miglioramento delle prospettive occupazionali, manifestate dagli imprenditori, nel settore manifatturiero, e un peggioramento per quelle di tutti gli altri settori. Nel complesso, su base tendenziale, si è osservata una rilevante perdita di occupati (-176
mila unità in meno rispetto al terzo trimestre del 2009, dati grezzi). Contemporaneamente, si è rilevata un’espansione della quota relativa di chi è occupato a tempo parziale (sul totale dell’occupazione dipendente): la crescita di lavoro a part time è stata pari a 109 mila unità rispetto al terzo trimestre del 2009 (+4,3%). In particolare le donne occupate a tempo parziale sfiorano il 30% dell’occupazione dipendente. (29% sul totale dell’occupazione dipendente. Anche l’incidenza del lavoro temporaneo è
lievemente cresciuta (+11 mila unità,+0,5%). Nel secondo trimestre del 2010, il tasso di disoccupazione è diminuito di tre decimi di punto attestandosi, nei dati al netto di influenze stagionali, all’8,3%. La diminuzione del tasso di disoccupazione si è verificata nel Nord del paese; nel Mezzogiorno e nel Centro
il tasso di disoccupazione è rimasto stazionario. Nel Sud, in particolare, si è osservata una diminuzione delle persone in cerca di occupazione senza esperienza lavorativa che, avvenuta in coincidenza col deteriorarsi delle condizioni del mercato del lavoro e con l’accrescersi dell’area dell’inattività, sembra riflettere fenomeni di scoraggiamento nella ricerca di lavoro da parte in particolare dei soggetti più giovani.
Pechino e lo yuan (23 dicembre 2010).
La Francia ha da sempre un obiettivo, la riforma del sistema monetario internazionale. Non sorprende quindi che il tema sia stato rilanciato dal presidente francese Nicolas Sarkozy all'inizio del suo turno alla guida del G-20, che occuperà l'intero 2011. Nelle intenzioni di Parigi, riforma del sistema finanziario internazionale significa ridimensionamento del dominio del dollaro e il suo affiancamento, da pari a pari, da parte dell'euro. La crisi della moneta unica, probabilmente destinata a trascinarsi a lungo, può invece far sì che nei prossimi 12 mesi l'evoluzione più interessante del sistema monetario sia l'internazionalizzazione dello yuan cinese. La Cina ha risposto con un muro contro muro, come sempre quando è sottoposta a pressioni esterne, alle richieste da parte americana di rivalutare più rapidamente il cambio. Dall'allentamento del legame con il dollaro, l'estate scorsa, lo yuan è risalito appena del 2,5% e Pechino continua a tenere strette le redini sui movimenti di cambio. E anche la proposta del segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner, di affrontare il problema in altro modo, mettendo un tetto al surplus cinese dei conti con l'estero, ha trovato l'opposizione netta dei rappresentanti di Pechino alle riunioni coreane del G-20, in autunno. Qualcosa però si sta muovendo, seppure con il gradualismo tipico delle autorità cinesi, tanto che in Cina qualcuno parla di un futuro confronto fra "redback" e "greenback", le espressioni gergali con cui vengono definiti rispettivamente lo yuan e il dollaro. Il primo obiettivo di Pechino è quello di utilizzare la propria valuta per una quota crescente degli scambi con l'estero: potenzialmente una decisione di enormi conseguenze, considerato che il colosso asiatico è oggi la seconda economia del mondo e il primo esportatore. L'interlocutore privilegiato non sono i paesi avanzati, ma quelli emergenti che rappresentano ormai quasi il 55% del commercio estero cinese. Nel giro di 3-5 anni, secondo Qu Hongbin, capoeconomista della banca Hsbc a Hong Kong, almeno la metà degli scambi della Cina con le economie emergenti sarà regolata in yuan: si tratta di quasi 2mila miliardi di dollari l'anno, che farebbero della valuta cinese la terza moneta di scambio nel mondo. Contemporaneamente, le autorità cinesi stanno promuovendo con cautela l'uso dello yuan offshore, avendone liberalizzato l'uso a Hong Kong, dove gli scambi sono passati da zero a 400 milioni di dollari nel giro di pochi mesi. Si tratta di una frazione minima di un mercato valutario globale che tocca ormai i 4mila miliardi di dollari giornalieri di contrattazioni, ma, secondo Norman Chan, governatore dell'Autorità monetaria dell'ex colonia inglese, la Banca centrale del territorio, «è l'inizio di una nuova era». Due multinazionali Usa, come McDonald's e Caterpillar, con importanti interessi in Cina, hanno già emesso obbligazioni in yuan. Persino Jim O'Neill, l'economista di Goldman Sachs oggi presidente della società di gestione di fondi della banca e che ha coniato il termine Bric (Brasile, Russia, India e Cina) per riconoscere l'importanza degli emergenti nell'economia mondiale, trova «un po' strano» l'interesse degli investitori per questi bond, ma lo riconduce all'aspettativa di una rivalutazione del cambio. Per ora, Pechino ha proceduto sulla strada dell'internazionalizzazione controllata centralmente, senza accelerare sulla piena convertibilità della valuta, cioè il suo uso senza restrizioni che ne farebbe uno strumento appetibile anche come moneta di riserva, prospettiva che secondo molti osservatori resta lontana. Intanto, però, a Pechino non sfugge l'importanza geopolitica di favorire un suo maggior impiego negli scambi commerciali. A piccoli passi la Cina si avvia a diventare la prima potenza mondiale quando, nel 2025 supererà anche gli Usa.
Il decreto mille proroghe (23 dicembre 2010).
Due mesi in più per l'emersione delle case fantasma, che avranno tempo fino al 28 febbraio per presentarsi al Catasto senza incappare nelle sanzioni. Con il venir meno dell'obbligo di identificazione per l'accesso alle reti internet previsto dalla legge Pisanu scatta anche la liberalizzazione del wi-fi, anche se resta la necessità di ottenere una licenza del questore per gli internet-point. La novità sugli immobili è spuntata nel decreto legge milleproroghe approvato dal Consiglio dei ministri, con un testo ancora in fase di "affinamento" e limature. Di fatto, rimane una corsa contro il tempo, perché dal 1° gennaio l'agenzia del Territorio potrà comunque attribuire la rendita presunta a chi non si è presentato, e applicare le sanzioni.
Per gli alluvionati del Veneto, la sospensione dei versamenti si estende fino al 30 giugno, ma è ultra-selettiva: lo stop riguarda solo i pagamenti già sospesi fino al 20 dicembre con il decreto del 2 dicembre scorso, mentre tutte le scadenze successive per fisco e previdenza vanno onorate senza sconti sul calendario. Niente proroga, invece, per l'Abruzzo, che dal 1° gennaio dovrà avviare la restituzione dei versamenti che erano stati sospesi per 14 mesi dopo il terremoto del 6 aprile 2009: «Una coltellata a una popolazione in ginocchio», ha commentato il sindaco dell'Aquila, Massimo Cialente, a Radio 24, annunciando per oggi un'assemblea pubblica con i vertici amministrativi e le associazioni di categoria. Via libera anche al rifinanziamento del 5 per mille. Viste le difficoltà del bilancio, però, i 300 milioni in più non sono risorse nuove: 100 milioni sono quelli già previsti per il sostegno ai malati di Sla dalla legge di stabilità, 50 arrivano dall'azzeramento del fondo appena istituito per i piani di rientro dei comuni dissestati, altri 50 derivano da brevetti (37 milioni), sanzioni antitrust (9 milioni), internazionalizzazione delle imprese (4,8) e fondi per i consumatori (4,2). Gli ultimi 95 milioni, salvo ripensamenti, arrivano dal mondo dell'editoria e dell'emittenza radiotelevisiva locale. Il provvedimento approvato ieri, infatti, dimezza il Fondo di 100 milioni «per interventi di sostegno all'editoria» stanziato dalla legge di stabilità 2011, pubblicata appena l'altroieri sulla Gazzetta ufficiale (comma 58 dell'articolo 1). Il presidente della Fieg, Carlo Malinconico, parla di «totale disinteresse per chi amministra aziende in gravi situazioni finanziarie. Il governo, almeno, adotti criteri più stringenti e selettivi per l'ammissione ai contributi diretti, in modo che vadano solo ad aziende vere». Per la Fnsi «la stampa libera e le radio locali rappresentano un bene pubblico, da sostenere come interesse strategico nazionale». Le emittenti radiotelevisive locali, a loro volta, si sono viste ridurre di 45 milioni i fondi per il 2011, sempre previsti dalla legge si stabilità, anche in questo caso per contribuire al ripristino del 5 per mille. Secondo le tv locali della Frt «potrebbe essere il colpo decisivo assestato dal Governo all'emittenza locale, già messa a dura prova da altri provvedimenti, come la sottrazione di nove frequenze da destinare alla telefonia mobile». Il decreto approvato ieri riserva brutte sorprese anche ai sindaci. Nel pacchetto enti locali entrano, infatti, solo la proroga di un anno per l'avvio delle gare nella riscossione dei tributi, il prolungamento fino alla fine del 2011 nella vita delle Autorità d'ambito per acqua e rifiuti e il rinvio di due mesi per avviare le gare nel trasporto pubblico locale (gli affidamenti che non rispettano i principi base della riforma possono proseguire fino al 30 giugno). Nel testo finale non trova spazio il comma che rendeva progressivo l'abbassamento del tetto all'indebitamento (dal 2011 niente mutui per chi dedica agli interessi più dell'8% delle entrate da tributi, tariffe e trasferimenti) e, soprattutto, quello che permetteva di continuare a utilizzare il 75% degli oneri di urbanizzazione per finanziare la spesa corrente. Quest'ultima partita, figlia di una deroga storica al principio che imporrebbe di coprire spese stabili con entrate ordinarie, vale due miliardi ed è considerata vitale dai sindaci: già nel 2010 una buona metà dei preventivi ha quadrato grazie al sostegno dei permessi di costruire, e nel 2011 i tagli ai trasferimenti rendono ancor più delicata la situazione. Per gli appalti viene rideterminato in 30 giorni il termine per presentare il ricorso incidentale nel processo amministrativo. Prorogata fino al 2014, la possibilità per i precari della scuola di essere inseriti a pettine anziché a coda in un'altra provincia rispetto a quella di appartenenza. Riniviate per un altro anno le norme del governo Prodi che introducono il voto conseguito alla maturità e il curriculum scolastico tra i punteggi per entrare nelle università a numero chiuso. Saranno efficaci anche per l'anno d'imposta 2011 le leggi regionali emanate in materia di tassa automobilistica e di Irap. Proroga resasi necessaria al fine di assicurare continuità di gettito fino all'entrata in vigore dei decreti attuativi del federalismo fiscale. Non trovano al momento posto gli sgravi fiscali per i benzinai e la proroga degli sfratti, mentre il piano straordinario di Pompei e il sovrapprezzo di un euro sui biglietti del cinema per finanziare i bonus fiscali al settore sono stati stralciati dal testo licenziatio da Palazzo Chigi. Restano gli aiuti alle imprese cinematografiche ma solo per i primi sei mesi del 2011.
Bankitalia: primo rapporto sulla stabilità finanziaria (23 dicembre 2010).
La crescita mondiale prosegue ma rallenta; permangono rischi - La crescita dell'economia mondiale prosegue ma rallenta, con andamenti diseguali tra aree. La dinamica del prodotto nel 2011 si prospetta sostenuta nei paesi emergenti e in via di sviluppo, moderata nelle economie avanzate. In Italia il PIL si espanderebbe a ritmi inferiori alla media dell'area dell'euro. Nelle economie avanzate l'intensità della ripresa è connotata da rischi. La domanda mondiale potrebbe risentire del rientro delle misure straordinarie di sostegno attuate durante la crisi; le decisioni di spesa di famiglie e imprese potrebbero essere frenate dall'esigenza di ridurre l'indebitamento e dalla lentezza della ripresa dell'occupazione. Le tensioni nell'offerta di credito potrebbero riemergere. I mercati risentono del deterioramento dei conti pubblici... Nell'area dell'euro i mercati risentono del peggioramento dei conti pubblici; nei paesi con acuti problemi di bilancio i premi per il rischio sono molto elevati. I rischi di contagio sono stati contenuti dalle misure eccezionali attuate dalle autorità europee. In prospettiva, il persistere degli squilibri di finanza pubblica nei paesi avanzati rischia di frenare gli investimenti, di alimentare timori di inflazione, di ampliare ancora i premi per il rischio sul debito sovrano. Ne potrebbero derivare rialzi significativi dei tassi a medio e a lungo termine, con effetti negativi sulla ripresa e sui mercati dei capitali. ...e dell'incertezza sulla solidità della ripresa - Le favorevoli aspettative sugli utili delle imprese e il calo dei tassi di interesse hanno sostenuto la ripresa dei mercati azionari e obbligazionari a livello globale. La solidità di questo miglioramento dovrà trovare conferma nelle condizioni di fondo dell'economia, poiché l'abbondante offerta di liquidità a basso costo da parte delle banche centrali è destinata nel tempo a venire meno. Il basso livello dei tassi di interesse nei paesi avanzati può spingere gli investitori ad assumere rischi elevati, al fine di conseguire rendimenti anch'essi elevati. Crescenti afflussi di capitali si indirizzano verso i paesi emergenti, spingendovi al rialzo i prezzi delle attività finanziarie. La redditività delle maggiori banche internazionali potrebbe ridursi - Il recente recupero di redditività delle maggiori banche internazionali potrebbe essere in parte temporaneo. Le misure pubbliche di sostegno varate in molti paesi sono state eliminate o si stanno esaurendo; i ricavi da negoziazione, legati alle favorevoli condizioni di mercato nei mesi scorsi, potrebbero diminuire; il margine di interesse, compresso dal basso livello dei tassi, potrebbe risentire dell'attenuazione della pendenza della curva dei rendimenti indotta dalle nuove misure di stimolo monetario avviate in più paesi. Nel prossimo biennio le banche dovranno rifinanziare un ingente ammontare di obbligazioni, in una fase di forte aumento del ricorso al mercato da parte di imprese ed emittenti sovrani. Per il complesso dell'area dell'euro la domanda di rifinanziamento da parte delle banche presso la banca centrale è in calo; la liquidità in eccesso rispetto all'obbligo di riserva si è ridimensionata. Alcuni intermediari incontrano difficoltà di accesso ai mercati, cui fanno fronte grazie al ricorso all'Eurosistema. La rimozione delle misure straordinarie di offerta di liquidità richiederà in prospettiva modifiche nei canali di raccolta di fondi. In Italia la situazione di famiglie e imprese è ancora influenzata dalla crisi - In Italia la situazione finanziaria e la redditività delle imprese sono in miglioramento, ma risentono ancora degli effetti della crisi. Le tensioni emerse durante la recessione si sono propagate all'interno del sistema produttivo attraverso l'allungamento dei tempi di pagamento tra imprese. Il grado di indebitamento delle aziende non è fuori linea nel confronto internazionale, ma l'alta quota di debiti a breve termine e la prevalenza tra le passività a lunga scadenza di contratti a tasso variabile accrescono, in prospettiva, i rischi connessi con un rialzo dei tassi di mercato. La situazione finanziaria delle famiglie italiane rimane nel complesso solida, grazie al contenuto indebitamento e all'elevata quota di attività a basso rischio. Tuttavia, la rapida crescita dei mutui a tasso variabile aumenta i potenziali effetti di un incremento degli oneri finanziari. Inoltre, l'indebitamento per l'acquisto di abitazioni, pur rimanendo concentrato tra le famiglie a più alto reddito e maggiore solvibilità, prima della crisi era cresciuto significativamente anche tra i meno abbienti, per i quali il servizio del debito incide maggiormente sul reddito. La valutazione dei mercati sulla solidità delle banche italiane risente dei rischi sul debito sovrano nell'area dell'euro - In Italia, come in altri paesi dell'area dell'euro, la valutazione degli investitori circa la solidità delle maggiori banche risente delle tensioni sui titoli sovrani di alcuni paesi. Gli indicatori di mercato e le misure di rischio sistemico mostrano tuttavia che gli effetti sulle nostre banche sono nel complesso contenuti. La dinamica dei prestiti è in ripresa - È tornato a crescere il credito alle imprese, soprattutto quello erogato dalle banche maggiori; vi contribuisce la ripresa della domanda, oltre che il rientro delle tensioni nell'offerta. Anche il credito alle famiglie è in accelerazione. In base alle nostre analisi, queste tendenze proseguirebbero nell'anno venturo. La qualità del credito mostra segni di miglioramento - La qualità del credito risente ancora della recessione del 2009, ma i dati più recenti forniscono segnali di stabilizzazione del flusso di nuove sofferenze. In base a stime coerenti con l'evoluzione attesa delle principali variabili macroeconomiche, nel 2011 il tasso di ingresso in sofferenza dei prestiti diminuirebbe sia per le famiglie sia per le imprese. Queste previsioni sono connotate da incertezza, legata soprattutto all'evoluzione del quadro macroeconomico. L'esposizione estera degli intermediari italiani è nel complesso stabile. Aumenti si registrano nei confronti di paesi dell'Europa centrale e orientale, caratterizzati da un miglioramento delle condizioni economiche e finanziarie ma anche da rischi di credito elevati. È limitata l'esposizione verso le banche estere. Il basso peso dei prestiti ai paesi dell'area dell'euro con situazioni deteriorate di finanza pubblica contiene gli effetti di bilancio delle tensioni sui debitori sovrani. La posizione di liquidità a breve termine delle nostre banche è equilibrata; l'elevato peso della raccolta al dettaglio conferisce stabilità alla provvista; il funding gap si mantiene favorevole. Il ricorso al rifinanziamento presso l'Eurosistema è molto contenuto, anche nel confronto con gli altri paesi dell'area dell'euro. Nel prossimo biennio, tuttavia, le banche italiane, al pari delle altre, dovranno rifinanziare volumi ingenti di titoli in scadenza. I rischi di mercato sono in flessione. Un aumento dei tassi di interesse avrebbe effetti limitati, in più casi positivi. I rischi di controparte sono rimasti bassi, dato che le posizioni positive e negative sul mercato dei derivati sono bilanciate a livello di singolo intermediario. I risultati economici delle banche risentono ancora degli effetti della recessione. Nei prossimi mesi la redditività bancaria potrà beneficiare della ripresa dei prestiti e del possibile graduale miglioramento della qualità del credito. Le prospettive sono rese però incerte dal basso livello dei tassi, dai timori circa l'intensità della crescita dell'economia e da possibili, nuove tensioni sul mercato dei titoli sovrani. In futuro, un duraturo innalzamento della redditività richiederà di incidere stabilmente sui costi, che in rapporto ai ricavi risultano ancora superiori alla media europea. Le banche italiane hanno rafforzato il patrimonio attraverso molteplici interventi: aumenti di capitale, patrimonializzazione degli utili, emissione di titoli sottoscritti dal Ministero dell'Economia e delle finanze, cessioni di attività. In una fase di ripresa ciclica caratterizzata da rischi rilevanti, sia finanziari sia creditizi, è essenziale consolidare la crescita dei mezzi propri. In una prospettiva di più lungo periodo, i nostri maggiori intermediari, così come le principali banche internazionali, dovranno compiere uno sforzo rilevante per adeguarsi ai più stringenti requisiti di capitale varati dal Comitato di Basilea. La lunga fase transitoria attenuerà le ricadute delle nuove regole sia sulle banche sia sull'economia reale. Nel complesso, le compagnie assicurative italiane presentano una esposizione contenuta alla possibile instabilità dei mercati finanziari. Esse devono tuttavia fronteggiare gli oneri connessi con il basso livello dei tassi di interesse. Sui mercati italiani gli operatori mostrano una crescente attenzione ai rischi di credito e di liquidità.È aumentata la quota degli scambi garantiti a scapito di quella delle transazioni non garantite. È aumentata la percentuale delle negoziazioni over-the-counter (OTC). È diminuita l'incidenza degli scambi con operatori esteri. Queste trasformazioni hanno consentito agli intermediari di contenere i rischi, in una fase di instabilità del sistema finanziario globale. Tuttavia, il ricorso massiccio a transazioni OTC può danneggiare la trasparenza del mercato; la tendenza a negoziare con operatori nazionali può limitare il novero delle potenziali controparti. Nel 2010 il mercato secondario telematico ha garantito continuità agli scambi di titoli di Stato anche nelle fasi di maggiore tensione. La domanda di titoli pubblici italiani si è mantenuta elevata, consentendo al Tesoro di proseguire nella politica di allungamento della durata media del debito. Le infrastrutture di pagamento hanno fornito un decisivo contributo all'ordinato svolgimento delle negoziazioni sui mercati italiani. Nel 2010 sia il sistema di regolamento lordo dell'area dell'euro, TARGET2, sia le infrastrutture nazionali hanno garantito piena continuità di funzionamento.
Oscar Giannino rilegge Keynes (23 dicembre 2010).
Di questi tempi in cui tutti o quasi si riscoprono keynesiani, Oscar Giannino rilegge le parole originali di Keynes e ci aiuta a tenere gli occhi bene aperti. "Ricordatevene bene, perché oggi torna utile: Keynes non amava affatto il capitalismo, bocciava il comunismo, ma sul socialismo era molto possibilista. Il King’s College di Cambridge pubblicherà tra poco nuovi inediti di John Maynard Keynes, e la lettura di un’anticipazione di alcuni testi curata da Roger Backhouse dell’Università di Birmingham mi ha fatto proprio bene. Di questi tempi in cui tutti o quasi si riscoprono keynesiani, rileggere le parole originali del divinizzato aiuta a tenere gli occhi bene aperti. Il primo giugno del 1926, Keynes rispondeva a un invito giuntogli per una serie di conferenze dal presidente della Cornell University, Livingston Farrand, annunciandogli che entro il 2008 avrebbe terminato un volume dal titolo An Examination of Capitalism. Ma cambiò idea, come spesso gli avveniva. Di conseguenza, le sue convinzioni di fondo sul tema le dobbiamo ricavare implicitamente dalle sue maggiori opere, che non affrontano mai in profondità il tema, oppure da articoli e lettere in cui gli capitò di esprimere giudizi. Negli anni in cui si era formato, nessun economista nel Regno Unito metteva seriamente in dubbio il capitalismo. C’erano state discussioni anche aspre sul libero commercio e sulla sua base monetaria (il bimetallismo era alla base del suo scritto giovanile del 1913, Indian Currency and Finance), ma il problema dei fondamenti e limiti del capitalismo si riaprì con la Prima Guerra Mondiale, la Rivoluzione Russa e Weimar. In Gran Bretagna, il tentativo post bellico di restaurare la stretta politica monetaria tipica del Gold Standard portò a una sempre più vasta crisi industriale sfociata nello sciopero generale del 1926, con fortissime tensioni sociali. Poi venne il 29 e la Depressione, in cui Londra era entrata in realtà da prima e per conto suo. In quegli anni, la sinistra britannica, intellettuali e artisti condivisero in massa la cecità con cui Sidney e Beatrice Webb e la loro Fabian Society guardavano ai costi umani terribili del comunismo sovietico. Quel che Keynes pensò dello Stato come attore di stabilità economica è stranoto. Partendo dalla sua formazione di economista monetario “classico” con Alfred Marshall e Charles Pigou come maestri, nel 1930 con il Treatise on Money Keynes rompe con la teoria classica aprendosi al ruolo della domanda pubblica, e nel 1936 con la General Theory annuncia addirittura il “radicale” superamento. Dal ciclo trainato dalle aspettative con moneta ancorata all’oro della sua formazione, al nesso tra moneta e risparmio attraverso e oltre il modello di Wicksell, per approdare infine alla teoria di una “fine del ciclo”, ancorata al tuning pubblico della domanda aggregata. Ma del capitalismo in quanto tale, che cosa pensava Keynes? Dagli appunti dei Keynes Papers, si apprende che immaginava un libro scritto in tre parti: L’Ideale, l’Attuale, il Possibile. Il punto d’inizio era “l’amore per il denaro”, attraverso il quale i greedy instincts potevano essere volti a promuovere “miglioramenti tecnologici, dell’occupazione e del risparmio”. Il capitalismo, si legge negli appunti, aveva molti vantaggi, promuoveva decisioni decentrate ed estendeva l’indipendenza delle persone, oltre a essere” essenzialmente internazionalista”. Ma “incoraggia bassi istinti”, recitano gli appunti conclusivi della prima parte. Nella seconda, Keynes si proponeva di sviluppare sì un capitolo sui vantaggi di efficienza garantiti dal capitalismo, ma ben tre capitoli dei quali uno dedicato ai suoi svantaggi, uno ai suoi fallimenti, e infine uno alla sua decadenza. Quanto alla terza parte, Keynes si limitò a indicare i temi che intendeva svilupparvi: e qui viene l’interessante. Le varie forme di socialismo, mettendole a paragone, dal socialismo sindacale a quello corporativo, da quello della cogestione – qui c’è un inciso di suo pugno in forma interrogativa: “c’è del buono?” – alla pianificazione sovietica. Poi il ruolo dello Stato, in tema di risparmio pubblico e di promozione e avversione all’eccesso di rischio finanziario (pensate come sarebbe ristampato al volo, oggi…). Keynes stava leggendo in quegli stessi mesi Religion and the Rise of Capitalism di R. H. Tawney. Ma a differenza di chi lo incardinava nella Riforma, gli appunti di Keynes del 1920 mostrano che a suo giudizio il “capitalismo individualista e le prassi economiche che lo contraddistinguono” risalivano indubitabilmente” addirittura “a Babilonia”. Nel 1925, nel suo A Short View of Russia, Keynes scrive che “una delle ragioni non secondarie della decadenza intellettuale del capitalismo individualista sta nel principio ereditato dal feudalesimo, il principio ereditario nel controllo della ricchezza e dell’impresa. Per questo il capitalismo è intrinsecamente debole e stupido, è troppo dominato da uomini della terza generazione” (quelli che dilapidano il capitale e l’azienda ereditati). Nel 1934, scrivendo sul New Statesman, criticando Stalin e in risposta a George Bernard Shaw, Keynes scrive che essi “guardavano indietro a ciò che il capitalismo era, non a che cosa è diventato”. Marx poteva aver avuto benissimo ragione sul capitalismo dei suoi giorni, ma oggi la cosa è diversa, scrive Keynes. Queste affermazioni sono di solito “centrali”, nelle tesi dei keynesiani, per affermare la superiorità di Keynes sulla natura evolutiva delle istituzioni disegnate dall’uomo e dalla politica come fondanti per economia di mercato e capitalismo, rispetto agli unfettered markets che da soli bastano a fondare il capitalismo, in opere come Capitalism and Freedom di Milton Friedman. In realtà, quando nel 1925 il socialista Kingsley Martin scrive sul New Statesman che “il capitalismo privato è un’istituzione superata dai tempi, incapace di rispondere alle attese e alle necessità del ventesimo secolo”, Keynes risponde di essere “integralmente d’accordo”. Su The Nation spiega che “il capitalismo individualista in Inghilterra è giunto a un punto nel quale non può più a lungo dipendere dalla prospettiva di una crescita continua; deve applicarsi al compito scientifico di perfezionare la struttura della suo funzionamento economico”. Quando Keynes usava sistematica l’aggettivo “individualista” accostandolo a capitalismo, non aveva affatto in mente una nozione dell’individuo come massimizzatore di scelte in condizioni di concorrenza, alla Friedman. Per Keynes, dai primi anni Venti in avanti, conterà sempre assai di più chi è al controllo del sistema. Nel 1933, sul New Statesman scrive che “il capitalismo individualista post bellico non può avere successo, nelle mani di chi oggi lo controlla”. Parole analoghe a quelle che scriveva nel 1922 sul Manchester Guardian Commercial, a proposito dell’“impotenza delle forze del capitalismo” in materia di rapporti di cambio. Nel suo troppo fortunato The End of Laissez Faire (1926), per Keynes diventa evidente che il capitalismo può avere ancora un senso solo se viene radicalmente mutato da una potente azione collettiva. Un suo scritto del 1923 afferma esplicitamente “a meno che le persone siano unite da un obiettivo e princìpi comuni, la mano di ciascuno si leverà contro gli altri e il perseguimento disordinato del vantaggio individuale potrà condurre alla distruzione la società. Non ci sono stati scopi comuni tra nazioni o tra classi, eccetto che per conflitti e guerre”. La sfiducia verso ogni forma di individualismo metodologico non potrebbe essere più radicale. Non c’è da stupirsi, se partecipando nel 1939 al Walter Lippman Colloque, Friedrich von Hayek a furia di sentire queste frescacce si convincesse che la libertà era davvero ormai minacciata e in serio pericolo. Quando Keynes parlava di “capitalismo individualista”, nel porne i limiti non si fondava solo sulla sua – quella sì essenziale - teoria dell’incertezza nelle scelte economiche – il pre-fondamento dell’approccio behaviorista. Aveva in mente categorie “morali”. Per questo usava formule come “capitalismo egotista” o self-interested capitalism. Dopo il caos bellico e postbellico, Keynes pensava che era entrato ormai in crisi sistemica il meccanismo fondante del capitalismo: la sua capacità di risparmio: “il dovere di risparmio ispirato per nove decimi di virtù morali, tanto delle classi agiate che di quelle lavoratrici, ha esito in un precipizio nel quale i lavoratori non tollerano più limiti di vita tanto stretti, e le classi agiate spendono finché possono senza più pensare alla sostenibilità patrimoniale”. Poiché diversa remunerazione del lavoro e del capitale siano accettate e continuino a funzionare, devono essere percepite come “moralmente” giustificate, scrive Keynes. Altrimenti, “if capitalism became simply a mere congeries of possessors and pursuers, people would find it morally inacceptabile”. La conclusione? Il comunismo era avvertito come moralmente giustificato, cioè non aveva bisogno di garantire crescita per reggere; il capitalismo dipendeva invece solo dalla capacità di garantire crescita per tutti ad alti tassi, ma poiché si era bloccato era due volte avvertito come moralmente ingiustificato. (Nation and Athenaeum, 1925). Per coerenza, a commento di Lenin per il quale la maniera migliore di distruggere il capitalismo era minarne la moneta, Keynes replica che in effetti l’inflazione mina il capitalismo, mentre una “persistente inflazione è tollerabile solo sotto il controllo di un sistema socialista” (l’Italia lo ha sperimentato e ci ha convissuto per decenni, infatti). Negli anni della Grande Depressione, Keynes radicalizza ulteriormente la sua convinzione anti capitalista. In Eugenic Reviews del 1937, a proposito del declino demografico in corso, scrive che “una cronica tendenza del capitalismo individualista verso la sotto occupazione conduce alla distruzione della stessa società capitalistica, che rifiuta una più egualitaria distribuzione dei redditi e mantiene alti tassi d’interesse, associati con profitti di pochi, ineguaglianza crescente e alta disoccupazione. Nella General Theory (VII, p376), in un passaggio da brivido Keynes descrive il “rentier aspect of capitalism as a transitional phase which will disappear when it has done its work”. Lo stesso Marx sarebbe stato d’accordo! L’accumulazione dei rentiers finisce, infatti, quando arriva il socialismo! Se queste sono le premesse di tanti anni di inequivoca riflessione – Keynes considerava il capitalismo moralmente insostenibile, se non a patto di crescita altissima e continua – allora bisogna leggere diversamente il suo scambio epistolare con Hayek, nel giugno ’44 dopo The Road to Serfdom. I keynesiani sottolineano di solito la frase “morally and philosophically I find myself in agreement with virtually the whole of it; and not only in agreement, but in a deeply moved agreement”. Ma in realtà subito dopo aggiunge di non poter condividere “the tendency to disparage the profit motive while still depending on it and putting nothing in its place”. Leggete questa frase: “The exploitation and incidental destruction of the divine gift of the public entertainer by prostituting it to the purpose of financial gain is one of the worser [sic] crimes of present-day capitalism. Anything would be better than the present system.” Non è una difesa dei costi non di mercato dell’artista, che verranno poi messi a fuoco dalla legge di Baumol. E’ una condanna del capitalismo e basta. Convinto che “if there is no moral objective in economic progress, then it follows that we must not sacrifice, even for a day, moral and material advantage – in other words, we may no longer keep business and religion in separate compartments of the soul”, Keynes poneva le basi per cui il capitalismo è di conseguenza “tollerabile” solo nelle mani dei progressisti, visto che non si poteva tornare a quelle dei preti. Per questo, da allora in poi, è il messia delle sinistre occidentali al potere." Da chicago-blog. Tutti gli errori di Keynes. "Poiché questo è l'appuntamento finale 2010 di Exit strategy, preferisco dare a tutti voi un modesto consiglio. Due libri che forse possono utilmente accompagnare le impegnative ore postprandiali che attendono molti di voi nelle festività. Il primo è Oscene parole di Riccardo Ruggeri, che ne è anche l'editore, visto che la Grantorino Libri nasce da una sua iniziativa. Non voglio levarvi il piacere di scoprire come e perché un ex manager di prima fila del comitato strategico Fiat - suo il successone del turnaround di New Holland, condotta a essere un pilastro del gruppo come Cnh - individui proprio nell'espressione «exit strategy» una delle formule più odiose di quella élite euroamericana che egli è arrivato al punto di disprezzare. Un'élite che continua a credere nel potere taumaturgico del debito, della finanza per la finanza, una gerontocrazia che a due anni e passa da Lehman Brothers non passa la mano e che continua a produrre giovani o a sé simili oppure espropriati di futuro. Diciamo che è una sana dose di antidoto a chi vorrebbe raccontarci che dopo la crisi davvero abbiamo imparato qualcosa di profondamente nuovo e lo stiamo mettendo a frutto, per mai più ripetere gli errori del quindicennio precedente. Il secondo libro, invece, è programmatico, opalino come il diaspro, puro e tagliente come il diamante. È uscito tradotto nei Libri dell'Istituto Bruno Leoni, l'ha scritto Hunter Lewis, che è un solido economista liberale, e s'intitola Tutti gli errori di Keynes. Non fatevi spaventare dalla mole delle 440 pagine, cominciate dalle spettacolari 35 pagine di prefazione scritte da Francesco Forte. Direte voi: ma perché un libro di polemica retrospettiva, visto che qui si parla di futuro? Perché potrete concludere da voi, se lo leggete, che praticamente tutti i guai che sono davanti a noi derivano dall'applicazione cieca e ripetitiva delle tesi keynesiane, da parte dei suoi discepoli nella moneta e nel tasso d'interesse, nel bilancio pubblico e nei deficit e debiti pubblici a oceani. Elenchiamone alcune.- Senza interventi pubblici, i tassi d'interesse sono quasi sempre troppo alti. Questa è la ragione per la quale l'umanità non si è ancora liberata della povertà. Non c'è nessun buon motivo per cui i tassi d'interesse siano stati così elevati né perché debbano continuare a restare tali.
Il governo e i banchieri centrali devono abbassare i tassi d'interesse. I timori verso l'intervento pubblico nell'economia e per un aumento del denaro circolante sono malfondati. Se la politica monetaria riduce i tassi, l'obiettivo ultimo dovrebbe essere il livello zero. L'inflazione è un male, ma è improbabile che un boom porti a vera inflazione. Nel raro caso in cui ci sia piena occupazione, esistono rimedi migliori che alzare i tassi. Le imposte progressive sul reddito aiutano a ridurre l'ineguaglianza economica. Se si stampa una gran quantità di moneta ma i tassi non dovessero scendere abbastanza, bisogna inventare nuove misure. Anche le istituzioni globali devono aggiungersi a questa azione dei governi. Il risparmio e la frugalità sono una pericolosa illusione, perché deprimono i consumi. Anche il Cristianesimo ha la colpa di avere sposato la religione secolare del risparmio, che deprime i consumi. Aveva torto Say, l'offerta non crea la domanda, è invece la domanda che crea l'offerta. L'unico vero rimedio al fallimento del mercato azionario e del mercato degli investimenti è l'intervento del governo. Il controllo dell'economia da parte dello Stato non dovrebbe fermarsi a tassi d'interesse, investimenti, tassazione e tassi di cambio, ma procedere oltre. La risposta ai pochi investimenti come alla crisi viene dalla spesa pubblica e dallo Stato. I politici devono affidarsi non al mercato ma a «esperti» per ciascuno di questi interventi. Abbassare i salari nelle crisi è sbagliato, lo è a maggior ragione nei periodi buoni. Tra una politica salariale flessibile e una politica monetaria discrezionale, va sempre preferita la seconda. - Sono venti massime keynesiane una più sbagliata dell'altra, a giudizio mio personale. Confutarle, è davvero una bella exit strategy. Per gli Stati Uniti iperindebitati, per la crisi dell'eurodebito, per i guai che ancora pesano sull'intermediazione creditizia. Un programma impegnativo, per l'anno nuovo." Da Economy, 16 dicembre 2010.
Mirafiori: accordo (24 dicembre 2010).
Ieri, 23 dicembre 2010, mentre i media focalizzavano la propria attenzione sui battibecchi tra Berlusconi e Bersani, in Italia si compivano due rivoluzioni: l'accordo di Mirafiori e il decreto Gelmini.
«È un gran bel momento per tutti quelli che hanno faticato per raggiungere un'intesa, ma soprattutto per i lavoratori e per il futuro dello stabilimento. Mirafiori inizia oggi una nuova fase della sua vita. Questo stabilimento è il simbolo della Fiat». Sergio Marchionne, amministratore delegato del Lingotto, non nasconde la soddisfazione per l'accordo raggiunto ieri sera all'Unione industriale di Torino. «Un'intesa – commenta Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria – che rappresenta un significativo elemento di innovazione per le relazioni industriali e che va a vantaggio dell'intero sistema economico e produttivo del Paese».
Marchionne avrebbe però preferito «una condivisione del progetto da parte di tutti i sindacati». La Fiom, invece, ha deciso di non firmare quello che Roberto Di Maulo, segretario della Fismic, ha definito «uno storico accordo». E non c'è dubbio che l'intesa presenti parecchi aspetti "storici". Innanzi tutto perché la Fiom non sarà più rappresentata all'interno di Mirafiori come conseguenza della mancata firma dell'accordo. Non una ripicca aziendale, ma la rigida applicazione della legge. Anche se, in un periodo di forti tensioni sociali, la mancata presenza del secondo sindacato nello stabilimento simbolo dell'industria italiana non è di poco conto. Ovviamente Federico Bellono, segretario della Fiom torinese, ha motivato il no della sua organizzazione con il rifiuto della Fiat di accogliere le richieste dei sindacati sulla base del testo aziendale. Anzi, a suo avviso il testo è persino peggiorato rispetto a 20 giorni or sono. È proprio nel merito che le valutazioni dei sindacati sono opposte. In particolar modo i nodi riguardano l'assenteismo e la pausa mensa. Spiega Eros Panicali, della Uilm : «Siamo riusciti ad ottenere la mensa all'interno del turno e abbiamo aumentato il tasso di assenteismo da cui scatteranno le penalizzazioni al 3,5% (vicino alla media territoriale), riducendo la penalizzazione dei giorni di carenza. Replica il segretario della Fiom: non è vero, la mensa sarà portata a fine turno quando le produzioni andranno a regime. Quanto alle malattie, a regime saranno 2 i giorni non pagati. Ma Di Maulo ricorda che, per spostare la mensa, occorrerà arrivare ad un altro accordo con il sindacato e comunque nel frattempo si cercheranno soluzioni alternative per la manutenzione. Quanto alla malattia, Maurizio Peverati (Uilm) assicura che prima di arrivare alle penalizzazioni si esaminerà il comportamento pregresso del singolo lavoratore, saranno escluse le malattie croniche e si arriverà alla penalizzazione solo dopo alcuni avvertimenti. Sul tutto vigilerà una apposita commissione di verifica. Al di là di questi punti, su cui ieri si è incentrata la discussione, è l'analisi delle conseguenze a tener banco. «Abbiamo incastrato Marchionne – assicura Bruno Vitali (Fim) – obbligandolo a procedere con gli investimenti annunciati. Noi abbiamo fatto la nostra parte ma la decisione finale spetta ora ai lavoratori che saranno consultati a gennaio». Anche Antonio D'Anolfo (Ugl) è convinto di una risposta positiva da parte dei lavoratori a cui «non sfuggirà l'importanza di un accordo che porterà lavoro e serenità». Gli aspetti storici dell'accordo Si ritorna, dunque, agli aspetti storici di questo accordo. Che per Di Maulo dimostra come anche in Italia sia possibile fare attività manifatturiera, arrestando il declino industriale e attirando anche investimenti esteri. Chiaro il riferimento alla joint venture Fiat-Chrysler che sarà creata per Mirafiori e che porterà alla produzione di Suv con marchio americano oltre a vetture con marchio Alfa. Tutto ciò, assicura Di Maulo, senza chiedere sacrifici salariali o normativi: i lavoratori avranno una compensazione mensile di 32,50 euro per la riduzione della durata delle pause mentre per effetto delle maggiorazioni di turno, la busta paga aumenterà di almeno 4mila euro lordi annui. Ora, secondo il presidente dell'Unione industriale torinese, Gianfranco Carbonato, si tratta di inserire le nuove regole – che introducono elementi di discontinuità nelle relazioni industriali, rendendole più moderne – all'interno di un contratto nazionale dell'auto che sia inserito nel sistema confindustriale. E Carbonato auspica che le nuove regole possano essere estese anche ad altri settori. D'altronde anche Marcegaglia assicura che si lavorerà «tutti insieme per realizzare questo importante accordo». Già la prossima settimana sarà stipulato il contratto collettivo di Pomigliano, che sarà poi applicato a Mirafiori e che dovrebbe essere successivamente esteso a tutti gli altri stabilimenti del gruppo. Gli effetti, comunque, non si vedranno subito. Perché occorrerà tempo per realizzare gli investimenti promessi per oltre 1 miliardo di euro e che porteranno ad una produzione, a regime, di 280mila auto, con uno stabilimento che lavorerà 24 ore al giorno per 6 giorni alla settimana. Va ricordato che il 2010 si chiuderà con una produzione di circa 120mila vetture. Nei progetti della Fiat la ripresa produttiva dovrà partire nella seconda metà del 2012. Ieri intanto Fiat Industrial ha firmato un finanziamento per 4,2 miliardi di euro con una serie di banche per far fronte alle necessità della nuova società.
La riforma dell'Università (24 dicembre 2010).
Il Senato ha approvato definitivamente la riforma dell'Università. Il via libera al disegno di legge è giunto al termine di un iter lungo e tormentato, con 161 sì, 98 no e 6 astenuti. Non è mancata una bagarre in aula al momento dell'intervento della presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro. «Mi rifiuto di proseguire, di concludere il mio intervento tra gli insulti» ha affermato la capogruppo del Pd. «Siete degli irresponsabili - ha detto Anna Finocchiaro - non si tratta così la presidente del principale gruppo di opposizione». Questa riforma, aveva detto prima Anna Finocchiaro, «é, per dirla in maniera icastica, la foglia di fico sui tagli che il governo ha impresso all'università e alla ricerca dopo averli impressi alla scuola. Una legge che si sovrappone a una vergogna». Finocchiaro, offesa per avere ricevuto «insulti» durante il suo intervento, ha detto in aula che il Pd potrebbe intervenire «110 volte» sul coordinamento del testo. Poi sono arrivate le scuse di Maurizio Gasparri a nome del Pdl. Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo vicario del Bocciati 850 emendamenti L'esame del provvedimento è andato avanti rapidamente, con qualche rara richiesta di voto elettronico. Sono stati bocciati tutti gli 850 emendamenti presentati. Ed è giunto anche un sì unanime dell'aula del Senato all'ordine del giorno presentato dal terzo Polo (Fli, Udc, Api e Mpa) che denuncia un'insufficienza di risorse per il sistema universitario e impegna il governo a «garantire le coperture finanziarie alla riforma nonchè la certezza dei finanziamenti nel medio periodo per consentire un'adeguata programmazione degli interventi». Il 22 dicembre l'ostruzionismo di Pd e Idv aveva fortemente rallentato i lavori. Poi l'accordo dopo ben tre riunioni dei capigruppo: il voto è stato rimandato al 23 dicembre in cambio di tempi leggermente più lunghi per la discussione in aula (prima si era parlato di un minuto per ogni gruppo, anziché per ogni singolo parlamentare. Sacconi: la riforma archivia i danni prodotti dagli anni Settanta L'approvazione della riforma dell'università, ha detto il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, intervenuto a "la telefonata" di Canale 5, «archivia gli anni Settanta e i guasti che hanno prodotto, in particolare nel sistema educativo, reintroducendo il merito, l'attenzione a dare ai nostri giovani competenze che poi siano spendibili e riconosciute nel mercato del lavoro». Intervenendo nel corso di un'informativa alla Camera sulle manifestazioni del 22 nella Capitale il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha sottolineato che a Roma è stata «una giornata di mobilitazione, ma senza incidenti». E le forze dell'ordine «hanno dato prova di grande equilibrio ed eccellente professionalità». Per Maroni «Il dispositivo di prevenzione ha funzionato egregiamente», anche se qualche «criticità» c'é stata per il blocco della tangenziale. Maroni ha poi sottolineato che «il dissenso così sarà sempre tutelato, ma la violenza sarà contrastata con ogni mezzo». Per Gianfelice Rocca, vice presidente Confindustria per l'Education, l'approvazione della riforma evita di «lasciare le nostre università in una situazione di forte incertezza su tutti i fronti: le risorse, la governance, la valutazione della qualità della ricerca e della didattica, la selezione dei docenti». La riforma, sottolinea Rocca, «consegna finalmente al Paese un sistema universitario nuovo che mette al centro i giovani; in cui il merito, il finanziamento premiale, la selezione dei migliori e l'internazionalizzazione potranno sostituire l'appiattimento retributivo, il finanziamento su base storica e egualitaria, le assunzioni per anzianità e la chiusura internazionale che hanno caratterizzato la vita dei nostri atenei per troppi anni, penalizzando i giovani e ritardando lo sviluppo del Paese». Ora c'è la possibilità di competere «a livello internazionale lasciandosi alle spalle sprechi, inefficienze e nepotismi». L'ABC della riforma. È salito a 29 articoli il ddl Gelmini, che cambia radicalmente l'università in Italia. Anche se ci vorranno 42 decreti attuativi, tra decreti legislativi, deleghe e atti ministeriali, le nuove norme approvate definitivamente dal Senato introducono diverse novità sia sul fronte della governance degli atenei sia su quello del reclutamento. Su quest'ultimo punto, arrivano i contratti «tenure track», di due tipi. contratti di durata triennale, prorogabili per due anni per una sola volta, e contratti triennali non rinnovabili riservati ai candidati che abbiano usufruito già dei contratti del primo tipo, o abbiano usufruito di assegni di ricerca per tre anni (anche non consecutivi) o di borse post-dottorato, oppure di contratti o borse presso atenei stranieri. Si riconosce poi alle università la facoltà di stipulare, gratis o a titolo oneroso, contratti con professionisti esterni (anche pensionati o lavoratori autonomi, ma con un reddito annuo non inferiore a 40mila euro lordi) per migliorare l'attività didattica. Sì anche alle norme anti-parentopoli: non potranno partecipare ai procedimenti per la chiamata a professore di ruolo e associato coloro che hanno un grado di parentela o di affinità - fino al quarto grado compreso - con un professore dell'ateneo, con il rettore, direttore generale o un componente del cda. Il divieto si applica anche agli assegni di ricerca e ai contratti a qualsiasi titolo erogati dall'ateneo. Gli assegni di ricerca potranno essere firmati solo da atenei, enti pubblici di recerca e sperimentazione, l'Enea, l'Agenzia spaziale italiana, oltre alle istituzioni il cui diploma di perfezionamento scientifico è stato riconosciuto equipollente al titolo di dottore di ricerca.
Scende, ma di poco, l'età pensionabile, con la soppressione del biennio Amato, che consentiva il fuori ruolo per due anni. Gli ordinari, andranno in pensione a 70 anni, gli associati a 68. Con l'entrata in vigore della legge, arriverà poi l'abilitazione scientifica nazionale per l'accesso alla cattedra, il fondo per valorizzare il merito dei degli studenti (se si riusciranno a trovare le risorse), la possibilità di aggregarsi tra atenei per migliorare l'offerta formativa, anche a livello interregionale. Professori e ricercatori, anche a tempo determinato, devono entrare in aula e tenere lezioni o seminari. L'impegno viene misurato in 1.500 ore annue, di cui, almeno 350 destinate ad attività di docenza e servizio per gli studenti, se rientrano nel regime di tempo pieno. Si scende a 250 ore per quello di tempo definito. Sul fronte della governance, disco verde alla "nuova" figura del direttore generale e a una netta distinzione tra Cda, consiglio di amministrazione, e senato accademico, che avrà "poteri" limitati alla sola didattica e ricerca. Attenzione anche alle spese: se fuori controllo, l'università verrà commissariata e la cinghia subirà una bella stretta. Ecco in 36 voci tutte le novità introdotte dalla riforma Gelmini.
Abilitazione scientifica nazionale (articolo 16). Che durerà 4 anni e sarà condizione per l'accesso ai ruoli di professori di prima e di seconda fascia. Entro 90 giorni dall'entrata in vigore della riforma, saranno dettate le procedure necessarie per conseguire l'abilitazione. Tra i parametri previsti, un numero massimo di pubblicazioni che ciascun candidato può presentare in ogni caso non inferiore a 12 e giudizi diversi per funzioni e per area disciplinare. Le procedure per il conseguimento dell'abilitazione saranno indette con cadenza annuale. L'abilitazione è attribuita da una commissione nazionale e costituisce titolo preferenziale per l'attribuzione dei contratti d'insegnamento.
Abrogazioni (articolo 29). Con l'entrata in vigore del ddl Gelmini di riforma dell'università, gli atenei possono procedere alla copertura dei posti di professore ordinario e associato, di ricercatore, di assegnista, sono attraverso le procedure previste dalle nuove norme.
Anagrafe studenti (articolo 27). Prevista una modifica solamente formale all'istituto già disciplinato dalla legge 170 del 2003. Sono state chiarite meglio le finalità dell'anagrafe.
Assegni di ricerca (articolo 22). Solo se ci sono le risorse e con bandi pubblici. Possono conferire assegni di ricerca: gli atenei, enti pubblici di recerca e sperimentazione, l'Enea, l'Agenzia spaziale italiana, oltre alle istituzioni il cui diploma di perfezionamento scientifico è stato riconosciuto equipollente al titolo di dottore di ricerca. Si chiarisce poi che possono essere destinatari degli assegni solo gli studiosi in possesso di curriculum scientifico-professionale idoneo allo svolgimento di attività di ricerca. I soggetti conferenti l'assegno possono comunque riservare una quota di assegni di ricerca a studiosi italiani o stranieri che hanno conseguito il dottorato di ricerca (o titolo equivalente) all'estero o a studiosi stranieri che hanno conseguito il dottorato di ricerca in Italia. Il dottorato di ricerca (o la specializzazione, se l'assegno si riferisce all'area medica) può essere inserito come requisito obbligatorio per partecipare al bando. Ogni assegno può durare da uno a 3 anni. È rinnovabile e, in genere, non cumulabile con borse di studio. L'importo dell'assegno è determinato dall'ateneo e gode delle comuni disposizioni fiscali e previdenziali. I vincitori di assegno possono scegliere l'università e la struttura dove svolgere la propria attività, previo assenso delle stesse. Gli assegni non danno luogo a diritti in ordine all'accesso ai ruoli. Comunque, la durata massima dei rapporti instaurati con gli assegnisti da parte di qualsiasi soggetto non può superare i 4 anni, anche non continuativi.
Atenei federati (articolo 3). E' una possibilità che possono cogliere 2 o più università per offrire servizi al top, abbattendo i costi. Bisognerà, però, avere il disco verde dal ministero dell'Istruzione. La federazione poi può aver luogo, anche, con enti o istituzioni operanti nei settori della ricerca e dell'alta formazione.
Chiamata dei professori ordinari e associati (articolo 18). I posti di professore di prima e seconda fascia all'università saranno stabiliti sulla base di una programmazione triennale, nell'ambito delle disponibilità di bilancio. Gli atenei procedono alla copertura dei posti di professore a seguito di procedure pubbliche di selezione bandite dalle singole università, cui potranno accedere solo gli abilitati. Non possono partecipare ai procedimenti per la chiamata coloro che hanno un grado di parentela o di affinità fino al quarto grado compreso con un professore dell'ateneo, con il rettore, direttore generale o un componente del cda. Tale divieto si applica anche agli assegni di ricerca e ai contratti a qualsiasi titolo erogati dall'ateneo. Al fine di procedere alla programmazione triennale, le università statali hanno la necessità di vincolare le risorse corrispondenti ad almeno un quinto dei posti disponibili di professore di ruolo alla chiamata di coloro che nell'ultimo triennio non hanno prestato servizio, o non sono stati titolari di assegni di ricerca o iscritti a corsi universitari nell'università stessa. Giro di vite sulla partecipazione a gruppi o progetti di ricerca delle università (qualsiasi ne sia l'ente finanziatore). E' ammesa solo a professori e ricercatori, anche a tempo, ai titolari di assegno di ricerca, agli studenti dei corsi di dottorato (e a quelli delle lauree magistrali nell'ambito di specifiche attività formative), professori a contratto, personale tecnico-amministrativo dell'ateneo o di altre amministrazioni o società, purchè, però, in possesso di specifiche competenze nel campo della ricerca.
Comitato garanti per la ricerca (articolo 21). Viene istituito il Comitato nazionale dei garanti della ricerca al quale, fra l'altro, compete l'indicazione dei criteri generali per le attività di valutazione dei risultati. Esso subentra alla commissione istituita per la valutazione delle domande per l'accesso al Fondo per gli investimenti della ricerca di base (Firb), nonché alla commissione di garanzia prevista per la selezione dei programmi di ricerca di interesse nazionale.
Competenza disciplinare (articolo 10). Presso ogni ateneo è istituito un collegio di disciplina, composto da professori e ricercatori a tempo pieno. L'avvio del procedimento disciplinare spetta al rettore. Al collegio, compete esprimere un parere.
Contratti per attività di insegnamento (articolo 23). Si riconosce alle università la facoltà di stipulare, gratis o a titolo oneroso, contratti con professionisti esterni (anche pensionati o lavoratori autonomi con un reddito annuo non inferiore a 40mila euro lordi) per migliorare l'attività didattica. I contratti a titolo gratuito (salvo quelli stipulati in convenzione con enti pubblici) non possono superare, nell'anno accademico, il 5% dell'organico dei professori e ricercatori di ruolo in servizio presso l'ateneo. Questi contratti sono stipulati dal rettore e possono durare un anno accademico, rinnovabile annualmente fino a un massimo di 5 anni. Gli atenei, poi, possono stipulare per esigenze didattiche, anche integrative, contratti a titolo oneroso, nell'ambito delle proprie disponibilità finanziarie, con soggetti in possesso di adeguati requisiti scientifici e professionale. Il titolo di dottore di ricerca, la specializzazione, l'abilitazione o altri eventuali titoli conseguiti all'estero costituiscono titolo preferenziale per firmare questi contratti. Al fine di favorire l'internazionalizzazione degli atenei, alle singole università è consentito affidare insegnamenti a contratto a docenti, studiosi o professionisti straniei di chiara fama. Il curriculum del prescelto va pubblicato su internet, mentre il suo compenso è deciso dal cda.
Decreti attuativi riforma (articolo 5, commi 1 e 2 e commi da 7 a 9). Entro 12 mesi dall'entrata in vigore della riforma dell'università, targata Gelmini, il Governo dovrà emanare 4 decreti legislativi su: riordino contabilità atenei, premi agli atenei, valorizzazione professori e personale amministrativo e diritto allo studio. Il tutto a costo zero per l'erario. I decreti dovranno ricevere l'ok delle commissioni parlamentari e dovranno essere emanati d'intesa con le regioni. Gli effetti finanziari della nuove norme si conosceranno solo al momento dell'adozione dei decreti. Entro 18 mesi dall'entrata in vigore dei decreti legislativi, si potranno fare correzioni e integrazioni.
Diritto allo studio (articolo 5, comma 6). In primo luogo, andranno definiti i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) per garantire il pieno successo formativo di tutti gli studenti. Poi, bisognerà garantire a tutti la più ampia libertà di scelta degli studi più adatti e, per chi non dispone dei necessari mezzi economici, la certezza di poter, comunque, arrivare ai più alti livelli di istruzione. Si conferma il ruolo dell'università di essere un importante ascensore sociale.
Dottorato di ricerca (articolo 19). Si prevede in primo luogo che i corsi di dottorato di ricerca debbono essere accreditati dal ministero dell'Istruzione. I corsi di dottorato poi possono essere istituiti non solo dalle università, ma anche da istituti di istruzione universitaria ad ordinamento speciale, da qualificate istituzioni di formazione e ricerca avanzate, da consorzi tra atenei o tra università ed enti di ricerca privati o pubblici. Il numero di laureati da ammettere ai corsi di dottorato e il numero di dottorandi esonerati dai contributi per ragioni di reddito o di merito continuano ad essere decisioni di competenza dei Rettori, ma viene soppresso il vincolo di riservare borse di studio ad almeno metà dei dottorandi; tale disposizione, tuttavia, potrà essere applicata solamente dopo l'entrata in vigore del decreto ministeriale di accreditamento. La nuova disciplina del dottorato di ricerca introduce altresì nella legge la possibilità di applicare i contratti di apprendistato (previsti dalla legge Biagi, il Dlgs 276/2003) ai dottorandi in ricerca, utilizzando tali contratti in modo alternativo alle borse di studio. Le disposizioni dell'articolo in esame novellano la normativa vigente consentendo che la frequenza di un corso di specializzazione medica non escluda la possibilità di frequentare un corso di dottorato di ricerca; in questo caso, però, la durata del corso di dottorato viene ridotta ad un minimo di due anni. Previste poi nuove norme che disciplinano il congedo straordinario dei dipendenti pubblici che siano stati ammessi a corsi di dottorato di ricerca, con o senza borsa di studio.
Equipollenze (articolo 17). Si prevede l'equipollenza - con le lauree di primo livello - dei diplomi delle scuole dirette a fini speciali, istituite ai sensi del Dpr 10 marzo 1982, n. 162, e dei diplomi universitari triennali di cui alla legge 19 novembre 1990, n. 341. Ciò, però, solo se si tratti di titoli conseguiti al termine di un corso di durata triennale.
Fondo formazione impiegati pubblici (articolo 28). Fondo per la formazione e l'aggiornamento della dirigenza presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, destinato, con una particolare attenzione, anche a quei funzionari pubblici degli enti locali interessati dall'assegnazione delle nuove responsabilità derivanti dall'applicazione delle norme sul federalismo fiscale. È autorizzata una spesa di 2 milioni a decorrere dal 2012 e fino al 2017.
Fondo per il merito (articolo 4). Istituito presso via XX Settembre, con il compito di promuovere l'eccellenza e il merito tra gli studenti (per la prima volta iscritti al primo anno) individuati mediante prove nazionali standard. Il fondo garantirà i cosiddetti prestiti d'onore (a tassi molti bassi) oppure fornirà borse di studio, determinate in base a voti e a reddito. Partirà se ci saranno le risorse disponibili. Ed è previsto anche che nei limiti delle risorse disponibili, gli studenti più bravi potranno non restituire i soldi ricevuti in premio. Il fondo per il merito verrà alimentato da prevalentemente da versamenti spontanei di privati. Ma sono previsti, anche, finanziamenti pubblici. Il 10% delle borse di studio dovrà essere appannagio degli studenti iscritti nelle università della regione in cui risultano residenti.
Fondo premialità (articolo 9). Che potrà essere rimpinguato anche con finanziamenti privati. Servirà per premiare i docenti bravi.
Interventi perequativi per gli atenei statali (articolo 11). Previsto, a decorrere dal 2011, che una quota pari almeno all'1,5% del fondo di funzionamento ordinario sia destinata a essere ripartita tra le università che presentino situazioni di sottofinanziamento. L'intervento perequativo viene ridotto proporzionalmente laddove la situazione di sottofinanziamento derivi dall'applicazione delle misure di valutazione.
Lettori di scambio (articolo 26). Le università, sulla base di accordi culturali internazionali, possono conferire a studiosi stranieri in possesso di elevata e qualificata professionalità, incarichi annuali, rinnovabili, per attività legate alla diffusione della lingua e della cultura del Paese di origini e alla cooperazione internazionale. La norma sana anche la posizione dei collaboratori esperti linguistici assunti dagli atenei come lettori di madrelingua straniera.
Mobilità docenti (articolo 7). Via libera a norme che favoriscono lo scambio di professori e ricercatori da un ateneo all'altro. Previsto anche che i professori universitari, a domanda, possano essere collocati - per massimo 5 anni, anche consecutivi - in aspettativa senza assegni, per lo svolgimento di attività professionali, pure in ambito internazionali, presso altri soggetti che, però, provvedono a stipendiarli. L'aspettativa è concessa dal rettore. Sono previsti poi incentivi per favorire la mobilità dei docenti e si sottolinea anche come in caso di cambiamento di sede, i professori e i ricercatori (sia di ruolo che a tempo determinato) responsabili di progetti di ricerca finanziati da soggetti diversi dall'università di appartenenza conservino la titolarità dei progetti e dei relativi finanziamenti. A patto però che ciò sia scientificamente possibile e - soprattutto - che ci sia l'accordo del committente della ricerca.
Nucleo di valutazione d'ateneo (articolo 2, comma 1, lettere q e r). Che dovrà essere composto con soggetti di elevata qualificazione professionale in prevalenza esterni, il cui curriculum è reso pubblico nel sito internet dell'università. Sarà integrato da una rappresentanza degli studenti. Il nucleo di valutazione avrà, tra l'altro, la funzione di verifica della qualità e dell'efficacia dell'offerta didattica e della congruità del curriculum scientifico o professionale dei titolari di contratto di insegnamento.
Nuova governance universitaria (articolo 2). Entro 6 mesi dalla conversione in legge del ddl di riforma del sistema universitario, gli atenei dovranno approvare statuti con nuove caratteristiche. Intanto, ci dovrà essere un codice etico per evitare incompatibilità, conflitti d'interessi legati a parentele. Il rettore, poi, non potrà rimanere in carica per più di 6 anni, non rinnovabili. Qualora risulti eletto a rettore un professore appartenente ad altro ateneo, tale elezione si configura anche come chiamata e concomitante trasferimento nell'organico dei professori della nuova sede, e comporta pure lo spostamento della quota di finanziamento ordinario relativo alla somma degli oneri stipendiali in godimento presso la sede di provenienza del professore stesso. Inoltre il posto resosi vacante può essere coperto solo in attuazione delle norme vigenti in materia di assunzioni. Il neo rettore sarà passibile anche di mozione di sfiducia, proposta dal senato accademico con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti. Senato accademico e Consiglio di amministrazione, Cda, dovranno avere funzioni nette e distinte. Il primo (composto da un numero di professori non superiore a 35 unità) avanzerà proposte di carattere scientifico, ma sarà il Cda (11 componenti, di cui al massimo 3 membri esterni) ad avere la responsabilità delle spese, delle assunzioni e dei costi di gestione, anche delle sedi distaccate. Arrivano divieti per i componenti di Senato e Cda (con alcune eccezioni per rettore e direttori di dipartimento) di ricoprire altre cariche accademiche. Spazio, poi, a un direttore generale, che sostituirà l'attuale direttore amministrativo. Il nuovo Dg avrà compiti di grande responsabilità (dal personale, alla gestione amministrativa e contabile dell'ateneo) e dovrà rispondere delle sue scelte, come un vero e proprio manager privato. Riordino, pure, per i dipartimenti, che avranno compiti di organizzare la didattica di settore e tutte le attività connesse e accessorie. Ogni dipartimento dovrà avere almeno 35 professori e ricercatori, anche, a tempo determinato. Ovvero 40 nelle università con un numero di docenti superiore a mille unità. I dipartimenti posso raggrupparsi in facoltà o scuole, con funzioni di coordinamento e razionalizzazione delle attività didattiche e di gestione dei servizi comuni. All'interno del dipartimento o del raggruppamento ci dovrà essere (a costo zero per l'Erario) una commissione paritetica docenti-studenti per assicurare l'alta qualità del servizio e monitorare l'offerta formativa e l'attività di servizio agli studenti da parte dei professori e ricercatori, valutandone i risultati. Una specifica niente affatto secondaria, visto che dalla valutazione dei ragazzi dipenderà (parte) dell'attribuzione dei fondi all'ateneo. Sì poi agli insegnamenti, corsi di studio e forme di selezione svolti in lingua inglese. Con l'arrivo dei nuovi statuti, tutti gli attuali organi universitari decadranno automaticamente. Il mandato dei rettori in carica al momento dell'adozione dello statuto è prorogato fino al termine dell'anno accademico successivo. L'elettorato passivo per le cariche accademiche è riservato ai docenti che assicurano un numero di anni di servizio almeno pari alla durata del mandato prima della data di collocamento a riposo.
Pensioni a 70 anni (articolo 25). Salta il biennio Amato, che consentiva ai docenti il fuoro ruolo per due anni. Con l'entrata in vigore quindi delle nuove norme, i professori ordinari andranno in pensione a 70 anni, mentre gli associati a 68.
Premi alle università (articolo 5, comma 3). Bisognerà introdurre un sistema di accredito delle sedi e dei corsi di studio e di dottorato, utilizzando specifici indicatori definiti dall'Anvur. L'obiettivo è evitare che si creino insegnamenti e strutture non necessarie. L'efficienza dell'ateneo sarà valutata, periodicamente, dall'Anvur. Due gli indicatori principali: qualità della ricerca e della didattica. Ai migliori, arriveranno più soldi dal fondo di finanziamento ordinario. Per chi riporterà voti bassi, invece, la cinghia si ristringe.
Politiche di reclutamento (articolo 5, comma 5). Prevista l'attribuzione di una quota non superiore al 10% del fondo di finanziamento ordinario correlata a meccanismi di valutazione delle politiche di reclutamento degli atenei, elaborati dall'Anvur.
Principi ispiratori della riforma (articolo 1). Si chiarisce che gli atenei sono, prima di tutto, sedi di libera formazione e strumento per la circolazione del sapere. Nel loro operare poi sono tenuti a rispettare i principi di autonomia e di responsabilità (finanziaria, scientifica, didattica), anche sperimentando, in accordo con Viale Trastevere, nuovi modelli organizzativi e funzionali e forme sostenibili di organizzazione della didattica e della ricerca su base policentrica. Disco verde anche ad accordi su base interregionale tra atenei. Il diritto allo studio per tutti e il merito vanno promossi e valorizzati. Finisce l'era dei finanziamenti "pioggia": le università saranno valutate e le risorse pubbliche assegnate in coerenza con gli obiettivi e gli indirizzi strategici per il sistema e le sue componenti.
Progetti di ricerca (articolo 20). La norma dispone la sperimentazione triennale della tecnica di valutazione fra pari per la selezione dei progetti di ricerca finanziati a carico del Fondo sanitario nazionale e del Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (First). La valutazione deve essere svolta da comitati composti per almeno un terzo da studiosi operanti all'estero (mentre nel testo precedentemente approvato dal Senato si parlava di professionisti e non di studiosi). Si prevede anche che i membri del comitato - chiamato a valutare i progetti di ricerca presentati da ricercatori di età inferiore a 40 anni - debbano essere "in maggioranza" di età inferiore a 40 anni.
Qualità sistema universitario (articolo 13). Si fa riferimento alla qualità, efficacia ed efficienza delle sedi didattiche. E si prevede che gli incrementi premianti siano disposti annualmente con decreto di viale Trastevere, in misura compresa fra lo 0,5% e il 2% del fondo di funzionamento.
Ricercatori a tempo determinato (articolo 24). Per i ricercatrori sono previsti contratti a tempo determinato, di tipo "tenure track". Di due tipi. Contratti di durata triennale, prorogabili per due anni per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, effettuata sulla base di modalità e criteri definiti con decreto del ministero dell'Istruzione (per la cui emanazione non è previsto un termine). I contratti possono essere stipulati con lo stesso soggetto anche in sedi diverse. La seconda tipologia, sono contratti triennali non rinnovabili riservati ai candidati che abbiano usufruito già dei contratti del primo tipo, oppure abbiano usufruito di assegni di ricerca per tre anni (anche non consecutivi) o di borse post-dottorato, oppure di contratti o borse presso atenei stranieri. Questo secondo tipo di contratto è stipulato esclusivamente con il regime del tempo pieno, mentre i contratti del primo tipo possono prevedere il regime di tempo pieno o di tempo definito, con un impegno annuo complessivo pari a 350 ore per il tempo pieno e a 200 ore per il tempo definito. Si prevede poi che nel terzo anno di questa tipologia di contratto l'università, nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione, valuti il titolare del contratto che abbia conseguito l'abilitazione scientifica nazionale, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato, dando pubblicità alla procedura sul proprio sito. La valutazione si svolge in conformità agli standard qualitativi riconosciuti internazionalmente individuati con un apposito regolamento di ateneo. Se la valutazione ha esito positivo, il titolare del contratto, alla scadenza dello stesso, è inquadrato come professore associato.In ogni caso, la durata complessiva dei rapporti instaurati con il medesimo soggetto, titolare degli assegni di ricerca e dei contratti a tempo determinato, intercorsi anche con atenei diversi, statali, non statali o telematici non può essere superiore a 12 anni, escludendo i periodi trascorsi in aspettativa per maternità o per motivi di salute. I contratti non danno luogo a diritti in ordine all'accesso ai ruoli: il loro espletamento, però, costituisce titolo preferenziale nei concorsi per l'accesso alle pubbliche amministrazioni.
Riconoscimento crediti (articolo 14). Scende da 60 a 12 il numero massimo dei crediti formativi. Il riconoscimento deve essere effettuato esclusivamente sulle competenze dimostrate da ciascun studente. Sono escluse forme di riconoscimento attribuite "collettivamente". Sono previste deroghe in relazione a particolari esigenze degli istituti di formazione della pubblica amministrazione, sentiti i ministeri competenti. Le università possono riconoscere crediti formativi agli studenti che hanno conseguito medaglie olimpiche e nazionali.
Rientro cervelli (articolo 29, comma 20). Si prevede che il servizio prestato in Italia da parte di studiosi impegnati all'estero richiamati nell'ambito dei cosiddetti piani di rientro dei cervelli, sia riconosciuto per 2/3 ai fini della carriera e per intero, a domanda e con onere a carico del richiedente, ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza. Il comma riporta anche le modalità di copertura dell'onere, valutato in 340mila euro annui a decorrere dal 2011.
Riordino contabilità atenei (articolo 5, comma 4). In arrivo un nuovo sistema di contabilità economico-patrimoniale, che renda più chiari i bilanci. Dovrà essere realizzato in accordo con il Mef e con la Crui. Si dovrà, poi, adottare un piano economico-finanziario triennale al fine di garantire la sostenibilità di tutte le attività dell'ateneo. Le spese per l'indebitamento e quelle per il personale di ruolo e a tempo determinato dovranno avere un tetto massimo. Spazio, anche, a un costo standard unitario di formazione per studente in corso. Giro di vite, poi, in caso di dissesto finanziario. In caso di declaratoria di dissesto, bisognerà predisporre entro 180 giorni un piano di rientro che dovrà essere approvato da Via XX settembre e da attuare al massimo entro 5 anni. Se non si fa o non viene approvato, scatta il commissariamento. Si prevede, comunque, un fondo di rotazione a garanzia del riequilibrio finanziario degli atenei.
Scatti di stipendio (articoli 8 e 29, comma 19). Passano da biennali a triennali gli scatti di stipendio. Viene cancellato il periodo di straordinario, per i docenti di prima fascia, della conferma (per quelli di seconda fascia) e vengono eliminate le procedure di ricostruzione di carriera e conseguente rivalutazione del trattamento iniziale. Prevista la possibilità per i docenti nominati secondo il regime previgente di optare per il nuovo regime. Per gli scatti meritocratici, dovranno essere stanziati 18 milioni per il 2011, 50, ciascuno, per il 2012 e 2013.
Stabilizzazione ricercatori (articolo 29, comma 9). A valere sugli 800 milioni di risorse in più che arriveranno dal 2011 al fondo di funzionamento ordinario per effetto della legge di stabilità appena approvata, è riservata una quota non superiore a 13 milioni l'anno per il 2011, a 93, per il 2012, e a 173 per il 2013, per la chiamata di professori associati.
Settori scientifico-disciplinari (articolo 15). Andranno rivisti entro 60 giorni dall'entrata in vigore delle nuove norme contenute nel ddl di riforma. Scenderanno dagli attuali 370 a circa la metà, con una consistenza minima di almeno 50 professori di prima fascia in ciascun settore. A regime, saranno necessari almeno 30 professori di prima fascia. I settori concorsuali e quelli scientifico-disciplinari saranno rivisti con cadenza quinquennale.
Università non statali (articolo 12). Al fine di incentivare la correlazione tra la distribuzione delle risorse statali e il conseguimento di risultati di rilievo nella didattica e nella ricerca, è previsto che una quota non superiore al 20% dei contributi stabiliti dalla legge 243/1991, relativi agli atenei non statali legalmente riconosciuti, sia ripartita sulla base dei criteri stabiliti dall'Anvur. Gli incrementi sono disposti annualmente con decreto di viale Trastevere, in misura compresa fra il 2% e il 4 per cento. La misura dell'incremento è determinata tenendo conto delle risorse complessivamente disponibili e dei risultati conseguiti. Queste previsioni non si applicano alle università telematiche, a meno che non siano ricomprese in un decreto dell'Istruzione.
Valorizzazione professori e personale (articolo 6). Professori e ricercatori, anche a tempo determinato, devono entrare in aula e tenere lezioni o seminari. L'impegno viene misurato in 1.500 ore annue, di cui, almeno 350 destinate ad attività di docenza e servizio per gli studenti, se rientrano nel regime di tempo pieno. Si scende a 250 ore per quello di tempo definito. Si prevede poi che i ricercatori a tempo indeterminato, gli assistenti del ruolo a esaurimento e i tecnici laureati, che hanno svolto tre anni di didattica, oltre che i professori incaricati stabilizzati, possano svolgere con il loro consenso: corsi, moduli curriculari, attività di tutoraggio e di didattica integrativa. Acquisiscono il titolo di professore aggregato ma solo per l'anno accademico in cui svolgono tali corsi, pur mantenendo però il trattamento economico originario. Ma conservano il titolo di professore aggregato anche nei periodo di congedo straordinario. L'opzione per il tempo pieno o definito si sceglie all'atto di presa in servizio. Nel caso di passaggio dall'uno all'altro regime serve una domanda da presentare almeno sei mesi prima dell'inizio dei corsi. Viene rimessa poi al regolamento di ateneo l'individuazione delle modalità per certificare l'effettivo svolgimento delle attività didattiche e di servizio agli studenti da parte dei professori e ricercatori. In ogni caso viene fatta salva la competenza esclusiva dell'ateneo a valutare i propri docenti. E in caso di giudizio negativo, scatta l'esclusione dalle commissioni di abilitazione, selezione e progressione di carriera del personale, oltre che dagli organi di valutazione dei progetti di ricerca. Sul fronte delle incompatibilità poi si conferma che la posizione di professore e ricercatore è incompatibile con l'esercizio del commercio e dell'industria. È fatta salva la possibilità di costituire società con caratteristiche di spin off o di start up universitari (Dlgs 297/1999). L'attività a tempo pieno è però incompatibile con l'esercizio di attività libero-professionale. Quella a tempo definito no, salvo conflitti d'interesse. Si prevede poi che i docenti a tempo pieno possano svolgere (anche retribuiti) attività lezioni e seminari a carattere occasionale, attività pubblicistiche ed editoriali, consulenze. Serve invece il nulla osta del rettore per svolgere ricerche o ricoprire incarichi presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro: sempre che non ci siano conflitti di interesse. Se c'è l'accordo tra università, i docenti a tempo pieno possono svolgere attività didattica e di ricerca presso altri atenei. Gli accordi in ambito sanitario dovranno essere definiti d'intesa con le regioni. Professori e ricercatori sono tenuti a presentare una relazione triennale sul loro operato, con la richiesta di scatto stipendiale. Se il giudizio dell'ateneo è negativo la richiesta dello scatto può essere rinnovata dopo un anno. I soldi per il mancato scatto vanno nel fondo per premiare i docenti.
USA: si guarda al 2011 con ottimismo (26 dicembre 2010).
«L'economia degli Stati Uniti continua a migliorare e i consumi vanno bene». Il Beige Book diffuso a inizio dicembre dalla Federal Reserve ha profuso ottimismo a piene mani. L'attività manifatturiera ha «continuato a espandersi in quasi tutti i distretti», i consumi continuano a tenere un ritmo «positivo», sebbene le spese si concentrino soprattutto sui beni più necessari. Il Beige Book è arrivato assieme al rapporto sul mercato del lavoro che a novembre ha mostrato un aumento di 93mila posti di lavoro nel settore privato e ai dati sulle vendite record (superiori al miliardo di dollari) durante il Cyber Monday (il primo lunedì successivo al Black Friday ed il giorno in cui tradizionalmente inizia lo shopping on line natalizio, dopo il Thanksgiving Day). Ulteriore ottimismo è arrivato anche dalle ultime misure fiscali decise dall'amministrazione Obama - tagli per 858 miliardi di dollari im 10 anni – prese in accordo con l'opposizione repubblicana. A supportare l'ottimismo degli analisti (nonostante il persistente alto livello della disoccupazione) c'è anche il continuo miglioramento della fiducia dei consumatori, l'aumento degli utili delle grandi aziende e il buon andamento di Wall Street, che questa settimana ha visto il Dow Jones toccare i massimi degli ultimi due anni e mezzo. La recessione – finita ufficialmente nel giugno del 2009 – sembra dunque sempre più lontana, come dimostra anche l'andamento del Pil, che ha chiuso il terzo trimestre in crescita del 2,6%, in rialzo di quasi un punto percentuale rispetto alla seconda frazione dell'anno anche se in deciso rallentamento rispetto al 3,7% messo a segno nei primi tre mesi del 2010. Secondo Nariman Behravesh, capo economista di IHS GLobal Insight, il quarto trimestre si chiuderà con un aumento di oltre il 3% grazie anche al miglioramento del sentiment di imprese e consumatori. La convinzione di una decisa accelerazione della crescita degli Stati Uniti nel 2011 è sempre più diffusa fra economisti e policy makers che - come riporta oggi anche il New York Times - continuano a rivedere al rialzo le loro previsioni sulle prospettive della congiuntura a stelle e strisce (Goldman Sachs ha per esempio rivisto le stime di crescita dal 2 al 2,7%). Ottimismo condiviso anche dalle grandi banche che – come scrive oggi il Wall Street Journal - dopo un 2010 modesto, (caratterizzato da un aumento del 18% delle operazioni di fusioni e acquisizioni: 2,76 trilioni di dollari contro i 4,6 trilioni riportati nel 2007) vedono un 2011 in grande ripresa. Convinto che l'economia americana abbia superato l'apice della crisi si è detto nei giorni scorsi anche il presidente Obama secondo cui gli Stati Uniti «devono ora instradare i propri conti pubblici su una traiettoria sostenibile» riducendo deficit e debito e creando «incentivi che possano dar vita ad un maggior numero di innovatori come Steve Jobs» per aumentare il livello di competitività degli States. I dati in arrivo nelle prossime settimane dovrebbero confermare l'accelerazione della crescita sul finire dell'anno, con indicazioni positive per il primo trimestre 2011. Le indagini Ism e il Chicago Pmi dovrebbero continuare a registrare miglioramenti (anche se su livelli meno elevati di quelli segnati a novembre), mentre l'employment report dovrebbe mostrare un'accelerazione dell'aumento di occupati e un calo del tasso di disoccupazione. Miglioramenti sono previsti anche per le vendite di auto, la fiducia dei consumatori e la spesa nel settore delle costruzioni. La prova del nove sulle prospettive della congiuntura Usa arriverà venerdì 7 gennaio con la pubblicazione del rapporto sul mercato del lavoro che a dicembre dovrebbe aver registrato un aumento degli occupati nel settore non agricolo di ben 150 mila unità. Una cosa sembra comunque certa: il ritrovato slancio dell'economia americana potrà godere nel 2011 dell'appoggio della Fed e della sua politica di ampliamento del quantitative easing. L'Istituto guidato da Ben Bernanke ha fatto sapere che acquisterà altri 600 miliardi di bond del Tesoro americano a lunga scadenza entro la seconda metà dell'anno, circa 75 miliardi di dollari al mese. Entro lo stesso termine la Fed intende inoltre reinvestire in obbligazioni in maturazione, portando l'immissione totale di liquidità tra 850 e 900 miliardi di dollari. I tassi d'interesse restano nel frattempo ai minimi storici, con i Fed Funds compresi nel range tra lo 0 e lo 0,25%.
BCE: potenzia l'acquisto di titoli di stato (28 dicembre 2010).
La Bce ha acquistato la scorsa settimana titoli di stato per 1,1 miliardi di euro contro i 603 milioni della settimana precedente. L'incremento degli acquisti indica un rinnovato timore dell'Istituto Centrale europeo circa una possibile ripresa della crisi dei debiti sovrani. Lo riferisce il Financial Times, precisando che gli acquisti si sono concentrati sui titoli portoghesi ed irlandesi. La nuova tornata di acquisti di titoli di stato avviene in un momento particolarmente tranquillo per i mercati, dove gli scambi sono limitati in ragione della pausa natalizia. La Banca centrale europea da parte sua giustifica la scelta come un'azione di correzione del malfunzionamento dei mercati. In molti tuttavia sospettano che questo sia il primo capitolo di un'escalation nel piano di acquisti di titoli di stato (finora la Bce è intervenuta per oltre 70 miliardi di dollari). Quest'ultima peraltro si è voluta tutelare dai potenziali rischi legati a queste operazioni varando un insolito aumento di capitale (da 5 a 10 miliardi) nelle scorse settimane. Nello stesso giorno la Bce aveva annunciato una stretta sugli «abs» (Asset backed securities) i titoli garantiti da prestiti e altre attività finanziarie che la Banca centrale europea accetta come collaterale per la liquidità che fornisce alle banche. Questo canale di finanziamento al sistema creditizio adottato dall'Eurotower (e altre banche centrali in tutto il mondo) per far fronte alla crisi finanziaria continua a funzionare a pieno ritmo. Nell'odierna asta di rifinanziamento del settore bancario dell'Eurozona, la Bce ha allocato 227,8 miliardi, scadenza 7 giorni, tasso fisso 1%, tutte soddisfatte le 233 richieste pervenute. Oggi scadeva una operazione analoga da 193,4 miliardi, così con l'asta odierna la Bce ha immesso nel sistema liquidità netta per 34 miliardi.
Fiat: fiducia sulla trattativa (28 dicembre 2010).
«Sono fiducioso, la Cgil alla fine sarà della partita perché il sindacato italiano nella sua grandissima maggioranza è disponibile ad accrescere la produttività del lavoro». Lo dice, in un'intervista a Repubblica, il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, dopo l'accordo per Mirafiori, sottolineando di aver trovato nelle parole del segretario della Cgil, Susanna Camusso, «alcuni accenti positivi». «Fuori da questo progetto - aggiunge Sacconi - rimane una ridotta ideologizzata», mentre dal segretario è arrivata una «speranza di condividere con le altre organizzazioni sindacali e con la Confindustria un quadro di regole funzionali alla maggiore competitività». Quella della rappresentanza, comunque, «è una materia tipicissima delle parti sociali» e «un intervento del governo sì sarebbe autoritario». Saranno quindi industria e sindacati a riscrivere le regole. L'accordo raggiunto per Mirafiori (articolo del 24 dicembre 2010), peraltro, «dimostra che i salari anche in Italia possono crescere» mentre «il diritto di sciopero resta intatto». L'ipotesi si riferisce a sanzioni che liberamente i firmatari hanno accettato nel caso di una loro proclamazione di sciopero incoerente con lo stesso accordo. E non c'è nemmeno lesione della libertà sindacale, perché «chi si assume la responsabilità di firmare un accordo può anche ottenere un canale privilegiato di dialogo con la controparte, ma gli altri continuano ad essere liberi di associarsi e di organizzarsi». E se il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, dalle colonne della Stampa, invita la Camusso e i suoi a rispettare quello che decidono la maggioranza dei sindacati, parole meno concilianti arrivano dal leader di sinistra ecologia e libertà, Nichi Vendola in una intervista al quotidiano «Il Piccolo» di Trieste. Parlando della proposta dell'ad di Fiat, Sergio Marchionne dice: «Non è solo una sfida arrogante contro il mondo del lavoro. È l'idea di un restringimento secco degli spazi di democrazia in questo Paese». Gli fa eco il presidente del comitato centrale della Fiom, Giorgio Cremaschi, che afferma. «L’accordo di Mirafiori è il più grave atto antidemocratico verso il mondo del lavoro. Il 2 ottobre 1925 Mussolini, la Confindustria e i sindacati corporativi fascisti firmavano a Palazzo Vidoni un accordo che cancellava le elezioni delle commissioni interne. L’accordo di Mirafiori che cancella le elezioni delle rappresentanze aziendali è, da allora, il più grave atto antidemocratico verso il mondo del lavoro. L’accordo - prosegue Cremaschi - abolisce la democrazia e istituisce un regime di fiduciari come durante il fascismo ed è di una gravità inaudita che Cisl e Uil abbiano potuto sottoscriverlo, è una rottura senza precedenti a cui non si potrà che rispondere con la lotta e la mobilitazione democratica per questo è convocato il comitato centrale della Fiom il 29 dicembre e da li dovrà partire una risposta in grado di fermare questo attacco. Per questo rinnovo la richiesta a Susanna Camusso di fare lo sciopero generale e di non continuare ad illudersi che la Confindustria si dissoci da Marchionne. Non è successo nel 1925 e non succederà oggi». Giuseppe Fioroni del Pd commenta invece positivamente l'accordo di Mirafiori: «Nella crisi ci vuole coraggio, conservare significa recedere e perdere tutto». Oggi a Roma è un altro giorno importante per il gruppo Fiat-Chrysler. Lingotto e sindacati (tutti tranne Fiom-Cgil, che oggi riunisce il comitato esecutivo per un eventuale sciopero) cercano l'accordo sul nuovo contratto di lavoro (salari, orari, scatti di anzianità e diritti sindacali) con il quale verranno riassunti i lavoratori di Pomigliano d'Arco. Una procedura che partirà già da gennaio e riguarderà oltre 4.600 lavoratori che produrranno la nuova panda. Di fatto: la prima stretta di mano veramente importante per il nuovo corso Fiat che dovrà raddoppiare la produzione di auto nel Belpaese. Il confronto è iniziato alle ore 11 e i tempi di attesa si preannunciano lunghi. L'accordo di Mirafiori «consente un altro importante passo avanti per la realizzazione di un grande progetto industriale come Fabbrica Italia». Però «ora si deve aprire un tavolo sulla rappresentanza». È l'appello che lancia a Confindustria e sindacati il presidente di Federmeccanica, Pierluigi Ceccardi, perché «un conto è concludere un contratto senza la firma della Fiom, un altro è gestire le relazioni industriali in azienda senza una organizzazione che rappresenta una parte cospicua dei lavoratori». Nel cambiamento delle relazioni industriali la Fiat «dà uno strattone che accelera il processo», ma il Lingotto «sta vivendo un'esperienza unica ed eccezionale» su «un altro pianeta rispetto alla realtà italiana». Federmeccanica «rappresenta almeno 12mila aziende con circa un milione di lavoratori e deve trovare soluzioni in cui il sistema si riconosca». Le scelte, per Ceccardi, sono solo due: «O ogni azienda va per conto proprio e si organizza come può», oppure «si decide di stare in un sistema che adotta regole comuni» che «devono essere sempre più flessibili e adattabili alle singole realtà». Il contratto nazionale, insomma, «ha ancora il suo ruolo importante da svolgere, ma non può essere una gabbia, come sembra pensare la Fiom, ma uno strumento per gestire le relazioni industriali». Quanto al contratto auto, per Ceccardi va definito all'interno del contratto metalmeccanico, altrimenti «il rischio è che i contratti nazionali si moltiplichino e il loro ruolo si ampli. Se così fosse dovremmo riverificare gli obiettivi che ci eravamo dati».
Nel 2011 aumenti da 1.000 euro a famiglia (28 dicembre 2010)
Anche il 2011 si prospetta un anno infelice: sia dal punto di vista della crisi economica, che, se non adeguatamente affrontata, non permetterà di raggiungere nemmeno l'1% di Pil, sia dal punto di vista dei rincari in arrivo dal 1 gennaio 2011, che contribuiranno a ridurre ulteriormente il potere di acquisto delle famiglie». Lo dichiarano Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti, presidenti di Federconsumatori e Adusbef, prevedendo per le famiglie maggiori costi nel 2011 per 1.016 euro. Alimentari e carburanti le voci che guidano i rincari La voce più consistente che peserà sulle famiglie sarà quella alimentare, con aumenti annui di 267 euro, ovvero del 6%. A seguire i carburanti, per i quali, sulla scia dei previsti incrementi del petrolio (si dà ormai per scontato un rally fino a 100 dollari al barile) la spesa aumenterà di ben 131 euro l'anno. Oltre 120 euro in più saranno spesi per il trasporto ferroviario, comprese le tratte dei pendolari, mentre i prezzi dell'rc auto cresceranno, secondo Adusbef e Federconsumatori, di 105 euro (+10-12%). Aumenti sono previsti anche per le tariffe autostradali (+2%), per quelle del gas (+7-8%) e della luce (+4-5%), per quelle dei rifuiti (+7-8%) e per l'acqua (+5-6%). L'aumento più consistente in termini percentuali è però quello del trasporto pubblico locale (+25-30%). Secondo le associazioni «ai soliti comportamenti speculativi in tema di prezzi e tariffe, si aggiungono tensioni importanti sui costi dei prodotti energetici e delle materie prime. Tutti fattori, questi, che incideranno sulla determinazione dei prezzi sia relativamente ai beni durevoli che ai beni di largo consumo, a partire da quelli alimentari». Per questo sono «sempre più necessarie politiche economiche completamente diverse da quelle sin qui attuate, che dovrebbero puntare ad un rilancio dell'economia sia attraverso investimenti in settori innovativi, sia con processi di detassazione esclusivamente a favore delle famiglie a reddito fisso, lavoratori e pensionati. In mancanza di ciò - concludono - si consoliderà sempre di più il circolo vizioso tra contrazione dei consumi, cassa integrazione e licenziamenti, e produzione industriale, non potendo sperare nella ripresa della nostra economia solo attraverso le esportazioni».
Pomigliano: trattative sul nuovo contratto (29 dicembre 2010).
Ieri è stata avviata la trattativa per il nuovo contratto con il quale verranno riassunti i 4.600 lavoratori dello stabilimento campano che produrrà la nuova Panda. Il nuovo testo conterrà le norme dell'accordo separato del 15 giugno su flessibilità, salario, orari, scatti di anzianità e diritti sindacali. «C'è stata un'intensa discussione – spiega Bruno Vitali (Fim) – le principali novità riguardano il sistema di classificazione dei lavoratori che sarà più snello rispetto a quello del contratto dei metalmeccanici. Verrà incontro alle richieste avanzate da anni dal sindacato sull'inquadramento di operai e impiegati, rimaste finora lettera morta». Lo stesso Vitali evidenzia un'altra novità per i trattamenti economici: «Nel salario base verranno accorpate una serie di voci della busta paga per circa 60-100 euro al mese che avranno effetto su straordinari, Tfr e maggiorazioni di turno. Salvo sorprese contiamo di chiudere entro domani (oggi per chi legge, ndr), in modo da avere una normativa transitoria per il biennio 2011-2012 in attesa di definire la normativa specifica con il contratto dell'auto». Sulla stessa lunghezza d'onda il segretario della Uilm della Campania, Giovanni Sgambati: «Il contratto di Pomigliano conterrà una forte innovazione sull'inquadramento dei lavoratori – spiega – il tema più ostico degli ultimi tre contratti di Federmeccanica, che è stato invece affrontato e definito con importanti novità, e fasce intermedie, che faciliteranno l'avanzamento professionale». Sulla parte retributiva si entrerà nel vivo oggi, ma secondo Sgambati «dai primi accenni fatti sui minimi tabellari si preannunciano altri buoni risultati». Secondo la Uilm a Pomigliano per effetto della nuova organizzazione del lavoro, con i turni di notte e il pagamento dei 10 minuti in meno di pausa, un operaio guadagnerà circa 250 euro in più al mese. Anche secondo la Fismic per i lavoratori della newco di Pomigliano «ci saranno novità e miglioramenti importanti rispetto al contratto nazionale dei metalmeccanici». Quanto alla Fiom, come è noto non partecipa alla trattativa non avendo sottoscritto l'intesa, giudicata «un attacco ai diritti inderogabili», per le norme che riguardano la lotta all'assenteismo e le sanzioni che scattano per gli scioperi indetti nei giorni di straordinario comandato. Ma oggi il comitato centrale della Fiom si occuperà di un altro accordo che non ha sottoscritto, quello di Mirafiori. Le tute blu sollecitano la proclamazione di uno sciopero generale da parte della Cgil. Al loro fianco si è schierata anche la minoranza interna alla Cgil, l'area congressuale "la Cgil che vogliamo" (rappresenta il 17% nel sindacato di Corso d'Italia) che ha chiesto la convocazione urgente del direttivo per discutere della vicenda Fiat, favorevole ad uno sciopero generale per denunciare che «nel più grande gruppo industriale del paese vengono cancellati in un colpo solo i diritti dei lavoratori e quelli della più grande organizzazione sindacale». Ma oggi farà sentire la propria voce anche la minoranza "riformista" della Fiom che sollecita un cambio di strategia per uscire dall'isolamento, posizione che ha acquistato maggiore forza dopo l'invito ad aprire «una riflessione vera» rivolto ai metalmeccanici della Cgil dal segretario generale Susanna Camusso. A sostegno della Fiom, intanto, è nata un'associazione "lavoro e libertà" con Fausto Bertinotti, Sergio Cofferati, Luciano Gallino, Paolo Nerozzi, Stefano Rodotà, Rossana Rossanda «indignati dall'assenza nella politica di un interesse sui diritti democratici dei lavoratori». Firmato il contratto. Uilm, Ugl metalmeccanici, Fismic, l'Associazione dei quadri Fiat e il Lingotto hanno firmato il nuovo contratto di lavoro per i 4.600 dipendenti dello stabilimento di Pomigliano, che a partire da gennaio 2011 saranno riassunti dalla Newco, sulla base dell'accordo di giugno che sblocca investimenti per 700 milioni per la produzione della nuova Panda. La firma è arrivata dopo una stretta finale iniziata ieri e continuata oggi presso la sede romana della Fiat. Alla trattativa non ha preso parte la Fiom che non aveva firmato l'accordo del 15 giugno. Le novità del contratto siglato oggi, secondo fonti sindacali, riguardano: l'incremento salariale, che con un il rialzo medio si dovrebbe attestare a 360 euro lorde l'anno a regime (30 euro lorde al mese); l'altro aspetto è relativo alla semplificazione dell'inquadramento professionale (da sette a cingue gruppi), con fasce intermedie all'interno dei gruppi per facilitare gli avanzamenti professionali. Sotto il profilo della rappresentanza sindacale, come previsto anche per l'accordo di Mirafiori, l'accordo ribadisce l'applicazione dello statuto dei lavoratori che prevede una rappresentanza alle sigle firmatarie dell'accordo. Con il nuovo contratto definito oggi, verranno assunti già da gennaio alcune decine di lavoratori, principalmente impiegati e tecnici, nella newco che produrrà la nuova Panda. Gli altri lavoratori, in capo alla Giambattista Vico Plant, rimarranno in cassa integrazione e con ore dedicate alla formazione. Il passaggio più consistente di lavoratori alla nuova società di Fiat è previsto tra maggio e giugno, mentre le riassunzioni si completeranno per la fine del 2011: nell'autunno dell'anno prossimo, infatti, è previsto l'avvio a regime della produzione della nuova Panda per la quale Fiat stima 270mila veicoli l'anno. Il via libera all'accordo è arrivato proprio nelle stesse ore in cui la Fiom Cgil, che questo contratto - e quello di Mirafiori - non ha mai voluto, stava proclamando otto ore di sciopero per il 28 gennaio. Il comitato centrale della Fiom ha approvato il documento finale che, accogliendo la richiesta della segreteria, proclama otto ore di sciopero generale dei metalmeccanici per venerdì 28 gennaio. Il documento è stato approvato con 102 voti a favore, nessun contrario e 29 astenuti, tra cui il leader di un'area di minoranza Fausto Durante. «L'obiettivo strategico della Fiat è chiaro - si legge nel documento -: provare a cancellare in modo definitivo il sistema dei diritti individuali e collettivi nel lavoro». «L'accordo non è un problema, ne avevamo già fatto uno nel 2008». Soltanto «la Cgil non può pensare che una soluzione sulla rappresentanza sia slegata dall'accordo sul modello contrattuale». Così in una intervista alla Stampa, il leader della Uil Luigi Angeletti, apre alla possibilità di un «patto sindacato-imprenditori», sottolineando che «è solo interesse della Cgil partecipare alla vita sociale di questo paese». Certo è, aggiunge, «che se si conviene sui meccanismi con cui si prendono le decisioni, poi queste sono vincolanti anche per chi soccombe. Chi perde non può fare uno sciopero contro un accordo che la maggioranza ha sottoscritto». Non si può più, insomma, come «fa la Fiom», a pensare di «influire sulle decisioni degli altri» volendo poi «le mani libere». Quanto all'esclusione della Fiom perché non ha firmato gli accordi di Pomigliano e Mirafiori, Angeletti spiega che «non è un problema di libertà sindacale: la Fiom dentro la Cgil ha smesso di essere un sindacato, è un movimento politico», da «più di dieci anni». A Mirafiori «non hanno firmato» perché interessati «solo a sviluppare una politica 'antagonista'». Alla Fiom «non interessa nulla» del futuro degli operai di Mirafiori, ma è interessata, conclude Angeletti, «solo a mantenere uno spazio politico per influire sulle vicende politiche del Paese. Il sindacato è solo uno strumento di visibilità ». «Sugli accordi di Pomigliano e Mirafiori, Angeletti dice che la Fiom non ha firmato, perché ha smesso di essere un sindacato per essere un movimento politico in cerca di visibilità? È solo l'autodifesa di un sindacato totalmente in mano all'azienda». Così il presidente del Comitato centrale della Fiom, Giorgio Cremaschi, intervistato dal quotidiano online Affaritaliani.it, commenta l'intervista su La Stampa del segretario generale della Uil Luigi Angeletti. «Angeletti e Bonanni - aggiunge - sono la vergogna del sindacalismo italiano». A poco dal comitato centrale della Fiom che deciderà le iniziative di lotta dopo l'accordo di Mirafiori, Cremaschi sottolinea che «non è mai successo dal '45 ad oggi che un sindacato italiano firmasse l'esclusione di un altro sindacato. È una macchia indelebile sulla storia di Cisl e Uil. Per noi non contano più niente. Sono fuori dalla cultura democratica sindacale dell'Italia costituzionale». Cremaschi si dice infine sicuro che le manifestazioni di protesta della Fiom «scuoteranno il Paese». Basta con «lo stillicidio quotidiano» che arriva «orami da sei mesi in modo perpetuo e scientifico». E basta con «le ipocrisie elettoralistiche» che hanno come unico obiettivo quello di battere Silvio Berlusconi. Lo scrivono a Pierluigi Bersani, Nichi Vendola e Antonio di Pietro, una cinquantina di operai della Fiat di Pomigliano, che hanno votato a favore del piano di Marchionne, in una lettera pubblicata dal Giornale. «La questione Fiat», dicono, «non può comportare sempre e comunque l'offesa dell'intelligenza altrui». «Noi che abbiamo votato sì a quell'accordo ci siamo stancati di continue dichiarazioni tese a sostenere chi non aveva valide alternative» e «non accettiamo più questa ipocrisia da parte vostra». I firmatari rimproverano ai tre leader l'immobilismo della sinistra quando era al governo, su questioni come pause e malattia che oggi sono il cavallo di battaglia, come sottolinea il Giornale, di Cgil e Fiom. «Secondo voi - scrivono peraltro - se avessimo avuto una legge che prevedeva più pause non era megliò?». O se «avessimo una legge che tutelasse i lavoratori sulla malattia?». Peraltro, aggiungono, «secondo voi gli operai si sono dimenticati di quando avete votato in Parlamento l'inizio del precariato attraverso il pacchetto Treu?». Se la Fiom avesse proposto «una valida alternativa» sarebbe stato diverso. Ma «tutti urlano contro tutti e nessuno indica un percorso diverso e che sia, soprattutto, realizzabile». Spiace vedere il sindacato dividersi, spiace vedere una sigla storica come la Fiom attardarsi a parlare di «diritti» come se anche brasiliani, serbi, cinesi, africani non avessero «diritto» alla dignità. Il vero diritto al lavoro che la Costituzione tutela è creato da un'economia capace di competere qui e oggi. Uomini di senno come Fassino, Chiamparino, il giuslavorista Ichino invitano il Pd ad accettare la sfida di Marchionne, senza sconti e senza censure. Tutto il futuro della segretaria Cgil Camusso è rinchiuso in questo bruciante esordio: o tiene insieme i suoi nella modernità, o finirà con i sindacalisti del Museo delle Cere del Passato, roboanti nei comizi, inutili a difendere il lavoro italiano. Bonanni ci sta provando, lasciarlo solo è assurdo.
"Per la prima volta" nel 2010 secondo il New York Times. (28 dicembre 2010).
1. Nel mese di aprile, un'enorme nuvola di cenere vulcanica ha bloccato il traffico aereo in gran parte d'Europa per una settimana, infliggendo all'aviazione civile i danni peggiori dai tempi della seconda guerra mondiale. La densa nube si è formata quando uno dei vulcani islandesi, lo Eyjafjallajokull, rimasto inattivo per 200 anni, ha eruttato per la seconda volta in un mese il 13 aprile. Le autorità dell'aviazione civile hanno bloccato i voli e chiuso gli spazi aerei, lasciando milioni di persone a terra e causando gravi perdite per le compagnie aeree e altri settori. Volare in una nube di cenere può danneggiare gli aerei a reazione. Le compagnie aeree, che hanno perso 200 milioni di dollari al giorno, hanno accusato le autorità di eccesso di zelo.
2. I dati diffusi a maggio dal ministero del Commercio Usa hanno rivelato che, da aprile 2009 a marzo 2010, le esportazioni statunitensi verso l'Asia hanno superato quelle verso la Ue per la prima volta nella storia, secondo il blog del Wall Street Journal Real Time Economics. Gli Usa hanno esportato merci per 227,6 miliardi di dollari in Cina, India, Corea, Hong Kong, Taiwan e una manciata di altri paesi asiatici (con un incremento del 3,7%) mentre le spedizioni verso la Ue nello stesso periodo sono crollate del 13,9% a 223,7 miliardi di dollari.
3. A Barcellona un'équipe di chirurghi ha effettuato il primo trapianto integrale del volto su un agricoltore trentunenne del posto, identificato solo come Oscar, rimasto gravemente sfigurato in un incidente di caccia. L'intervento, effettuato il 20 marzo, è durato 24 ore e ha dato al paziente zigomi, muscoli facciali, denti, palato, pelle, naso, labbra, mandibola e dotti lacrimali nuovi. Dall'incidente subito nel 2005, non era più stato in grado d'inghiottire, parlare o respirare in modo normale e i nove tentativi precedenti di ricostruzione del viso non erano andati a buon fine.
4. A sessantacinque anni di distanza da quando il bombardiere americano Enola Gay sganciò una bomba atomica su Hiroshima, l'ambasciatore Usa in Giappone, John Ross, ha partecipato per la prima volta alla cerimonia annuale della pace che commemora le vittime della bomba. Ross si è unito ai rappresentanti di 74 paesi per ricordare il momento dello sgancio della bomba, alle 8,15 del 6 agosto 1945. L'ordigno uccise circa 140mila persone nei giorni finali della seconda guerra mondiale. In una dichiarazione, Ross ha affermato che la commemorazione offre la possibilità di ribadire l'impegno per il disarmo nucleare, che rappresenta una priorità per il presidente Barack Obama. Secondo il Dipartimento di stato americano, Ross ha rappresentato il paese nella Città della pace «per esprimere rammarico per tutte le vittime della seconda guerra mondiale». Le autorità giapponesi hanno accolto favorevolmente l'iniziativa, definendola un primo grande passo. Alcuni sopravvissuti hanno chiesto all'America di scusarsi per il bombardamento atomico.
5. Dopo aver lottato per mesi con la peggiore crisi vista negli 11 anni di vita dell'euro, il 2 maggio la Ue e l'Fmi hanno accettato di salvare la Grecia in balia dei debiti per preservare la stabilità della moneta unica. Il prestito da 110 miliardi di euro, che rappresenta il primo salvataggio di uno stato membro dell'Eurozona, è arrivato appena in tempo per evitare l'insolvenza della Grecia sul proprio debito sovrano, detenuto in larga misura da banche francesi e tedesche. La Germania, principale donatore, ha mostrato una certa riluttanza e acconsentito a una mossa profondamente impopolare solo dopo l'impegno della Grecia ad adottare misure drastiche per la riduzione del deficit e del debito nazionale.
6. La 19ª edizione del Campionato del mondo di calcio Fifa si è giocata per la prima volta nella storia in terra africana, precisamente in Sudafrica, dall'11 giugno all'11 luglio. Il simbolo della lotta all'apartheid, Nelson Mandela, si è impegnato molto per portare nel proprio paese l'evento sportivo più popolare al mondo, con la speranza di unire una nazione ancora profondamente divisa e dimostrare l'infondatezza degli stereotipi negativi sul Continente. Nonostante l'eliminazione della squadra di casa al primo turno, in un paese pazzo per il calcio che conta 49 milioni di abitanti, il pubblico locale ha continuato a fare il tifo per altre squadre africane. La finale giocata a Johannesburg l'11 luglio, in cui la Spagna ha battuto per 1 a 0 l'Olanda conquistando per la prima volta il titolo mondiale, è stata seguita da 700 milioni di telespettatori in tutto il mondo.
7. La Cina ha sottratto agli Usa la palma di maggior consumatore di energia al mondo per la prima volta nella storia, secondo un rapporto pubblicato a luglio dall'Agenzia internazionale per l'energia (Iea), i cui calcoli sono stati però contestati dal governo cinese. Secondo l'Iea, nel 2009 la Cina ha utilizzato 2.252 milioni di tonnellate di risorse energetiche, fra petrolio greggio, nucleare, carbone, gas naturale ed energia rinnovabile: il 4% in più rispetto agli Usa. Da oltre un secolo e fino all'anno scorso, gli Usa erano il principale consumatore di energia al mondo. Solo dieci anni fa, il consumo totale di energia della Cina era la metà di quello statunitense. Gli Usa restano in testa alla classifica del consumo energetico pro capite.
8. In Nuova Zelanda due inventori hanno presentato il primo paio di gambe bioniche al mondo in grado di permettere a un paraplegico di alzarsi in piedi, camminare e salire le scale. Richard Little e Robert Irving hanno avuto l'idea sette anni fa, ispirati da un esoscheletro robotico indossato dal personaggio interpretato da Sigourney Weaver nel film Aliens. Il sistema denominato Rex, manovrato con un joystick e dal peso di 38 chili, è stato testato per la prima volta il 15 luglio da Hayden Allen, un ingegnere di 23 anni paralizzato dal torace in giù in seguito a un incidente motociclistico subito cinque anni fa, che secondo i medici non avrebbe camminato mai più. Nel corso di una conferenza stampa, ha riferito di sentirsi di nuovo un essere umano normale. Il sistema Rex dovrebbe essere in vendita in Nuova Zelanda entro la fine del 2010 e nel resto del mondo da metà 2011.
9. Nella peggiore crisi del sistema economico dalla rivoluzione comunista del 1959, il 13 settembre Cuba ha annunciato il licenziamento di 500mila dipendenti statali (il 10% della forza lavoro) entro marzo del 2011, e i piani per tagliare un altro mezzo milione di posti di lavoro nel settore pubblico. Il governo ha espresso l'auspicio che le imprese private assumano più dipendenti, ora che la regolamentazione delle aziende non statali è stata ammorbidita. Soltanto il 10% circa della popolazione attiva dello stato caraibico può legalmente gestire un'attività propria, ma i licenziati saranno incoraggiati ad avviare piccole imprese o a cercare lavoro presso cooperative private, che per la prima volta saranno consentite.
10. Con 246 voti a favore e 1 contro, il 14 settembre il Senato francese ha approvato, per primo in Europa, il bando dei veli che coprono il viso, come il burqa islamico. Le donne che indossano un velo a copertura totale del volto potranno essere multate per 150 euro o costrette a frequentare corsi di cittadinanza francese, e chiunque costringa una donna a indossare un velo di questo tipo sarà passibile di multa fino a 30mila euro e di condanna a un anno di carcere. Al fine di scongiurare il rischio che la norma sia dichiarata incostituzionale, il testo non fa alcun riferimento a veli o burqa, ma afferma soltanto che nessuno può coprirsi il volto, a meno che ciò non sia richiesto o autorizzato ai sensi di legge. In Francia, su una popolazione musulmana di 5 milioni, la più numerosa d'Europa, solo circa 1.900 donne indossano un velo integrale.
ISAE: cresce la fiducia delle imprese manifatturiere (30 dicembre 2010).
Cresce ancora, a dicembre, la fiducia delle imprese manifatturiere, portandosi sui valori più elevati dal febbraio 2008. Lo rileva l'Isae nella sua inchiesta mensile sottolineando che l'indice, considerato al netto dei fattori stagionali, è salito a 103 da 101,7. Si tratta del terzo rialzo consecutivo dopo quelli di novembre e ottobre. Recuperano ancora i giudizi relativi allo stato corrente della domanda (soprattutto interna), mentre le scorte di magazzino tornano al di sotto dei valori normali; sono invece sostanzialmente stabili le attese di produzione. Stazionari, osserva l'istituto, anche i giudizi sull'andamento corrente della produzione e le aspettative relative agli ordini; peggiora lievemente la liquidità aziendale. Differenze emergono su base territoriale: la fiducia sale infatti nel Nord Ovest (da 104 a 108,4) e, in misura minore, al Centro (da 99,2 a 100), ma cala (da 102,8 a 101,8) nel Nord Est (zona colpita da un'alluvione che ha colpito duramente le aziende) e nel Mezzogiorno (da 91,2 a 90,4). A dicembre è ancora in calo il clima di fiducia nei servizi mentre continua a crescere la fiducia dei commercianti italiani, soprattutto nella grande distribuzione. L'indice della fiducia nei servizi, al netto dei fattori stagionali, scende a 95,8 (da 99,5 di novembre) e l'indicatore sintetico del commercio sale, per il quarto mese consecutivo, portandosi a 107,7 da 103,4, sui massimi degli ultimi anni. Il calo della fiducia nei servizi è dovuto, secondo l'Isae, al peggioramento di tutte le componenti, in particolare dei giudizi sugli ordini. L'aumento della fiducia del commercio è dovuto a un miglioramento sia dei giudizi che delle aspettative sulle vendite accompagnato a un ridimensionamento del volume delle scorte. A novembre, segnala poi l'Isae, sale la fiducia nel settore delle costruzioni con l'indice che passa da 80,7 a 83,3, il valore più elevato da gennaio 2009. L'Istat ha diffuso il dato sull'occupazione nel mese di ottobre nelle grandi imprese. L'indice ha registrato un calo rispetto al mese precedente dello 0,1%, al lordo della cassa integrazione e una variazione nulla al netto. L'Istat osserva anche che nel confronto tra la media degli ultimi tre mesi (agosto-ottobre) e i tre mesi precedenti si è registrato un calo dello 0,4% al lordo della cassa integrazione e dello 0,3% al netto. A livello tendenziale (cioè rispetto allo stesso mese dell'anno scorso) a ottobre sono state registrate variazioni negative dell'1,6% al lordo della cassa integrazione e dell'1% al netto.
Tutto il decreto milleproroghe 2010. (30 dicembre 2010).
Attività intramuraria. Slitta al 31 marzo 2011 il termine ultimo assegnato dalla legge 120 del 2007 (il 31 gennaio 2011) per il definitivo passaggio al regime ordinario dell’attività libero-professionale intramuraria.
Autorità ambito territoriale ottimale. Slitta la soppressione degli Aato rifiuti e acqua.
Autotrasporto. Proroga del cosiddetto “ecobonus” per un importo pari a 30 milioni rinvenienti dalle risorse stanziate a favore dell’autotrasporto.
Banche popolari. Si prevede che nessun socio può detenere azioni in misura eccedente lo 0,50% del capitale sociale. La banca, appena rileva il superamento di tale limite, contesta al detentore la violazione del divieto. Le azioni eccedenti devono essere alienate entro il 31 marzo 2011; trascorso tale termine, i relativi diritti patrimoniali maturati fino all'alienazione delle azioni eccedenti vengono acquisiti dalla banca.
Benzinai (articolo 2, comma 5). Confermata anche per l’anno d’imposta 2011 la deduzione forfettaria dal reddito d’impresa degli esercenti impianti di distribuzione di carburanti. Saranno le Entrate a fissare i nuovi importi dello sgravio nel rispetto del limite di spesa complessiva di 24 milioni.
Bonus maturità. Slitta ancora la norma sulla valorizzazione del percorso scolastico per far partire in vantaggio nei test d’ingresso alle facoltà a numero chiuso gli studenti più bravi. Lo slittamento è, per ora, fino al 31 marzo 2011. Quindi è ancora possibile, in teoria, far partire la norma dall’anno accademico 2011-2012. Tutto ciò ovviamente a meno che un successivo Dpcm faccia slittare tutto a fine dicembre 2011.
Carta d’identità. Slitta al 31 marzo 2011 la previsione che i documenti di identità debbano essere muniti della fotografia e delle impronte digitali della persona a cui si riferiscono.
Case fantasma. Ci sono tre mesi in più per l’emersione delle case fantasma.
Comunicazione stipendi. Slitta al 31 marzo 2011 anche l’obbligo da parte dei sostituti d’imposta di comunicare mensilmente per via telematica i dati su retribuzioni e contribuzioni.
Consiglio nazionale della pubblica istruzione (Cnpi). Che viene prorogato fino al 31 marzo 2011.
Controlli sui circoli privati. Slittano al 31 marzo 2011.
Consiglio nazionale per l’alta formazione artistica e musicale (Cnam). Che viene prorogato fino al 31 marzo 2011, per garantire continuità nella delicata fase di completamento della riforma dell’alta formazione artistica e musicale.
Coperture finanziarie (articolo 3). Previste le coperture finanziarie per tutte le proroghe cosiddette “onerose”.
Crisi finanziaria (articolo 2, commi da 13 a 17). Si autorizza Bankitalia a prorogare o provvedere all’estensione della linea di credito già esistente per garantire all’Italia l’adempimento di obblighi internazionali sul fronte degli interventi del Fondo monetario internazionale. Su tali prestiti è accordata la garanzia dello Stato per il rimborso del capitale, per gli interessi maturati e per la copertura di eventuali rischi di cambio.
Diritti e concessioni aeroportuali. Slitta a marzo 2011 l’aggiornamento dei diritti aeroportuali al tasso di inflazione, non essendo ancora stati sottoscritti tutti gli accordi di programma, che rappresentano lo strumento necessario per fissare la dinamica tariffaria negli aeroporti. Proroga anche per le concessioni delle gestioni totali aeroportuali.
Dismissioni immobiliari a Roma (articolo 2, commi 7 e 8). Il governo prende un anno di tempo per la dismissione degli immobili. Nella procedura di alienazione sarà data priorità agli immobili della Difesa oggetto di protocollo d’intesa con il comune di Roma. Riviste anche le norme per l’indicazione della Sgr per il funzionamento dei fondi e le cessioni di quote.
Enea. Proroga del collegio dei revisori dei conti.
Entrata in vigore (articolo 4). Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Le Camere avranno due mesi di tempo per convertire definitivamente in legge il presente decreto.
Esami di abilitazione. Prorogata al 31 marzo 2011 la possibilità per i laureati “vecchio ordinamento” di poter sostenere le prove per l’ammissione alle professioni di dottore agronomo e forestale, architetto, assistente sociale, attuario, biologo, chimico, geologo, ingegnere e spicologo, secondo l’ordinamento previgente al Dpr 328 del 2001. Vale a dire sostenendo due prove d’esame, invece che le quattro previste dal citato decreto e potendo iscriversi a tutti i settori dell’albo professionale.
Fondazione Gaslini. Slitta al 31 marzo 2011 il rinnovo degli organi di amministrazione e controllo della fondazione Gaslini, in scadenza lo scorso 31 maggio, che dovranno essere costituiti da un numero non superiore, rispettivamente, a cinque e tre membri.
Fondazione triennale di Milano. Prorogata al 31 marzo 2011 la durata in carica del presidente.
Fondazioni lirico-sinfoniche. Proroga dei commissari straordinari fino al 31 marzo 2011.
Funivie. Slitta anche il termine per l’ammodernamento degli impianti a fune.
Gestione commissariale agenzia Torino 2006. In scadenza il 1° gennaio 2011, viene invece prorogata fino al 31 marzo 2011. Motivo: il rischio di ulteriore dispendio di tempo e costi per l’espletamento dell’attività amministrativa e contenziosa che il commissario sta attualmente gestendo e gradualmente portando al termine.
Giudici onorari. Prorogati al 31 marzo 2011, in attesa del provvedimento di riordino della magistratura onoraria.
Immobili difesa (articolo 2, commi da 10 a 12). Previsto in particolare il dirottamento di una parte dei soldi (fino al 42,5% del totale) derivanti dalla vendita di immobili della Difesa verso il fondo di ammortamento dei titoli di Stato.
Internet point (articolo 2, comma 19). Serve l’ok del questore.
Istituto superiore di sanità. Slitta al 31 marzo 2011, dal 28 febbraio 2011, l’obbligo della relazione annuale per il ministro della Salute predisposta dall’Istituto superiore di sanità.
Lavoro. In caso di sospensione dal lavoro o per crisi aziendale, viene prorogata la possibilità che tali lavoratori possano beneficiare dei fondi in deroga. Inoltre, sempre per fronteggiare la crisi, si consente di adeguare anche nel 2011 le norme che disciplinano i fondi di solidarietà per i settori non coperti dalla cassa integrazione.
Lavoro accessorio. Prorogata la possibilità, per i percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito, di offrire prestazioni di lavoro accessorio in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali e nel limte massimo di 3mila euro per anno solare.
Leva. Slitta anche il termine sulla sospensione dell’invio in congedo illimitato in caso di prolungamento della leva a seguito di dichiarazione di guerra o di grave crisi internazionale.
Mediocredito. Proroga della destinazione da parte del Cipe al fondo per il mediocredito centrale a favore delle pmi.
Nato. Proroga al 31 marzo 2011 per le assunzioni del personale civile Nato.
Oneri concessori. Slitta fino al 31 marzo 2011 la possibilità per i comuni di utilizzare il 75% del ricavato degli oneri di urbanizzazione per spese correnti. Vale a dire per manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale.
Pay back farmaceutico. Proroga al 31 marzo 2011 della possibilità per le aziende farmaceutiche di sospendere la riduzione del 5% dei prezzi, compresi i farmaci immessi in commercio dopo il 2006.
Patenti di guida. Si applicano a decorrere dal 31 marzo 2011 le nuove norme che prevedono il superamento di una guida pratica del ciclomotore per ottenere la patente e che dovevano entrare in vigore il 19 gennaio 2011.
Personale marittimo e capitanerie di porto. Proroga per la riorganizzazione delle capitanerie di porto. E novità in vista anche per il personale marittimo, per consentire che l’imbarco di cittadini membri dell’Unione europea, destinati a ricoprire la funzione di comandante a bordo di navi italiane, possa avvenire in forza di un’attestazione dell’armatore in base alla conoscenza della lingua italiana e della normativa nazionale di settore.
Piano di rientro del debito di Roma (articolo 2, comma 9). Riscritte alcune norme sulla gestione commissariale del comune di Roma.
Pesca e acquacoltura. Proroga del primo programma triennale della pesca e dell’acquacoltura.
Poste. Slitta al 31 marzo 2011 l’inquadramento del personale in comando presso Poste italiane.
Potenziamento controlli in materia ambientale (articolo 2, comma 4). Sono prorogate le attività di controllo (e i relativi finanziamenti) del ministero dell’Ambiente, dell’Icram, e degli enti parco.
Prefetti. Proroga al 31 marzo 2011 del periodo minimo di servizio dei vice prefetti e viene confermato il potere dei prefetti in caso di inadempimento sui bilanci degli enti locali.
Programma nazionale statistico. Proroga al 31 marzo 2011 la validatità del programma statistico nazionale 2008-2010, in attesa del suo aggiornamento.
Proroghe non onerose (articolo 1). Slittano ope legis al 31 marzo 2011 tutti quei termini e regimi giuridici in scadenza entro il 15 marzo 2011 e che non comportano spese per l’Erario. Toccherà poi a uno o più decreti del presidente del consiglio dei ministri, d’intesa col Tesoro, allungare ulteriormente tale termine e portarlo fino al 31 dicembre 2011.
Pubblico impiego. L’efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni, approvate successivamente al 30 settembre 2003, è prorogata fino al 31 marzo 2011. Proroghe anche - alla medesima data - per la stabilizzazione e assunzione negli enti pubblici, corte dei conti, polizia di stato, vigili del fuoco e per i concorsi all’Ispra.
Quote latte. Proroga del commissario straordinario di controllo sull’assegnazione delle quote latte.
Raccolta differenziata in Campania. Slitta al 31 marzo 2011 la possibilità che le sole attività di raccolta, di spazzamento e di trasporto dei rifiuti e di smaltimento o recupero inerenti alla raccolta differenziata continuino a essere gestite secondo le attuali modalità e forme procedimentali dai comuni campani.
Regione Campania: piano di stabilizzazione finanziaria. Slitta al 31 marzo 2011 il termine (in scadenza il 31 dicembre 2010) per l’adozione del piano di stabilizzazione finanziaria della regione Campania, che dovrà essere approvato dal Tesoro. Tra gli interventi indicati nel piano la regione Campania può includere l’eventuale acquisto del termovalorizzatore di Acerra anche mediante l’utilizzo, previa delibera del Cipe, della quota regionale delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate.
Reti di energia. Slitta al 31 marzo 2011 il termine per il raggiungimento dell’intesa tra Stato e regioni e province autonome in materia di reti di energia. Se non si trova l’accordo, interverrà il governo.
Ricognizione risorse regioni e province autonome. Slitta al 31 marzo 2011 l’adozione da parte di regioni e province autonome della riprogrammazione prevista dall’articolo 6-bis del decreto legge 112 del 2008, che definisce modalità, impiego e criteri per assicurare la qualità della spesa.
Riscossione locale con vecchio sistema. Rinnovata la gestione della riscossione per gli enti locali da parte dei “vecchi concessionari” in scadenza il 31 dicembre 2010 e prorogato l’obbligo di affidamento delle attività mediante procedure a evidenza pubblica.
Salva bingo. Prorogata al 31 marzo 2011 la norma che dispone che le somme giocate vengano destinate per almeno il 70% a monte premi, per l’11% a prelievo erariale e per l’1% a compenso dell’affidatario del controllo centralizzato del gioco.
Segretari comunali. Sopravvive fino al 31 marzo 2011 il contributo dovuto all’agenzia per la gestione dell’albo dei segretari comunali.
Servizi antincendi negli alberghi. Slitta al 31 marzo 2011 il termine per completare l’adeguamento delle strutture alberghiere alle disposizioni antincendi.
Servizi e attività di investimento. Si prevede che fino al 31 marzo 2011, la riserva di attività prevista dall’articolo 18 del Dlgs 58 del 1998 non pregiudichi la possibilità per i soggetti che, alla data del 31 ottobre 2007, prestino la consulenza in materia di investimenti, di continuare a svolgere il servizio di consulenza in materia di investimenti senza detenere somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza dei clienti.
Sicurezza sul lavoro. Slitta al 31 marzo 2011 il decreto del Lavoro, d’intesa con la protezione civile, per l’individuazione delle regole sulla sicurezza nei luoghi di lavoro per le organizzazione di volontariato della protezione civile, compresi i volontari di Croce Rossa, alpini e vigili del fuoco.
Situazione economica del Paese. Viene anticipata al 31 marzo 2011 il termine per il Tesoro di presentare la relazione generale sulla situazione economica del Paese per l'anno precedente.
Sportelli unici immigrazione. Rinnovati di un anno i contratti di lavoro per completare le procedure di emersione del lavoro irregolare. Costo dell’intervento: 19,1 milioni per il 2011.
Sostegno alle attività produttive. Le convenzioni in tema di gestione delle residue funzioni statali in materia di sostegno alle attività produttive previste dall’articolo 3 della legge 489 del 1993 nonché alle imprese colpite dalle eccezionali avversità atmosferiche e dagli eventi alluvionali del novembre 1994, possono essere prorogate, per motivi di pubblico interesse, non oltre il 31 marzo 2011 con una riduzione di almeno il 10% delle relative commissioni.
Studi di settore. Prorogati al 31 marzo 2011.
Tasse automobilistiche e Irap. Proroga al 31 marzo 2011 della validità delle leggi sulle tasse automobilistiche e Irap, al fine di garantire continuità nell’attività di assicurazione del gettito e sino all’entrata in vigore dei decreti attuativi del federalismo fiscale.
Tasse sospese in Veneto (articolo 2, comma 2). Fino al 30 giugno 2011.
Taxi e autonoleggio. Riviate a marzo 2011 le norme contro il servizio abusivo di taxi e di noleggio con conducente, in scadenza al 31 dicembre 2010.
Televisione. I soggetti che esercitano attività televisiva nazionale attraverso più di una rete non possono, prima del 31 marzo 2011, acquisire partecipazioni in imprese editrici di giornali quotidiani o partecipare alla costituzione di nuove imprese editrici di giornali quotidiani. Il divieto si applica anche alle imprese controllate o collegate ai sensi dell’articolo 2359 Codice civile.
Torna il finanziamento del 5 per mille (articolo 2, comma 1). In arrivo per il 2011 (con riferimento alle dichiarazioni dei redditi 2010) la proroga del 5 per mille. Avrà in dote 400 milioni, di cui 100 milioni da indirizzare per i malati di Sla.
Trasporto pubblico locale. Slitta al 31 marzo 2011 (dal 31 dicembre 2010) la cessazione delle gestioni di affidamento del trasporto pubblico locale in regime difforme da quello previsto dall’articolo 23-bis del decreto legge 112 del 2008.
Turn over università. Resta al 50% fino al 31 marzo 2011.
Verifiche sismiche. Slitta a marzo 2011 il termine per effettuare le verifiche sismiche sulle dighe di ritenuta.
Wi-fi. Slitta ancora, stavolta al 31 marzo 2011, l’accesso ai servizi erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni con strumenti diversi dalla carta d'identità elettronica e della carta nazionale dei servizi.
ISTAT: un terzo delle famiglie non è in grado di far fronte a spese impreviste (30 dicembre 2010).
Un'improvvisa malattia, la riparazione dell'auto, la sostituzione della caldaia, l'aumento delle spese condominiali diventano un dramma per un numero sempre maggiore di famiglie italiane. Inoltre, dato che l'inflazione è stata più alta dell'aumento dei salari, in termini reali i redditi netti delle famiglie sono scesi del 2,1%. Lo rivela l'Istat nel rapporto Distribuzione del reddito e condizioni di vita in Italia, che evidenzia che nel 2009 è cresciuta la difficoltà delle famiglie di far fronte alle spese impreviste. L'istituto di statistica precisa inoltre che le famiglie che non potrebbero far fronte a spese impreviste di 750 euro sono aumentate dal 32% al 33,3%. Rispetto al 2008 cresce inoltre il numero di famiglie che sono state in arretrato con debiti diversi dal mutuo (dal 10,5 al 14% di quelle che hanno debiti) e quelle che si sono indebitate (dal 14,8 al 16,5%). Le famiglie con figli sono «relativamente più esposte a situazioni di disagio». L'11,7% delle coppie con figli dichiara di essersi trovata in arretrato con il pagamento delle bollette (contro il 5,4% di quelle senza figli), ma la percentuale sale al 22% per quelle con tre o più figli. La situazione di «maggiore vulnerabilità» delle coppie con almeno tre figli, precisa l'Istat, è confermata anche dal fatto che il 31,5% dichiara di arrivare a fine mese con molta difficoltà, il 7,3% di aver avuto insufficienti risorse per le spese alimentari, il 29,2% per le spese di vestiario e il 22% di quelle che vivono in affitto o hanno contratto un mutuo sono state in arretrato con il pagamento delle rate. Insieme a queste si trovano più frequentemente coinvolte in situazioni di difficoltà economica le famiglie con un solo genitore e gli anziani soli. Nel 2009 la crisi, prosegue l'Istat nella sua analisi, ha colpito in larga maggioranza le famiglie che si trovavano in condizioni di deprivazione materiale già nel 2008. Inoltre, la caduta dell'occupazione ha riguardato soprattutto i figli che vivono nella famiglia di origine, mentre i genitori hanno potuto contare sulla cassa integrazione, evitando che la situazione diventasse ancora più grave. Nel 2008 le famiglie residenti in Italia hanno percepito un reddito netto medio di 29.606 euro, pari a circa 2.467 euro al mese, ma la metà delle famiglie ha percepito meno di 2.026 euro al mese. Tra il 2007 e il 2008 il valore medio del reddito netto familiare è aumentato dell'1,2%, ma se si tiene conto dell'inflazione (che nel 2008 è cresciuta del 3,3%), in realtà i redditi delle famiglia sono scesi in termini reali del 2,1%. E nel Sud e nelle Isole i redditi sono pari a poco più di tre quarti di quelli delle famiglie del Centro-Nord. E aumenta la disparità non solo regionale, ma anche tra chi si trova più in alto nella scala sociale e chi invece si trova sotto: il 37,5% del reddito totale percepito nel 2008 è andato al 20% più ricco delle famiglie, mentre il 20% delle famiglie con i redditi più bassi ha potuto contare solamente sull'8,3% del reddito totale.
Eugenio Caruso
Ottobre - Dicembre 2010
Per un approfondimento su come l'Italia sia arrivata al limite del baratro si rimanda al successo editoriale
E. Caruso, L'estinzione dei dinosauri di stato.