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Uso delle energie rinnovabili alternative alle fonti fossili un diritto, un dovere. Capitolo 2


L'ignoranza produce arroganza, la sapienza prudenza.
Tucidide


Questo è il secondo di una serie di articoli mirati a illustrare i vantaggi per l’impresa e per il territorio  di un forte orientamento all’utilizzo delle energie rinnovabili. Clicca qui per il Capitolo 1. Clicca qui per il Capitolo 3.

CAPITOLO 2: L’INTRODUZIONE DELLA REGOLAMENTAZIONE ENERGETICA NEL CONTESTO COMUNITARIO: IL RECEPIMENTO NEI DIVERSI STATI MEMBRI.

Nel corso dell’evoluzione normativa, gli accordi fondamentali, redatti in sede comunitaria, hanno sempre preso in considerazione il tema ambientale e dell’ecoefficienza fra le materie da inserire nelle regolamentazioni e nelle politiche, in quanto sono sempre stati  ritenuti strumentali alla realizzazione di altri obiettivi. Solo recentemente però, l’ecoinnovazione e le politiche ambientali sono state elevate a obiettivi  direttamente perseguiti. L’impegno normativo in sede comunitario ha dedicato sempre più spazio alla promozione e alla gestione del risparmio energetico, tant’è che finanche il neoeletto presidente americano ha previsto un progetto per il cambiamento nel rapporto “Bluprint for change”, ovvero un rapporto di 70 pagine contente il programma del partito democratico americano, in cui un capitolo viene dedicato ai problemi dell’energia e dell’ambiente.
In Europa, la bonificazione dei sistemi di produzione d’energia e l’orientamento verso le fonti rinnovabili ha coinvolto tutti gli Stati Membri, attraverso un unico processo di regolamentazione. Ovvero,  gli sono stati tutti destinatari di una stessa Direttiva, la n. 77 del 2001, che ha imposto le percentuali di copertura di energia rinnovabile sul fabbisogno energetico in un’unica soluzione a prescindere dai confini territoriali e giurisdizionali dei vari paesi. Gli Stati hanno tentato di uniformarsi alle disposizioni imposte dagli accordi europei, ma, ad un comune impegno hanno corrisposto risultati diversi, in quanto i risultati ottenuti dai Paesi membri sono stati parziali e piuttosto dissimili. A esempio, la Germania, ha sfruttato in maniera massiccia le tecnologie innovative predisposte per gli impianti fotovoltaici, o la Spagna, che ha invece orientato gli investimenti nel settore energetico verso lo sviluppo degli impianti eolici.
Gli Stati sono stati più o meno facilitati dalla fissazione degli obiettivi, a seconda della normativa presente in ognuno di esso; in alcuni casi la regolamentazione nazionale ha fornito maggiori opportunità di realizzazione degli obiettivi energetici imposti in sede comunitaria. A ciò ha contribuito poi la determinazione di ogni Stato, che in alcuni casi è stata più forte delle priorità politiche e degli interessi economici. Progressi reali non sono stati conseguiti, quindi, in maniera omogenea e diffusa.
Tale situazione si è verificata quando è stato richiesto, attraverso la direttiva 2001/77/CE, a tutti gli Stati membri, di fissare regolamentazioni nazionali aventi come oggetto il consumo di elettricità ottenuta da fonti energetiche rinnovabili. Le disposizioni date nel testo normativo stabiliscono che, nel caso in cui tutti gli Stati membri conseguissero gli obiettivi prefissati, il  21% del totale dell'elettricità utilizzata nell'Unione Europea nel 2010 dovrebbe essere ricavata da fonti energetiche rinnovabili.  Il motivo per cui la direttiva fornisce delle disposizioni molto precise in termini di percentuali e valori numerici è proprio quello di evitare che vi siano interpretazioni diverse da parte dei regolamentatori nazionali, e che sia, quindi,  alterata la finalità del Consiglio Europeo di creare un mercato energetico omogeneo.
Determinati Stati membri hanno indirizzato già da tempo la produzione energetica nazionale verso il raggiungimento degli obiettivi della direttiva, ma la maggior part di essi è in realtà lontana dal creare le condizioni per un passaggio all’energia rinnovabile, e nel 2010 la quota di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili sarà pari soltanto al 19%.
La direttiva tenta di trasmettere i necessari traguardi da porre in atto in termini  quantitativi, di meccanismi e di incentivi, creando un quadro istituzionale, finanziario e legale per aggirare le barriere e le distorsioni di mercato che attualmente ostacolano l'uso efficiente dell'energia. Il risultato più evidente di quest’intervento normativo è  quello di  sviluppare un mercato per i servizi energetici e per garantire l’implementazione di programmi per l'uso efficiente dell’energia agli utenti finali.
Ciò che qualifica maggiormente la direttiva è l’obiettivo vincolante del risparmio. Viene dato agli Stati membri l’obbligo di definire le modalità per ottenere un risparmio di una quantità di energia pari all'1% della quantità media di energia distribuita o venduta ai clienti finali nei 5 anni precedenti l'entrata in vigore della Direttiva. In pratica,  gli Stati membri devono stabilire regole volte ai risparmi energetici cumulativi annuali per i servizi energetici e per l'efficienza energetica. Il volume raggiunto dovrà restare stabile per i 6 anni di validità del provvedimento, prima di una verifica intermedia dell’efficacia. Ciascuno Stato dovrà assicurare che ogni anno vengano approvati nuovi servizi e programmi che consentano di risparmiare annualmente il target prefissato.
La direttiva cerca di creare una relazione vantaggiosa e appetibile per i soggetti partecipanti al mercato energetico. Il risparmio non deve essere solo positivo per l'ambiente, ma anche vantaggioso da un punto di vista economico. La promozione delle agevolazioni fiscali per l’incremento del volume di energia trasmessa e prodotta, o le vendite di energia oggetto di tariffe nei sistemi a rete, devono essere  considerate, nelle politiche degli Stati membri, mediante l’utilizzo di sistemi tariffari per la trasmissione e la distribuzione che, oltre al volume delle vendite, valutino anche le variabili di qualità, come il numero di clienti serviti o l'istituzione di revenue-cap. La logica da perseguire è quella secondo cui si garantisce che il sostegno economico erogato con gli incentivi venga recuperato facendo rientrare le spese nelle tariffe di distribuzione, secondo i programmi di efficienza energetica effettuati dalle imprese distributrici di energia.
Ovviamente, il recepimento delle Direttive, che hanno promosso in questi anni il ricorso ad una produzione sostenibile, ha avuto intensità ed effetti diversi. L’Europa, che presenta una morfologia del territorio eterogenea, pur costituendo un mercato unico per il settore elettrico, è composta da Stati membri economicamente vari (sia per il grado di sviluppo economico che tecnologico); in base a ciò è giustificabile come sia osservabile una diversità diffusione dell’energie rinnovabili.

Notizie recenti in breve

Ha fatto scalpore, tra gli addetti ai lavori, uno studio della McKinsey che indica due Paesi al mondo come i più vicini, oggi, alla "grid parity" fotovoltaica. Ovvero a quel punto di pareggio in cui una cella solare, sotto un cospicuo irraggiamento, riesce a produrre elettricità a costi uguali a quelli prevalenti di mercato. E l'Italia, caratterizzata dalle sue tariffe elettriche più care del 30% rispetto alla media europea e, insieme, da un robusto irraggiamento naturale, è stata valutata dagli analisti della McKinsey global Foundation come il secondo candidato mondiale alla rottura del filo di lana fotovoltaico: elettricità realmente competitiva con le fonti fossili. Ma le cose stanno davvero così? Heinz Ossembrink, responsabile dell'unità per le energie rinnovabili del centro di ricerca comunitario di Ispra, da oltre vent'anni, con il suo gruppo, misura il fotovoltaico europeo e internazionale. «La "grid parity" stabile, con il progresso delle tecnologie e la riduzione nei costi arriverà all'incirca, nelle previsioni condivise, al 2012 – osserva – ma già l'estate scorsa, sulla borsa elettrica del Gme vi sono stati numerosi casi di richieste spot di picco diurno giunte a 50-60 centesimi per chilowattora. E alcune di queste sono già state soddisfatte da forniture via rinnovabili». Si tratta, per ora di casi piuttosto estremi. «Ma, soprattutto nel Sud Italia, la barriera dell'economicità comincia a essere superata, e non solo per poche settimane all'anno». Per Ossembrink è la leva per una previsione: «La nascita, nei prossimi anni, di operatori a energie rinnovabili combinate e integrate, di massa critica sufficiente, capaci di sfruttare al meglio le situazioni di picco, e di adattarsi con flessibilità al mercato». Un esempio viene da un esperimento in corso guidato dal l'Università di Kassel per conto del Governo tedesco: la simulazione di un impianto energetico combinato, da 40 megawatt, che integra 36 impianti da biomasse, pompaggio d'acqua in bacini idroelettrici, campi eolici e fotovoltaici. «Ebbene, un impianto a rete di questo tipo sarebbe ampiamente capace di soddisfare la domanda elettrica in ogni punto dell'anno, anche nei suoi picchi stagionali». Sfatando il mito di rinnovabili incostanti, destinate a un futuro marginale. «Nei prossimi anni cominceranno ad emergere operatori ibridi di questo tipo – prevede Ossembrink – che si avvantaggeranno da crescenti masse critiche e insieme dalla riduzione dei costi insito nello sviluppo della tecnologia fotovoltaica. Il loro punto critico starà nello storage. I pompaggi possono essere molto costosi. In inverno, per esempio, i picchi sono nelle ore serali. E uno storage di energia persino di poche ore, anche fatto con sistemi di batterie, potrà fare la differenza». Operatori di picco, quindi, agili e capaci di evolvere. «Con strutture energetiche anche, per così dire, in multiproprietà, ma gestite in modo coordinato. E casi di questo genere, almeno in Germania, cominciano a emergere». La traiettora, secondo Ossembrink, verso gestori profittevoli e di mercato. E non più dipendenti dai sussidi pubblici

14 gennaio 2009
Elsa Cariello

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