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Censis - Rapporto annuale - 2006 - Segnali di ripresa per le imprese.

Non giudicare mai felice un uomo il cui equilibrio dipende da una prosperità materiale.

Seneca Lettere morali a Lucilio


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1. Considerazioni generali

Il Censis nel 40° Rapporto annuale apre la sua relazione con un messaggio ottimistico, :"la ripresa c’è e potrebbe persino configurarsi come un piccolo silenzioso boom se riusciremo a esprimere un impegno positivo in questi mesi invernali, superando non solo il pessimismo generalizzato, ma anche la dose di demotivazione che molti hanno maturato a seguito della legge finanziaria del governo Prodi".
L’affermazione di una ripresa in atto può apparire nel clima odierno troppo ottimistica ma non è ingiustificata se si elencano le forti scelte soggettive che sul piano economico imprenditoriale si sono manifestate nel corso del 2006. In particolare le scelte di quegli imprenditori, piccoli e medi, che hanno perseguito strategie di “nicchia alta” a livello globale sui bisogni sofisticati del lusso; di quegli imprenditori che hanno sviluppato una strategia “meticcia” combinando ruoli industriali, logistici, commerciali, finanziari, di import-export; delle imprese che sviluppano a livello internazionale produzioni “su misura” e “su ordinazione”; degli stessi imprenditori che sembravano condannati al “buco nero” dei loro settori (auto, tessile e abbigliamento, calzaturiero) e che hanno reagito con vitalità ed intelligenza; di quegli imprenditori e manager che hanno dimostrato voglia di diventare big players nei settori di appartenenza (nel credito come nella cantieristica); nonché dei molti soggetti localistici (distretti industriali, alcune grandi città, aree ad economia borghigiana) che stanno rendendo compatto il tessuto economico del territorio.

Se supereremo queste tendenze alla demotivazione, è possibile che si torni ad una crescita continua perché i suoi soggetti e i suoi processi sono quotidianamente operanti. Il sistema produttivo, infatti, sta procedendo in parallelo a una trasformazione significativa della composizione sociale italiana, cioè dell’antico serbatoio di energie socioeconomiche che sottende lo sviluppo dagli anni ’60 ad oggi. Il nostro sistema sociale, infatti, non sembra più addensarsi nel grande "ceto medio" creatosi dagli anni ’70 in poi.

Una nuova articolazione sociale comincia a manifestarsi, come effetto:
- di una rimodulazione del sistema di imprese sull’esempio di una minoranza trainante che si misura anche sulla competizione internazionale (imprenditori di nicchia, big players, imprenditori “meticci” o medie imprese operanti su commessa”);
- del crescente valore economico di un geo-centrismo che era nato marginale, nel localismo degli anni ’70 e che oggi vede vitalissimi i distretti, le aree a vocazione borghigiana, le città a forte rinnovamento di ruolo;
- di quell’area di terziario non impiegatizio, ossia a crescente impegno imprenditoriale e professionale, nei settori della logistica, dei trasporti, della finanza, degli stessi servizi alle persone e alle comunità (dove si affacciano anche imprenditori extracomunitari integrati nel nostro modello di sviluppo e di piccola impresa).
E’ questa triade che, rompendo l’invaso e la cultura del ceto medio, sta alla base della ripresa attuale e della sua futura tenuta.
Il Censis ritiene che su di essa si debbano concentrare l’attenzione e l’impegno politico, nella convinzione che essa sia più forte e più promettente della triade che oggi tiene banco (redistribuzione per leva fiscale - politica delle riforme - difesa a oltranza degli interessi particolari) ma che non riesce a costruire - e costruirsi - un futuro.

2. La società italiana al 2006

La ripresa c’è:

  1. Vi sono segnali di ritorno alla vitalità economica. L’atteggiamento attivo, definito lo scorso anno come “schegge di vitalità”, determina oggi maggiore fiducia nelle prospettive delle imprese, che vengono ritenute positive per il 92,6% delle imprese con oltre 20 addetti, intervistate in ottobre. A fronte della crescita del pil pari all’1,7%, con cui si chiuderà verosimilmente il 2006, uno dei risultati che maggiormente colpisce riguarda la crescita, nei primi 6 mesi di quest’anno, dell’occupazione e l’ulteriore discesa del tasso di disoccupazione. L’aumento degli occupati è stato dell’1,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e nel secondo trimestre la variazione è stata del 2%. Nel sistema delle imprese, tra gennaio e luglio di quest’anno l’indice del fatturato è aumentato dell’8,7% e gli ordinativi sono aumentati del 10,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; tra i comparti che spiccano per l’incremento del valore delle vendite compaiono quello delle industrie calzaturiere (+10,7%), della produzione di metallo e di prodotti in metallo (+11,5%), dell’elettromeccanica (+12,5%) e dei mezzi di trasporto (+19,5%).
  2. Le nuove strategie delle imprese appaiono vincenti. Oltre il 60% del valore delle esportazioni del 2005 si è concentrato in settori in cui l’Italia costituisce un partner estremamente competitivo a livello internazionale: molte aree della meccanica che, con 59 miliardi, pesa per il 20% circa sull’export italiano; i tessuti, la cui quota di mercato è cresciuta in cinque anni di 1,3 punti percentuali, arrivando all’11,8%; la produzione di tubi, dove l’Italia è leader mondiale con una quota di mercato dell’11,3%. E’ cresciuta la capacità di movimento degli imprenditori nello scenario internazionale: il 13,3% delle imprese manifatturiere italiane con oltre 50 addetti ha all’estero una parte di attività produttiva, tra quelle con 200/500 addetti la percentuale sale al 29,4%, tra quelle con più di 500 al 37,2%; il numero degli investitori italiani all’estero è cresciuto del 21,3%, arrivando a quota 5.750, per un numero di imprese all’estero partecipate da soggetti italiani pari a 16.832 unità; nell’ultimo anno la presenza delle imprese italiane in Cina è cresciuta del 12,4% arrivando a quota 1.461. E’ indicativo del percorso di riposizionamento sullo scenario internazionale e di consolidamento su quello interno, la sensibile crescita registrata tra 2001 e 2004 delle medie e grandi imprese, aumentate rispettivamente del 7,8% quelle tra 10 e 49 addetti, del 6,4% quelle tra i 50 e 249 e del 5,9% quelle oltre i 250.
  3. Si consolida un ruolo da big player per la grande impresa. Possiamo contare su un patrimonio di circa 2.000 grandi imprese che in prospettiva possono assicurarci una presenza più forte nei mercati emergenti e innescare un effetto di trascinamento della media impresa rafforzando le strategie innovative e il successo che queste stanno avendo; il fatturato globale delle grandi imprese, per il 2005, ha superato i 512 miliardi di euro, pari al 36,2% del pil dell’anno. Chi, in Italia, in maniera più o meno consapevole, può svolgere un ruolo di big player? Enel, Eni, Finmeccanica, Fiat, Unicredit, San Paolo – Intesa, Generali, Telecom Italia.
  4. Si consolida l’economia delle vacanze. Gli ultimi dati ufficiali relativi al movimento turistico negli esercizi ricettivi attestano per il 2005 un aumento annuo del 2,7% sia degli arrivi che delle presenze, con un significativo effetto di traino da parte della componente straniera della domanda (+3,6% gli arrivi e +5,0% i pernottamenti). Vi sono segnali di passaggio a un turismo post-industriale: a vocazione individuale, residenziale, “artigiana” e immobiliare. Vi è un’accentuata tendenza a spalmare le ferie durante l’anno, ormai solo il 43,5% dei viaggi per vacanze è concentrato nel trimestre estivo. Le vacanze brevi, di 1-3 notti, sono aumentate del 13,1% rispetto all’anno precedente, arrivando a costituire ormai il 46,7% del totale. Vi è un crescente uso delle seconde case di proprietà per fini turistici, che nel 2005 ha riguardato il 13% delle vacanze (l’11,8% nell’anno precedente). La disponibilità complessiva delle seconde case per vacanza può essere stimata in almeno 10 milioni di posti letto, ovvero circa 2,5 volte la ricettività alberghiera ed extra alberghiera.
  5. Tiene il modello di integrazione socioeconomica degli immigrati. Resta basso e decresce il tasso di disoccupazione tra gli stranieri (8,8%); è confortante il dato in forte crescita relativo agli stranieri extracomunitari titolari di impresa: circa 200.000 nel 2005.

Ma persistono zavorre sistemiche:

  1. Gli effetti sottovalutati di una spesa pubblica indomabile. Nel periodo 2000-2005 la spesa pubblica corrente al netto degli interessi è passata da 475 miliardi di euro (pari al 39,9% del pil) a 622 miliardi di euro (43,9% del pil) con un tasso medio di crescita annuo reale del +2,6%, mentre nello stesso periodo il pil è cresciuto dello 0,6%.
  2. I tempi lunghi e gli alti costi delle reti infrastrutturali. Le “opere compensative e indotte” legate al programma complessivo dell’alta velocità si stima ammontino a circa 9,2 miliardi di euro.
  3. L’involuzione retorica di scuola e università. Si conferma per l’Italia una tendenza all’investimento sociale in istruzione più debole rispetto agli altri paesi; la spesa pubblica in istruzione sia in rapporto al pil (4,9%), sia in rapporto al totale della spesa pubblica (9,9%) sono inferiori alla media dei paesi Ocse, dove raggiungono rispettivamente le quote del 5,5% e del 13,3%.
  4. Un welfare di tipo clientelare. Difformità di trattamenti, indebite strategie di selezione della domanda lavorano, in maniera sotterranea, all’interno del sistema di welfare. Il 32% delle famiglie italiane, secondo i risultati di un’indagine Censis del 2006 ha affermato di essere stata deviata dall’offerta pubblica verso quella privata.
  5. La criminalità emergente fra metropoli e piccole province. Il 30,8% dei reati, 795.191 in valore assoluto, avviene nelle aree metropolitane di Milano, Roma, Torino e Napoli; ma l’incremento della paura e quindi delle denunce avviene in una graduatoria imprevista in cui ai primi posti si trovano Ferrara (+20,9% di reati denunciati in un anno), Perugia (+19,1% dal 2004 al 2005), Pisa, Rovigo, Salerno, Cuneo, Viterbo, tutte province solo marginalmente interessate dalle cronache criminali.
  6. E le leadership appaiono in una crisi di senso: svuotate dall’emersione dei ceti, corrose dall’ossessione mediatica, distratte dai malefici effetti del localismo corporativo, ancora incapaci di includere le donne, e incalzate dall’ambiguo primato dei singoli nelle decisioni bioetiche.

3. I processi formativi

Sulla formazione linguistica l’Italia è divisa in due: da una parte gli indifferenti, i diffidenti e i perplessi (in totale il 54% della popolazione) che ritengono non serva conoscere le lingue; dall’altra parte i fiduciosi (25%; soprattutto giovani studenti) e i globetrotters (21%), gli unici che sembrano veramente a proprio agio in un contesto multilinguistico.
Per gli immigrati conoscere l’italiano è importante per stringere rapporti di amicizia con gli italiani (82,1%), per utilizzare i servizi pubblici (78,6%), per lo svolgimento dell’attività lavorativa (86,5%), per trovare un lavoro migliore (71,4%). Il 72,2% degli intervistati vive in Italia da un periodo compreso tra 3 e 10 anni; il 55,7% non ha intenzione di tornare nel proprio paese di origine e il 24,9% afferma che vi tornerà tra molto tempo; solo il 17,9% manifesta la volontà di andare a vivere in futuro in un altro paese.
Sono quasi 2.000 i master presenti sul mercato, di cui il 41% alla prima edizione, per un totale di 38.000 posti ed un volume di affari pari a 180 milioni di euro in caso di piena collocazione sul mercato. Il tasso di saturazione dei posti disponibili è elevato (70%). Il ricavo medio per iscritto è di 5.800 euro, superiore al prezzo medio di iscrizione (4.800 euro), in virtù del maggior numero di iscritti registrato dai master più costosi. Un master umanistico costa in media 2.700 euro; un master gestionale o di management 8.000 euro. Al nord si concentra il 48% dei master ed il 43% dei posti disponibili. La durata media è di 500-600 ore, e sono impegnati 18 mila docenti di ruolo universitari e 16 mila docenti extra accademici. I master dell’area economico-finanziario-manageriale coprono il 23% dell’offerta, mentre i master di nuova istituzione riguardano soprattutto i settori scientifico (49%) e umanistico (48%). Un master su 3 prevede l’erogazione di lezioni in lingua straniera ed 1/3 dei corsi coinvolge docenti stranieri, solo l’8% offre la possibilità di effettuare un tirocinio/stage all’estero.


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