Non è possibile vivere felici senza condurre una vita saggia, specchiata e giusta, né condurre una vita saggia, specchiata e giusta senza essere felici.
Epicuro, Lettera a Meneceo.
In attesa dell’eurogruppo straordinario odierno sulla Grecia e mentre i media romanzano, raccontando storie di vendette necessarie su nibelunghi che pretendono di usare l’abaco invece del cuore, nell’enfasi degli storytelling non si è riflettuto sulla novità venuta ieri dalla BCE: una novità che pochi si aspettavano, e che – diciamolo subito, per tagliare l’erba a ogni possibile polemica – è coerente alle regole alle quali la BCE deve attenersi.
Ieri e oggi, sui mercati, la situazione è di allarme ma sotto controllo. Il Consiglio della Bce ieri ha riesaminato, come fa ormai due o tre volte la settimana, i requisiti e il livello della linea straordinaria di liquidità ELA sin qui concessa alle banche greche, senza della quale esse non potrebbero operare né riaprire tra qualche giorno, visto che secondo fonti dell’associazione bancaria greca venerdì scorso avevano ormai in cassa solo poco più di 1 miliardo di euro e qualche spicciolo. Tutti si aspettavano che la BCE non avrebbe certo elevato ELA sopra il tetto degli 89 miliardi (erano 60 a febbraio, poi saliti progressivamente), sin qui concessi e in larga parte già utilizzati. Aumentare ELA da parte della BCE sarebbe stato improprio e impossibile, il giorno prima che al vertice europeo si capisca qualcosa di concreto sui termini possibili, gli esiti immaginabili, e soprattutto sui tempi eventualmente necessari per la ripresa della trattativa con la Grecia. Infatti, la BCE ha confermato gli 89 miliardi, senza accrescerli. Ma la sorpresa è stata quella di aver aumentato gli scarti di garanzia sul collaterale accettato in BCE da parte dele banche greche, per poter usufruire della liquidità d’emergenza. In altre parole, è stato abbattuto ulteriormente il valore dei titoli pubblici greci che costituiscono il residuo capitale in pancia alle banche elleniche. Se ne era rimasto – secondo alcune stime, la BCE ieri non ha dichiarato l’entità dell’haircut – per l’equivalente di 15-17 miliardi di euro, ora l’abbattimento del valore residuo riconosciuto porta il valore reale del capitale spendibile dalle banche in garanzia di liquidità a una cifra ancora inferiore, tale da garantire pochissimi giorni di reale operatività, sia pure limitata dai vincoli di capitale molto stretti che permarrebbero anche quando le banche riaprissero gli sportelli.
Per chi volesse accusare l’Europa, una riflessione: il signor Tsipras, nel marzo scorso, facendo saltare i tempi dell’accordo possibile sul terzo programma di assistenza e facendoli prorogare al 30 giugno, ha automaticamente rinunciato a 10,9 miliardi che erano rimasti a disposizione non utilizzati, dei circa 40 stanziati dall’EFSF europeo nel 2012 per rimettere in piedi le banche greche. Un atto suicida, visto quanto quei denari servirebbero oggi. Ma tipico di chi mira a far saltare il banco, rischiando anche e soprattutto quel che non ha.
L’haircut sui collaterali da parte della BCE è il più forte segnale trasmesso alla Grecia dopo il suo referendum. E ha il significato di un allarme che dal trillo continuo diventa campana a martello. Non è sui tempi lunghi e lunghissimi della trattativa politica, che si misura la possibilità greca di evitare l’uscita dall’euro. E’ sui tempi brevissimi di un possibile e sereno ritorno all’operatività del suo sistema bancario e dei pagamenti. Fino a ieri si pensava che il tempo consentito alle banche greche per operare grazie alla BCE era di due settimane, fino al 20 luglio quando scade la rata dovuta dalla Grecia alla BCE, in assenza del cui pagamento la BCE dovrebbe automaticamente considerare le banche greche insolventi e sospendere l’ELA. Ma da ieri il tempo è diventato ancor più limitato. Perché le banche greche si troverebbero non solo senza liquidità ma senza capitale. Perché in assenza di un qualunque accordo non potrebbe ricapitalizzarle l’ESM europeo. Al massimo, si dovrebbe immaginare un intervento straordinario del Fmi, che oggi né i greci né molti in Europa vogliono che non intervenga nelle faccende europee. E a quel punto l’uscita dall’euro sarebbe un dato di fatto, al di là di ogni intenzione politica dei greci e dell’euroarea.
Evidentemente, nel Consiglio della Bce tra i 25 membri ieri ha prevalso la necessità di attenersi rigorosamente alle norme cautelari che obbligano la BCE a evitare perdite. Visto il no al referendum, e considerate le incertezze di tempi lunghi: procedure straordinarie erga omnes di ristrutturazione del debito in permanenza dell’euroarea mancano purtroppo nelle regole europee, per le quali ogni caso implica invece un negoziato a parte (come già avvenuto con la Grecia nel secondo salvataggio del 2012). In tali condizioni la BCE non ha potuto far altro che avanzare le lancette del conto alla rovescia, verso il default bancario greco.
E’ un messaggio lanciato a Tsipras, perché non rifaccia il furbo menando il can per l’aia. Ma è altresì un messaggio per l’intera euroarea. Di tempo ne rimane pochissimo. Bisogna avere idee chiare e non perdersi in fumisterie. Altrimenti, fuori dal sistema internazionale dei pagamenti e impossibilitata a usare quello domestico, la Grecia avvamperà in un ulteriore ondata di furore nazionalista, che però non la salverà da amarissime conseguenze. Altro che no all’austerità, i greci se la ritroverebbero moltiplicata nell’immediato. E l’euroarea “irreversibile” diverrebbe un ricordo nel museo della politica inconsapevole di che cosa implichino i suoi impegni: misure straordinarie volte a risolvere anche l’impensabile, se si crede a un obiettivo comune.
Oscar Giannino da www.brunoleoni.it - 08-07-2015
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