Conta poco la fortuna per il saggio: le cose più grandi e importanti le conduce la ragione.
Epicuro, Epistola a Menoceo
Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e declino di quelle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
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Al termine del suo mandato, Prodi lascia al suo successore, l’andreottiano Franco Nobili, una serie di gatte da pelare: dai nuovi fondi di dotazione, solo promessi dal Governo ma già impegnati, al problema della siderurgia; dai grossi crediti inesigibili di Fincantieri, Italstat e Italimpianti, ai grandi programmi di investimento già approvati senza nessuna copertura finanziaria. Quando Nobili tira le somme del bilancio del 1989, l’indebitamento del gruppo si rivela superiore al previsto e pari a 47.500 miliardi. A nulla sono serviti gli oltre 17.000 miliardi di fondi affluiti dal 1982 nelle casse dell’Iri.
Tra l’altro i tempi sono cambiati anche per le aziende di Stato. Prodi aveva goduto del periodo d’oro della ripresa economica della seconda metà degli anni Ottanta, senza essere stato capace di attuare i bellicosi propositi enunciati al suo insediamento. Ma ora il debito pubblico, dal quale avevano attinto a piene mani i manager delle aziende statali, ha superato il 100% del Pil e Andreotti annuncia tagli alla spesa. Arrivano all’Iri i fondi di dotazione, ma sono insufficienti per coprire la voragine di debiti, l’unica soluzione sembra essere quella di emettere in Borsa partecipazioni di minoranza di alcune aziende.
Nel febbraio 1989 Leon Brittan viene nominato commissario alla concorrenza nella Cee. Egli cerca di imporre le proprie idee, di stampo thatcheriano, e nel suo mirino mette in primo luogo le imprese pubbliche. Nel consiglio Cee del 15 ottobre 1990 Brittan contesta, alla radice, ogni forma di sovvenzione degli Stati alle imprese, pubbliche o private: è il trionfo di una visione liberista che toglie agli Stati il potere di politiche industriali difensive e anticoncorrenziali. Per dare un segnale che da quel momento l’Iri si sarebbe finanziata con i propri cespiti, alla fine del 1991 Nobili decide di mettere in vendita la Cementir; l’asta viene vinta dal gruppo Caltagirone per 480 miliardi, e ciò significa una plusvalenza di 193 miliardi per l’Istituto. Un altro elemento di preoccupazione per Nobili è che nel 1989 il Banco di Roma non distribuisce dividendi da tre anni: Andreotti, come già visto, diventa l’ispiratore della costituzione del grande polo bancario capitolino con la concentrazione della Cassa di Risparmio di Roma, del Banco di Santo Spirito e del Banco di Roma e con la nascita di quella che verrà chiamata Banca di Roma.
Il 12 settembre 1991 Michele Tedeschi rivela che gli apporti dello Stato all’Iri ammontano (a moneta 1990) a 41.776 miliardi, dei quali 32.837 sono affluiti tra il 1980 e il 1985; tra il 1986 e il 1990 gli apporti sono stati di “soli” 2.147 miliardi, ma l’indebitamento dell’istituto è aumentato di 20.000 miliardi. Questo è stato possibile perché Giovanni Goria, ministro del Tesoro di Craxi e grande amico di Prodi, ha inventato un altro trucchetto: lo Stato, in sostituzione dei fondi di dotazione, concede all’Iri per legge di emettere obbligazioni a tasso agevolato con rimborso a carico dello Stato stesso. Ma l’epoca dei soldi facili è oramai agli sgoccioli: il 15 ottobre 1991 la Corte dei Conti dichiara illegittima la legge 42/91 che autorizza la concessione dei fondi di dotazione, poiché, l’articolo 81 della Costituzione cita: «Ogni altra legge che importi nuove e maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte». Andreotti cerca di dare una mano a Nobili, ma le elezioni incombenti non consentono di tradurre in legge una modifica della 42/91, che permetterebbe di aggirare l’ostacolo posto dalla corte dei conti. I fondi arriveranno nel 1993, con Prodi nuovamente alla presidenza; afferma Pini: «[…] a conferma che gli uomini della sinistra democristiana mantenevano un tocco magico ineguagliabile con le casse dello Stato».
Nel 1991 Nobili, provenendo dal settore dei grandi lavori, elabora il progetto di fusione tra Italstat e Italimpianti, entrambe in situazioni desolanti, pensando di produrre alcune sinergie. La nuova società Iritecna eredita, però, 382 miliardi di perdite da Italstat e 303 miliardi da Italimpianti. La fusione, invece di creare i vantaggi dello scaling up, genera gli svantaggi delle sovrapposizioni; i due amministratori delegati decidono infatti autonomamente, senza alcun coordinamento. Nel giugno 1992, a causa di ben 1.800 miliardi di crediti a rischio delle passate gestioni, l’indebitamento di Iritecna è aumentato di altri 500 miliardi.
Il 1° ottobre 1991 Guido Carli, ministro del Tesoro del Governo Andreotti VII, illustrando la legge finanziaria per il 1992, indica tre indirizzi programmatici: contenere la spesa per il personale pubblico, contenere la spesa previdenziale e sanitaria, avviare la vendita di aziende pubbliche. Da quest’ultima voce lo Stato si ripromette di incassare, nel 1992, circa 15.000 miliardi. Con l’annuncio di un decreto legge per la trasformazione in Spa degli enti pubblici economici e di un disegno di legge per l’abolizione del ministero delle Partecipazioni statali, per Andreotti, secondo Eugenio Scalfari, è «arrivato il momento di guadare il fiume, ha abbandonato Cirino Pomicino ed è salito a cavalcioni sulle spalle di Carli», in nome di «una politica del rigore che è stata l’ultima piroetta di questo espertissimo giocoliere». Chi non ha voglia di scherzare, sarà forse più interessato ai calcoli del professor Carlo Scognamiglio: risulta che i fondi versati dallo Stato alle Partecipazioni statali, a tassi di interesse corrente e a moneta 1990, ammontano a lire 245mila miliardi (un quarto del debito complessivo del Paese), dei quali 100mila erogati negli ultimi dieci anni. Amato, salito al Governo il 28 giugno 1992, “impone” ai partiti il decreto legge 333 dell’11 luglio 1992, che prevede la trasformazione di Iri, Eni, Enel e Ina in Spa e la liquidazione dell’Egam. I consigli di amministrazione vengono azzerati e composti da tre sole persone: il presidente uscente, un dirigente ministeriale di nomina del Tesoro e un amministratore delegato scelto tra i direttori generali; una sorta di gestione commissariale diretta dal ministero del Tesoro. All’Eni rimane presidente Gabriele Cagliari e alla poltrona di amministratore delegato approda Franco Bernabè; all’Iri il presidente Franco Nobili viene affiancato da Michele Tedeschi; all’Enel il presidente Franco Viezzoli lavorerà in tandem con Alfonso Limbruno; all’Ina Lorenzo Pallesi lavorerà con Mario Fornari. I media parlano di privatizzazioni, della fine dei finanziamenti alle imprese pubbliche, di colpo di mano, ma in realtà al momento si tratta del passaggio degli enti dalla forma giuridica pubblica a quella privata, con l’unico immediato risultato tangibile che lo Stato non potrà più servirsi delle Partecipazioni statali per finalità improprie.
Il 18 luglio, con decreto legge 340, il Governo mette in liquidazione l’Efim, le cui controllate passano all’Iri. Inoltre congela per due anni i debiti del gruppo, compresi quelli esteri, sollevando lo sdegno del mondo economico internazionale e facendo declassare il debito dell’Italia da AA1 ad AA3 da parte dell’agenzia di rating Moody’s. Lo stesso Amato ammetterà nel 1993: «È stato grave, da parte mia, prendere quella decisione che ha sconquassato la credibilità internazionale dell’Italia e della lira». Nel rapporto del ministro Barucci ad Amato, il programma di riordino di Iri, Eni, Enel, Imi e Ina privilegia l’ipotesi della costituzione di nuclei stabili di controllo delle imprese pubbliche da privatizzare, contro quella della public company sostenuta da tutta la sinistra e dai sindacati. Il primo obiettivo del Tesoro è la privatizzazione delle banche, che «possono essere cedute senza provocare crisi occupazionali».
Nell’aprile 1993 si insedia al Governo Carlo Azeglio Ciampi. Al convegno “I Nobel a Milano”, egli afferma che i mali d’Italia si identificano in tre rigidità: quella del sistema economico-finanziario, basato su grandi imprese in gran parte di proprietà pubblica, incapaci di sviluppare un vero mercato del capitale di rischio; quella del mercato del lavoro e del sistema fiscale; quella della Pubblica Amministrazione. Il Ciampi governatore della Banca d’Italia aveva inviato frequenti messaggi ai politici circa la sua contrarietà al fatto che le banche entrassero nel processo di privatizzazione degli enti pubblici, ma ora il Ciampi capo del Governo può essere di avviso contrario. D’altra parte, a fine 1992 le sofferenze bancarie ammontano a circa 38.000 miliardi e ciò significa che le industrie debitrici non sono in grado di restituire i crediti ricevuti dalle banche; l’unica via d’uscita consiste in quella di trasformare i crediti inesigibili in azioni. L’11 giugno 1993 Ciampi abolisce il divieto della legge bancaria del 1936, cosicché le banche possono controllare fino al 15% del capitale di ogni impresa. Ma le stesse banche sono perplesse perché si trovano davanti a un panorama disastrato di grandi debitori. Per stabilizzare la situazione, il 10 giugno la Banca d’Italia invia a tutto il sistema creditizio una circolare in base alla quale i prestiti a Iri, Ina, Eni ed Enel vengono definiti a rischio zero poiché garantiti dallo Stato. Il 30 giugno Ciampi nomina un comitato di consulenza per le privatizzazioni, presieduto da Mario Draghi. Per Enel, Ina, Imi, Stet, Agip, Comit e Credit si dovrebbe procedere subito alla privatizzazione, previa la costituzione di nuclei stabili. Ai primi di agosto la Commissione arriva alla conclusione che le banche debbano avere la precedenza. Intanto si prepara uno scontro tra il ministro dell’Industria Paolo Savona e Romano Prodi, tornato alla testa dell’Iri. Il primo è favorevole alla costituzione dei “noccioli duri” alla francese, mentre Prodi è favorevole alla public company. Le dimissioni di Ciampi, il 13 gennaio 1994, pongono fine alla querelle.
21 luglio 2015
Eugenio Caruso da L'estinzione dei dinosauri di stato.
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