Bisogna curare i mali che capitano con il conforto dei beni passati.
Dal gnomologio vaticano epicureo
Sarà stato il successo che hanno avuto a Expo, o forse il bisogno della giunta romana di qualche colpo a effetto che placasse le roventi polemiche degli ultimi mesi. Fatto sta che anche Roma sta per essere invasa dalle “case dell’acqua”, come ha dichiarato con orgoglio qualche giorno fa l’ad di Acea (la municipalizzata del Comune di Roma che si occupa di energia e acqua), Alberto Irace: “oggi sono 10, tutte in periferia, ma entro il 2016 saranno almeno 100”. La notizia, di per sé, va salutata con favore: indubbiamente queste “fontanelle 2.0” ampliano l’offerta di acqua nelle nostre città, rendendo i cittadini più liberi di scegliere. Ma è il dietro le quinte a sollevare qualche dubbio, per almeno tre motivi.
Primo. Nonostante la campagna mediatica che ormai da anni proclama la gratuità dell’acqua che sgorga dalle casette (lo stesso Irace ha dichiarato che “si tratta di distributori gratuiti”), queste ultime costano e non poco. Innanzitutto perché l’acqua “alla spina” proviene dagli acquedotti comunali: il fatto di pagarli con le imposte e non direttamente non ne abbatte il costo, anzi, semmai lo nasconde. Quindi, no, non è gratis: la pagano i contribuenti, esattamente come quella che sgorga dai loro rubinetti (essendo la stessa, identica acqua). Ma non solo: i costi d’installazione delle casette, nel progetto di Acea, ammontano a 3 milioni di Euro, senza contare la futura manutenzione. Tutto, nuovamente, pagato dai contribuenti. Altro che gratis!
Secondo. Ammesso e non concesso che taluni contribuenti siano felici che le proprie tasse finanzino le casette dell’acqua, siamo certi che queste rientrino nel perimetro del servizio idrico essenziale, atteso che la medesima acqua che da esse viene somministrata finisce già sulle case di tutti i residenti romani, attraverso i rubinetti? Oppure il vantaggio fornito alle casette dell’acqua – rispetto, che so, all’acqua in bottiglia – è un sostegno ingiustificato a un particolare settore di mercato? C’è davvero bisogno di un intervento pubblico che finanzi le casette dell’acqua, o è un’attività che potrebbe essere lasciata in mano ai privati eventualmente interessati? E siamo certi che quei soldi non potessero essere usati per fini più nobili di fontanelle 2.0 che distribuiscano l’acqua potabile che già sgorga dai rubinetti di tutte le case romane?
Terzo. La stessa campagna mediatica che fa leva sulla gratuità delle case dell’acqua invoca spesso i benefici ambientali e i risparmi di plastica generati dal loro utilizzo. Ma questo messaggio è ingannevole, quando non addirittura discriminatorio. Sostenere che le famiglie possano diminuire il costo dell’acqua imparando a bere quella dell’acquedotto invece di quella in bottiglia, infatti, mette in concorrenza fra loro due prodotti che non sono equivalenti. E che dire di chi è costretto a bere acqua minerale per ragioni di salute?
Probabilmente, durante il Giubileo, i pellegrini saranno ben contenti di godere del miracolo dell’acqua gratis; i contribuenti romani dovrebbero esserlo un po’ di meno.
Giacomo Lev Mannheimer - da www.leoniblog.it - 14 settembre 2015
Tratto da