Ognuno lascia la vita come se l'avesse cominciata allora.
Dal gnomologio vaticano epicureo
Si dice spesso che con l' Apologia di Socrate e col Critone Platone non ha voluto fare opera filosofica, ma tratteggiare il ritratto del vero filosofo. (Se ne veda ora la bella edizione BUR, testo greco a fronte, a cura di Maria Michela Sassi). Mi riferisco alla singolare e complessa vicinanza tra il Socrate dell' Apologia e la "sapienza dionisiaca" del Sileno. Meglio sarebbe stato non nascere, dice il Sileno; oramai non rimane nulla di meglio che morire. E Socrate dice, nell' Apologia, che la morte e' un "guadagno meraviglioso". Nessuno di noi, infatti, fosse pure il piu' fortunato degli uomini giudicherebbe un momento qualsiasi della sua vita preferibile a una notte passata nella piu' completa assenza di sogni. Meglio dunque, anche per Socrate, la buia e muta notte della morte che la vita piu' felice. Tuttavia, quello che il Sileno afferma categoricamente, Socrate lo intende come una possibilita' , come uno dei due lati di un' alternativa che egli non sa risolvere, ma gli consente una superiore serenita' di fronte alla morte. La quale e' un bene, egli dice, perche' "o e' un non esser piu' niente" e un "non sentir piu' niente", oppure e' una "migrazione dell' anima", che se ne va nell' Ade e incontra gli uomini migliori e puo' ragionare con essi intorno alla vera sapienza, e questa e' la maggiore felicita' . In entrambi i casi la morte e' un bene. Socrate non si limita a "sperarlo": lo vede con certezza, anche se non sa quale dei due casi sia il vero (la parola elpi' s, usata da Socrate, non significa solo "speranza", ma anche "pensiero", "previsione", "lecita aspettativa"). Ma per i piu' la morte e' il piu' grande dei mali! Soprattutto per i Greci, che incominciano a pensare il senso radicale del niente. E appunto per mostrare che la morte non e' annientamento dell' anima che il Socrate "platonico" del Fedone (abissalmente diverso dal Socrate dell' Apologia) combatte la sua grande battaglia contro il dubbio. Il Socrate dell' Apologia, invece, non si angoscia di fronte all' annientamento. Meglio il niente che un qualsiasi momento fortunato della vita. Ma, noi, come possiamo accettare un simile paradosso? Non e' un sofismo? No, purche' si sappia leggere tra le righe: la piu' fortunata delle vite e' pur sempre esposta alla minaccia del niente; si puo' giungere allora a preferire di essere niente all' angoscia di doverlo diventare. "Ormai e' passata per i morti l' angoscia di non risorgere piu' ", dice Eschilo nell' Agamennone. Dove e' chiaro che si puo' preferire la morte perche' , vedendo in essa il maggiore dei mali, non si ha la forza di sopportare il tempo in cui la si deve attendere e che dunque solo in apparenza . come Socrate finisce col dire . puo' essere un tempo felice.
Emanuele Severino
Il Critone passa, giustamente, per uno dei più felici, e anche dei più facili dialoghi platonici. Difatti è tra i più scorrevoli e meno tormentati scritti di quello spirito che conobbe l’ansia e il martirio della ricerca come pochi altri uomini al mondo, ma a quell’ansia e a quel martirio dètte un’espressione così felice che i più colgono l’incanto della sua prosa, e non, attraverso di essa, il dramma interiore di chi intravedeva la verità, e stava per raggiungerla, e quella gli sfuggiva quanto più egli le si avvicinava. Agli scritti platonici càpita lo stesso che alle persone belle: più soffrono, e più il loro dolore si fa bellezza; sicchè chi guarda, rapìto da quella bellezza, dimentica quale pena fiorisca in essa.
Ma il Critone è un dialogo tutto unito e fluido: senza quei dolorosi arresti, quelle disperate giravolte di pensiero, che rendono così tragico, per esempio, il Teeteto. Qui nè dubbi, nè ritorni, amarissimi, sui propri passi. Platone, giovane, ha una traccia assai semplice, e la svolge con arte serena, con quella leggerezza di tocco che fa anche di altri dialoghi dello stesso gruppo capolavori leggiadrissimi. È il secolo di Prassitele; così anche Platone tornisce le sue spirituali creature, prima che il dèmone della ricerca l’occupi tanto da lasciargli solo a tratti la giovanile serenità d’uno svolgimento principalmente artistico dei suoi temi.
Giacchè il Critone ha appunto questo carattere: non indaga, espone. Muove dal concetto, ch’era tutto Socrate, che l’ingiustizia è peste e rovina dell’anima, e va tenuta lontana, anche se rimuoverla ci costi la morte: e questo motivo lascia che circoli per tutto il dialogo, alimentandolo e ispirandolo in ogni sua parte. Ricerca, e molto meno travaglio, non ce n’è.
C’è, in compenso, il quadro, o, se si vuole, il bozzetto. Non siamo poi lontanissimi dall’età del quadretto, dell’«idillio»; anche il Critone è una sveltissima e perfetta novella dialogata, una «scena», cominciata, condotta, conchiusa con un’arte che si direbbe consumata, se non fosse felicissimamente spontanea e istintiva.
La «macchietta» di Critone è un capolavoro di caratterizzazione comica. Platone è veramente fratello dei grandi sbozzatori di caratteri tragici e comici. Quella stessa arte: e, forse, più fine, quanto più discreta.
Critone, nel dialogo, non si vede: si ode solo. Platone lo descrive facendolo parlare. Anzi, facendolo argomentare e ragionare. E argomenta e ragiona in maniera così singolare, ch’egli assume, dinanzi al lettore, l’eterna parte del Sancho di fronte a Don Quixote, cioè del buon senso di fronte al genio e all’eroismo.
Platone non fa tacere Critone se prima la sua loquela non l’ha fatto tutto manifesto. E quando Socrate prende a persuaderlo, parlandogli per via d’esempi, d’immagini e di paragoni, Critone, che si vien persuadendo. Socrate gli parla da popolano a popolano: Critone lo segue passo passo, e, frase per frase, argomento per argomento, capisce. Ma, appena Socrate accenna a trarre da quel che ha detto la conclusione, Critone arretra, e torna a dire, pari pari, quel che diceva prima che Socrate cominciasse, pazientemente, a parlargli. Ma a Socrate quell’affetto testardo, non illuminato da alcuna idea, tutto sentimento e niente intelligenza, del vecchio e fedele amico, fa pena: e riprende a persuaderlo, pian piano, anche più alla buona di prima, perché la verità gli consti, patente e spiccia, come due e due fanno quattro.
Socrate chino sul suo vecchio e ottuso amico, a fargli intendere, per via d’onesto e piano ragionare, quel che la tarda mente dell’amico a grande
stento riesce a seguire, è un’ immagine di bontà, che va ben oltre la consueta bonomia, sempre presente nell’ironia socratica.
D’altra parte, quanto più Socrate cerca di scendere al livello mentale di Critone, tanto più la sua figura grandeggia. Anzi, come l’argomentare di Critone appare più volgare perché è rivolto a Socrate, così l’eroismo sereno di Socrate splende più chiaro, contrapposto alla prudenza di Critone: «Socrate, bada a quel che fai».
Ci ha badato tutta la vita; ha sempre avuto coscienza d’essere esposto, senza difesa, a ogni malvolere; e ha sempre accettato l’idea di patire, e morire, pur di non combattere l’altrui violenza con armi pari, pur di serbare per sé il suo maggiore, o il suo solo tesoro, la sua purezza interiore. L’atteggiamento ch’egli assume ora, l’ha deciso da gran tempo; la sua fermezza presente sta solo nel non abbandonare, sotto l’intimidazione del pericolo, il suo antico convincimento e la sua risoluzione. E poiché gli Dei vogliono ch’egli muoia, non si leverà, d’arbitrio, a frustrare il loro volere: obbedirà, e morrà.
Socrate si è sempre sentito, come dice nel Fedone, «cosa degli Dei». E ha sempre agito come gli Dei hanno suggerito d’agire. Anzi, come i suoi contemporanei andavano a Delfo o a Dodona a consultar l’oracolo, così egli ha sempre consultato il suo oracolo interiore, in ogni momento importante della sua vita. E gli Dei non l’hanno lasciato mai privo di questa assistenza paterna, ispirazione, guida, norma delle azioni. Gli hanno inviato sogni, visioni, gli hanno messo nell’animo una repugnanza, istintiva e risoluta, per tutto ciò che potesse nuocergli: gli hanno sopra tutto concesso una coscienza, sempre vigile a trattenerlo, pronta sempre a rispondere alle sue domande quando fosse ansioso d’orientarsi, di veder chiaro, d’essere illuminato su la via migliore da seguire. E come l’universo intero è condotto dagli Dei nella maniera per esso migliore, così anche l’individuale esistenza di Socrate è stata governata sempre dal sacro volere degli Dei. Egli vi si è sempre abbandonato fiducioso: ben conscio di quanta luce gli derivasse da ogni pronunciarsi del suo dèmone interiore. Al volere divino si abbandona anche
ora: solo gli Dei sanno se la dimora all’Ade non sia miglior sorte della permanenza in terra. Ma se essi han disposto la sua morte, la loro volontà deve compiersi.
Questo senso religioso, che ha la risoluzione di Socrate di non fuggire, non sempre è còlto: si insiste, giustissimamente, su l’altissimo valore morale della decisione: e si lascia nell’ombra l’abbandono pieno di Socrate alla provvidenza divina. Eppure, se Socrate era così fermamente convinto che la vita dell’universo non si spiega che teleologicamente, da questa trama di fini divini egli non eccettuava menomamente né gli uomini e gli eventi umani in generale, né sé e la sua esistenza in particolare. Anzi, quel continuo sentirsi avvertito da sogni, da visioni, e dalla voce infallibile del suo dèmone, più che mai lo induceva a considerare la sua vita come tutta voluta e decretata dagli Dei; ond’era pronto a qualsiasi evento, ben consapevole d’abbandonarsi così al volere dei reggitori buoni dell’universo, suoi ispiratori e provvidi consiglieri.
Guardata sotto questa luce, la figura di Socrate appare «antica», e, se si vuole, arcaica, molto più che di solito non sembri. E come è assoluto il suo abbandono ai voleri divini, così è assoluto il suo abbandono alle leggi della patria. Il quale atteggiamento tanto più sorprende, quanto più Socrate ha speso tutta la vita nell’esercizio d’una critica, bonaria ma implacabile, degli ordinamenti e dei costumi d’Atene.
Ebbene, egli, il riprensore, «messo da Dio addosso alla città come addosso a grande e generoso cavallo, ma per la grandezza un poco sonnolento e abbisognoso di essere destato da sprone» (Apologia, X-III), con la sua critica ha soltanto cercato di aprir gli occhi alla sua patria: non vi è riescito: ora obbedirà, docilmente, a quelle medesime leggi di sovranità popolare che ha così a lungo criticate. Giacchè l’averle criticate non lo scioglie dall’obbedienza verso di esse: anzi per esse, nonostante il male che vi ha notato, Socrate ha sempre quella reverenza affettuosa che si ha per quello che è profondamente caro. .........
Augusto Guzzo.
CRITONE
ovvero
Di quel che si dee fare
I.
SOCRATE O Critone, come va a quest'ora? non è ancora mattino?
CRITONE Oh sí!
SOCRATE Che ora è mai?
CRITONE È quasi alba.
SOCRATE Mi maraviglio come il carceriere t'abbia lasciato entrare.
CRITONE È tanto che io ci vengo, che oramai egli mi s'è un poco domesticato; e poi gli ho fatto anche bene.
SOCRATE E sei tu venuto ora, o è un pezzo?
CRITONE Un gran pezzo.
SOCRATE E perché non isvegliarmi subito, e ti sei posto a sedere allato a me, in silenzio?
CRITONE Perché neanche io, per Giove, vorrei stare a vegghiare con tanta tribolazione. E poi, io m'era incantanto a guardarti come dormivi quieto; e non t'ho svegliato a posta, acciocché ti passasse il tempo, quanto esser può, dolcemente. E tante volte, anche prima, considerando io la tua natura, ho detto nel cuore mio: «Come è felice!» Ciò dico specialmente ora in questa tua sciagura, vedendo come la sopporti in pace, con una faccia serena.
SOCRATE Eh! Critone, sarebbe una stonata a pigliarsi collera a questa età, se già si ha a morire.
CRITONE Altri pure ce n'è, Socrate, persone di anni come te e disgraziati, ma l'età non toglie che non si accorino della lor sorte.
SOCRATE È vero. Ma perché sei venuto a cosí buona ora?
CRITONE O Socrate, per arrecarti una dolorosa novella; a te no, lo vedo; ma dolorosa e nera a me e a tutt'i tuoi amici: per me io sento che non ci reggo.
SOCRATE Che è? è arrivata la nave da Delo, la quale come arriva, io avrò a morire?
CRITONE Ancora no: ma io mi penso ch'ella abbia ad arrivare oggi, secondoché dicono alcuni, venuti da Sunio, dove la lasciarono. Ah! dalle loro novelle è chiaro che oggi arriverà bene, e domani di necessità è che tu abbia a finire la tua vita
II.
SOCRATE In buona pace, o Critone: se cosí piace agl'Iddii, cosí sia. Ma io non credo ch'ella arriverà oggi.
CRITONE D'onde l'argomenti?
SOCRATE Te lo dirò. Non ho io a morire il giorno appresso che sarà tornata la nave?
CRITONE Cosí dicono quelli che comandano in siffatte cose.
SOCRATE Ora io non credo che arriverà oggi, ma domani. Ciò argomento da una certa visione che io ebbi in sogno poco fa, stanotte: e forse tu hai fatto bene a non isvegliarmi.
CRITONE Quale?
SOCRATE Pareva a me di vedere una donna bella e d'avvenevoli forme, vestita di vestimenta bianche; la quale, verso di me venendo, mi chiamò, e cosí disse: - O Socrate, al terzo dí perverrai tu alla zollosa Ftia.
CRITONE Che sogno strano!
SOCRATE Ma chiaro, mi pare
III.
CRITONE Per essere, è chiaro. Ma va', o divino Socrate, dammi retta stavolta: salvati; ché se muori tu, sarà per me la piú gran disgrazia ch'io avessi mai: perché, oltre a perdere un amico quale io non ritroverò piú, la gente, quelli che non ci conoscon bene, diranno che se io aveva voglia di metter fuori danari, ti poteva campare, e non l'ho fatto. Oh! si può essere piú infamato, che quando la gente crede che tu fai piú conto de' danari che dell'amico? perché i piú non si faranno mai una ragione, che sei tu, che, con tutta la ressa che ti facciamo noi, non te ne vuoi andar via di qua.
SOCRATE Ma, beato uomo, che fa a noi ciò che si pispiglia dalla gente? I savii, ai quali noi si conviene avere l'occhio, crederan bene che la è andata come l'è andata.
CRITONE Intanto, lo vedi, bisogna mettersi pensiero dell'opinione del popolazzo. Il caso tuo dice chiaro che male ne può egli fare, e non poco ma quanto immaginar si possa al mondo, a un povero uomo addentato che è dalla calunnia.
SOCRATE Oh! che bellezza se il popolo, come potesse far male, potesse fare altresí bene; ma egli né può l'una cosa né l'altra, perciocché fare non ti può né savio né stolto, e quello che fa, fa a casaccio.
IV.
CRITONE Sia pure; ma, Socrate, forse che ti metti pensiero di me e degli altri amici, che, uscendo tu di qua entro, i calunniatori non ci molestino, dando voce che ti abbiam furato noi; tanto che poi noi fossimo costretti a perder tutte le nostre sostanze, o, se non altro, molti danari, o vero a patire per sopraggiunta alcuno guaio piú grosso. Se hai questa paura, mandala a parte; imperocché egli è giusto che, per salvarti, noi ci mettiamo in questo pericolo, e anco in uno maggiore, se bisognasse. Va' là, dammi bene retta, non far di tuo capo.
SOCRATE Di questo mi metto pensiero io, e di tante altre cose.
CRITONE E di questo non ti dèi metter pensiero, non hai da aver paura; che alla fine non domandan poi gran cosa quei tali che pigliano a scamparti e trarre fuori di qua. E poi, non vedi? come si vendono a buon patto cotesti calunniatori, e che non c'è bisogno di molto danaro per turar loro la bocca? A te basterà quel che ho io, mi figuro: e se ti sa male che io spenda del mio, qui sono questi forestieri pronti a spendere del loro; e a questo fatto Simmia il Tebano se n'è messo allato dei denari; e anco Cebete e assai altri son lí pronti. Dunque, questa paura non ti tenga che non ti salvi, e neanco la ragione che tu contavi in tribunale, che uscito, cioè, di Atene, non sapevi piú che far di tua vita: perché fuori di qua sono molti luoghi, dove, se tu vai, ti porranno amore; e caso che tu voglia andare in Tessaglia, là c'è miei ospiti, che ti stimeranno assai, e procureran bene che tu viva securamente e non sii molestato da nessuno.
V.
E poi, Socrate, non mi pare tu faccia bene a tradirti da te, potendoti salvare, e a procurarti quello che t'avrebbero procurato i tuoi nemici: e già te lo procurarono, poi che ti voglion morto. E oltre a ciò, tradisci i tuoi figliuoli: perché, potendoteli nutricare tu e ammaestrare, li pianti e te ne parti abbandonandoli alla ventura; e incoglierà facilmente a loro quello ch'è solito agli orfani nella loro orfanezza. Senti, o non s'hanno a fare figliuoli, o, una volta fatti, bisogna che uno s'arrovelli la vita per camparli e tirarli su alla meglio. Ora tu, mi pare, vuoi prendere il partito piú comodo. No, tu hai a fare quel che farebbe un uomo da bene e virtuoso; tu specialmente che dici non avere mai fatto altra cosa in tutt'i dí di tua vita, se non curare la virtú. Mi si fa rossa la faccia, per te e per noi tuoi amici; ché mi pare sia avvenuto per una tale nostra viltà questo brutto fatto. Voglio dire: aver lasciato avviare la lite in tribunale, da poi che tu, potendo non comparirci, ci sei comparso; e averla lasciata andare come è andata; e in ultimo, di non aver saputo schivare cotesto scioglimento, che è come la parte giocosa, noi che non curammo di salvarti (e neanco tu poi), e potevamo assai bene: bastava ci fossimo dati un poco da fare. Bada, Socrate, che questa cosa, oltre al danno, non faccia vergogna a te e a noi. Su via, piglia un partito: che! non è piú ora di pigliarlo, bisognava averlo già pigliato! Il partito è uno: stanotte sia tutto fatto; poco poco che s'indugi, la è finita, non si può piú. Socrate, dammi retta: per carità, non voler fare a tuo modo.
VI.
SOCRATE Caro Critone, questo tuo amore è da pregiar molto, se lo accompagna giustizia; se no, quanto più è grande, mi fa piú pena. Badiamo, dunque, se questo che tu di' si ha da fare, o no. Perché, non solamente ora, ma sempre fui cosí fatto, che non ubbidisco dentro me a nessuno, salvo che alla ragione; quella, dico, la quale, pensandoci, mi paia esser la migliore. E le ragioni che io diceva le
altre volte, non posso rigettarle ora, dacché mi è toccata questa disgrazia; ché son sempre quelle, e quelle medesime io onoro anche oggi e ho in riverenza. E se non abbiamo al presente delle ragioni piú forti, sappi che io non consentirò mai a quello che tu di'; neanco se questo volgo strapotente mi spaventasse, come si fa i fanciulli, con ben altri modi piú spaventevoli che non la carcere, la morte e lo spogliamento delle sostanze. Ora, come s'ha a fare per considerar bene la cosa? Cosí: ripigliando quello che tu di' delle opinioni, ed esaminando se si è o no detto giustamente tutte le volte, cioè che si ha a badare ad alcune opinioni, e all'altre no; ovvero, se prima si avea ragione a dire che bisognava che io morissi, ma che proprio ora s'è trovato che si disse cosí per dire, ma ella fu una sciocchezza veramente e una burla. Critone, io desidero esaminare in compagnia tua quelle ragioni, se mai ci paressero, ora che io son cosí, mutate, o le medesime; e rigettarle, o ubbidire! Quei che le parole non le buttan fuori a caso, han sempre detto su per giú come diceva io, che, delle opinioni degli uomini, di alcune è da far grande estimazione, delle altre no. Per gl'Iddii, ciò non ti par detto bene, o Critone? Tu, a ragione di uomo, sei fuor del pericolo che tu muoia domani, e non t'oscura gli occhi una disgrazia come la mia; e però considera se non ti par giusto dire, che non si ha da avere in onore tutte le opinioni degli uomini; ma quali sí, quali no. Che ne di' tu? ho ragione?
CRITONE Ragione.
SOCRATE E però s'ha da avere in onore le buone; le cattive no.
CRITONE Sí.
SOCRATE E buone non son quelle dei savii, e cattive quelle degli stolti?
CRITONE Come no?
VII.
SOCRATE E in quest'altra parte era giusto il ragionamento? dicevamo cosí noi: «Un che esercita il suo corpo, forse pone mente alla lode e al biasimo e all'opinione d'ogni uomo pur che sia, o di quello solo che è medico o maestro di ginnastica?»
CRITONE Di quello solo.
SOCRATE Dunque egli ha a temere i biasimi e desiderare le lodi di quello solo, e non di tutta la gente.
CRITONE È chiaro.
SOCRATE E però egli ha a esercitare il suo corpo, e ha a mangiare e bere, e fare, in somma, a modo di quello solo che è sopra ciò e se ne intende, non già a modo degli altri?
CRITONE Vero.
SOCRATE Bene. E disobbedendo a quello, e gli avvisi e le lodi sue dispregiando, e facendo riputazione delle lodi della gente sciocca, non ne riceverà danno?
CRITONE Come no?
SOCRATE E che è questo danno? e qual parte danneggia di colui che disubbidisce?
CRITONE È chiaro: il danneggiato è il corpo; perché è desso che patisce.
SOCRATE Tu di' bene. E cosí delle altre cose, per non le stare ad annoverar tutte quante. E in fatto di giusto e d'iniquo, di brutto e bello, di buono e cattivo, che è la cosa sopra la quale prendiamo consiglio, ci convien seguitare la opinione della gente forse, ovvero di quello solo che se ne intende, se mai si fosse, e piú di quello aver paura e vergogna, che di tutti gli altri? di quello, al quale non dando retta guasteremo la parte di noi che prospera con la giustizia e va in fiore, ed è afflitta ed annichilata con la ingiustizia? O non è egli vero in nulla?
CRITONE Mi par vero, a me.
VIII.
SOCRATE Su via, e se l'altra parte di noi, che prospera per tutto ciò ch'è salutare e s'attrista e mortifica per tutto ciò ch'è nocevole, noi la guasteremo, per non dar retta alle persone intendenti, guastata che è, si può piú campare? vedi che io intendo del corpo?
CRITONE Vedo.
SOCRATE Di', si può campare con un corpo malato sfatto?
CRITONE Manco per sogno.
SOCRATE E si può campare poi, guastata che è e disfatta la parte di noi alla quale fa danno la iniquità e la giustizia fa giovamento? o reputiamo esser piú vile cosa che il corpo questa parte di noi, quale ella sia, dove la giustizia abita o la ingiustizia?
CRITONE Oh tutt'altro!
SOCRATE Ma piú pregevole?
CRITONE Di molto.
SOCRATE Dunque, bravo uomo, non c'è da darsi pensiero di ciò che dice la gente; ma sibbene di ciò che dice colui che ha conoscimento del giusto e dello iniquo, di quello solo. Questo è il vero. Dunque non hai presa bene la avviata, principiando a dire che bisogna badare all'opinione della gente in fatto di giusto, di bello e di buono, e de' lor contrarii. Dirà alcuno: - Eh la gente è pure buona a uccidere!
CRITONE Altro se lo dirà!
SOCRATE È vero. Ma, o maraviglioso, questo ragionamento che si è rifatto ora, mi par tal quale quando fu fatto l'altra volta; mi par, cioè, che stia ritto. E guarda se sta anche ritto quest'altro, cioè, che s'ha a far grandissimo conto, non già del vivere, ma sí del viver bene.
CRITONE Sta ritto.
SOCRATE E questo, che vivere bene e vivere onestamente è tutt'uno, sta o non istà ritto?
CRITONE Sta ritto.
IX.
SOCRATE Dunque, essendo noi di accordo in questo, rimane a considerare se è giusto ch'io tenti di uscire di qua, non dandomene gli Ateniesi la licenza; ovvero se non è giusto. E caso che ci paia giusto, tentiamo; se no, lasciamo stare. Perché quell'altre considerazioni, la spesa, il vociare della gente, i figliuoli che non c'è modo di camparli, son buone, bada, per cotesto volgo leggero, che ti uccide senza una ragione al mondo, e ucciso che t'ha, senza una ragione al mondo, potendo, ti revocherebbe a vita. Ma noi, guarda se piuttosto non ci convenga esaminare, dacché cosí richiede la ragione, se noi operiamo giustamente pagando con danari e con ringraziamento coloro che mi traggon di qua; se operiamo giustamente quelli ed io, quelli che mi traggono e io che mi lascio trarre; ovvero se iniquamente; e caso ci paia che iniquamente, guarda se convenga, alla morte, o a che altro di peggio ci possa cogliere restando qui con tranquillo animo, piuttosto non pensarci, che fare cosa ingiusta.
CRITONE Dire, dirai bene; ma, Socrate, bada che fai.
SOCRATE Badiamoci insieme, o buono uomo: e se tu hai modo di ribatter le mie ragioni, ribattimele pure, ché io ti ubbidirò; se no, lascia, beato uomo, di
ricantarmi che bisogna che io mi parta di qua, a dispetto degli Ateniesi: perché, se l'ho a fare, vo' farlo con il tuo consentimento, non con la tua riprovazione. Guarda se a pigliare di qua le mosse per questa disamina sta bene; e come credi meglio, procura di rispondere alle mie domande.
CRITONE Procurerò bene.
X.
SOCRATE Diciamo che non s'ha in nessun modo a fare ingiustizia volontariamente; o in un modo si può, e in un altro no? o il fare ingiustizia non è in nulla buono né bello, come detto è in passato piú d'una volta, e come io diceva anche ora? O che se ne siano belli andati in questi pochi dí tutti quegli accordi di prima, tanto che noi poveri vecchi è un pezzo che disputiamo tutti accigliati, non ci accorgendo d'esser proprio fanciulli? O la cosa sta pure cosí come noi si diceva allora; e, o che dica di sí la gente, o di no, o che ci tocchi di patire guai piú grossi di questi, o piú lievi, il fare ingiustizia è, a chi la fa, cosa laida secondo tutt'i rispetti e malvagia? Lo diciamo noi questo, o no?
CRITONE Lo diciamo.
SOCRATE Dunque non s'ha a fare ingiustizia per nessun modo.
CRITONE No.
SOCRATE Né chi ricevette ingiustizia, può, come crede la gente, renderla alla sua volta; da poi che ingiustizia non si può fare per nessuno modo.
CRITONE Par di no.
SOCRATE Ed è giusto, secondoché dice la gente, render male per male, o no?
CRITONE No di sicuro.
SOCRATE Perché, il far male agli altri, niente non differisce dal fare ingiustizia.
CRITONE Dici vero.
SOCRATE Adunque non si dee rendere a nessuno ingiustizia per ingiustizia, male per male, qual ch'ella sia la ingiuria che abbi ricevuto.
CRITONE No.
SOCRATE Bada, Critone, tu forse non dici come pensi; perché io so bene che sono e saran pochi quelli che la intendon cosí. E questi tali non possono aver consiglio insieme con quei che la intendono diversamente; ma è di necessità che, ragguardando essi a loro divisamenti contrarii, si disprezzino. E però considera se tu con me sei d'un sentimento; e, volendo prendere noi un partito, appoggiamoci a questo principio, che mai non istà bene fare ingiustizia, e neanco renderla e contraccambiar male con male. O tu non la senti come me, e rigetti questo principio? Per me tanto l'ho pensata cosí da un pezzo, e la penso cosí anche al presente; tu, se mai ti par altrimenti, parla e insegnami; se poi sei rimasto saldo nell'opinione di prima, sta' a udire quello che segue.
CRITONE Son rimasto saldo io, e la penso come te: di' pure.
SOCRATE Ecco quello che segue; ma è meglio ch'io domandi: - Se l'hai conosciuta giusta una cosa, l'hai tu a fare, o tu poi scansarti?
CRITONE La ho a fare.
XI.
SOCRATE Ora, guarda piú in là un poco. Andandomene via di qua e disobbedendo al comune, noi facciamo male ad alcuno, anzi a chi manco si converrebbe, o no? e stiamo saldi ne' principii di giustizia, ne' quali ci siamo messi di accordo?
CRITONE Non posso rispondere a quello che domandi tu; ché non intendo.
SOCRATE Su via, guarda la cosa da questo lato. Se stando noi su le mosse per fuggir via di qua (la parola fuggire non ti piace? di' come tu vuoi), ci venissero incontro le leggi e l'istesso comune personalmente, e, piantandocisi in faccia; domandassero: - Socrate, di' a noi: che hai tu in mente di fare? Credi tu fare altro con cotesta impresa, se non, quanto è da te, abbatter noi e la città tutta quanta? O ti pare egli possibile che stia ritta una città e non si sottovolti, dove le sentenze dei giudici non han valore, e privati cittadini le fanno vane e calpestano? - Che risponderemo noi a questi e altri simiglianti rimproveri? Per certo ci sarebbe a ridire molto, specialmente se uno è retore, per discolparsi dell'aver conculcato la legge, la quale vuole che le sentenze abbiano loro effetto. O risponderemmo che la città ci ha fatto oltraggio, e ch'ella non ci ha giudicati secondo ragione? Risponderemmo cosí, o in altra maniera?
CRITONE Cosí, per Giove.
XII.
SOCRATE Ma ripiglierebbero le leggi alla loro volta: - Questo, o Socrate, fu il patto fra noi e te? o per contrario fu che tu dovessi accomodarti alle sentenze che proferirebbe il comune? E se ci maravigliassimo noi di questo loro parlare, elle seguiterebbero forse, cosí dicendo: - Non ti maravigliare, Socrate, ma rispondi, da
poi che anche tu hai in usanza di domandare e rispondere: di', che hai tu da rinfacciare a noi, ché tu cerchi le vie di darci morte? Non t'abbiamo noi dato vita? imperocché per noi tuo padre prese in moglie tua madre e ti ebbe messo al mondo. Orsú, parla schietto: tra noi leggi hai a fare tu alcuna riprensione a quelle ordinate ai matrimonii, parendoti che non vadan bene?
- Non ne ho a fare, - risponderei io.
- E ne hai forse per le leggi su l'allevamento e ammaestramento dei fanciulli, secondo le quali leggi tu fosti allevato e ammaestrato? Che? elle non hanno fatto bene, comandando a tuo padre di addisciplinarti nella musica e nella ginnastica?
- Bene, - risponderei io.
- E dacché tu per cagion di noi fosti generato, allevato e ammaestrato, puoi dire che tu non sei nostro figliuolo e nostro servo, tu e i tuoi avoli? E se egli è cosí, credi che noi e tu abbiamo ugual diritto; e che sia giusto, qualunque cosa facciamo noi a te, che tu la rifaccia anco a noi? O laddove tu non avevi ugual diritto inverso tuo padre, o il tuo padrone, se mai avuto lo avessi, sí che quel che pativi tu, potessi farlo patire a loro, e rampognato rampognare, percosso percuotere, e cosí via dicendo: fra patria poi e leggi da una parte, e te dall'altra, la cosa vada diversamente; sí che se noi ci apparecchiamo a ucciderti, reputando ciò giusto, e tu anche alla tua volta a tutto tuo potere ti apparecchi a uccidere noi leggi e la patria: e, facendo cosí, dici di far cosa giusta, e tu, tu lo dici, il custode della virtú? O sei tanto sapiente che non sai che, piú che il padre e la madre e tutti gli altri congiunti, è da onorare la patria, e che ella è venerabile e santa piú di tutti e piú in luogo alto e appresso agl'Iddii e appresso agli uomini sani d'intelletto; e che si deve essere verso lei riverenti e umili, piú che non verso il padre, e carezzarla, fosse anche aspra con noi; e che, quel ch'ella comanda, si dee fare volenterosamente; e se alcuna cosa vuole che noi patiamo, patir si dee, senza fiatare; e se ci vuole anche battere, o gittarci in carcere, o menarci in guerra a esser feriti o morti, s'ha a inchinare il capo; è giusto; e non s'ha a balenare, non ritrarsi, non abbandonar le ordinanze; e in guerra e in tribunale e in ogni dove s'ha a fare tutto ciò che dice la patria, o, al piú, se ciò ch'ella domanda non ci par giusto, persuaderla con maniere dolci; ma, far violenza, non è santa cosa, né a farla al padre, né alla madre, e tanto piú alla patria? - Che risponderemo, o Critone, a queste ragioni? risponderemo che le leggi dicono vero, o no?
CRITONE Dicono vero, mi pare.
XIII.
SOCRATE E poi, mi penso che direbbero cosí: - Socrate, guarda ora se diciamo vero, che tu ci fai oltraggio facendo quello che ti disponi a fare. Perciocché noi, dopo averti generato, nutricato e ammaestrato, e messo insieme con gli altri a parte di tutt'i beni, secondo che potevamo, t'avvisammo innanzi; e, come te, cosí similmente ogni Ateniese pervenuto ch'è in età d'esser cittadino e preso che ha contezza dei costumi della città e di noi leggi; t'avvisammo, che caso non ti garbiamo, noi ti diamo la licenza di torre teco tutta la tua roba e andartene dove ti piace: perché nessuna di noi leggi vieta e impedisce ad alcun di voi Ateniesi ch'e' non se ne vada in alcuna colonia, se mai è scontento di noi e della città, e non si tramuti dove che sia, portando con sé le cose sue. Dunque, se un di voi rimane in Atene dopo che veduto ha il modo come noi definiamo le liti e governiamo le altre faccende del comune, egli, diciamo, coi fatti s'è già obbligato verso noi a far quello che gli comandiamo; e, non obbedendo, diciamo che egli ci fa villania in tre maniere: la prima, che non ubbidisce a noi che gli fummo madri; la seconda, che non ubbidisce a noi che gli fummo balie; la terza, che non ubbidisce dopo che promesso avea di ubbidire, e non cura neanche, caso che noi falliamo, di chiarircene per via di ragioni; e avendogli proposto benignamente, non già comandato con asprezza, d'osservare tutto ciò che noi ingiungiamo, e lasciato in sua balía o di aprirci gli occhi su i nostri falli o di ubbidire, egli né fa una cosa né l'altra.
XIV.
Vedi, Socrate: son queste dunque, te lo diciamo noi, le colpe che graveranno sopra te, se fai quello che tu hai in mente; e non graveran meno, ma piú che non su qualsivoglia altro Ateniese. E se io rispondessi: - Perché? - Perché (questo mi rinfaccerebbero, a ragione forse) io piú che gli altri mi fui accordato con loro in questi patti. - E abbiamo grandi prove, - direbbero, - che ti piacevamo noi e la città; imperocché non ti stavi in questa città piú che niuno Ateniese non facesse giammai, se ella non piaceva piú a te che agli altri. In vero, non sei mai uscito fuori della città per la bramosia di vedere spettacoli, salvo la volta che sei andato all'Istmo; ma non sei andato mai altrove, eccetto come soldato in caso di guerra; né hai fatto mai alcun viaggio come gli altri uomini; né mai ti prese vaghezza di vedere altre città né altre leggi: ma noi e questa città ti bastavamo; tanto ci amavi! e t'eri già acconciato a far vita secondo noi. E poi qui tu hai fatto figliuoli, qui, perché ti piaceva la città. Ancora in quel che si faceva il giudizio, t'era lecito per penitenza prendere da te lo andare in esilio; e ciò che ti disponi ora a fare a dispetto della città, potevi fare tu allora col suo consentimento. Ma allora ti facevi bello dando vista di non pigliartene all'idea che bisognasse morire; anzi dicevi meglio voler la morte, che l'esilio; ed ora non arrossisci di quei vantamenti, e non ti cale di noi leggi, da poi che tenti di abbatterci; e non altrimenti fai che al modo che farebbe uno schiavo vilissimo, ingegnandoti di scappare contro i patti e li accordi di fare vita con noi. Va', la prima cosa rispondi: diciamo noi vero, che tu avevi fatto l'accordo, a opere, non a parole, di regolare secondo noi la tua vita? o non diciamo vero?
A questo, o Critone, che risponderemo, se non che l'accordo fu fatto?
CRITONE Di necessità, o Socrate.
SOCRATE E seguitando, direbbero cosí poi: - Che altro fai tu ora, se non rompere quei patti e quegli accordi che avevi fermati con noi? Né li fermasti per forza, né tiratovi a inganno, e neanco per partito dovuto pigliare a fretta e furia; ché hai bene avuto agio a pensarci su per ispazio di anni settanta, ne' quali te ne potevi pure andar via, se non ti piacevamo, e se gli accordi non ti parevan giusti. Ma tu né ci mettesti innanzi Sparta, né Creta, le quali tutto dí stai a dire che si reggono con
buone leggi, né alcun'altra delle greche città o barbare; anzi di qua mai non ti sei mosso, peggio che i zoppi, i ciechi e gli altri sciancati; tanto piaceva questa città piú a te, che a niun altro Ateniese: e anche noi leggi, egli è chiaro; perché a chi piacerebbe una città senza leggi? E ora non vuoi stare ai patti? Sí, se dài retta a noi, o Socrate, e non farai la figura ridicolosa a scappare.
XV.
Considera appresso: rompendo questi patti, macchiandoti di tale peccato, qual bene procaccerai a te e ai tuoi amici? Che tu metterai i tuoi amici nel pericolo d'essere sbandeggiati dalla città, o di esser privati di tutte le loro sostanze, è chiaro quasi. Quanto a te, poi, se ti rifuggirai in alcuna delle città piú vicine, come Tebe o Megara (ché si reggono con buone leggi tutt'e due), tu entrerai là come un ch'è nemico del loro reggimento. E quelli che hanno a cuore la loro città, ti guateranno con occhio bieco, immaginandosi che tu sii un corruttore delle leggi: e raffermerai nell'animo de' giudici la credenza che abbiano giudicata la tua lite dirittamente; imperocché, chi è corruttor delle leggi, può ben parere corruttore de' giovani e della gentuccia ignorante. Che? fuggirai le ben governate città e gli uomini costumati? Ma allora che te ne fai tu della vita? O t'accosterai a loro e appiccherai discorsi come uomo sfacciato? Ma quali? quelli che facevi qua, o Socrate, cioè essere la virtù e la giustizia e le costumanze e le leggi cose da tenere in grandissima riputazione? e non credi che allora il fatto tuo sarà una vergogna? Bisogna bene che tu lo creda. Ma tu! ti leverai di questi luoghi; anderai in Tessaglia, presso agli ospiti di Critone: imperocché ivi è molto grande scompiglio e sregolatezza; e volentieri ti udirebbero forse raccontare in qual maniera ridicolosa tu sii fuggito dalla carcere imbacuccato in un manto, o coperto di alcuna pelle, o in alcun'altra forma camuffato, come sono usati di fare quelli che scappano; e, di piú, con la faccia disfigurata. Ma che tu, vecchio a cui resta da campare piú poco, osasti cosí desiderare avidissimamente di vivere, passando sopra le leggi piú sante, non te lo dirà nessuno? Può essere, se tu a nessuno non farai noia; ma se no, Socrate, oh quante ne sentirai! delle belle! delle
cose indegne fin di te stesso! Tu vivrai, dunque, servendo a tutti e chinando il collo. E come te la passerai in Tessaglia? satollandoti ai banchetti di questo e di quello, come se tu fossi andato colà a posta, per mangiare. E quei bei discorsi su la giustizia, su le altre virtú, dove sono andati? Ma, vuoi campare per via dei figliuoli, per nutricarli e ammaestrare. Che? in cotesta maniera li nutricherai tu e ammaestrerai, menandoli in Tessaglia, facendoli forestieri, acciocché abbian da te anche questo gran bene per sopraggiunta? Ovvero questo no, e li lascerai qua ad allevare? Ma credi che vivo te, con tutto che lontano da loro, ei s'alleveranno e si tireranno su meglio? Dirai: «I miei amici cureranno di loro». Bella! se te ne parti alla volta della Tessaglia, li cureranno: e se te ne parti alla volta dell'altro mondo, non li cureranno? Va' là, se è da aspettare alcun bene da quelli che si dicon tuoi amici, fidati.
XVI.
E però, Socrate, da' retta a noi, alle tue nutrici: de' figliuoli, della vita e d'ogni altra cosa che sia nel mondo, non volere tu far piú conto che del giusto; acciocché, disceso nell'Ade, tu abbi tutti questi argomenti da esporre in cospetto di coloro che tengono laggiú imperio. Perché, quassú, egli è palese e a te e ai tuoi, che ciò che tu intendi fare, non è il tuo meglio, e non è la cosa piú giusta né piú santa; e né anco sarà il tuo meglio laggiú. Sicché se tu ora muori, muori ingiuriato, non da noi leggi, ma sí dagli uomini; ma se tu fuggi, pagando cosí vergognosamente ingiuria con ingiuria, male con male, i patti e gli accordi da te fermati con noi rompendo, e chi meno si convenia offendendo, cioè, te medesimo, e amici, e patria, e noi; noi ti staremo in collera insino a tanto che tu avrai fiato; e laggiú le nostre sorelle, le leggi d'inferno, non t'accoglieranno benignamente, sapendo che ti sei provato di abbatterci e di umiliare quanto potevi. Onde non ti lasciar sobillare da Critone, che tu innanzi faccia quello che dice egli, che quello che diciamo noi.
XVII.
Queste cose, mio caro amico, sappi bene ch'egli pare cosí a me di sentirle, come pare ai Coribanti di sentire i flauti; e dentro me ancora il suono di queste parole rimbomba sí, che mi fa a tutt'altro esser sordo. Dunque, Critone, tu sai ora come penso; se mi vuoi contraddire, è fatica gittata la tua; ma, se credi di potere altro, di'.
CRITONE Socrate, non ho che dire.
SOCRATE Dunque, Critone, lascia stare: andiamo pure per questa via, che è quella per la quale ci mena Iddio.
VIDEO https://www.youtube.com/watch?v=gdZqYBPiWKQ
Eugenio Caruso - 15 settembre 2015
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