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Profughi: le titubanze della Germania


E' sciocco chiedere agli dei le cose che uno è in grado di procurarsi da solo.
Dal gnomologio vaticano epicureo


Le ultime convulse giornate sul fronte europeo dei profughi offrono una lezione chiara. Non è un fenomeno gestibile con le svolte unilaterali germaniche. E Berlino infatti è stata costretta alla retromarcia, annunciando controlli alle frontiere e blocco dei flussi. Troppi profughi, dice Berlino. Che punta il dito contro Bruxelles. Tanto che il presidente della Commissione Europea Juncker ha dovuto subito, allarmato, chiamare la Merkel. Ma il punto è un altro. Di colpe europee, indifferenze e ritardi nel comprendere il fenomeno e adottare misure e mezzi adeguate, l’Italia ne sa qualcosa da anni. Ma è evidente che Berlino ha potentemente sottovalutato quello che sarebbe stata l’inevitabile conseguenza immediata, all’annuncio della svolta unilaterale tedesca pro profughi.
Alla luce di quanto sta accadendo, oggi al Consiglio Europeo dei ministri dell’Interno la partita non è quella di recepire la ripartizione nazionale dei 120mila profughi aggiuntivi ai primi 32 mila decisi a fine giugno. Ma di verificare immediatamente la disponibilità a una decisione nuova e diversa. Senza un accordo su di una struttura comune e concordata, volta ad affrontare il fenomeno nella sua intera complessità, dalle frontiere esterne europee per i paesi che le hanno come l’Italia, per poi assicurare flussi ordinati attraverso i paesi europei di transito fino a quelli destinatari, non risulta semplicemente possibile gestire ordinatamente un flusso di queste proporzioni: un milione di persone verso la sola Germania, ha detto il vicepremier tedesco Gabriel stamane.
Nel breve volgere di due settimane dall’annuncio unilaterale tedesco, la Germania si è trovata con l’esplosione di un grande problema a Oriente – non solo con l’Ungheria ma con tutti e quattro i paesi del blocco di Visegrad –, al Nord con la Danimarca, e a Sud con l’Austria. Sono state disposte interruzioni del traffico ferroviario con diversi paesi confinanti. Presidenti dei Laender tedeschi hanno dichiarato, come in Renania-Palatinato, di non essere in grado di affrontare i flussi. Inoltre, ministri federali tedeschi hanno fatto altri pesanti annunci unilaterali. A cominciare dal ministro dell’Interno de Maiziere, che ha dichiarato la necessità di “zone d’attesa” per i migranti in Italia, Grecia e Ungheria, quasi come se l’Italia non se ne sobbarcasse l’onere crescente da anni. Francamente, de Maziere poteva risparmiarsi le parole che ha aggiunto, ammonendo gli altri paesi europei a “non approfittare” della disponibilità tedesca. Più comprensione va riservata al ministro dei Trasporti Dobrindt, perché ha testualmente parlato di “fallimento completo della Ue nel proteggere i suoi confini esterni”: cioè, appunto, e innanzitutto, quelli dell’Italia e della Grecia, visto che la Germania non ha frontiere esterne europee.
Molti media europei ieri, di fronte alla degenerazione in scontri di piazza delle manifestazioni inizialmente pro profughi ad Amburgo e Brema, affermavano che la cancelliera Merkel a questo punto si gioca una partita decisiva. Se dovesse tornare indietro e smentirsi, se la Germania in due settimane dovesse dichiarare di non farcela dopo che per anni paesi come l’Italia hanno dovuto gestire l’emergenza commettendo certo molti errori, ma senza mai ottenere il pieno sostegno europeo che serviva, ebbene le conseguenze negative non sarebbero solo per la popolarità interna della Merkel in Germania. Sarebbe un disastro complessivo, che lascerebbe Italia e Grecia ancor più esposte.
Scrivemmo l’indomani stesso della svolta unilaterale tedesca, che essa avrebbe comportato problemi enormi aggiuntivi sia per i paesi di sbarco come l’Italia, sia per quelli di transito. Aggiungemmo di sperare che una svolta di tale portata fosse stata soppesata con cura, e cioè che preludesse alla piena commisurazione di un progetto comune di gestione del fenomeno, e di risorse adeguate. I fatti di questi ultimi giorni dicono con grande chiarezza che non è stato così. Ora è il momento perché i tanti entusiasmi che si sono sprecati cedano il posto a valutazioni fredde e serie. Un’Europa che ha un Fondo speciale per i disastri naturali – il FSUE, creato guarda caso quando la germania nel 2002 fu alluvionata – ma non adotta uno strumento analogo per i disastri umanitari, non è degna delle ambizioni che dichiara. Se il paese economicamente leader di questa Europa dichiara da un giorno all’altro di esser pronto ad accogliere per anni a venire oltre 500mila profughi l’anno non avendo frontiere esterne europee, non può credere che arrivino in Germania paracadutati sul suo territorio.
Per tutte queste ragioni, l’appello è ad evitare ora un nuovo rimbalzo di responsabilità verso l’Italia. O i leader europei adottano un progetto davvero comune per gestire il fenomeno dovunque in Europa, oppure tra veti nazionali contrapposti e frontiere interne all’Europa chiuse il bilancio da trarre sarà molto amaro. Nell’imperfezione oggettiva in tanti anni delle sue politiche di accoglienza, l’Italia non ha mai esposto l’Europa al danno molto grave che rischiamo nei prossimi giorni e settimane. Le aree di attesa per i profughi servono in Libia, in Egitto, in Tunisia, ma alle richieste italiane sinora non è venuta neanche l’autorizzazione alla terza fase di EurNavFormed, in modo da poterla far intervenire nelle acque libiche e non solo internazionali. Che in queste ore decisive la saggezza aiuti dunque i politici tedeschi. Altrimenti non solo l’esodo non cesserà. Ma, politicamente nei diversi paesi europei sarà il miglior regalo fatto a tutti coloro che cavalcano nazionalismi e razzismi: in molti paesi – va detto, a questo punto – con toni molto più oltranzisti che a casa nostra.

Oscar Giannino - da www.leoniblog - 15 settembre 2015

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www.impresaoggi.com