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LA FORTUNA POLITICA DI BERLUSCONI


Chi non è turbato da passioni procura pace a se sresso e agli altri
GnomologioVaticano Epicureo


Copertina

Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e declino di quelle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
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Berlusconi verrà votato nel 1994, rivotato nel 2001, votato ancora nel 2008. Qual è il segreto di quest’uomo, che durante la sua vita politica si è attirato l’odio di milioni di italiani? Molti libri sono stati scritti sul tema e molti ne saranno ancora scritti, in Italia e all’estero, ma ritengo che uno dei più esplicativi sia quello di Beppe Severgnini, che non è certamente un berlusconiano, La pancia degli italiani. Berlusconi spiegato ai posteri, che attribuisce il successo di Berlusconi a un fattore di pancia (Severgnini, 2010). D’altra parte è noto che l’intestino è la sede del cosiddetto “secondo cervello”, responsabile di molte delle nostre emozioni (Gershon, 2006). Secondo Severgnini, gli italiani danno fiducia a Berlusconi perché lo vedono come uno di loro. «Berlusconi vuole bene ai figli, parla della mamma, capisce di calcio, sa fare i soldi, ama le case, detesta le regole, racconta le barzellette, ha l’ansia di piacere e del successo, è generoso e leale con gli amici e con i collaboratori, adora le donne, le feste e la buona compagnia. Parla in modo chiaro e semplice». “È come uno di noi”, pensa gran parte degli italiani.
Nell’arco della sua vita e della sua carriera sia da imprenditore sia da politico, Berlusconi ha preso varie scorciatoie, forse non sempre corrette e lecite, riuscendo però ad attivare ogni volta una sorta di meccanismo salvifico: lui ammette di non essere un santo, quindi è un peccatore e pertanto può essere perdonato. Quello che in Usa, Gran Bretagna o Germania sarebbe forse un reato, in Italia è un peccato e come tale va assolto. Inoltre i cattolici vengono tranquillizzati dalle parole di don Giussani: «Berlusconi è l’uomo della provvidenza», o di Gianni Baget Bozzo: «Berlusconi ha innalzato il livello etico dei cattolici», o ancora di don Luigi Verzè: «Berlusconi è un dono di Dio all’Italia», e sono disposti a perdonargli la vita disordinata e le ragazze.
«Nottambulo tra i nottambuli. Giovane tra i giovani. Saggio con gli anziani. Lavoratore tra gli operai. Imprenditore tra gli imprenditori. Tifoso tra i tifosi. Lombardo tra i lombardi. Italiano tra i meridionali. Napoletano tra i napoletani […] Berlusconi ha la capacità di modellarsi sulle aspettative degli italiani, a seconda dei momenti e della convenienza». Un’altra osservazione di Severgnini è la seguente: «Chi ama Berlusconi somiglia in questo a chi lo detesta: vuole essere assicurato nelle sue convinzioni. Vale per i giornali e per i telegiornali: il grande pubblico non ama i dubbi […] Il senso critico italiano paga la giovane abitudine alla democrazia e l’antica pratica della partigianeria. La massa non vuole obiezioni, ma conferme. Non chiede problemi, ma una trama». Fin quando gli oppositori di Berlusconi utilizzeranno come armi politiche l’odio, il disprezzo, la calunnia faranno rinserrare i ranghi a chi vota per Berlusconi e autorizzeranno i suoi sostenitori a utilizzare le stesse armi. Con la differenza che questi ultimi sono rassicurati da un capo che predica l’ottimismo, l’amore, la fiducia, l’aspettativa in un futuro migliore; mentre gli oppositori sono sempre alla ricerca affannosa di un capo che sia capace di predicare le stesse cose.
Qualche giorno fa ho ascoltato un’intervista a un deputato della sinistra; questi sosteneva che per lui era inconcepibile avere un amico che votasse per Berlusconi e poi la sinistra si chiede: «Perché perdiamo?». Una risposta a questo quesito è offerta da Luca Ricolfi: «La sinistra perde non solo perché è arrogante, presuntuosa e insincera, perde perché non capisce la società italiana, non è in grado di guardare il mondo senza filtri ideologici, non sa stare tra la gente, ha perso del tutto la capacità di ascoltare e la voglia di intendere». (Ricolfi, 2008).

Giornalismo e partigianeria.
Scalfari, in un articolo del gennaio 1994 sulla Repubblica, afferma: «Vogliamo dire che il capitalismo vagheggiato dalla destra italiana è più vicino a quello delle repubbliche delle banane che a quello di Wall Street e della City? Ebbene diciamolo perché è la pura verità». Questo stralcio dell’articolo di Scalfari permette di far luce sull’atteggiamento dei media nei confronti della diatriba politica. È evidente che il giornalista ha la propria opinione e si sente legato a uno schieramento, ma questa appartenenza dovrebbe essere vissuta dal professionista in modo critico, dovrebbe essere il principio di un’analisi dei punti di forza e di debolezza della propria opinione, che andrebbe offerta ai lettori non come una bandiera dietro la quale marciare, ma piuttosto come elemento di confronto con altre idee e altre opinioni. La moralità – e quindi anche la deontologia – può dispiegarsi solo nella lotta della ragione contro le passioni.
Paradigmatica di questo comportamento è la frase che Giuliano Ferrara pronuncerà in occasione del lancio del suo quotidiano Il Foglio: «Saremo indipendenti, ma settari». Il giornalista scrive quello che il lettore vuole sentirsi dire, perché una lettura settaria dà un piacere di tipo viscerale, una lettura critica non dà certezze, ma può insinuare il tarlo del dubbio. Più la polemica è partigiana e ideologica più essa – non potendo sempre disporre della forza del ragionamento – deve ricorrere all’insulto per screditare l’avversario, deve ricorrere alla sua squalifica morale. Il dibattito politico molto spesso assume i tipici toni di un’intolleranza che non accetta nemmeno che l’avversario esprima delle opinioni. Nell’immaginario si vorrebbe anzi che quelle opinioni neanche esistessero, pertanto, la discussione mira alla soppressione, all’annientamento fisico del nemico portatore di quelle opinione e quindi di errore. Questo produce un effetto a catena o effetto branco: gruppi contro gruppi, giornali contro giornali, giornalisti contro giornalisti. Decenni di consociativismo hanno disabituato a convivere con le differenze, con l’altro.
La tolleranza è figlia del dubbio, l’inquadramento culturale rende le persone politicamente intolleranti e culturalmente sterili. Diceva Gaetano Salvemini: «I dottrinari sono la gente più rispettabile e più disastrosa di questo mondo». Quando poi i dottrinari si annidano tra coloro che dispongono dei mezzi di formazione del consenso e del dissenso, non meraviglia che vengano privilegiate le forme che permettono di eccitare, fomentare, spaventare, sedurre, lusingare, suggestionare, piuttosto che consigliare, convincere, incoraggiare, tollerare, far riflettere. La cultura è il riflesso della società in cui essa vive: ebbene, anche se le generalizzazioni possono essere sbagliate o pericolose, il giornalismo in Italia non fa eccezione a questa legge. Negli show televisivi è corretto che il conduttore dichiari le proprie idee o non si sforzi di mascherarle, mentre è censurabile se, come accade, pratica la parzialità non concedendo all’avversario politico lo spazio per esprimere il proprio parere, oppure condiziona lo spettatore scegliendo in regia l’immagine di persone che ridono e dileggiano l’interlocutore. Anche quando si assiste a incontri politici meno urlati, ugualmente, la discussione produce riflessioni sterili e raramente lascia spazio ad argomentazioni compiute. In generale, al termine del dibattito, prevale chi ha saputo sfruttare al meglio lo strumento televisivo grazie a una buona telegenicità, oppure mostra di essere in confidenza con il conduttore, ha la battuta pronta, una forte carica di aggressività o altre doti e capacità che nulla hanno a che vedere con lo sviluppare un’idea coerente e concreta.
Secondo Edward De Bono, sembra che la struttura del pensiero occidentale sia ancora influenzata dai modelli sviluppati dai monaci medioevali per dimostrare la colpevolezza degli eretici: l’idea va formulata a suon di martellate argomentative e di stratagemmi.

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22 settembre 2015

Eugenio Caruso da L'estinzione dei dinosauri di stato.


Tratto da

1

www.impresaoggi.com