Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta
Platone, Apologia di Socrate
È inevitabile che l’assegnazione dei Premi Nobel per l’Economia si presti sempre ad una doppia lettura. Da una parte, il Nobel ad Angus Deaton è un giusto riconoscimento a un economista che ha contribuito a spostare in avanti negli ultimi decenni la frontiera delle nostre conoscenze. Dall’altra, è difficile non leggerlo come un Premio a tutta un’area di ricerca che ha messo al centro dell’attenzione la questione delle diseguaglianze.
L’ultimo lavoro di Deaton, La grande fuga. Salute, ricchezza e origini della disuguaglianza, è stato tradotto anche in italiano, per i tipi del Mulino, nel 2015. Ha avuto assai meno successo de Il Capitale nel XXI secolo di Thomas Piketty. Non crediamo ciò sia avvenuto perché si trattava di un libro di minor valore. Al contrario. È un saggio da quale emerge una grande sofisticazione sia nel momento della misurazione che nel momento della decodificazione dei fenomeni economici. E, al tempo stesso, una straordinaria partecipazione agli stessi: caratteristiche che hanno permeato l’intero percorso scientifico di Angus Deaton, passato dalla analisi dei comportamenti di consumo tanto dei singoli quanto degli aggregati alle implicazioni e alle applicazioni di quella stessa analisi per l’economia del benessere. Un percorso scientifico che in La grande fuga si allarga per toccare aspetti diversi del benessere – la ricchezza, la salute, la distribuzione delle risorse – ma senza mai perdere di vista da un lato la rilevanza di una misurazione certosina e dall’altro il fatto che i fenomeni economici sono, in ultima analisi, transazioni e scambi fra individui.
No, il lavoro di Deaton non è meno accurato, o più semplicistico: come hanno ben compreso anche a Stoccolma. Ma ha una intonazione diversa.
Con La grande fuga, Deaton consegna agli studiosi e all’opinione pubblica un manifesto di grande rigore intellettuale. Preoccupato per la diseguale distribuzione delle risorse, e per il fatto che a una diseguale distribuzione delle risorse economiche si accompagna un’altrettanto diseguale influenza sul processo politico, Deaton sottolinea ciò che molti ancora si ostinano a non vedere: che la Rivoluzione Industriale «mise in moto un processo di crescita economica grazie al quale sono sfuggite alla povertà centinaia di milioni di persone». Dapprima è stato l’Occidente a superare quella che a lungo è stata la situazione “naturale” dell’umanità. Negli ultimi vent’anni, i Paesi più poveri hanno cominciato a “emergere” ad una velocità straordinaria.
È l’onestà intellettuale di Deaton che lo ha portato ad assumere una posizione molto critica sul tema degli aiuti allo sviluppo. «Quando le condizioni necessarie per lo sviluppo sono presenti, gli aiuti non sono necessari. Quando le condizioni locali sono ostili allo sviluppo, gli aiuti non sono utili e, qualora dovessero perpetuare tali condizioni, fanno danni». Per un verso, la distribuzione degli aiuti riflette, storicamente, la politica estera dei governi: in India e Cina vive il 48% dei poveri del mondo, ma quei paesi ricevono solo il 2,6% degli aiuti totali. Per altro verso, spesso gli aiuti finiscono per consolidare cattive politiche, o peggio regimi oppressivi. Nel 2010 essi valevano per il 10% del PIL dello Zimbabwe di Mugabe.
Un noto giornalista italiano, ieri, ospitava sul suo blog l’imbarazzato quesito di un lettore: ma è un Nobel di destra? Apprendiamo con compiacimento che i Nobel sarebbero “selezionati dalla Banca Centrale svedese, nido di liberisti”: come del resto insegnano i Nobel Akerlof, Stiglitz, Kahneman, Krugman, Shiller, Tirole, solo per stare agli apologeti del mercato selezionati negli ultimi anni.
Tranquillizziamo il lettore di Repubblica: liberista, Deaton sicuramente non lo è. Ma è uno studioso che ha imparato a misurare le sue convinzioni sui fatti. A chi ha cuore civiltà e buon senso nel dibattito pubblico, tanto basta per brindare a un Premio Nobel più che meritato.
Eugenio Caruso- 17 ottobre 2015
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