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La relatività da Galileo a Einstein


Se la mia teoria della relatività è esatta, i tedeschi diranno che sono tedesco e i fracesi diranno che sono cittadino del mondo. Ma se non si dimostrerà esatta i francesi diranno che sono tedesco e i tedeschi che sono ebreo.
Einstein

Molti filosofi dell'antichità, tra cui Eraclito, Parmenide, Zenone, Democrito, Platone e Aristotele, si occuparono di questioni che almeno in parte sono inerenti a quella che oggi viene chiamata fisica, parola che ha origine greca (tà physiká) e che significa "le cose della natura". Nella fisica di Aristotele si trovano quelle che si potrebbero considerare le prime teorie, benché inesatte, sul moto dei corpi.
La fisica moderna comincia con l'assunto, dovuto a Galileo Galilei, che le leggi della fisica hanno la stessa forma matematica rispetto a qualunque sistema di riferimento inerziale. Con un'accettabile approssimazione è considerato inerziale il sistema solidale con il Sole e le stelle (il cosiddetto sistema delle stelle fisse), e ogni altro sistema che si muova di moto rettilineo uniforme rispetto ad esso (e che quindi né acceleri né ruoti).
Questo assunto definito nel 1609, è oggi chiamato principio di relatività galileiano, ed è tuttora valido. Esso si basa sull'intuizione di Galileo che le leggi fisiche non variano tra un osservatore fermo e uno in movimento senza accelerazione. Se osservo la caduta di un sasso sulla terra ferma e su una nave in movimento senza accelerazione noto che la caduta del sasso è identica nei due casi. Newton espresse questo concetto nel suo primo principio della meccanica "un corpo mantiene il proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, finché una forza non agisce su di esso".
Nata con la fisica classica, la relatività galileiana si basa sull'assunto che le leggi della fisica siano le stesse in ogni sistema di riferimento inerziale. Dal punto di vista matematico sono legate a questo principio le trasformazioni galileiane, cioè le equazioni che governano i cambiamenti di coordinate da un sistema di riferimento inerziale a un secondo sistema di riferimento inerziale, cioè che si muove con velocità costante rispetto al primo.

Il principio di relatività galileiana afferma quindi l'assoluta equivalenza fisica di tutti i sistemi di riferimento inerziali: nessun esperimento eseguito all'interno di un dato sistema di riferimento può evidenziare il moto rettilineo e uniforme dello stesso sistema, o, in altre parole, le leggi fisiche scoperte da sperimentatori che lavorino in laboratori in moto relativo rettilineo e uniforme devono essere identiche. Si tratta ora di ricavare le formule che legano le coordinate spazio temporali di uno stesso evento visto da due diversi riferimenti e di provare che le leggi della fisica sono invarianti, nella forma, al passaggio da un riferimento inerziale all'altro; si tratta cioè di tradurre in formule il contenuto di questo principio. Consideriamo allo scopo due riferimenti (cioè due sistemi di assi cartesiani ortogonali):
K (x, y, z, t) e K' (x', y', z', t')
riferiti rispettivamente ai punti di origine O ed O', di cui O' mobile rispetto ad O di moto rettilineo uniforme con velocità v. Si supponga che gli osservatori solidali ad O ed O' siano dotati di due orologi per la misura dei tempi sincronizzati tra loro in modo che, per esempio, quando O coincide con O' entrambi gli orologi segnino zero. Non è restrittivo supporre che gli assi x e x' siano sovrapposti e scivolino l'uno sull'altro, in modo che v sia parallela ad essi, mentre gli altri (y e y', z e z') restino paralleli fra di loro; si tratta di una pura semplificazione Si consideri un certo evento fisico che avviene in un punto P con coordinate ( x, y, z ) e ( x', y', z' ) rispetto a O ed O' rispettivamente, e negli istanti t e t' misurati dai due osservatori.

galileo


Tenendo conto che OO' = v.t e che t' = t, dalla figura sopra segue che valgono le cosiddette trasformazioni galileiane:
x = x' + OO' = x' + v.t'
y = y'
z = z'
t = t'
Per poter correlare le due misurazioni, queste devono essere eseguite nel medesimo istante. I due osservatori si devono quindi scambiare un segnale per accordarsi su quando fare la misura e questo segnale deve propagarsi istantaneamente (cioè con velocità infinita e quindi i segnali scambiati tra i due osservatori istantanei). Al contrario, se il segnale si dovesse trasmettere con velocità finita e nota, i due osservatori prima di allontanarsi l'uno dall'altro per eseguire le rispettive misure, possono sincronizzare i loro orologi. Allora si dovrà supporre che il movimento non alteri il loro sincronismo, cosa che si può verificare scambiando dei segnali, ma si ottiene ancora una misura non corretta (a meno che i segnali viaggino con velocità infinita).
Galileo aveva chiaro questo problema; fece il tentativo di misurare la velocità della luce, solo che si basò su una distanza terrestre di circa 30 chilometri, la distanza tra due colline in Toscana, da una delle quali egli, con un assistente sull'altra collina, avrebbe dovuto misurare il tempo di propagazione della luce di una lanterna, prima coperta con un panno e poi scoperta brevemente, con il battito del proprio polso; in queste condizioni non riuscì neppure a sentire due battiti del proprio polso che la luce era già arrivata, dal che Galileo dedusse che la velocità fosse estremamente alta e che quindi, ai fini pratici, la propagazione fosse istantanea.

Adesso passiamo alle velocità. Se un corpo si muove con velocità costante v* rispetto a K, quale velocità v** avrà rispetto a K', sapendo che il sistema O' si muove rispetto ad O con velocità v, detta velocità di trascinamento? Lo ricaviamo immediatamente dividendo membro a membro la prima e la quarta delle trasformazioni di Galileo, e tenendo conto che:
x / t = v* (in K )
x' / t' = v** (in K')
si ha allora:
v* = v** + v
Queste si dicono formule per la composizione delle velocità.
Newton, studiando sia il Dialogo sopra i Massimi Sistemi, sia i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, interpretò le intuizioni originali presenti a livello geometrico negli scritti di Galileo le fece proprie, dando corpo alla forma matematica e fisica della meccanica. Quando si trovò di fronte al principio di relatività, gli fu chiaro che la sua adozione implicasse un riferimento in cui il primo principio della dinamica avesse piena validità. Il problema era dove collocare tale sistema di riferimento: risolse il dilemma asserendo che tutti gli spazi misurati si riferissero a uno spazio assoluto, il solo esistente invariato e immutabile, e che l'immutabilità dello spazio assoluto fosse associato con l'esistenza di un tempo assoluto, che scorre uniformemente, pervadendo tutto lo spazio assoluto.
La soluzione di Newton diventò un paradigma destinato a durare per secoli. Galileo, tuttavia, con i suoi tentativi di misurare la velocità della luce, esprimeva dubbi non risolti per l'epoca su come si dovesse intendere il principio di relatività e quindi il principio di inerzia a esso strettamente correlato.
Questi dubbi rimasero sopiti, offuscati dal grande successo della meccanica newtoniana, fino al 1905. Con l'avvento delle equazioni di Maxwell, delle trasformazioni di Lorentz e infine della teoria della relatività di Einstein viene meno il concetto, fino ad allora dato per scontato, di tempo assoluto. Il tempo e lo spazio sono legati insieme a formare quello che viene chiamato spaziotempo. La relatività generale postula l'uguaglianza della massa gravitazionale e della massa inerziale (quella indotta dall'accelerazione), e ricava la metrica generale dello spaziotempo.
Le trasformazioni galileiane, valide con ottima approssimazione nei campi in cui si può supporre la velocità della luce infinita rispetto alle altre velocità, quali ad esempio meccanica, dinamica e cinematica classiche, non hanno validità in altri campi della fisica, come per esempio nell'elettromagnetismo. Le leggi dell'elettromagnetismo infatti non sono invarianti con le trasformazioni galileiane, bensì con le trasformazioni di Lorentz, teorizzate dal fisico olandese Hendrik Lorentz.
Verso la fine dell'Ottocento, Ernst Mach e diversi altri, fra cui Hendrik Lorentz, si scontrarono con i limiti della relatività galileiana, non utilizzabile per i fenomeni elettromagnetici. Einstein si trovò quindi di fronte a due trasformazioni diverse: quelle di Galileo, valide in meccanica classica, e quelle di Lorentz, valide per l'elettromagnetismo, ma prive di un supporto teorico convincente. La situazione era molto insoddisfacente, in quanto queste due trasformazioni e i principi di relatività ad esse associati erano incompatibili; era necessario introdurre altri principi per la relatività.
La relatività di Einstein si compone di due distinti modelli matematici, che passano sotto il nome di:
Teoria della relatività speciale (1905)
Teoria della relatività generale (1916)
La teoria della relatività speciale o ristretta
La relatività speciale fu la prima ad essere presentata da Einstein, con l'articolo Zur Elektrodynamik bewegter Körper (Elettrodinamica dei corpi in movimento) del 1905, per conciliare il principio di relatività galileiano con le equazioni delle onde elettromagnetiche. Einstein racconta che all’ultimo minuto ebbe un ripensamento. Mancava qualcosa. Riprese in mano l’articolo che aveva preparato per la prestigiosa rivista Annalen der Physik, e aggiunse un post scriptum, tre pagine vergate con grafia nitida e ordinata, per illustrare un’ultima, inevitabile conseguenza della sua teoria: l’energia è equivalente alla materia, E = mc^2. Così, la formula più famosa dell’intera storia della scienza comparve per la prima volta nel post scriptum di un articolo firmato da Albert Einstein, un oscuro impiegato dell’Ufficio brevetti di Berna. Questa formula afferma che energia si può trasformare in materia, e viceversa... un evento quasi magico ma (forse proprio per questo) comprensibile a tutti.
Giova notare che precedentemente erano state proposte alcune teorie che si basavano sull'esistenza di un mezzo di propagazione delle onde elettromagnetiche, chiamato etere; tuttavia, nessun esperimento era riuscito a misurare la velocità di un corpo rispetto all'etere. Ma, grazie all'esperimento di Michelson-Morley fu dimostrato che la velocità della luce è costante in tutte le direzioni, indipendentemente dal moto della Terra, non risentendo così del cosiddetto vento di etere; la relatività speciale di Einstein scarta del tutto il concetto di etere, che oggi non viene più utilizzato dai fisici.
I postulati della relatività ristretta si possono così enunciare:
- primo postulato (principio di relatività): tutte le leggi fisiche sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali;
- secondo postulato (invarianza della velocità della luce): la velocità della luce nel vuoto ha lo stesso valore in tutti i sistemi di riferimento inerziali, indipendentemente dalla velocità dell'osservatore o dalla velocità della sorgente di luce.
Giova osservare che:
- speciale significa aver scelto una classe speciale di sistemi di riferimento, quelli inerziali e una classe speciale di trasformazioni lineari, quelle di Lorentz,
– la relatività speciale non si discosta dalla meccanica classica tramite il postulato di relatività, ma tramite quello della costanza della velocità della luce nel vuoto.
È possibile verificare che le trasformazioni di Lorentz soddisfano il secondo postulato: se per un osservatore in un sistema di riferimento inerziale la velocità della luce è c, tale sarà per un qualunque altro osservatore in un sistema di riferimento inerziale in movimento rispetto al proprio.
Le leggi dell'elettromagnetismo, nella forma dell'elettrodinamica classica, non cambiano sotto le trasformazioni di Lorentz, e quindi soddisfano il principio di relatività.
La formula relativistica E = mc^2 prende in considerazione:
E = energia cinetica, espressa in Joule (kg.m^2.s^-2);
m = massa, espressa in chilogrammi (kg);
c = velocità della luce, espressa in km/s (299 792 458 m/s, generalmente approssimata a 300 000 Km/s). Pertanto c^2 è circa 9 × 10^16 m²/s².
Dall'equazione dimensionale E(kg m^2s^-2)=mc^2 (kg. m^2s^-2) è facile capire come massa ed energia si equivalgano e come esse siano due facce della stessa medaglia. La teoria della relatività ci fornisce una sorpresa: poiché la massa non è altro che una forma di energia, essa non si conserva separatamente, ma si aggiunge all'energia cinetica e all'energia potenziale nell'enunciare la conservazione dell'energia meccanica.
L'enorme fattore di conversione che lega la massa e l'energia spiega come concentrando un grosso quantitativo di energia si possa creare una piccola quantità di materia (E/c2), e anche come partendo da una piccolissima massa si possa ottenere molta energia. Basti pensare che un grammo di materia equivale a 90.000 miliardi di joule (9 × 10^13 J = 90 000 000 MJ = 90 000 GJ = 90 TJ). Poiché 1 kWh = 3,6 × 10^6 joule, un grammo di materia equivale a 25 000 000 kWh (= 25 000 MW h = 25 GW h).
La conversione di un chilogrammo di materia (equivalente a 90 000 TJ, ossia a 25 miliardi di kWh = 25 000 000 MWh= 25 TWh) coprirebbe, in pratica, il consumo mensile di energia elettrica in Italia. L'equivalenza massa – energia ha dimostrato la sua potenza, in maniera devastante, con le bombe atomiche. La bomba di Hiroshima ha sprigionato una potenza di 13 kilotoni, che equivalgono a 54,6 TJ; ma questa energia rappresenta soltanto il 60% di quella che si sarebbe sprigionata dalla conversione di un solo grammo di materia (90 TJ).
In effetti persino durante l'esplosione di una bomba atomica solo la minima parte della massa totale del materiale fissile viene convertita in energia. Il fenomeno della completa e immediata conversione della materia in energia potrebbe verificarsi soltanto nel caso in cui la materia entrasse in contatto con l'antimateria, annichilendosi completamente.
Da sottolineare che l'equazione di Einstein è valida ed è stata costantemente verificata nei fenomeni fisici macroscopici: ad esempio nel Sole ogni secondo 4.500.000 tonnellate di idrogeno si trasformano, mediante il processo di fusione nucleare, direttamente in energia, ossia in radiazione elettromagnetica, per l'astronomico valore di 4,05 × 10^26 joule, che espresso in Wh equivale a 112 500 000 000 TWh. Ma l'equazione vale anche a livello subatomico (fisica quantistica): le collisioni tra particelle elementari (elettroni, protoni e neutroni) generano nuove particelle aventi complessivamente la stessa energia (massa), così come dagli urti tra fotoni scaturiscono coppie elettrone-positrone, che si annichiliscono tra loro trasformandosi nuovamente in fotoni (energia).
Nei processi fisici che non coinvolgono reazioni nucleari è possibile enunciare una legge di conservazione della massa, scoperta da Lavoisier, e una legge di conservazione dell'energia (primo principio della termodinamica), alla cui scoperta hanno contribuito nella seconda metà dell'Ottocento diversi scienziati (Joule, Carnot, Thomson, Clausius e Faraday): nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Einstein, però, ha compreso e dimostrato che il principio di conservazione, complessivamente inteso, coinvolge materia ed energia, considerate non più come due realtà separate bensì unitariamente, dato che l'una può trasformarsi nell'altra secondo una precisa relazione matematica.
La formula E = mc^2 esprime in qualsiasi sistema di riferimento l'energia totale di una particella ferma rispetto a quel particolare sistema di riferimento.
Se il corpo fosse in movimento con velocità v, la formula corretta sarebbe:
E = m .gamma. c^2
con
Gamma^2 = 1/(1-v^2/c^2).
La massa è qui intesa come massa relativistica m . gamma del corpo, da distinguere dalla massa inerziale m. La massa inerziale può essere considerata una proprietà del corpo, poiché in un moto inerziale essa rimane inalterata. Il concetto di massa relativistica, estende il concetto di massa inerziale.
Con queste considerazioni ha senso definire una massa che dipende dalla velocità (e sarebbe il prodotto della massa propria, inerziale, per il termine gamma):
m = m(v)
In altre parole, la massa relativistica non è una proprietà indipendente dalla velocità v, ma cresce con questa. Quando la velocità si approssima a quella della luce, la massa del corpo tende all'infinito.
Per accelerare un corpo, avente massa diversa da zero, da riposo alla velocità della luce sarebbe necessaria un'energia infinita.
Una seconda motivazione, per la quale non può essere superata la velocità della luce, deriva dalle equazioni che spiegano la contrazione/dilatazione dello spazio-tempo nella relativitàspeciale.
Effetti della relatività speciale sono infatti:
- La contrazione delle lunghezze per un osservatore in moto con velocità v.
L = L0( 1-v^2/ c^2)^1/2
dove L0 è la lunghezza propria (la lunghezza dell'oggetto osservato nel suo sistema di riferimento),
L è la lunghezza misurata dall'osservatore in moto relativo rispetto all'oggetto,
v è la velocità relativa tra l'osservatore e l'oggetto
c è la velocità della luce.

- e la dilatazione dei tempi
∆t = ∆t0/ (1− v^2 c^2)^1/2

La contrazione della lunghezza può essere ricavata semplicemente dalle trasformazioni di Lorentz.
In un sistema di riferimento inerziale S', x1' e x2' sono gli estremi di un oggetto di lunghezza L0' a riposo rispetto ad S' e in moto con velocità v rispetto a S.
Le coordinate in S' sono collegate a quelle in S (x1 e x2) dalle trasformazioni di Lorentz come segue:
x1'= (x1 - vt1)/(1-v^2/c^2)^1/2

x2'=(x2- vt2)/(1-v^2/c^2)^1/2

Dato che questo oggetto si sta muovendo in S, la sua lunghezza L deve essere misurata determinando simultaneamente la posizione dei suoi estremi, perciò assumeremo t1=t2.
Dato che L = x2-x1 e L0' = x2' - x1'
otterremo
(1) L0' = L/(1-v^2/c^2) ^1/2
Quindi la lunghezza misurata in S è data da
(2) L =L0'.(1-v^2/c^2) ^1/2
In accordo con il secondo il principio di relatività, oggetti che sono a riposo in S dovranno accorciarsi per S'. In questo caso la trasformazione di Lorentz sarà la seguente:
x1 = (x1' + vt1')/(1-v^2/c^2)^1/2

x2 = (x2' + vt2')/(1-v^2/c^2)^1/2

Per il requisito di simultaneità t1 = t2 , e ponendo Lo = x2 - x1 e L' = x2' - x1', otteniamo
(3) Lo = L'/(1 - v^2/c^2)^1/2.
Quindi la lunghezza misurata da S' è data da:
(4) L' = Lo (1 - v^2/c^2)^1/2.
Dunque la (1) e la (3) forniscono la lunghezza propria quando è nota la lunghezza contratta, mentre le (2) e (4) forniscono quella contratta quando è nota la lunghezza propria.

Relatività generale
La teoria della relatività generale venne presentata come serie di letture presso l'Accademia Prussiana delle Scienze, a partire dal 25 novembre 1915, dopo una lunga fase di elaborazione. Esiste un'annosa polemica sulla pubblicazione delle equazioni di campo tra il matematico tedesco David Hilbert ed Einstein; tuttavia, alcuni documenti attribuiscono con una certa sicurezza il primato ad Einstein.
Il fondamento della relatività generale è l'assunto, noto come principio di equivalenza, che un'accelerazione sia indistinguibile localmente dagli effetti di un campo gravitazionale (gli effetti della gravitazione sono uguali a quelli di un'accelerazione) e dunque che la massa inerziale sia uguale alla massa gravitazionale. Gli strumenti matematici necessari a sviluppare la relatività generale erano stati introdotti in precedenza da Gregorio Ricci Curbastro (1853-1925) che sostanzialmente introdusse quello che oggi è noto come calcolo tensoriale. Pur dimostrandosi nel tempo estremamente accurata, la relatività generale si è sviluppata indipendentemente dalla meccanica quantistica e finora non riconciliata con essa. D'altro canto, la fisica quantistica, pur potendo includere la relatività ristretta, non tiene conto degli aspetti della relatività generale.
Nella relatività generale i limiti sono dovuti essenzialmente al trattamento delle singolarità e degli stati della materia in cui le interazioni gravitazionali e quantistiche arrivano ad avere lo stesso ordine di grandezza. Tra le evoluzioni prospettate per tale teoria, le più note ed investigate sono la teoria delle stringhe e la gravitazione quantistica a loop.
La teoria della relatività generale estende i concetti di base della relatività speciale ai sistemi di riferimento non inerziali, che sono cioè in moto a velocità non costante e quindi soggetti a un'accelerazione. L'idea centrale di questa teoria, che Einstein sviluppò attorno al 1916, è che nei sistemi di riferimento non inerziali si producano effetti analoghi a quelli associati alla forza di gravità. In questo senso la teoria della relatività generale rappresenta una teoria della gravitazione.
Per Einstein, in sostanza, la causa del moto degli oggetti, e in particolare di quelli sottoposti alla forza di gravità (per esempio, i pianeti attorno al Sole), non è una forza che agisce a distanza, nel senso newtoniano della forza di gravità, ma è la modifica della geometria dello spazio nel quale si muove l'oggetto. Lo spazio-tempo nel quale l'oggetto si muove viene incurvato a causa della presenza di grandi masse e questa curvatura determina la traiettoria dell'oggetto).

rel gen 1

Si può spiegare semplicemente questo fenomeno pensando a un foglio di plastica sospeso su un'intelaiatura rigida, sul quale venga appoggiata una palla pesante: la palla tende a incurvare il foglio e di conseguenza ogni altra pallina che venga fatta rotolare sul foglio tenderà ad avvicinarsi alla palla a causa della curvatura che si è prodotta. Il moto di una pietra che cade in un campo gravitazionale è determinato non dalla forza prodotta dalla massa che genera il campo, ma dalla curvatura dello spazio-tempo nel punto in cui si trova la pietra. Lo spazio-tempo controlla la massa "dettandole" il moto, mentre la massa, a sua volta, controlla lo spazio-tempo determinandone la curvatura.
Alla base della relatività generale risiede l'idea per cui, se è impossibile per la relatività ristretta distinguere tra due sistemi di riferimento inerziali, allora le leggi della fisica devono essere le stesse per tutti i sistemi di riferimento inerziali. Ma che cosa succede se il sistema di riferimento è accelerato? Einstein riteneva che tutti i sistemi di riferimento dovessero essere equivalenti per quanto riguarda la formulazione delle leggi fisiche. Questa affermazione rappresenta il principio di invarianza, alla base della teoria della relatività generale.
Per incorporare i sistemi di riferimento non inerziali Einstein formulò il principio di equivalenza, che stabilisce che non è possibile distinguere tra i fenomeni osservati in un campo gravitazionale uniforme e quelli osservati in un sistema mobile con accelerazione costante. Al riguardo egli propose il noto esperimento dell'ascensore: un osservatore in moto in un ascensore in caduta libera in un campo gravitazionale uniforme sperimenta i medesimi effetti di un osservatore che si trovi su un ascensore posto nel vuoto ad accelerazione costante. Il principio di equivalenza di Einstein oltre che per le leggi della meccanica vale anche per tutte le leggi fisiche, compreso l'elettromagnetismo. Non solo la massa è soggetta alla curvatura dello spazio-tempo, ma anche la luce, la cui traiettoria può venire deflessa in corrispondenza di un campo gravitazionale.
Durante il 1919, un'eclissi totale di Sole permise ad alcuni scienziati di misurare la deflessione subita dalla luce delle stelle nel passare vicino al Sole, e la deflessione era in buon accordo con quella misurata teoricamente da Einstein. Questo episodio venne considerato la prima conferma della teoria generale della relatività.
Poiché la teoria della relatività generale può essere considerata una teoria della gravitazione, essa rappresenta lo strumento teorico ideale per la trattazione dei fenomeni astrofisici e cosmologici. Ed è appunto da queste discipline che vengono le conferme alla validità della teoria di Einstein. Una delle maggiori conferme alla teoria è considerata la spiegazione dell'avanzamento del perielio di Mercurio. Il perielio è il punto dell'orbita ellittica di un pianeta nel quale esso si trova più vicino al Sole; secondo le leggi della meccanica classica, il perielio di un pianeta si dovrebbe trovare sempre nello stesso punto. Considerando gli effetti di perturbazione sull'orbita, dovuti all'attrazione degli altri pianeti, si era pervenuti anche prima della teoria di Einstein a una correzione dell'avanzamento del perielio di Mercurio, che si discostava però ancora dalle misure di 43 secondi d'arco ogni secolo. Questa discrepanza trova la sua spiegazione solo attraverso la relatività generale, che prevede che la curvatura dello spazio dovuto alla massa del Sole produca esattamente questo avanzamento. Recenti misure del moto del pianeta hanno confermato l'esattezza delle previsioni sulle misure con uno scarto inferiore all'1%.
L'esistenza dei buchi neri è considerata un'altra conferma alla relatività generale. Un buco nero è un oggetto celeste di massa e densità talmente grandi che nessun altro oggetto, luce compresa, può sfuggire alla sua attrazione. Anche in questo caso la relatività può dare una spiegazione del fenomeno in termini di curvatura dello spazio-tempo, pensando che la massa del buco nero sia tanto grande da deformare totalmente, fino "a richiuderlo dietro di sé", lo spazio-tempo attorno a un oggetto con le caratteristiche di un buco nero.
Per concludere occorre ricordare che l'interazione che domina il mondo macroscopico, cioè la gravità, non rtiesce ancora a essere integrata in uno schema compatibile con le leggi quantistiche.

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Deformazione dello spazio tempo in corrispondenza di un buco nero

BIBLIOGRAFIA

Vatinno Giuseppe, Storia naturale del Tempo. L' effetto Einstein e la teoria della Relatività, Roma, Armando, 2014

Eugenio Caruso - 17-11-2015

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Tratto da

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www.impresaoggi.com