Quel male che aveva reso penosa la povertà, e che rende altrettanto penosa la ricchezza, non sta nelle cose ma nell'animo stesso.
Seneca, Lettere morali a Lucilio
Le opportunità offerte dalla rivoluzione tecnologica in atto pongono l'Italia di fronte a una sfida: difendere, attraverso l'innovazione, la posizione di secondo Paese manifatturiero d'Europa. Le basi per uscire con successo dal processo di trasformazione in atto ci sono. La crisi ha comportato una forte mortalità aziendale, ma nel contempo è riuscita a selezionare e rafforzare un tessuto di imprese molto competitive, capaci di conquistarsi sui mercati esteri quel fatturato che è mancato in Italia a causa del crollo del mercato interno. I settori tradizionali dell’industria italiana, infatti, hanno consolidato produzioni a più alto valore aggiunto, mentre le aziende ai primi posti nei loro segmenti di mercato sono diventate anche leader tecnologici.
In questo contesto l'Italia si trova davanti alla cosiddetta terza rivoluzione industriale (quella che promette di informatizzare l'industria e di creare fabbriche intelligenti) con molte aziende di eccellenza attrezzate per la sfida e un vasto tessuto di piccole e medie imprese da coinvolgere e rendere più consapevoli al fine di assicurarsi una transizione di successo. Questa trasformazione sta avvenendo in corsa e acquista man mano velocità visto lo sviluppo esponenziale delle tecnologie che la contraddistinguono: ecco perché le politiche industriali devono disegnare un progetto che non lasci indietro pezzi di industria e, quindi, di ricchezza. Per questo ci vuole una maggior pianificazione, ma anche un maggior impiego di risorse che, se bene investite, possono portare a un importante ritorno in termini di competitività del Paese.
Attuare una nuova politica industriale significa però anche guardare a quei settori, come la formazione, strategici per assicurare il capitale umano di cui l'industria 3.0 ha bisogno. A questo riguardo si pone un problema culturale di fondo: è necessario rilanciare una visione positiva della manifattura nel solco di una tradizione italiana che vede nelle fabbriche non solo luoghi di produzione di qualità (e, quindi, anche ambienti di lavoro stimolanti e gradevoli), ma anche laboratori per una cultura di impresa fondata sulla partecipazione di tutti al fine di generare innovazione.
Del resto l'industria 3.0 promette di cambiare radicalmente anche le relazioni industriali. In molte realtà italiane si registra un 'Paese reale' che già avanza nella direzione di contratti legati alla produttività, connessi a vantaggi derivati da un welfare aziendale potenziato e capace di aumentare il salario reale dei lavoratori. È necessario, tuttavia, che questo processo virtuoso non sia fermato da un 'Paese formale' impegnato a frenare il cambiamento, difendendo vecchi schemi non più adatti al mutato scenario internazionale.
Editoriale da www.aspeninstitute.it - 18 novembre 2015
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