Sezioni   Naviga Articoli e Testi
stampa

 

        Inserisci una voce nel rettangolo "ricerca personalizzata" e premi il tasto rosso per la ricerca.

TFR e Fondi pensione. Confronto dei rendimenti. Le riforme del sistema pensionistico.

Premessa

Da anni si parla di Tfr e Pensioni integrative, ma tra il primo gennaio e il 30 giugn 2007 i lavoratori dovranno prendere delle decisioni importanti per il loro futuro. Parlando con lavoratori e imprenditori mi sono reso conto che alcuni non hanno, ancora, le idee chiare. Un'indagine condotta da SWG per il Corriere della sera mostra che il 38% dei lavoratori non è a conoscenza del fatto che entro il 30 giugno dovrà decidere la destinazione del proprio Tfr. Impresa Oggi ritiene pertanto di dover portare il proprio contributo a questa materia.

1. Stato dell’arte del sistema pensionistico in Italia

Riforma Dini e riforma Maroni.

In Italia il dibattito sulla previdenza diviene centrale alla fine degli anni '80 e viene affrontato per la prima volta in modo organico con la riforma Amato di riordino del settore (legge 503/1992).
E’ nei primi anni '90 infatti che esplode la crisi delle casse pensionistiche ed emerge, chiaramente, il problema che il progressivo invecchiamento della popolazione, il sistema retributivo utilizzato a base del calcolo delle pensioni e le pensioni baby del pubblico impiego mettono a rischio tutto il sistema pensionistico.

Sistema retributivo, sistema contributivo, sistema misto
Età pensionabile a parte, la chiave di volta di tutte le riforme successive è proprio il passaggio da un calcolo di tipo "retributivo" ad un calcolo di tipo "contributivo". Il sistema retributivo è cancellato dalla riforma Dini (legge 335/1995) che introduce il sistema contributivo per tutti quelli che hanno cominciato a lavorare dal 1 gennaio 1996.
Nel sistema retributivo la pensione si calcola in base a due parametri: le retribuzioni ricevute negli anni che precedono il pensionamento e l’anzianità contributiva. La Riforma Dini consentì che il sistema “retributivo” fosse applicato ancora per quei lavoratori che alla data del 1 gennaio 1996 avevano 18 anni di contributi, e applicò un sistema di calcolo misto per chi lavorava da meno di 18 anni.
Il metodo contributivo, adottato dal 1 gennaio 1996, si sostanzia in due elementi di calcolo: l’ammontare di tutti i versamenti previdenziali fatti nel corso della vita lavorativa, rivalutato in base al Pil e un coefficiente di trasformazione che è fissato per legge e cresce con l’aumentare dell’età di pensionamento (da un minimo di 57 anni ad un massimo di 65).
L’ombrello previdenziale pubblico negli anni a venire risulterà sempre più stretto a causa dello squilibrio crescente tra contributi e prestazioni, e proprio questa insanabile frattura apre la strada alla nascita ufficiale della previdenza complementare, e alla conseguente istituzione dei fondi pensione, con il decreto legislativo n. 124 dell’aprile 1993.
La nuova previdenza si afferma solo nel 1997, dopo una prima tappa segnata dalla riforma Dini (legge 335/1995) che, oltre al sistema di calcolo contributivo, introduce una soglia minima di età da affiancare ai 35 anni di contributi necessari per accedere alla pensione di anzianità (per i lavoratori dipendenti: dal 2002, 35 anni di contributi e 57 anni di età (58 per i lavoratori autonomi); in alternativa 37 anni di contributi (40 per i lavoratori autonomi), a prescindere dall’età, e limita la possibilità di pensionamento a sole quattro finestre di un mese all’anno (gennaio, aprile, luglio, ottobre); senza distinzione tra uomini e donne. Per accedere alla pensione di vecchiaia la legge Dini ha portato, dal 1/1/2001, il minimo periodo contributivo a 20 anni e l’età pensionabile a 65 anni per gli uomini e 60 per le donne. La legge Dini prevede l’equiparazione tra dipendenti del settore privato e quelli del settore pubblico.
La riforma Maroni
La legge delega n. 243/2004 (comunemente detta riforma Maroni) e il decreto legislativo n. 252/2005 rappresentano altri due atti fondamentali del riordino del sistema di previdenza. La riforma Maroni prevede l'elevazione dell'età anagrafica per il pensionamento di anzianità. In particolare l'età necessaria per accedere a questa forma di pensionamento dovrebbe salire a 60 anni a partire dal 2008 (battezzato dai media lo scalone), fermo restando il requisito contributivo di 35 anni. Nel 2010 il requisito di età dovrebbe salire a 61 anni e nel 2014 a 62. Requisito alternativo, a partire dal 2008, come già fissato dalla legge 335/95, per l'accesso al pensionamento saranno i 40 anni di contribuzione a prescindere dall'età anagrafica. Per i lavoratori autonomi i requisiti anagrafici sono superiori di un anno a quelli fissati alle varie scadenze per i lavoratori dipendenti. La legge 243/2004 prevede, inoltre, la riduzione da quattro a due delle finestre di uscita per chi matura i requisiti del pensionamento di anzianità, con l'eliminazione di quelle di aprile e ottobre. Questa misura comporta di fatto un ulteriore innalzamento dell'età pensionabile. Sono interessati alla riforma della previdenza complementare attuata con il decreto legislativo n. 252/2005 tutti i lavoratori dipendenti del settore privato e i lavoratori autonomi. Sono, al momento, esclusi dal campo di applicazione della riforma i pubblici dipendenti ai quali continua ad applicarsi la disciplina vigente.

Il protocolo su Previdenza e competitività per l'equità sottoscritto il 23 luglio 2007 modifica il cosiddetto scalone della legge Maroni. Le modifiche introdotte dal Protocollo prevedono un graduale innalzamento dell'età di pensionamento e dal luglio 2009 l'introduzione del meccanismo delle quote.

1° gennaio 2008 - 30 giugno 2009 sarà necessario il combinato età minima 58 anni e 35 anni di contributi.

1° luglio 2009 - 31 dicembre 2010 viene innalzata l'età minima a 59 anni compiuti e, per effetto della quota 95, saranno necessari 36 anni di contributi oppure 60 anni compiuti e 35 anni di contributi.

1° gennaio 2011 - 31 dicembre 2012 vengono innalzate l'età minima a 60 anni compiuti e la quota a 96. Saranno dunque necessari 36 anni di contributi oppure 61 anni compiuti e 35 anni di contributi.

1° gennaio 2012 vengono innalzate l'età minima a 61 anni compiuti e la quota a 97. Saranno quindi necessari 36 anni di contributi oppure 62 anni compiuti e 35 anni di contributi.

Le due finestredi accesso previste dalla legge Maroni sono mantenute.

Decorrenza 1° gennaio se il requisito è maturato entro il 30 giugno dell'anno precedente.

Decorrenza 1° luglio se il requisito è maturato entro il 31 dicembre dell'anno precedente.

Chi svolge lavori usuranti va ancora in pensione a 57 anni.

2. La scelta sulla destinazione del TFR

In base a quanto previsto dalla finanziaria 2007 e dal decreto 252/05, dal 1° gennaio 2007 ciascun lavoratore dipendente può scegliere di destinare il proprio Trattamento di Fine Rapporto (TFR) maturando (che matura, cioè, a partire dal 1 gennaio 2007 in poi) alle forme pensionistiche complementari (fondi negoziali collettivi, fondi aperti collettivi o individuali, forme individuali assicutative) o mantenere il TFR presso il datore di lavoro.
In relazione all’anzianità contributiva maturata presso gli enti di previdenza obbligatoria si aprono diverse possibilità di scelta per i lavoratori.

Ai fini della scelta sulla destinazione del TFR il primo aspetto che i lavoratori devono tenere presente è che con il metodo contributivo la pensione dei lavoratori sarà pari a circa il 52% dell'ultimo stipendio. Questo è il motivo per il quale è opportuno affiancare alla pensione qualche forma pensionistica complementare.

Lavoratori dipendenti iscritti ad un ente di previdenza obbligatoria in data successiva al 28 aprile 1993

La scelta del lavoratore sulla destinazione del TFR riguarda l’intero TFR maturando e può essere manifestata in modo esplicito (dichiarazione espressa) o tacito (silenzio-assenso).

Modalità Esplicite
Entro il 30 giugno 2007, per i lavoratori in servizio al 1° gennaio 2007, o entro 6 mesi dalla data di assunzione, se avvenuta successivamente al 1° gennaio 2007, il lavoratore dipendente può scegliere di:

  • destinare il TFR futuro ad una forma pensionistica complementare;
  • mantenere il TFR futuro presso l’impresa. In tal caso, per i lavoratori di aziende con più di 49 dipendenti, l’intero TFR è trasferito dal datore di lavoro al Fondo per l’erogazione del TFR ai dipendenti del settore privato, gestito, per conto dello Stato, dall’INPS. (Fondo della tesoreria dello stato gestito dall'INPS. Il Fondo servirà per finanziare alcune delle grandi infrastrutture del Paese, ad esempio, la TAV).

La scelta di destinazione del TFR futuro ad una forma pensionistica complementare deve essere espressa dal lavoratore attraverso una dichiarazione scritta indirizzata al proprio datore di lavoro con l’indicazione della forma di previdenza complementare prescelta.
La dichiarazione scritta è necessaria anche nel caso in cui si scelga di mantenere il TFR futuro presso il proprio datore di lavoro. Le imprese stesse o il sindacato possono fornire la modulistica necessaria per compilare la domanda.

Modalità Tacite (Silenzio - Assenso)
Se entro il 30 giugno 2007, per chi è in servizio al 1° gennaio 2007, o entro 6 mesi dall’assunzione, se avvenuta successivamente al 1° gennaio 2007, il lavoratore non esprime alcuna indicazione relativa alla destinazione del TFR, il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, anche territoriali, o ad altra forma collettiva individuata con un diverso accordo aziendale, se previsto. Tale diverso accordo deve essere notificato dal datore di lavoro al lavoratore in modo diretto e personale.

In presenza di più forme pensionistiche collettive, il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando:

  • alla forma pensionistica individuata con accordo aziendale;
  • in assenza di specifico accordo, alla forma alla quale abbia aderito il maggior numero di lavoratori dell’impresa.

In assenza di una forma pensionistica collettiva individuabile sulla base di questi criteri, il datore di lavoro trasferisce il TFR futuro ad un’apposita forma pensionistica complementare istituita presso l’INPS (Fondo residuale INPS - FONDINPS), alla quale si applicano le stesse regole di funzionamento delle altre forme di previdenza complementare.
Trenta giorni prima della scadenza dei 6 mesi utili per effettuare la scelta, il datore di lavoro deve comunicare al lavoratore che ancora non abbia presentato alcuna dichiarazione le necessarie informazioni sulla forma pensionistica collettiva alla quale sarà trasferito il TFR maturando in caso di silenzio del lavoratore.

La destinazione del TFR ad una forma pensionistica complementare, sia con modalità esplicita che tacita:

  • riguarda esclusivamente il TFR maturando. Il TFR maturato fino alla data di esercizio dell’opzione resta accantonato presso il datore di lavoro e sarà liquidato alla fine del rapporto di lavoro con le rivalutazioni di legge;
  • determina l’automatica iscrizione del lavoratore alla forma prescelta. Il lavoratore iscritto godrà quindi dei diritti di informazione e partecipazione alla forma di previdenza complementare cui ha aderito;
  • non può essere revocata, mentre la scelta di mantenere il TFR futuro presso il datore di lavoro può in ogni momento essere revocata per aderire ad una forma pensionistica complementare.

Lavoratori dipendenti iscritti ad un Istituto di previdenza obbligatoria in data antecedente al 29 aprile 1993

Anche tali lavoratori sono chiamati ad effettuare la scelta sulla destinazione del TFR maturando, negli stessi termini e con le stesse modalità, esplicite o tacite, già illustrate per i lavoratori entrati nel mondo del lavoro dal 28 aprile 1993. Tuttavia per tali lavoratori, in ragione della maggiore anzianità lavorativa, è prevista la possibilità di destinare alle forme di previdenza complementare anche soltanto una parte del TFR maturando. In particolare, tali lavoratori possono:

  • se già iscritti ad una forma pensionistica complementare al 1° gennaio 2007, scegliere, con dichiarazione scritta indirizzata al datore di lavoro (modalità esplicita), di conferire il residuo TFR maturando alla forma di previdenza complementare alla quale aderisce, oppure di contribuire al fondo con la stessa quota versata in precedenza, mantenendo presso il datore di lavoro la quota residua di TFR. In tal caso, per i lavoratori di aziende con più di 49 dipendenti, il residuo TFR è trasferito dal datore di lavoro al Fondo per l’erogazione del TFR ai dipendenti del settore privato, gestito, per conto dello Stato, dall’INPS. In modalità tacita, il datore di lavoro trasferisce il residuo TFR maturando alla forma di previdenza collettiva alla quale il lavoratore già aderisce.
  • se non iscritti ad una forma pensionistica complementare al 1° gennaio 2007, scegliere con dichiarazione scritta diretta al datore di lavoro (modalità esplicita) di trasferire il TFR futuro a una forma pensionistica complementare scelta, nella misura fissata dagli accordi collettivi o, in assenza di accordi in merito, in misura non inferiore al 50%, oppure di mantenere l'intero TFR presso il datore di lavoro. In tal caso, per i lavoratori di aziende con più di 49 dipendenti, il TFR maturando è trasferito dal datore di lavoro al Fondo per l’erogazione del TFR ai dipendenti del settore privato, gestito, per conto dello Stato, dall’INPS. In modalità tacita il datore di lavoro trasferisce l'intero TFR maturando a forme pensionistiche applicabili e se non applicabili al fondo residuale dell'INPS (secondo quanto illustrato in "modalità tacite".

In entrambi i casi resta ferma la possibilità di incrementare la quota di TFR maturando da versare alla forma pensionistica complementare.
 
Per maggiore chiarezza, consultare i percorsi decisionali in base alla classe di appartenenza.

Percorsi decisionali  (formato .pdf 144 Kb)

 

1 | 2 | 3 | 4

www.impresaoggi.com