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Individuazione delle onde gravitazionali. Ci aspetta una smentita?


Quando si è giunti in vetta non ci sono più differenze
Seneca Lettere morali a Lucilio

Le onde gravitazionali sono state trovate. O meglio, dall’11 febbraio è ufficiale che sono state per la prima volta misurate in modo diretto. Che però esistessero, lo sapevamo anche prima di questo annuncio, dato che era stata già trovata una prova indiretta della loro emissione. Forse, a ben tendere l’orecchio ai rumor di questi giorni, sapevamo anche già che (forse) era stata trovata anche una prova diretta della loro esistenza. Perché le onde gravitazionali sono uno di quei soggetti che, in un certo senso, si prestano facilmente al gossip: inseguite da quando Albert Einstein ne previde matematicamente l’esistenza nella sua teoria della Relatività generale di un secolo fa, a partire dagli anni Sessanta studiosi di tutto il mondo fanno a gara per trovare prove dirette della loro emissione. Nel corso del tempo ci sono stati molti tentativi di trovarle, e molti sono stati gli insuccessi. Magari preceduti da annunci entusiastici.
Perché è così complicata lo loro individuazione? Le difficoltà sono innanzitutto tecnologiche e legate al fatto che si tratta di increspature dello spaziotempo veramente infinitesimali. Quando un corpo che possiede massa si muove (cambiando la sua accelerazione) produce delle variazioni nel suo campo gravitazionale che si traducono in onde che viaggiano alla velocità della luce. Cosa succede quando un’onda gravitazionale incontra un corpo? Lo deforma, anche se molto, molto, molto poco. Si stima, all’incirca, di 10^-21 metri per ogni metro. Un effetto veramente piccolo che gli scienziati tentano da decenni di misurare.
Per riuscire in questa impresa, prima di tutto hanno cercato le onde più alte, i cavalloni, le onde più potenti che quindi fosse un po’ più semplice misurare. Per esempio, quelle provenienti da cataclismi cosmici come la fusione di due buchi neri – protagonista dell’annuncio ufficiale – oppure l’esplosione di stelle come supernove.
I primi strumenti con cui si è tentato di intercettare le lievissime modificazioni del tessuto spaziotemporale indotte da un’onda gravitazionale erano antenne risonanti, progettate negli anni Sessanta, che in sostanza consistevano in un gigantesco cilindro di alluminio con un peso che andava da pochi chili ad alcune tonnellate. La speranza era di registrare una vibrazione nella barra di alluminio al passaggio di un’onda.
Uno dei primi a ottenere risultati significativi dall’applicazione di questa tecnologia è stato Joseph Weber, che nel 1968 ha osservato alcune coincidenze tra due rivelatori, uno che si trovava nel Laboratorio nazionale di Argonne, Illinois, e uno nell’Università del Maryland di Baltimora (a un migliaio di chilometri dal primo). Weber credette di aver documentato ben 17 eventi di vibrazione imputabili al passaggio di onde gravitazionali e pubblicò i suoi risultati su Physical Review Letters. Purtroppo, c’erano diversi errori ma il suo lavoro spinse però i colleghi di tutto il mondo a battere la sua strada sperimentale, che sembrava abbastanza promettente. Non ci furono però risultati positivi.
Dobbiamo aspettare gli anni Settanta per una notizia clamorosa: la conferma indiretta dell’esistenza delle onde gravitazionali. La buona novella ci arriva dalle osservazioni astronomiche di Joseph Taylor (oggi al dipartimento di fisica dell’Università di Princeton) e Russell Hulse nel 1974. I due, con il telescopio Arecibo a Portorico scoprono infatti una pulsar binaria (e per questo riceveranno il Nobel per la fisica nel 1993), la PSR 1913+16. Questa pulsar si comporta in modo molto strano: emette impulsi in modo irregolare, con un periodo che varia e fa capire che la pulsar sta ruotando intorno a un’altra stella e la sua orbita si sta restringendo sempre di più a causa di una perdita di energia. Perdita causata da cosa? Dall’emissione di grandi quantità di onde gravitazionali – era questa l’unica spiegazione possibile. Arriva quindi la prima dimostrazione (indiretta) dell’esistenza delle onde gravitazionali.
Allora il gioco si fece veramente duro. Restavano solo le prove dirette, si doveva misurare l’effetto diretto di un’onda gravitazionale. Sono ancora in campo le antenne, che vengono tenute a temperature più basse possibili per eliminare i rumori di fondo che possono derivare anche dalla stessa agitazione termica del materiale con cui sono fabbricate.
Tra la metà degli anni Ottanta e i primi anni Novanta si fa vedere il Cern, con l’antenna criogenica Explorer. Nel 1992 una barra di alluminio dal peso di 2770 chilogrammi, viene installata ai Laboratori nazionali di Frascati dell’Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare): è il rilevatore Nautilus, la cui temperatura può toccare un decimo di grado Kelvin sopra lo zero assoluto. Le antenne possono ormai comporre una vera e propria rete che si completa con Auriga, nei laboratori dell’Infn a Legnaro e con Allegro, il rivelatore della Louisiana State University di Baton Rouge, Louisiana, che è installato nei primi anni Novanta e che smette di funzionare nel 2007.
Le antenne però, potrebbero essere già il passato. La rivoluzione tecnologica (che, col senno di oggi, si rivelerà vincente) è quella degli interferometri. Non si misura più la vibrazione di una massa metallica ma la differenza di fase tra due fasci di luce che percorrono chilometri e poi si re-incontrano in un incrocio in cui, se c’è stato il passaggio di un’onda gravitazionale, si registra una differenza nel parametro fase del fascio. Maggiore è lo spazio di misurazione, maggiore è la deformazione spaziale misurabile a seguito del passaggio di un’onda gravitazionale, migliore è anche la precisione raggiungibile. Per questo, gli interferometri hanno bracci, che sono i binari dei fasci laser, lunghi anche diversi chilometri e il percorso viene ulteriormente allungato anche da un gioco di riflessioni. Alla fine del 2003, arriva l’interferometro Virgo. I suoi bracci sono ortogonali e lunghi tre chilometri, e si trova nel comune di Cascina, in provincia di Pisa, presso lo European Gravitational Observatory (Ego). Virgo è il risultato della collaborazione tra l’Infn e il francese Centre National de la Recherche Scientifique. Le onde gravitazionali di cui va a caccia Virgo, che per il modo in cui è progettato dovrebbero provenire da supernove e sistemi binari nell’ammasso stellare nella costellazione della Vergine (da cui il nome), dovrebbero distorcere i 3 chilometri di spazio tra gli specchi di circa 10-18 metri.
Fratello americano di Virgo è l’osservatorio statunitense Ligo (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory), che ha iniziato a prendere dati nel 2002. Per un po’, le due strutture sono in competizione, anche se sono diverse tra loro. Ligo punta infatti a ricevere onde gravitazionali provenienti da coppie di stelle di neutroni o da buchi neri e ha due inteferometri: uno a Hanford, Washington, e l’altro a Livingston, Louisiana. Frutto di una collaborazione tra il California Institute of Technology e il Massachusetts Institute of Technology, attualmente coinvolge oltre scienziati da più di 80 istituzioni scientifiche nel mondo, ma fino al 2010 non dà nessun segnale positivo di prove dirette di onde gravitazionali. Dopo il 2010, sia Ligo che Virgo avviano lavori di potenziamento. Quelli di Ligo, che si trasforma in advanced Ligo (aLigo) terminano lo scorso settembre, quelli di Virgo finiranno (se tutto va bene) alla fine di quest’anno.
Intanto, arriva qualche cantonata. Nel 2014 l’esperimento Bicep 2 (Background Imaging of Cosmic Extragalactic Polarization) sembra aver trovato una traccia anomala delle onde gravitazionali. In questo caso non si tratta di inteferometri e differenze di fase di fasci laser ma di una polarizzazione particolare nella radiazione cosmica di fondo. Bicep 2 è un telescopio che si trova tra i ghiacci dell’Antartide e osserva la radiazione cosmica di fondo, ossia quello che resta della prima luce dell’Universo che si sprigionò nell’oscurità 380 mila anni dopo il Big Bang. Questa particolare polarizzazione della radiazione cosmica di fondo (ossia una particolare direzione di oscillazione del segnale radio) sarebbe appunto imputabile a onde gravitazionali primordiali. La smentita arriva nel febbraio 2015. Quello che hanno visto gli scienziati di Bicep2 è stato falsato da emissioni di polveri galattiche, parola di ricercatori del telescopio spaziale Planck dell’Esa.
Dopo qualche mese, anche quelli dell’esperimento del telescopio Parkes del Csiro portano cattive notizie: undici anni di osservazioni alla ricerca di onde gravitazionali generate da pulsar millisecondi non sono bastati, non è stato rivelato alcun effetto.
Ma proprio mentre sembra che il mondo della ricerca delle onde gravitazionali sia impegnato a leccarsi le ferite, arrivano i primi rumor che qualcuno, forse, ce l’ha fatta.
Tra settembre 2015 e gennaio 2016 i tweet di Lawrence Krauss, cosmologo della Arizona State University, fanno agitare tutti: le onde gravitazionali sarebbero state trovate. Il dito è puntato su Ligo, che avrebbe trovato la prima prova diretta delle onde gravitazionali proprio dopo essere stato riacceso dopo l’upgrade. Nessuno conferma anche se qualcuno, maliziosamente, dice che “i ricercatori di Ligo si stanno dando da fare diecimila volte più del solito“. Qualcosa, quindi, sembra bollire in pentola.
Arriviamo ai giorni nostri. Effettivamente, Ligo ha registrato il passaggio delle onde gravitazionali: i dati raccolti nel primo run, da settembre 2015 a gennaio 2016 sono stati analizzati e hanno confermato la scoperta. È decisamente servito, quindi, migliorare di circa quattro volte la sua sensibilità e non osiamo immaginare a cosa potrà portare il suo ulteriore potenziamento nel 2021. Un po’ di amaro in bocca per Virgo, che quel 14 settembre 2015, giorno in cui l’onda è stata registrata, era spento e avrebbe potuto, probabilmente, trovare anche lui l’evento.
Ma la ricerca sulle onde gravitazionali non finisce qui. Nel 2034 sarà infatti lanciato eLisa (evolved Laser Interferometer Space Antenna) primo osservatorio spaziale al mondo dedicato a queste sfuggenti onde. Il satellite europeo Lisa Pathfinder è infatti decollato a dicembre 2015 dalla base di Kourou nella Guyana francese allo scopo di testare la fattibilità tecnologica di un osservatorio di questo tipo. La caccia, semplicemente, si sposta nello spazio.

interferometro 2

Schema di un interferometro


Stefano Pisani www.wired.it - 12 febbraio-2016

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Tratto da

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www.impresaoggi.com