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Troppi uomini di cultura disprezzano chi produce ricchezza

L'economista Deirdre McCloskey è autrice di una storia della classe media: «Troppi uomini di cultura disprezzano chi produce ricchezza. Che errore»
Autrice di «17 libri e circa 400 articoli», economista della scuola di Chicago, Deirdre McCloskey (oggi professore emerito di economia, storia, inglese e comunicazione all'Università dell'Illinois di Chicago) ha una passione: la borghesia. Alla tanto bistrattata middle-class ha dedicato una trilogia di oltre duemila pagine, The Bourgeois Era, cominciata nel 2006 con The Bourgeois Virtues, proseguita con The Bourgeois Dignity (2010) e terminata, ora, con la pubblicazione di The Bourgeois Equality: How ideas, Not Capital or Institutions, Enriched the World (University of Chicago Press). Tre parole chiave virtù, dignità, uguaglianza che definiscono appunto l'era della borghesia, gli ultimi due secoli della nostra storia.
I tre volumi non sono tradotti in italiano, ma alcuni dei temi affrontati si possono ritrovare in un libro pubblicato da IBL libri nel 2014, I vizi degli economisti, le virtù della borghesia. Deirdre McCloskey è appena stata in Italia, ospite proprio dell'Istituto Bruno Leoni.
Perché ha deciso di scrivere una trilogia sulla borghesia?
«Da socialista, quando ero giovane mi entusiasmavo per gli scritti contro la borghesia. È un entusiasmo comune fra i giovani membri della borghesia stessa... Da lungo tempo. Quando Balzac scrisse Papà Goriot, nel 1834, trovò divertente che il suo patetico protagonista fosse un fabbricante di vermicelli in pensione. E così via, fino ai film stile Wall Street».
Lei come ha cambiato idea?
«Quando ho imparato di più sull'economia ho capito che il mercante, l'imprenditore, il banchiere e l'inventore sono essenziali per la produzione di ricchezza, anche a vantaggio dei più poveri. Ho sempre voluto aiutare i poveri, che è il motivo per cui da giovane ero socialista e sono diventata un'economista professionista. Ma ho capito che un'economia ricca aiuta i poveri. Così, a metà degli anni '90, a circa 50 anni, ero in aereo e stavo leggendo un libro di John Casey intitolato Pagan Virtues e mi venne in mente che avrei dovuto scrivere un libro intitolato “The Bourgeois Virtues”». Qual è la forza della borghesia?
«La creazione del mondo moderno. Una società di aristocratici o di funzionari e di contadini o di spettatori di quiz della Rai non ha la capacità di creare i beni quotidiani e i servizi per una esistenza dignitosa per la massa della popolazione».
La borghesia sì?
«Si è scoperto che lasciare la borghesia agire liberamente ci ha arricchito tutti enormemente. È il "contratto borghese": "Tu consenti a me, un borghese, di provare a migliorare il modo in cui si fanno auto, tubature o ascensori e di sottoporre il risultato alla prova dello scambio, senza protezionismi o sussidi o regolamentazioni o licenze o socialismo e, nel terzo atto di questo dramma sociale, io vi renderò tutti ricchi". Ha funzionato».
Perché parla di “Great enrichment”, grande arricchimento?
«Dal 1800, l'ammontare reale di ciò che gli italiani o gli americani producono e consumano è aumentato di trenta volte. Credo che un cambiamento del genere possa essere definito "grande" senza violare le regole del linguaggio».
Non era mai successo?
«In epoche precedenti, per esempio nel Quattrocento, o nella Cina del dodicesimo secolo, o nella Grecia antica si è assistito al raddoppio del reddito, per un certo periodo; per poi però tornare indietro. Ma parliamo comunque del 100 per cento; dal 1800 parliamo di quasi il tremila per cento, cioè da tre dollari al giorno a una media oggi, nei paesi membri dell'Ocse, che va dagli 80 ai 140 dollari al giorno».
Ma nel mondo ci sono ancora milioni di persone in povertà.
«Sì, su sette miliardi c'è ancora "l'ultimo miliardo", come ci ricorda l'economista Paul Collier. Dobbiamo aiutarli ad aiutare se stessi. Il risultato della beneficenza, così come dei soldi trasferiti dal nord al sud dell'Italia, sono solo corruzione e un eccesso di impiegati statali. D'altra parte, come spiega anche Collier, trenta o quarant'anni fa i poveri più poveri del mondo erano "gli ultimi quattro miliardi", su una popolazione di cinque miliardi. Il che significa che il livello assoluto di povertà è crollato drasticamente».
Come siamo diventati così ricchi?
«Siamo ricchi grazie al liberalismo, definito come uguaglianza di fronte alla legge e uguaglianza di dignità sociale. Basta rileggere la Dichiarazione dei diritti dell'uomo... e della donna... Oggi il liberalismo può arricchire il mondo, laddove non sia minato da una corruzione incontrollata, da una regolamentazione eccessiva e da un socialismo conclamato. Sarebbe a dire la condizione e le politiche dell'Italia di oggi, sostenute dalla mentalità tipica della maggior parte degli intellettuali italiani».
Perché funziona?
«Quello che ha fatto il liberalismo è stato, come dicono i britannici, lasciare che le persone qualunque "ci potessero provare". E l'hanno fatto in maniera massiccia».
Qual è il potere delle idee, di cui parla nel suo ultimo libro?
«Ci sono due livelli di idee. E sono le idee, non gli investimenti nel capitale che seguono dalle idee, che ci hanno reso ricchi. Uno è il livello dei progressi messi alla prova dello scambio, come il cemento rinforzato e le zanzariere e gli antibiotici. Bene. Ma ciò che incoraggia le persone in massa ad avere queste idee è il liberalismo».
Perché le teorie economiche usuali non possono spiegare questo arricchimento?
«L'economia "classica" presuppone che sia il capitale a renderci ricchi. Non è così, come hanno dimostrato i disastri degli aiuti stranieri ai Paesi poveri. Il capitale ovviamente è necessario: non puoi costruire edifici senza mattoni e cemento. Ma anche l'ossigeno nell'aria è necessario. Queste non sono cause originarie. Non abbiamo bisogno di una "accumulazione originaria di capitale". Quello che ci servono sono le idee per un "progresso messo alla prova del commercio", espressione che preferisco rispetto al termine fuorviante "capitalismo". Se le abbiamo, il capitale seguirà».
Quando parla di uguaglianza, a che cosa pensa?
«A un sinonimo di liberalismo. Intendo l'uguaglianza delle opportunità, misurata su quanto è facile aprire un negozio o una fabbrica, o come sono spesi i soldi dell'istruzione, o quanto le persone snobbano quelli che ritengono "inferiori". Non è un'uguaglianza "francese", come potremmo chiamarla in onore di Rousseau e Thomas Piketty. Bensì un'uguaglianza "scozzese", in onore di Adam Smith e Milton Friedman. Come diceva Smith, quello che ci serve è "un progetto liberale di uguaglianza, libertà e giustizia"».
Liberalismo e borghesia sono legati?
«Sì. È un vecchio, e corretto, cliché della storia europea che le rivoluzioni del 1789 e del 1848 fossero borghesi. Ma, liberando se stessa, la borghesia ha liberato tutti».
Hanno gli stessi nemici?
«Sì. L'intellighenzia, come la chiamo io, gli intellettuali, gli artisti e i giornalisti... che vengono dalla borghesia, ma odiano i loro padri».
Chi sono i peggiori?
«Quelli come Lenin, Mussolini e Hitler, assassini di milioni di persone nel nome della Rivoluzione contro la borghesia, contro la proprietà, contro l'ordine spontaneo del mercato che ha reso i più poveri fra noi trenta volte più abbienti».
Oggi ha ancora molti nemici?
«Sì. Dopo ogni crisi sorgono nuove versioni di socialismo, come il sindacalismo o l'ambientalismo. Le persone crescono in famiglie amorevoli, per lo più. E così pensano che un Paese di 80 milioni di persone possa essere governato come una famiglia affettuosa. Non può. Molto meglio avere cooperazione e competizione su larga scala, come accade nelle economie liberali».
Parla con grande passione della «gente comune»...
«Sono una democratica, e una libertaria cristiana. Non sono una "conservatrice", se ciò significa guardare dall'alto in basso le persone comuni. Non lo faccio, o almeno ci provo. I miei amici statisti di sinistra e di destra lo fanno, e sperano di governare i poveri. Io spero di liberarli dalle loro catene».
Pensa che la borghesia europea, italiana e americana siano diverse oggi? E in che cosa?
«In Europa i borghesi, ancora più che in America, sono istruiti a detestare la borghesia...».

Eleonora Barbieri

www.brunoleoni.it - 23 agosto 2016


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www.impresaoggi.com