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Le politiche economiche degli anni novanta


Il tuo spirito devi mutare, non il cielo sotto cui vivi.
Seneca, Lettere morali a Lucilio


Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e declino di quelle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
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Copertina

Come già visto, gli anni settanta e ottanta vengono vissuti nell'illusione che la stabilità del tasso di cambio della lira porti alla stabilità economica. Molti capitali affluiscono in Italia allettati dai tassi di interesse elevati e l'illusione viene alimentata, anche dalla liberalizzazione dei movimenti di capitale nell'Ue. In un circolo vizioso, questa diffusa aspettativa produce una riduzione dei tassi di interesse, che, a sua volta, sostiene una sensibile ripresa della domanda interna; questa innesca una crescita dei salari che produce un differenziale di inflazione molto ampio rispetto al resto d'Europa. Occorrerà la crisi monetaria del 1992-1993 per risvegliare gli italiani dal sogno nel quale si erano adagiati e per adottare i drastici provvedimenti del '92, con Amato.
Nell'estate del '96, Prodi, obtorto collo, prende la decisione di perseguire l'obiettivo di convergenza nei tempi programmati dagli altri paesi europei. Nel maggio del '98, il Paese ottiene il riconoscimento di aver adeguato la gestione del bilancio pubblico agli standard europei e di aver sradicato l'inflazione (Onofri, 2001). Il forte deprezzamento della lira, nel 1992, favorisce le imprese esportatrici e dà l'avvio a un'impetuosa ridistribuzione all'interno del mondo delle imprese con trasferimento del reddito da quelle che lavorano al riparo della concorrenza internazionale a quelle che vi sono esposte. I soggetti monopolistici iniziano ad avere il fiato grosso e una miriade di piccole e medie imprese si getta a capofitto nella competizione globale acquisendo fatturato e motivazioni per migliorare la competitività. La politica dei salari vede, tra il '92 e il '95, una riduzione delle retribuzioni reali pari a quasi il 5%, cosicché il deprezzamento della lira non ha alcun impatto inflazionistico e consente una rapida discesa dei tassi di interesse. Lo scenario positivo è confermato da un rilevante afflusso di investimenti stranieri alla borsa di Milano che, dal febbraio all'aprile del '94, aumenta la capitalizzazione del 22,5%. Le intenzioni del primo governo Berlusconi, che si accredita per il rilancio della crescita, più che per il risanamento dei conti pubblici, e le critiche di alcuni ministri al trattato di Maastricht, vengono interpretate negativamente dai mercati e l'indicatore più sensibile, la Borsa, vede, nel giugno del '94, un calo del 14% rispetto all'aprile. Fortunatamente, la partecipazione dell'Italia alla moneta unica ha ridotto la discrezionalità nella gestione della politica economica interna: la politica monetaria è stata devoluta alla Banca centrale europea e la politica di bilancio deve mantenersi all'interno di uno stretto corridoio. In altre parole la politica macroeconomica italiana, gestita dai burocrati europei, è diventata molto meno aleatoria del passato, cosicché la legge finanziaria del '95 prevede tagli alla spesa, incluse pensioni e sanità. Il governo Prodi si trova, nel 1996, ad affrontare un rallentamento della crescita economica mondiale, attribuita a un ciclo di riduzione delle scorte (successivo alla forte accumulazione degli anni '94 e '95), all'inasprimento dei tassi di interesse e alla crisi dei mercati latino-americani del '95.
L'economia riprende a crescere nel '97 e, in Italia, gli obiettivi della convergenza appaiono meno lontani. Con la legge finanziaria del '98 il risanamento del bilancio pubblico può considerarsi completato e porta alla firma del Patto di stabilità, che prevede un percorso di riduzione del disavanzo fino al suo azzeramento e di riduzione di almeno tre punti all'anno del rapporto debito pubblico/pil. Nel '98, iniziano a vedersi i primi segni di un lento processo di ripresa dell'occupazione. Complessivamente dal 1997 al 2001 si ha una riduzione del costo del lavoro del 4,4%, come conseguenza della riduzione degli oneri indiretti sulle retribuzioni. Parte di questi oneri sono stati trasferiti a carico della fiscalità generale senza ulteriori aumenti di aliquote. I redditi delle famiglie hanno sopportato il maggior carico del risanamento del bilancio pubblico; le imposte sui redditi sono aumentate tra il '92 e il '93, in modo permanente, e nel '97 in via straordinaria. Comparativamente, la pressione fiscale (entrate tributarie più contributi sociali) è, nel 1999, pari al 43,3% del Pil, valore pressoché uguale alla media del paesi dell'Unione monetaria.
Dai mercati finanziari, dove i canali di informazione e formazione delle opinioni sono più autonomi e neutrali, viene un giudizio positivo sul processo di stabilità economica del Paese: tra il 31 dicembre 1995 e il 31 dicembre del 2000 l'indice della borsa italiana cresce del 221% (Onofri, 2001). Nonostante i significativi progressi degli anni '90 l'Italia resta nel gruppetto dei paesi europei con debito pubblico più elevato: nel 1999, pari al 114% del Pil, contro una media del 68% dell'Ue.
Nel 2000, il deprezzamento dell'Euro dà una spinta alle esportazioni. Il nuovo millennio si apre con la rottura della bolla speculativa che, con arte, era stata gonfiata al di là di qualunque ragionamento economico; tutte le economie mondiali subiscono il contraccolpo della riduzione dei consumi, della liquefazione dei risparmi e di una diffusa sfiducia nel mercato. Il Giappone non si riprende dalla crisi che lo attanaglia dall'inizio degli anni '90 e anche la Germania sembra entrare in una pericolosa stasi economica. L'Italia sembra, apparentemente, resistere meglio, ma nel maggio del 2003, il prestigioso Imd (International Institute for Management Development) di Losanna, colloca l'Italia al 17° posto della classifica della competitività imprenditoriale per i paesi con più di 20 milioni di abitanti (AA.VV., 2003). Gli anni novanta saranno ricordati come il decennio della svolta politica ed economica. Cominciato con l'integrazione nel mercato unico europeo dei capitali e delle merci, è proseguito con l'avvio del risanamento dei conti pubblici, con la riduzione della presenza dello stato nel sistema produttivo, bancario e dei servizi, per terminare con la partecipazione alla moneta unica europea. Questo processo si è concentrato attorno a due momenti: il '92-'93, innescato dalla crisi monetaria e il '97-'98, messo in moto dall'obiettivo della convergenza alla moneta unica. Il primo gennaio 2002 l'Euro diventa moneta, strumento di scambio quotidiano. Dietro quelle banconote esiste uno spazio politico costituito da dodici stati, trecentomilioni di cittadini, il 20% del Pil mondiale, un quarto delle esportazioni di tutto il pianeta, ma, soprattutto esiste una cessione di sovranità da parte di antichi stati che rinunciano a battere la "loro moneta".
L'Euro rappresenta un atto politico che chiude una storia di divisioni e tragedie e apre, forse, per l'Europa, una nuova era. Raggiunto, negli anni novanta, l'obiettivo dell'ingresso nella moneta unica, la sfida del primo decennio del 2000 dovrà essere, per l'Italia, quella della modernizzazione. Non si può nascondere che gli obiettivi di risanamento degli anni novanta sono stati raggiunti trascurando il processo di rinnovamento delle grandi infrastrutture e dei servizi di un Paese che era già invecchiato, rispetto al resto dell'Europa, negli anni ottanta.
Con il governo Berlusconi II (2001) le speranze di un forte impulso nell'opera di privatizzazione vanno scemando; An e i centristi sono contrari per principio, la Lega si oppone alla privatizzazione delle aziende municipalizzate, gli esponenti thatcheriani del governo hanno perso lo slancio e gli anti-privatizzazioni sono alla riscossa. Afferma Demattè che le due spinte propulsive delle privatizzazioni avviate nel '92, l'emergenza del debito pubblico e una decisa volontà politica si sono oramai esaurite (AA.VV, 2002). Dopo furiose battaglie e imboscate, il 22 febbraio 2002, Pera e Casini annunciano la nomina del nuovo CdA della Rai; ne fanno parte Ettore Albertoni (Lega), Marco Staderini (Ccd), Luigi Zanda (Margherita), Carmine Donzelli (Ds) e il Presidente, Antonio Baldassarre, ex presidente della Consulta, proposto e voluto da Fini. Berlusconi esce dallo scontro sconfitto e infuriato con Casini che gli ha bruciato il suo candidato, Carlo Rossella (Vespa, 2002). Verderami sul Corriere afferma che il passaggio dal sistema proporzionale al maggioritario ha trasformato la lottizzazione della Rai in militarizzazione: tutti i leader politici vogliono garantirsi in proprio. Nel corso del 2002 Staderini, Zanda e Donzelli si dimettono, per divergenze con Baldassarre e con il direttore generale Agostino Saccà sulla spartizione delle "poltrone" all'interno dell'azienda.

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4 ottobre 2016

Eugenio Caruso da L'estinzione dei dinosauri di stato.


Tratto da

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www.impresaoggi.com