Dalla spedizione di Algeri (1541) alla morte di Francesco I (1547)
A seguito di questa sconfitta, Francesco I, nel mese di luglio del 1542, diede l'avvio alla quarta guerra contro l'Imperatore che si concluse soltanto nel mese di settembre del 1544 con la firma della pace di Crépy, dalla quale il Re di Francia uscì nettamente sconfitto ancora una volta, anche se poté mantenere alcuni territori occupati durante il conflitto e appartenenti al Ducato di Savoia. Francesco dovette rinunciare alle sue pretese su Napoli, sull'Artois e sulla Fiandra e impegnarsi ad appoggiare l'apertura di un Concilio sulla questione luterana. Da parte sua Carlo rinunciava alle sue pretese sulla Borgogna.
Il Pontefice Paolo III convocò un Concilio ecumenico nella città di Trento, i cui lavori furono ufficialmente aperti il 15 dicembre 1545. Poiché i protestanti si rifiutarono di riconoscere il Concilio di Trento, l'Imperatore mosse loro guerra nel mese di giugno del 1546, forte di un esercito composto dai pontifici al comando di Ottavio Farnese, dagli austriaci di Ferdinando d'Austria, fratello dell'Imperatore, e dai soldati dei Paesi Bassi al comando del Conte di Buren. L'Imperatore era affiancato da Maurizio di Sassonia che era stato abilmente sottratto alla Lega Smalcaldica. Carlo V conseguì una schiacciante vittoria nella battaglia di Mühlberg nel 1547, a seguito della quale i principi tedeschi si ritirarono e si sottomisero all'Imperatore.
Invero, le cronache dell'epoca riferirono che l'Imperatore seguì la battaglia da lontano, steso su una lettiga, in quanto impossibilitato a muoversi a causa di uno dei suoi terribili attacchi di gotta. Un male che lo afflisse per tutta la vita, causato dalla sua smodata passione per i piaceri della tavola. Questa immane e smodata ingordigia sarà la causa di perdita di capacità decisionale e capacità operativa e lo porterà a dover abdicare. Gli epistolari di tutti coloro che ebbero modo di conoscerlo parlano di questa voracità dell'imperatore, voracità che rappresentava la caratteristica peculiare dell'uomo, caratteristica che superava l'ingegno, le capacità dialettiche, lo spirito cavalleresco.
Pensando all'ingordigia di Carlo V mi viene in mente il mito di Erisittone, uomo ricchissimo la cui unica gioia era accumulare e, che per arricchirsi ancora di più decide di tagliare il bosco sacro consacrato a Demetra; ebbene viene condannato a soffrire di una fame incessante, devastante che non potrà mai saziare. Così per nutrirsi si trova costretto a usare tutti i suoi averi e alla fine impazzito è costretto a divorare se stesso. Dal punto di vista psicologico si può far risalire l'ingordigia di Carlo V a una situazione di disagio emotivo-psicologico che non riesce a trovare altro sfogo se non nel ricorso al cibo. Generalmente si usa lo strumento-cibo per sentirsi meglio in una situazione di tristezza, noia o frustrazione, passando così da una visione di cibo come aspetto della vita da gustare, assaporare a una che vede gli alimenti come un qualcosa che viene a colmare il proprio vuoto interiore. Siamo dinanzi a una situazione di compensazione emotiva, in cui per evitare di sentirsi divorati dalle proprie emozioni si mangia il cibo. L'intemperanza nel cibo potrebbe essere dovuta alla mancanza dell'amore dei genitori, egli passò l'infanzia accudito da severi tutori, al carico delle responsabilità, a sedici anni era duca di Borgogna e Re di Castiglia e di Spagna. A sedici anni, consigliato dall'ottimo Guillaume de Chiévres dovette subito affrontare turbolenze in Spagna e nei Paesi Bassi e i risvolti della vittoria di Francesco I a Melegnano. Durante questo periodo difficile diede mostra di un atteggiamento volto a non prendere decisioni affrettate, ma dopo attenta riflessione e confronto con i consiglieri; infatti il primo atto importante, come già visto, fu il trattato di Noyon che congelò i rapporti tra Francia e Spagna.
Per i primi due anni il Concilio di Trento si dibatté su questioni di carattere procedurale, mancando l'accordo tra il Papa e l'Imperatore: infatti mentre l'Imperatore cercava di portare il dibattito su temi riformisti, il Papa cercava di portarlo, invece, più su temi di carattere teologico. Il 31 maggio del 1547 vede la morte del Re Francesco I e, poiché il Delfino Francesco era morto prematuramente nel 1536 all'età di 18 anni, salì sul trono di Francia il secondogenito di Francesco I, col nome di Enrico II. Non solo, ma, nello stesso anno, Paolo III trasferì la sede del Concilio da Trento a Bologna, col preciso scopo di sottrarlo all'influenza dell'Imperatore, anche se la motivazione ufficiale dello spostamento fu la peste.
Se il Concilio fosse stato radunato trenta o quarant'anni prima, quel Concilio avrebbe salvato l'unità religiosa e politica dell'Occidente cristiano. Ma la Santa Sede temeva di vedere resuscitare le teoria sulla supremazia del Concilio sul pontefice, già sviluppate nei Concili di Costanza e di Basilea. E così il temporeggiare dei papi, in particolare dei Medici, e della Chiesa, di fronte alle urgenze dell'imperatore, fece sì che si arrivasse all'adunata ecumenica quando già in Europa avevano attecchito la riforma, la rivolta e la disperazione. Nel 1545 la Germania luterana era oramai troppo forte perchè il Concilio la spazzasse via.
Dalla morte di Francesco I (1547) all'assedio di Metz (1552)
Carlo V era ormai giunto al culmine della sua potenza. Il suo grande antagonista, Francesco I, era scomparso. La Lega di Smalcalda era stata vinta. Il Ducato di Milano, nelle mani di Ferdinando Gonzaga, era agli ordini dell'Imperatore, così come Genova, la Savoia e i Ducati di Ferrara, Toscana e Mantova, oltre alle Repubbliche di Siena e Lucca. L'Italia meridionale era già da tempo un vicereame spagnolo. Papa Paolo III, per opporsi a tale strapotere, null'altro poteva fare se non stringere un accordo con il nuovo Re di Francia.
Il culmine della sua potenza, però, coincise anche con l'inizio del suo declino. Infatti, nel biennio 1546-1547, Carlo V dovette fronteggiare alcune congiure anti-spagnole in Italia. A Lucca, nel 1546, Francesco Burlamacchi tentò di instaurare in tutta la Toscana uno Stato repubblicano. A Genova, Gianluigi Fieschi organizzò, senza successo, una rivolta a favore della Francia. A Parma, infine nel 1547, Ferdinando Gonzaga conquistò Parma e Piacenza a spese del Duca Pier Luigi Farnese (figlio del Pontefice), ma la conquista fallì per mano del Duca Ottavio Farnese che riconquistò il Ducato, il quale fu successivamente riconquistato ancora una volta dal Gonzaga. Papa Paolo III morì il 10 novembre del 1549. Gli successe il Cardinal Giovanni Maria Ciocchi del Monte che assunse il nome di Giulio III. Qualche anno dopo il Papa strinse un accordo con Enrico II, adducendo, a sostegno della sua scelta, il fatto che il luteranesimo si stava espandendo anche in Francia e che le casse dello Stato Pontificio erano ormai esaurite. Carlo V, trovandosi in difficoltà per ragioni di carattere interno nei suoi territori in Germania, ratificò l'accordo e ritenne che il conflitto con la Francia fosse esaurito. Invece Enrico II cominciò una nuova avventura: la conquista di Napoli; a tanto sollecitato da Ferdinando Sanseverino, Principe di Salerno, il quale riuscì a convincere il Re di Francia a un intervento militare nel meridione d'Italia con lo scopo di liberarla dall'oppressione spagnola. Re Enrico, ben sapendo che da solo non sarebbe mai riuscito a strappare l'Italia meridionale a Carlo V, si alleò con i Turchi, e progettò l'invasione attraverso un'operazione congiunta della flotta turca e di quella francese; il cristianissimo Enrico proseguì la politica del cristianissimo Francesco di alleanze con i turchi. Nell'estate del 1552, la flotta turca, al comando di Sinan Pascià, sorprese la flotta imperiale, al comando di Andrea Doria e don Giovanni de Mendoza, al largo di Ponza. La flotta imperiale fu sconfitta. Ma poiché la flotta francese non riuscì a ricongiungersi con quella turca, l'obiettivo dell'invasione del napoletano fallì.
In Germania, intanto, l'Imperatore, dopo la vittoria di Mühlberg, aveva adottato una politica molto autoritaria, la quale ebbe come conseguenza la formazione di un'alleanza tra i Principi riformati della Germania del Nord, il Duca d'Assia e il Duca Maurizio di Sassonia, in funzione anti-imperiale. Questa Lega, nel mese di gennaio del 1552, a Chambord, sottoscrisse un accordo con il Re di Francia. Questo accordo prevedeva il finanziamento delle truppe della Lega da parte della Francia, in cambio della riconquista delle città di Cambrai, Toul, Metz e Verdun. Il permesso accordato al Re di Francia da parte della lega dei Principi protestanti, per l'occupazione delle città di Cambrai, Toul, Metz e Verdun, fu un vero e proprio tradimento verso l'Imperatore.
Carlo V dovette combattere tutta la vita con i tradimenti dei papi, dei principi tedeschi, dei francesi, delle signorie italiane.
La guerra con la Francia scoppiò, quindi, inevitabilmente nel 1552, con l'invasione dell'Italia del Nord da parte delle truppe francesi. Ma il vero obiettivo di Re Enrico era l'occupazione delle Fiandre, sogno mai appagato anche da Francesco I. Infatti Enrico si mise personalmente alla testa delle sue truppe e diede inizio alle operazioni militari nelle Fiandre e in Lorena. L'iniziativa di Enrico II colse di sorpresa l'Imperatore, il quale, non potendo raggiungere i Paesi Bassi a causa dell'interposizione dell'esercito francese, dovette ripiegare sul Nord Tirolo, con una fuga precipitosa verso Innsbruck. Rientrato in Austria Carlo V iniziò il rafforzamento del suo contingente militare facendo affluire rinforzi e danaro sia dalla Spagna che da Napoli; la qual cosa indusse Maurizio di Sassonia, condottiero delle truppe francesi, ad aprire trattative con l'Imperatore, nel timore di una sconfitta. Nei colloqui, svoltisi a Passavia, tra i principi protestanti capeggiati da Maurizio di Sassonia e l'Imperatore, si giunse a un accordo che prevedeva maggiori libertà religiose per i riformati in cambio dello scioglimento dell'alleanza con Enrico II. La qual cosa avvenne nell'agosto del 1552. Con il Trattato di Passavia l'Imperatore riuscì ad annullare gli accordi di Chambord tra i principi protestanti e il Re di Francia, ma vide vanificate tutte le conquiste ottenute con la vittoria di Mühlberg. Una volta ottenuto l'isolamento della Francia, Carlo V, nell'autunno dello stesso anno, iniziò una campagna militare contro i francesi per la riconquista della Lorena, mettendo sotto assedio la città di Metz, difesa da un contingente comandato da Francesco I di Guisa. L'assedio, durato praticamente fino alla fine dell'anno, si concluse con un fallimento e il successivo ritiro delle truppe imperiali.
Questo episodio è storicamente considerato l'inizio del declino di Carlo V. Fu a seguito di questa circostanza, infatti, che l'Imperatore cominciò a pensare alla propria successione.
Dall'assedio di Metz (1552) all'abdicazione (1556)
All'indomani del fallimento dell'assedio di Metz e della mancata riconquista della Lorena, Carlo V entrò in una fase di riflessione: su se stesso, sulla sua vita e sulle sue vicende oltre che sullo stato dell'Europa. La vita terrena di Carlo V si stava avviando alla conclusione. Carlo era combattuto da dubbi lancinanti sul proprio ruolo; non pensava, forse che, con la conquista del nuovo mondo, con la moderazione che aveva usato verso la religione, con gli atti di clemenza, con gli sforzi di risolvere i conflitti senza guerre, ma con la diplomazia, egli era la figura più significativa della nuova era.
I grandi protagonisti che assieme a lui avevano calcato la scena europea nella prima metà del XVI secolo erano tutti scomparsi: Enrico VIII d'Inghilterra e Francesco I di Francia nel 1547, Martin Lutero nel 1546, Erasmo da Rotterdam dieci anni prima e Papa Paolo III nel 1549.
Carlo V - Tiziano 1548
Il bilancio della sua vita e di ciò che aveva compiuto non poteva dirsi del tutto positivo, soprattutto in rapporto agli obiettivi che si era prefissato. Il suo sogno di Impero universale sotto la guida asburgica e la benedizione della chiesa cattolica era fallito; così come era fallito il suo obiettivo di riconquistare la Borgogna. Egli stesso, pur professandosi il primo e più fervente difensore della Chiesa di Roma, non era stato in grado di impedire l'affermarsi della dottrina luterana. I suoi possedimenti oltre-atlantico si erano accresciuti enormemente ma senza che i suoi governatori fossero stati in grado di dar loro delle valide strutture amministrative. Aveva però consolidato il dominio spagnolo sull'Italia, che sarà ufficializzato soltanto dopo la sua morte con la pace di Cateau-Cambresis nel 1559, e che sarebbe durato per centocinquanta anni. Così come era riuscito, con l'aiuto del Granduca Ferdinando suo fratello a fermare l'avanzata dell'Impero ottomano verso Vienna e il cuore dell'Europa. Carlo V cominciava a prendere coscienza che l'Europa si avviava ad essere retta da nuovi prìncipi i quali, in nome del mantenimento dei propri stati, non intendevano minimamente alterare l'equilibrio politico-religioso all'interno di ciascuno di essi. La sua concezione dell'impero stava tramontando e cominciava ad affermarsi il potere della Spagna.
Nel 1554 si celebrarono le nozze tra Maria Tudor (Maria la sanguinaria), Regina d'Inghilterra e figlia di Enrico VIII, con Filippo; nozze fortemente volute da Carlo V che vedeva nell'unione tra la Regina d'Inghilterra e il proprio figlio, futuro Re di Spagna, un'alleanza fondamentale in funzione antifrancese e a difesa anche dei territori delle Fiandre e dei Paesi Bassi. Carlo V si pentì enormemente d'aver voluto il matrimonio di Filippio con Maria Tudor perchè questa rivelò un carattere dispotico e sanguinario che rese vani gli sforzi di Carlo V di riportare l'Inghilterra sotto lo scettro da San Pietro e Filippo non fu in grado di consigliare e guidare la moglie. Per accrescere il prestigio del figlio, l'Imperatore assegnò a Filippo, definitivamente, il Ducato di Milano e il Regno di Napoli, che andavano ad aggiungersi alla reggenza del Regno di Spagna di cui Filippo era già in possesso da alcuni anni. Questa crescita di potere nelle mani di Filippo non fece altro che aumentare l'ingerenza di quest'ultimo nella conduzione degli affari di stato che causò un incremento della conflittualità con il proprio genitore.
Questa conflittualità ebbe come conseguenza una cattiva gestione delle operazioni militari contro la Francia che erano riprese proprio nel 1554. Il teatro del conflitto era costituito dai territori fiamminghi. L'esercito francese e quello imperiale si confrontarono in aspre battaglie fino all'autunno inoltrato, quando iniziarono le trattative per una tregua di cui tutti avevano bisogno, soprattutto a causa del dissanguamento finanziario di entrambe le parti. La tregua fu conclusa, dopo estenuanti trattative, a Vauchelles nel mese di febbraio 1556 e, ancora una volta, così come spesso era accaduto in passato, le ostilità si conclusero con un nulla di fatto, nel senso che restavano congelate le posizioni acquisite. Ciò significava che la Francia manteneva l'occupazione del Piemonte e delle città di Metz, Toul e Verdun.
Carlo V, a questo punto degli avvenimenti, fu costretto a dover prendere decisioni importanti per il futuro della sua persona, della sua famiglia e degli Stati d'Europa sui quali si stendeva il suo dominio. Era giunto a 56 anni di età e la sua salute era alquanto malferma. L'anno precedente, il 25 di settembre, aveva sottoscritto con i Principi protestanti, tramite il fratello Ferdinando, la Pace di Augusta, a seguito della quale si pervenne alla pacificazione religiosa in Germania, con l'entrata in vigore del principio cuius regio, eius religio, con cui si sanciva che i sudditi di una regione dovevano professare la religione scelta dal loro reggente. Era il riconoscimento ufficiale della nuova dottrina luterana.
Questi avvenimenti indussero il nuovo Papa, Paolo IV, al secolo Gian Pietro Carafa, napoletano, eletto appena l'anno precedente, a stringere una solida alleanza con il Re di Francia in funzione anti-imperiale. Paolo IV sosteneva che l'Imperatore non fosse più il baluardo della Chiesa di Roma contro gli attacchi provenienti dalla nuova dottrina luterana, soprattutto dopo il Trattato di Passavia e la Pace di Augusta. Ecco perché ritenne opportuno stringere alleanza con la Francia. Il papa, inoltre, nutriva un odio personale verso Carlo V, che lo aveva fatto attendere a lungo prima di concedergli l'arcivescovado di Napoli, d'altronde la politica della famiglia Carafa era fortemente anti-imperiale.
Il Principe Filippo ormai governava sia sulla Spagna che sulle Fiandre oltre che nel Regno di Napoli e nel Ducato di Milano. Il matrimonio di Filippo con la Regina d'Inghilterra assicurava una salda alleanza antifrancese. Il fratello Ferdinando aveva acquistato potere in tutti i possedimenti asburgici e lo esercitava con competenza e saggezza oltre che con notevole autonomia dall'Imperatore. I legami con il Papa si erano ormai allentati, sia a causa della Pace di Augusta e sia per la svolta subita dalla Chiesa cattolica con l'avvento del Carafa al soglio pontificio. Tutte queste considerazioni, aggiunte alla salute malandata che lo costringeva a terribili sofferenze, indussero Carlo V a decidere per la propria abdicazione, che ebbe luogo con una serie di passaggi successivi. Carlo prende la decisione di abdicare nel 1555 e, probabilmente, l'evento che più di ogni altro lo induce alla grave decisione è la morte della madre Giovanna, avvenuta il 13 aprile 1555, sempre nella fortezza di Tordesillas. Giova ricordare che lo stesso dramma perseguiterà Filippo II che farà morire nella prigione di Madrid il proprio figlio, don Carlos, accusato di cospirazione contro il padre.
Come Duca di Borgogna aveva già abdicato in favore del figlio Filippo II, nella città di Bruxelles il 25 ottobre 1555. Il 16 gennaio del 1556 Carlo V cedette le corone di Spagna, Castiglia, Sicilia e delle Nuove Indie ancora al figlio Filippo, al quale cedette anche la Franca Contea nel giugno dello stesso anno e la corona aragonese nel mese di luglio. Il 12 settembre dello stesso anno cedette la corona imperiale al fratello Ferdinando. Subito dopo, accompagnato dalle sorelle Eleonora e Maria, partì per la Spagna diretto al monastero di San Jeronimo di Yuste nell'Estremadura. Carlo non risedette mai all'interno del monastero, bensì in una modesta palazzina che si era fatto costruire anni addietro, in adiacenza al muro di cinta, ma all'esterno. Nonostante il luogo piuttosto lontano dai centri di potere, egli continuò a mantenere rapporti con il mondo politico, senza per questo venir meno alla sua volontà di soddisfare l'aspetto ascetico della propria indole. Continuò ad essere prodigo di consigli sia alla figlia Giovanna, reggente della Spagna, e sia al figlio Filippo che governava i Paesi Bassi. Soprattutto in occasione del conflitto scoppiato con Enrico II di Francia, sobillato dall'irascibile e spergiuro Paolo IV; Carlo, dal suo eremo di Yuste e con l'aiuto della Spagna, riuscì a riorganizzare l'esercito di Filippo il quale ottenne una schiacciante vittoria sui francesi nella battaglia di San Quintino il 10 agosto 1557. Il comandante in capo dell'esercito di Filippo II era il Duca Emanuele Filiberto di Savoia, detto "Testa di Ferro". Possedimenti come Milano, Napoli e la Sicilia rimangono saldamente in mano degli Asburgo e lo saranno a lungo. Flippo II non seguirà le orme del padre, condizionato dai papi, dai vescovi, dall'inquisizione intrapprese una guerra "personale" contro Elisabetta d'Inghilterra portando il suo regno al disastro della sua invincibile armada; alla sua morte la Spagna sarà in bancarotta e dovrà definitivamente cedere la supremazia dei mari all'Inghilterra elisabettiana.
Il 28 febbraio del 1558, i Principi tedeschi, riuniti nella Dieta di Francoforte, presero atto delle dimissioni dal titolo di Imperatore che Carlo V aveva presentato due anni prima e riconobbero in Ferdinando il nuovo Imperatore. Carlo usciva definitivamente dalla scena politica. Il 18 febbraio 1558 morì la sorella Eleonora. Carlo, presago che la sua vita terrena volgeva ormai al termine, accentuò ancor più il suo carattere ascetico, assorto nella penitenza e nella mortificazione. Ciò nonostante non disdegnava i piaceri della buona tavola, cui si lasciava ancora andare, nonostante fosse tormentato da gotta, diabete e asma, e sordo ai consigli dei medici che lo spingevano ad una dieta meno pesante. Nel corso dell'estate la sua salute diede segni di peggioramento che si manifestò con febbri sempre più frequenti che lo costringevano spesso a letto, dal quale poteva assistere ai riti religiosi attraverso una finestra che aveva fatto aprire in una parete della sua camera da letto e che prospettava direttamente nella chiesa. Il 19 di settembre chiese l'estrema unzione, dopo di che si sentì rianimato e la sua salute manifestò qualche segno di ripresa. Il giorno successivo, stranamente, quasi avesse avuto un presentimento, chiese ed ottenne l'estrema unzione per la seconda volta. Morì il 21 settembre 1558 dopo tre settimane di agonia. Erano le due del mattino. Il suo corpo fu immediatamente imbalsamato e sepolto sotto l'altare della piccola Chiesa di Yuste. Sedici anni dopo la sua salma fu traslata dal figlio Filippo nel monastero di San Lorenzo, all'interno del grande palazzo dell'Escorial che lo stesso Filippo aveva fatto costruire sulle colline a Nord di Madrid, e destinato a luogo di sepoltura di tutti i sovrani Asburgo di Spagna.
Tra il 1555 e il 1558 si compie il capitolo più tragico dell'avventura di questo grande sovrano, con l'abdicazione e il soggiorno in un chiostro dell'Estremadura, la terra dei conquistadores e degli hidalgos, poveri di moneta ma ricchi di orgoglio e di spirito d'avventura. Dopo la fuga di Innsbruck e la sconfitta di Metz, Carlo dirà spesso ai suoi ministri "La fortuna non ama che i giovani". Così, il più potente monarca della storia esce dalla scena del mondo e lo fa in modo inconsueto. Si isola lontano dal trono e dal potere, nell'inazione, nella monotonia della solitidine, in mezzo a pratiche minuziose, umili e persino maniacali di pietà. Si delinea così ai nostri occhi l'enigma di un uomo che aveva occupato per quarant'anni la scena del mondo e che, improvvisamente, se ne ritrae, con il più straordinario degli atti rinuncia alla più vasta delle dominazioni. Basta questa sua ultima decisione per rendercelo simpatico.
Eugenio Caruso
29 dicembre 2016
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