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Il vento del Nord imbrigliato dagli interessi della politica


In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"


Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.

copertina 3

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2.4 Il vento del Nord viene imbrigliato dagli interessi della politica
Nel corso della lenta marcia degli alleati lungo la penisola appare evidente che due saranno le forze politiche che si contenderanno il potere in Italia: la Democrazia cristiana, che si propone come baluardo contro comunismo e fascismo, e quindi con una sorta di legittimazione internazionale, e il Partito comunista italiano, che afferma di voler condurre una dura lotta di classe. Entrambi i partiti, all'inizio della loro battaglia politica, non dispongono di una cultura dello Stato, ma piuttosto rivolta a una propria chiesa, a due deologie, che non hanno, tra loro, nulla di unificante, cosicché essi sembrano su posizioni di intransigente incomunicabilità.
Nella realtà dei fatti, già dalla svolta di Salerno, il gruppo dirigente comunista propone un accordo a tutte le altre forze politiche, guardando sopratutto ai cattolici. Il 15 maggio '43 Stalin aveva infatti motivato lo scioglimento dell'Internazionale, con la necessità di elaborare, con tutti i partiti comunisti europei, un programma strategico di politiche di unità nazionale nei paesi belligeranti, programma che consentisse di superare i contrasti interni e di raccogliere le forze per combattere il nazismo. Inoltre Stalin aveva già aderito al progetto di Winston Churchill, della divisione del mondo in zone d'influenza, progetto che verrà ufficializzato a Yalta nel '45. Nel marzo '44, in Svizzera, Umberto Terracini aspettava Togliatti diretto a Milano o Torino per assumervi la direzione del movimento insurrezionale delle masse operaie; quella di Terracini era l'illusione di un rivoluzionario d'altri tempi. Togliatti sbarca infatti a Napoli, da una nave alleata, come ambasciatore dell'Urss e segretario del Pci, per avviare la politica "trasformista" concordata a Mosca, senza preoccuparsi del parere dei "compagni", che avevano veramente combattuto il fascismo; ci fu qualche malumore, ma il conformismo prevalse "secondo i costumi della casa".
Quando il 27 marzo '44 Palmiro Togliatti arriva dall'Unione Sovietica in Italia, il governo Badoglio del Regno del Sud - costituito nel novembre '43 con solo tecnici e alti funzionari - stava incontrando grandi difficoltà; infatti esso non era stato ancora formalmente riconosciuto dagli alleati ed era osteggiato dai partiti antifascisti. Questi, il 10 settembre '43 si erano costituiti in Comitato di liberazione nazionale (Cln), con De Gasperi, per la Dc, Amendola per il Pci, Nenni, per il Psi, Cattani, per il Pli, La Malfa, per il Partito d'azione, Ruini per la Democrazia del lavoro e Bonomi, il 16 ottobre, avevano dichiarato che solo un governo espressione del Cln poteva chiamare il popolo alla lotta armata e, durante il congresso del gennaio '44, a Bari, avevano chiesto "l'abdicazione immediata del Re, responsabile delle sciagure del Paese".
Il governo aveva spostato la sua sede da Brindisi a Salerno, nella cui piana, nel settembre del '43, si era avuto lo sbarco alleato. Togliatti, al suo arrivo nella città campana è un fedele esecutore delle direttive di Stalin; conferma il riconoscimento del ministero Badoglio da parte dell'Urss e dichiara ufficialmente la disponibilità del Pci a collaborare con il governo, ponendo la lotta contro la Germania prioritaria rispetto alla questione istituzionale. La politica di Togliatti non trova ostacoli all'interno del Pci, poiché lui è "l'uomo di Stalin". Dopo il ritorno di Togliatti, il Pci abbandona le posizioni dottrinarie o di principio; il segretario, consapevole che l'Italia è un paese di confine e quindi potenziale terreno di scontro, non solo ideologico, suggerisce una linea morbida e compromissoria, adotta una tattica pragmatica e temporeggiatrice e mostra di rivolgersi ai notabili dello Stato, per assicurarli della volontà democratica del suo partito. Togliatti, dalla svolta di Salerno, ha già delineato una strategia politica che prevede una collaborazione con i cattolici e il non scontro con i notabili liberali. La Dc potrà contare sull'aiuto dei comunisti, per una sua piena legittimazione all'interno del Cln, contro l'ostilità dei partiti laicistici, legittimazione che sarà lo snodo della presa di potere che si avvierà, senza poi soluzione di continuità con il secondo gabinetto Bonomi. Nell'agosto del '45, alla Conferenza organizzata dal Pci sull'economia, Togliatti arriva a definire "utopistica" la pianificazione e si mostra favorevole a una politica di difesa della lira e delle piccole imprese. Nello stesso mese scrive su l'Unità: "La lotta si impegna ... non contro il capitalismo in generale, ma contro forme particolari di rapina, di speculazione e di corruzione, senza ledere l'iniziativa privata"; nella visione togliattiana si contrappongono un "capitalismo monopolistico", cattivo, e la piccola impresa, potenzialmente progressista. Il Pci si presenta anche con un volto aperto culturalmente, che spinge gruppi di intellettuali "liberali" a trovarvi rifugio, o a collaborare con Il Politecnico, che nasce a Milano, nel settembre '45, per i tipi di Giulio Einaudi.
2.4.1 Il primo governo politico
Badoglio costituisce quindi, nell'aprile del '44, un governo, non più tecnico, ma formato da rappresentanti dei partiti del Cln; la compagine ministeriale è costituita da personaggi del calibro di Croce, Omodeo, Arangio Ruiz, Sforza, Tarchiani. Anche Togliatti assume un incarico e fa parte del ristretto Consiglio di Gabinetto, avviando la politica di accordo istituzionale. Nel momento in cui il "vento del Nord" soffia con maggior forza, Togliatti accetta di aspettare la fine della guerra per la soluzione delle principali questioni istituzionali, sociali e politiche. La legittimazione ottenuta dal Pci viene pagata con l'accettazione della politica della "continuità dello Stato", primo passo verso il mantenimento delle vecchie strutture istituzionali e burocratiche. La Monarchia accetta di affidare il proprio destino a un referendum, da tenersi al termine della guerra, e il Re si impegna a trasmettere i suoi poteri al figlio Umberto, in qualità di luogotenente generale del Regno.
Dopo la liberazione di Roma, del 4 giugno '44, il Cln chiede, che, a capo del governo, venga posto un politico; gli alleati accettano e propongono una personalità, che possa rappresentare una sorta di continuità con l'Italia pre-fascista. La scelta cade su Ivanoe Bonomi, ex-socialista riformista, più volte ministro, presidente del Consiglio nel 1921-22, monarchico, che forma il governo con Pci, Psiup, Dc, Pli, demolaburisti, Pd'a. Con Bonomi si avvia il processo di restaurazione della vecchia burocrazia; i partiti di sinistra, impegnati a risolvere il nodo della questione istituzionale, credendo probabilmente nella neutralità delle istituzioni statali, non si rendono conto dell'importanza di una riforma della burocrazia e non si avvedono che sta invece per essere alzato un baluardo contro qualsiasi trasformazione dello Stato.
Nel giugno del '44, Giuseppe Di Vittorio, per il Pci, Achille Grandi, per la Dc, ed Emilio Canevari, per il Psi, ricostituiscono la Cgil, la Confederazione generale italiana del lavoro, e, con il Patto di Roma, dànno rilievo all'unità di tutti i lavoratori "senza riguardo alle opinioni politiche e alle credenze religiose"; il Patto è caldeggiato da Togliatti, che vede in esso un'altra possibilità di collaborazione con i cattolici, ma esso porta il virus della dipendenza dai partiti, che caratterizzerà, per anni, la politica sindacale italiana. La Dc non gradisce, però, molto l'unità sindacale; pertanto avvia una politica di maggiore autonomia dalle altre forze politiche, con la costituzione di Acli (agosto '44) e Coldiretti (ottobre '44), le prime vere basi dell'insediamento sociale della Dc. La Cgil concentra inizialmente la propria attenzione sulla situazione del bracciantato del Mezzogiorno e deve subire l'immediata aggressione della mafia, che protegge i proprietari terrieri.
Nel novembre '44 alcuni ministri minacciano le dimissioni, per i criteri adottati dal comunista Scoccimarro, Alto Commissario per le epurazioni, e Bonomi rassegna le dimissioni al luogotenete. Nel dicembre, grazie all'appoggio di inglesi e americani e contro la volontà delle sinistre, irritate per la sua politica restauratrice, si insedia il secondo governo Bonomi, del quale non fanno però parte azionisti e socialisti. Togliatti, che assume una delle tre vice-presidenze (con Rodinò, per la Dc e Brosio, per il Pli), decide invece che la presenza del Pci nel governo sia più importante di qualunque considerazione politica; sempre più forte è la presenza di ministri della Democrazia cristiana (De Gasperi, agli Esteri, Tupini, alla Giustizia, Gronchi all'Industria, commercio e lavoro). Nello stesso mese di dicembre Bonomi è costretto a riconoscere il Cln alta Italia come "organo dei partiti anti-fascisti nei territori occupati dal nemico" e delega il Clnai a rappresentare il governo al Nord.
Nell'aprile del '45, l'amministrazione delle città del Nord è nelle mani dei Cln, nel cui interno operano i rappresentanti di cinque partiti, liberale, democristiano, azionista, socialista e comunista, che, in attesa di libere elezioni, hanno accettato il principio di parità, poiché nessuno è in grado di prevedere la propria consistenza elettorale. Le posizioni di prefetto e sindaco vengono spartite in base a questo criterio. Il Sud, che non ha conosciuto la lotta partigiana e le cui città, a eccezione di Napoli e Matera, sono state liberate dagli alleati, si chiede preoccupato cosa siano questi comitati di liberazione, che pretendono di imporre la loro volontà al Paese, e si appresta a diventare bacino elettorale per le liste populiste di destra.
Il 21 giugno '45 si insedia il primo governo dopo la Liberazione; il capo delle formazioni non comuniste della Resistenza, Ferruccio Parri, azionista ed eroe partigiano, su designazione del Cln, assume l'incarico di Capo di un governo di "unità nazionale"; la sua nomina passa dopo aspri contrasti tra i rappresentanti del Nord Italia e i politici "romani", come risulta anche dai Diari di Pietro Nenni, e rappresenta il punto di equilibrio tra la candidatura Nenni, delle sinistre e quella De Gasperi, dei cattolici. L'azione di Parri parte dalla premessa che per costruire uno stato più moderno e più giusto, sia prima necessario rompere i centri di potere del fascismo e del vecchio regime liberale. Ma l'ambizioso progetto si scontra con l'establishment della capitale; inoltre i comunisti alimentano il fuoco dello scontento popolare e fanno di tutto perché il Ministero Parri si logori nell'inazione, i democristiani sono contrari a un capo di governo, laico, e che tiene il timone della politica spostato a sinistra, gli americani, che inizialmente avevano dato il proprio appoggio proprio all'ala liberal del Pda, non lo sostengono più. Finchè, i liberali, coordinando la propria azione con De Gasperi, gli tolgono l'appoggio, specie con l'accusa di essere intransigente sulla questione delle epurazioni, e i democristiani ne chiedono le dimissioni, con la scusa della necessità di salvaguardare la composizione esapartita del governo. Pertanto, dopo cinque mesi, Parri è costretto a lasciare l'incarico a favore del primo gabinetto De Gasperi, sempre di "unità nazionale" (Dc, Psiup, Pci, PdA, Ddl, e Pli); Togliatti, afferma su l'Unità, che la nomina del leader Dc rappresenta una vittoria della sinistra e anche i socialisti affermano che il nuovo governo rappresenta meglio le istanze di "solidarietà popolare". Al laico Parri si preferisce il cattolico De Gaspero puntellato dal (si direbbe oggi) buonista Togliatti. Il 24 novembre '45, con la caduta del governo Parri, si verifica un cambiamento decisivo nella storia politica del Paese: il passaggio dall'Italia della resistenza a quella dei governi moderati, una svolta, che allora pochi avvertono, ma che rappresenterà il punto d'avvio del regime democristiano. Quando Parri convoca i rappresentanti del Cln, per annunciare che presenterà le proprie dimissioni, afferma che il comportamento del partito liberale e della Dc possono essere considerati una sorta di colpo di stato; oggi comprendiamo meglio il significato e la valenza di quelle parole, da quel momento il "vento del Nord" ha cessato di sofiare.
Parri viene etichettato come "uomo integerrimo, ma inadatto alla politica"; quest'affermazione, che vede concordi tutti gli schieramenti, sarà la pietra tombale delle speranze di un'Italia moralmente rigenerata. Lo stesso Parri ammetterà, che le sinistre consentendo ai liberali di abbattere il suo governo "garantirono la continuità dello stato fascista, con le sue istituzioni, le sue leggi, i suoi privilegi"; Carlo Levi farà dire, di lui, al protagonista del romanzo L'Orologio, "E' un padre. Un crisantemo sopra un letamaio". Secondo Italo De Feo "Togliatti spiega la soluzione della crisi in modo molto semplice. L'antifascismo italiano è scarso di uomini e d'intelligenze. I Cln non sono riusciti a mobilitare lo spirito democratico del paese e perciò la loro sconfitta ed estromissione era inevitabile".
La fuga e il tradimento del re e dei generali, dopo la firma dell'armistizio, aveva visto un vecchio liberale, Luigi Einaudi, emettere, nel famoso articolo "Via il prefetto!" un verdetto di morte per il vecchio ordinamento e l'auspicio della nascita di un nuovo stato, per volontà del popolo "E' lo stato che si rifà spontaneamente. lasciamolo riformarsi dal basso, com'è sua natura." Secondo questa logica era nata la struttura clandestina dei Comitati di Liberazione Nazionale, ma come ammetterà il comunista Giovanni Ferro, sul ruolo avuto da Togliatti nella sconfitta delle forze del rinnovamento : "... sconvolgente risultò, invece, il fatto che un teorico della rivoluzione mondiale fosse venuto da Mosca per teorizzare l'utilità di conservare integralmente il vecchio stato, ritenendolo più idoneo a conciliare gli opposti interessi delle potenze alleate, che dovevano avere la precedenza su quelli italiani". Affermerà ancora Ferro "La caduta del governo Parri costituì per gli antifascisti d'ogni orientamento politico il segno premonitore di quel processo di decadimento morale e politico che avrebbe portato al fallimento lo stato repubblicano".
Il governo Parri, rappresentando la "continuità dell'antifascismo", avrebbe potuto creare uno nuovo stato, ma, gli ideali di Giustizia e Libertà per i quali tutti gli antifascisti avevano combattuto vengono svenduti dalla politica del compromesso e del trasformismo. A Milano l'antifascsimo aveva saputo far nascere uno stuolo di competenze tecniche, pronte per la costruzione di un nuovo stato, la Commissione economica del Clnai, presieduta in successione da Cesare Merzagora, Roberto Tremelloni e Virgilio Dagnino, aveva le carte in regola per avviare la ripresa economica del Paese, ma, con la svolta di Salerno, era stata concessa un'ancora di salvezza al vecchio ordinamento, era prevalsa la logica della "continuità dello stato", che conduce alla smobilitazione dei Cln, all'organizzazione verticistica e burocratica dei partiti di massa, alla mancata epurazione della burocrazia fascista, al mantenimento dell'ordinamento centralizzato dello stato. A Proposito della caduta del suo governo, criverà Parri "Mi sostennero le spontanee dimostrazioni popolari: non mi sostennero i partiti di sinistra. E la responsabilità di aver allontanato - dalla direzione del governo la resistenza antifascista - va equamente ripartita fra tutti i partiti allora al governo". La Resistenza, dopo aver vinto molte battaglie perde la guerra per una nuova organizzazione dello stato.
Non sarà solo Parri ad essere emarginato dal processo di ricostruzione del Paese; poca voce avranno anche uomini come Salvemini, Sturzo, Calamandrei, Spinelli, Rossi, Augusto Monti e tanti altri "integerrimi", che non accetteranno il primato dei compromessi, della cortigianeria e della furbizia degli italici arlecchini. Alla democrazia schumpeteriana intesa come "libera concorrenza fra libere minoranze", verrà preferita la democrazia imposta dagli apparati di partito, al metodo empirico del trial and error, verranno preferiti i dogmi delle varie chiese, che si combatteranno o si accorderanno solo in funzione di calcoli di convenienza. Nel Paese di Machiavelli, che per primo avvalorò l'opinione che la vocazione politica nasce dalla sete di potere e non dalla volontà di operare per il bene dei cittadini, nel Paese di Croce, che dichiarava come un paese governato da uomini onesti, preoccupati solo del bene dei cittadini, fosse sogno per allocchi, l'opzione morale deve cedere il posto a chi è invece convinto che etica e politica siano due principi indipendenti.
Tra il dicembre del '45 e il maggio del '46 vengono stipulati, tra imprenditori e sindacato, accordi salariali, a livello nazionale, che escludono, però, la possibilità di trattative a livello aziendale. Il desiderio della Cgil, di evitare l'allargamento della forbice tra Nord e Sud, si trasforma in un'arma in mano della classe imprenditoriale e in un elemento di indebolimento delle organizzazioni sindacali di fabbrica e di evaporazione dei Consigli di gestione, creati dal Clnai, al tempo dell'insurrezione. Non va meglio nelle campagne; nel '44 il ministro comunista dell'Agricoltura, Fausto Gullo, cerca, a colpi di decreti legge, sia di rompere i secolari rapporti di classe del mondo rurale, specie quello meridionale, sia di scongiurare la radicalizzazione della lotta contadina; ma il suo progetto è duramente osteggiato da democristiani e liberali, finché, nel secondo gabinetto De Gasperi, Gullo non verrà sostituito da Antonio Segni. Il programma di riforma agraria di Gullo si trasforma in un insuccesso, i punti più radicali, non hanno applicazione, i più moderati, come l'occupazione di terre incolte e la revisione dei patti agrari riscuotono un successo solo locale e temporaneo. Anche se gli oppositori della riforma agraria non avrebbero avuto successo senza l'arrendevolezza del Pci, timoroso di mettere in pericolo l'alleanza con la Dc, nel Centro Italia l'attivismo della componente comunista di Federterra, il sindacato agricolo della Cgil, crea un legame tra mondo rurale e Pci, che si trasformerà in un supporto elettorale al partito, costante e fedele.
Il 12 aprile '45 muore Roosevelt e il suo successore, Harry Truman, mostra la sua fermezza: chiude la guerra con i giapponesi, sostituisce alla politica del dialogo con l'Urss, quella del confronto, avvia, su suggerimento di Churchill, che non nascondeva il suo disprezzo nei confronti degli italiani e che non aveva mai condiviso le idee di Roosevelt, la politica del contenimento del comunismo in Italia, allontana i funzionari dell'Office of strategic service (antesignano della Cia), accusati di mantenere buoni rapporti con i comunisti: sta per iniziare l'era della caccia alle streghe.
Nel '45 escono i settimanali Oggi di Rusconi, Il Politecnico di Vittorini L'Europeo di Benedetti e L'Epoca di Repaci, Carlo Levi pubblica Cristo si è fermato ad Eboli, Rossellini gira Roma città aperta, il nuovo Corriere della sera è il quotidiano più letto; la vita culturale, sociale ed economica del Paese ha ripreso a pulsare.
Il 10 aprile '46, gli sforzi di Raffaele Mattioli vengono coronati da successo con la fondazione, a Milano, di Mediobanca (le quote sono assunte per il 35% ciascuno da Comit e Credit, e per il 30 % dal Banco di Roma), una mechant bank, o banca d'affari, con il compito di partecipare al capitale di rischio di imprese e di collocare titoli; Adolfo Tino è nominato Presidente, mentre Direttore generale è il trentanovenne Enrico Cuccia. Mediobanca diventerà, per alcuni, il "salotto buono" del capitalismo privato italiano, per altri uno "Stato nello Stato", ma è certo che essa condizionerà e sosterrà il sistema produttivo privato, in mano alle grandi famiglie, e avverserà il capitalismo di Stato e lo statalismo. In tempi diversi Mediobanca sarà protagonista, anche, di vittoriose epiche battaglie contro la cosiddetta "finanza cattolica", Marcinkus, Sindona, Calvi, dovranno piegarsi di fronte alla capacità di Cuccia, diventato il dominus incontrastato dell'Istituto di via Filodrammatici. Il banchiere siciliano, dopo la sconfitta del fronte popolare dell'aprile del '48, porterà Mediobanca a diventare l'unica realtà finanziaria italiana con respiro internazionale, realtà che difenderà con i denti dall'azionista di maggioranza, l'Iri, per metterla al riparo dalle intromissioni politiche, e che porterà alla privatizzazione, nel 1987, sotto la Presidenza di Antonio Maccanico, quando le tre Banche di interesse nazionale metteranno sul mercato il 20 % delle azioni di Mediobanca. A Cuccia verranno attribuite molte responsabilità, ma non è difficile ammettere che senza di lui, negli anni settanta-ottanta, gran parte delle grandi aziende private sarebbero finite in mano pubblica; occorre però sottolineare che le operazioni finanziarie, di cui Mediobanca sarà capace, andranno sempre a scapito dei piccoli azionisti e a favore delle grandi famiglie.
Nell'aprile del '46 si tiene il primo congresso della Dc; viene lasciata libertà agli elettori di votare repubblica o monarchia al referendum istituzionale.

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14 gennaio 2017

 

Tratto da

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www.impresaoggi.com