In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"
Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.
Articolo precedente
2.6 La repubblica
Il 9 maggio '46, tardivamente per poter salvare la monarchia, Vittorio Emanuele III abdica in favore di Umberto. Il 2 giugno gli italiani sono chiamati a votare per il referendum istituzionale e per l'Assemblea Costituente; votano anche le donne, per la prima volta nella storia del Paese. L'ordine pubblico è affidato al socialista Giuseppe Romita, all'Interno, e a Togliatti, alla Giustizia. La pubblicistica monarchica alimenterà per anni il sospetto che la vittoria della Repubblica fu ottenuta con la manipolazione dei voti da parte del ministero dell'Interno sotto le pressioni e le minacce del Pci, ma queste accuse non hanno mai avuto il sostegno di prove tangibili.
Il Sud si sente derubato della Monarchia e a Napoli si hanno violente manifestazioni al grido di "Viva Masaniello! Abbasso la Repubblica"; il desiderio di fare ammuina è grande, ma il comportamento corretto di Umberto, le esigenze della ricostruzione e la necessità della campata prevalgono, alla fine, sulla disillusione per i risultati del referendum. Occorre ammettere che Umberto non ha ostacolato, ma favorito il passaggio dall'Italia del '43, a quella del '46; pur esistendo, infatti, nel Paese un potenziale sociale, costituto dal ceto medio impiegatizio e dagli apparati statali, disponibile per un partito monarchico di massa, il Re interpreta il proprio ruolo 'super partes" e dà piena leggittimità agli uomini e ai partiti usciti dalla Resistenza. L'ira del meridione si riduce nel decretare il successo dell'Uomo qualunque, la testata di Guglielmo Giannini che, da uomo di teatro e napoletano, sa cogliere gli umori dei suoi concittadini e interpretare le frustrazioni e i disagi delle genti del Sud; il giornale raggiunge quasi il milione di copie, ma la stella dell'Uomo qualunque scomparirà con la stessa rapidità con la quale era apparsa.
Le elezioni della Costituente dànno alla Dc il 35,2% dei voti, al Psiup il 20,7%, al Pci il 18,9%, ai liberali dell'Unione democratica nazionale, il 6,8%, all'Uomo qualunque, il 5,1%, al Pri, il 4,4%, ai monarchici del Blocco nazionale della libertà, il 2,8%, al Pd'a, l'1,4%. Con la vittoria dei tre partiti di massa l'Italia si libera definitivamente del notabilato legato ai vecchi equilibri e ai vecchi giochi dell'Italia prefascista; la vittoria della Dc viene propiziata dall'appoggio della Santa Sede, dall'Azione cattolica, che mette in campo i suoi trecentomila membri a sostegno del partito e dalle Organizzazioni fiancheggiatrici, come la Coldiretti e le Acli, l'associazione dei lavoratori cattolici. La vittoria viene sfruttata da De Gasperi "per un'operazione tattica di grande rilievo: la presentazione della Dc, che è l'asse portante dello schieramento conservatore, come un partito al centro dello schieramento politico globale", operazione che si rivelerà l'asse portante dei cinquant'anni di politica democristiana.
Con le elezioni del '46, trascurando la parentesi fascista, si chiude definitivamente il tempo dei governi liberali e si apre quello dei governi democratici, si chiude l'era dell'aristocrazia politica, per far posto alla democrazia delle masse, cade il primato della società civile e delle libertà, che cede il passo a quello dei partiti e della giustizia sociale, scompare lo stato borghese, laico e risorgimentale per fare posto a quello popolare e ideologizzato.
La Dc oltrecché essere l'unico partito interclassista è anche ben distribuito su tutto il territorio: 35,2% al Nord e 34,7 al Sud (i partiti della sinistra raggiungono invece il 50,8 al Nord e il 21,8 al Sud, la destra ottiene il 4,6 al Nord e il 20,8 al Sud).
Il Psiup, nato dalla fusione tra il Psi e il Movimento di unità proletaria di Lelio Basso, riscuote un successo insperato. I socialisti erano stati frantumati dalle scissioni, tra il'21 e il '24, e solo la paziente opera di Nenni aveva permesso, nel '30, di operare una ricucitura; essi, inoltre, erano stati scarsamente presenti durante il ventennio, sottoposti alla concorrenza dei comunisti e del movimento di Giustizia e Libertà, che li accusavano di non essere riusciti a contrastare il fascismo, pur disponendo, nel '19, dell'unica organizzazione di massa. Al socialismo veniva attribuita anche la colpa di non essere riuscito a far convivere la sua anima riformista con quella massimalista, con il risultato di aver generato un riformismo attendista e un massimalismo sterile; inoltre, nella lotta partigiana i socialisti non avevano avuto lo stesso ruolo dei combattenti comunisti e azionisti. Nell'autunno del '44 i socialisti non accolgono l'invito di Ugo La Malfa di elaborare insieme un programma di transizione e confermano il patto d'azione stipulato nel settembre del '43 con il Pci. Il Psiup, si presenta alle elezioni pittosto incerto, minato da faide intestine, che ne limitano l'azione - nel partito convivono infatti l'anima filo comunista e quella autonomista - e sostenuto con determinazione solo dal populismo sanguigno di Pietro Nenni. Eppure il successo gli arriva insperato: gli italiani hanno sentito forse il bisogno di riprendere un discorso interrotto violentemente venticinque anni prima. Il partito raccoglie le forze del socialismo riformista e quindi di un elettorato moderato, che si riconosce nei principi del socialismo democratico, ma i suoi quadri sono prevalentemente di ispirazione rivoluzionaria e perseguono una politica massimalista e classista.
La delusione nel Pci è grande, il partito inizia a rendersi conto che al pieno delle piazze non corrisponde automaticamente il pieno elettorale e ad accorgersi dell'esistenza di una maggioranza moderata che rappresenta il vero ago della bilancia politica in Italia. La mancata vittoria dei comunisti è radicata però nella loro storia e nel ritardo nell'attuare la transizione da partito élitario di quadri, di ispirazione bolscevica, a partito di massa.
Dopo la sconfitta Pietro Secchia, trovando appoggio in Longo, impone la "svolta di Firenze"; vengono costituite le cellule di strada e di fabbrica, viene inaugurata l'era zdanoviana del controllo ideologico sugli intellettuali (la gestione dei problemi della cultura viene affidata a Emilio Sereni), nasce l'agit-prop, una specie di commissario del popolo che vigila sulla fedeltà alla linea del partito dei compagni a lui affidati. Palmiro Togliatti prosegue comunque nel suo disegno di alleanza tattica con la Dc, tanto che arriva ad accettare nella Costituzione repubblicana, sia la dizione "Lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani", al posto di quella più laica "Lo Stato riconosce l'indipendenza della Chiesa cattolica nei suoi ordinamenti interni", che i patti lateranensi, la cui approvazione farà dire incautamente a Togliatti "Questo voto ci assicura un posto al governo per i prossimi venti anni".
Il Partito d'azione sparisce dall'agòne politico. Gli azionisti pagano l'ostilità dei partiti di massa e la concorrenza del Pri; l'intransigenza sull'opzione repubblicana e sulla necessità di procedere all'epurazione di coloro che occupavano gangli vitali della vita del Paese, l'ostinazione a far valere i "principi" e la "centralità della questione morale", tutto ciò viene tacciato di "velleitarismo".
Ma se il Pd'a scompare, non scompare il messaggio, che i suoi uomini, trasmigrati in questo e quel partito, portano con sè, la fermezza morale, laica e illuministica, il rispetto dell'intelligenza e della cultura, il disprezzo della demagogia; molti di essi diventeranno la "coscienza critica" del regime democristiano. Nonostante ciò, l'azionismo verrà considerato, per moltissimi anni, nelle chiese cattolica e marxista, un potere potenziale e un pericolo incombente, attorno al quale fare terra bruciata. Lo spirito azionista e la cultura laica di sinistra sopravviveranno, anche, nel settimanale Il mondo, fondato da Mario Pannunzio nel '49, cui farà da contraltare Il Borghese di Longanesi, che rappresenterà, invece, la cultura laica di destra e che vedrà attiva la penna corrosiva e focosa di Indro Montanelli.
Alle elezione della Costituente, solo al quarto posto, con meno del 7% dei voti, si colloca l'Unione democratica nazionale, nella quale erano confluiti i voti dei liberal conservatori; il liberalismo classico, in contrapposizione a quello del Pd'A, era rinato a Roma, attorno a Benedetto Croce, e vi erano rappresentati gli interessi degli agrari del Sud e di casa Savoia. L'Udn era capeggiata da "quattro vecchi" dell'Italia pre-fascista, Croce, Bonomi, Nitti e Orlando, aggrappati all'heri dicebamus, indifferenti ai valori della resistenza, sordi alle nuove esigenze e alle aspettative del Paese. Ricorda Montanelli: "Fu un risultato modesto ove si pensi che i liberali si erano pronunciati nel loro congresso per la Monarchia. La loro immagine, storicamente gloriosa, era sembrata all'elettorato troppo vecchia, troppo debole, troppo compromissoria. Avvenne così che gran parte del voto schiettamente moderato e tiepidamente monarchico si riversasse nella Dc, che era stata repubblicana nel suo congresso, ma agnostica nel comportamento di molti dei suoi esponenti: e che il voto monarchico ruggente si orientasse in buona misura verso il Movimento dell'uomo qualunque". Queste elezioni registrano quindi il definitivo tramonto del Partito liberale, che dall'unificazione aveva sempre svolto un ruolo di primo piano in Italia; non viene accolto dagli italiani il messaggio di Benedetto Croce secondo il quale il fascismo doveva essere considerato una parentesi nella storia d'Italia, una sorta di malattia su un corpo sostanzialmente sano e che una volta debellata la malattia doveva essere ripreso, nella continuità delle istituzioni e della tradizione laica e liberale, il percorso interrotto nel 1922. D'altra parte il pensiero liberale era anche oggetto di attriti tra la corrente crociana, che considerava l'idea liberale "etica e assoluta" e negava che essa potesse legarsi a priori ad una base economica, e la corrente einaudiana, che poneva alla base dell'idea liberale il liberismo economico.
Nel giugno '46 Togliatti, come ministro della Giustizia, promulga un'amnistia che segna la fine delle epurazioni e, con un colpo di spugna, cancella reati e responsabilità. Il processo di rinnovamento dell'amministrazione statale si è risolto in un fallimento; ostacolato dal governo Bonomi, il rinnovamento è stato tentato solo da Parri, sincero fautore della necessità di fare pulizia nei confronti di coloro che erano incorsi nelle maggiori responsabilità, di colpire in alto e indulgere in basso; ma con il governo De Gasperi, le forze della conservazione e la cultura del perdonismo hanno il sopravvento, e le epurazione si trasformano in una commedia: vengono colpiti, infatti, alcuni, dei livelli più bassi, mentre i maggiori responsabili restano ai propri posti. La magistratura non viene toccata, e, nel '60, si constaterà che ben 62 dei 64 prefetti erano stati funzionari durante il fascismo. L'unica vera epurazione sarà quella nei confronti dei partigiani entrati nell'amministrazione statale dopo la liberazione.
Per compensare la sconfitta dell'Italia monarchica, i partiti convengono che il primo Capo dello Stato repubblicano debba essere una personalità filomonarchica e meridionale, cosicché cadono le ipotesi Einaudi e Bonomi, mentre il laicismo intransigente di Benedetto Croce, che si professa credente nella "religione della libertà", è motivo di veto da parte della Dc. De Gasperi indica Enrico De Nicola, napoletano, ex-consigliere della Corona e giurista, che, il 28 giugno, è eletto Presidente provvisorio della Repubblica.
Il 16 luglio viene costituito il secondo gabinetto De Gasperi, terzo di "unità nazionale", formato da Dc, Psiup, Pci, Pri e dal liberale Epicarmo Corbino (nominato ministro al Tesoro), che dovrà uscire però in settembre dal governo, per la pressione delle sinistre e dell'ala sindacalista della Dc, che non accettano la sua politica iper-liberista. Il secondo governo De Gasperi accentua la posizione centrale della Dc e segna l'inizio del controllo dei ministeri chiave. Il nuovo governo viene salutato dall'azionista Tristano Codignola con queste parole: "Un governo tripartito dei partiti di massa ... è un governo che non governa, costituzionalmente incapace di fare e di attuare un programma: un governo privo di un elemento fondamentale, la responsabilità".
Nel novembre del '46, in occasione di elezioni amministrative in alcune città, la Dc subisce una sconfitta, vincono i comunisti a sinistra, che si rafforzano anche a spese dei socialisti, e i qualunquisti a destra. De Gasperi si rende conto che l'accordo con le sinistre premia il Pci, che, pur essendo al governo, nelle piazze soffia sul fuoco dello scontento e teme che la gerarchia ecclesiastica abbandoni il partito (dalle carte di De Gasperi risulta che il 12 novembre '46 monsignor Montini comunica al presidente del consiglio che per il pontefice "la collaborazione con i partiti anticlericali non è più ammessa" e che in caso in cui tale collaborazione fosse proceduta, la Dc non avrebbe più avuto né l'appoggio né la simpatia del pontefice). De Gasperi si sente peraltro accerchiato, perché repubblicani, liberali e Confindustria criticano la linea economica e l'elevato tasso di inflazione e anche gli americani hanno cambiato atteggiamento: terminata con la Russia la luna di miele roosveltiana, essi si avviano, con Truman, a percorrere la strada della guerra fredda, di fronte all'arroganza di Stalin nei paesi occupati dall'Armata rossa. Pio XII esercita forti pressioni su De Gasperi, tramite il cardinale Montini, perché rompa con comunisti e socialisti; il 22 dicembre, durante un'omelia in Piazza S. Pietro, lancia l'antico grido di battaglia "O con Cristo o contro di Cristo; o con la sua Chiesa o contro la sua Chiesa".
Il Psiup nel frattempo è sempre più nel gorgo delle lotte intestine; Nenni non riesce ad approfittare della vittoria elettorale del '46, non si rende conto che un vero bipolarismo politico può nascere solo attorno a un partito socialista egemone dello schieramento di sinistra e non subalterno, esalta la "natura operaia" del partito, a scapito delle classi medie, perde l'occasione storica di creare un grande partito riformista, rifiutando la proposta di Saragat di fare del Psiup non "la retroguardia del bolscevismo, ma l'avanguardia della democrazia". L'undici gennaio '47 si consuma la scissione di palazzo Barberini, il Psiup si scinde nel Psi e nel Partito socialista dei lavoratori italiani; dei 115 deputati socialisti della Costituente ben 52 passano con il Psli di Saragat. La scissione avrà due effetti: l'imbalsamazione del Psli, prima, e del Psdi, dopo, e la sua degenerazione in partito vassallo della Dc, e la colonizzazione, da parte del Pci, di un Psi, che impiegherà anni per trovare il proprio ubi-consistam.
Nel dicembre del 1946, per iniziativa di un gruppo di reduci della Repubblica di Salò, nasce il Movimento sociale italiano; come osserva Ignazi, all'interno del partito si scontrano presto due anime, quella del Nord, che si rifà "ai principi socializzatori, anticapitalisti e antiborghesi della carta di Verona" e agli ideali rivoluzionari delle origini (sostenuta da Almirante), e quella del Sud, che si richiama al fascismo-regime, alla monarchia e al corporativismo economico, e si caratterizza "per la sua impostazione borghese, clericale, moderata e conservatrice" (sostenuta da De Marsanich e Michelini). Questa seconda componente porta al movimento ex-gerarchi, ex-notabili dell'Uomo qualunque e gli elettori; alle elezioni del '48, infatti, i sei deputati eletti proverranno tutti da collegi del Sud. Il Msi troverà un punto di equilibrio tra spinte rivoluzionarie e conservatrici con la famosa formula "non rinnegare e non restaurare" e, nel '51, dopo la vittoria della componente moderata, potrà seguire una politica, che condurrà a un'alleanza elettorale con i monarchici, ad approvare il Patto atlantico e ad offrirsi alla Dc, come una "forza nazionale che si batte per la difesa dei comuni interessi, la civiltà cristiana e la lotta al materialismo comunista". Le componenti giovanili del Msi si ispireranno a Julius Evola e ai suoi "richiami alla gerarchia, all'ineguaglianza, all'ordine naturale e immodificabile, all'esistenza di arcana imperrii inaccessibili, alla sottovalutazione dell'elemento razionale rispetto al tradizionale e al mitico, al disprezzo dell'economico, contrapposto allo spirituale, al culto dell'eroico". La filosofia evoliana fa presa tra i giovani se si pensa che il Fuan, il movimento degli universitari missini, all'inizio degli anni cinquanta, conquista la maggioranza assoluta negli atenei di Perugia, Bari e Camerino e relativa a Catania, Palermo e Pisa.
La crisi di governo del gennaio '47 approda al tripartito Dc/Pci/Psi, con il terzo Ministero De Gasperi, quarto di "unità nazionale" , dando ai comunisti l'impressione che l'accordo tra cattolici e comunisti sia un processo irreversibile; così si spiega anche il voto comunista in favore dell'inserimento nella Costituzione, dei Patti lateranensi, con il carico di illiberalità che essi contengono.
Nell'aprile del '47 la Dc subisce una seconda sconfitta; alle elezioni regionali in Sicilia (che con Val d'Aosta e Trentino Alto Adige, aveva ottenuto un'assemblea regionale e più ampie autonomie), scende dal 33,6%, al 20,5% di consensi. E' questo un segnale inequivocabile per De Gasperi; d'altra parte, i patti lateranensi sono stati oramai approvati, ed è quindi possibile procedere alla rottura con le sinistre.
Il primo maggio del '47, a Portella della Ginestra, la mafia risponde in modo deciso e immediato all'avanzata dei comunisti; essa spara sulla folla, raccolta per celebrare la festa dei lavoratori, uccidendo undici persone e ferendone sessantacinque, ribadendo, pertanto, la propria volontà di dominio sull'isola. De Gasperi si dimette e la crisi viene superata, il 31 maggio, quando la Costituente dà la fiducia al quarto governo De Gasperi, un monocolore democristiano, integrato da due liberali (Einaudi, uno dei maggiori economisti europei, è alla vicepresidenza e al Bilancio) e alcuni indipendenti. E' chiamato il governo "della rinascita e della salvezza" e segna, sia la fine della coalizione antifascista, nata dalla Resistenza, sia l'avvio dell'era della Dc, partito di governo. L'estromissione dal governo di comunisti e socialisti, l'affidamento della responsabilità degli affari economici a Luigi Einaudi, le garanzie offerte al mondo degli imprenditori, l'appoggio degli Stati uniti, daranno luogo a quella svolta, che porterà, in pochi anni, a trasformare l'Italia da agricolo in grande paese industriale.
Il rimpasto del dicembre '47 vede entrare nel governo i socialisti del Psli, i repubblicani e i liberali (Einaudi vi era infatti presente solo a titolo personale, Saragat e Pacciardi affiancano Einaudi alla vice-presidenza), dando vita a quell'accordo politico "centrista", che, più o meno stabilmente, reggerà fino alla costituzione del centro-sinistra. Le elezioni amministrative, a Roma, premiano subito la nuova politica della Dc, che raddoppia i voti. Il Pci vive una fase di contrasti interni, tra la minoranza di Secchia, che tenta di spingere il partito verso posizioni dure e oltranziste e Togliatti, che non rinuncia al disegno della "democrazia progressiva" e che, inoltre, ha ricevuto istruzioni, da Stalin, sulla non opportunità di un'insurrezione in Italia, pur con la necessità di tenere il Pci pronto allo scontro armato.
Nel dicembre del '47 la Dc tiene il suo secondo Congresso, conferma Piccioni segretario e propone l'allargamento al governo ad altre forze moderate.
Il 22 dicembre del '47 viene approvata la Costituzione e con essa si chiude l'era della collaborazione tra cattolici e marxisti, nata durante la lotta di liberazione, prima, e sulle ceneri del fascismo, poi. La Costituzione nasce immiserita da preoccupazioni politiche ed elettoralistiche, imbrigliata dal bisogno di assicurare reciproche garanzie, piuttosto che realizzare forti istituzioni democratiche; essa brilla per la mancanza di fantasia e di coraggio. Mentre in Germania il ricordo della debole Repubblica di Weimar induce a propendere per una democrazia forte, in Italia prevale l'idea che il pericolo della dittatura si possa contrastare solo con un'articolata distribuzione del potere; l'opposizione può disporre "di un potere di veto quale non si riscontra in nessun'altra democrazia occidentale" e viene meno il principio primo della responsabilità e cioé il dovere di governare da parte delle maggioranze. La Costituzione, che prevede un potere esecutivo in balia del Parlamento, e un Parlamento ostacolato nel suo lavoro dalla presenza di due Camere con le stesse identiche competenze, pone le basi per assicurare la centralità dei partiti (la "democrazia dei partiti", dirà Lelio Basso), e quindi per favorire la logica compromissoria, contro quella della competizione e l'instabilità dei governi. Essa potrebbe non essere un punto d'arrivo, ma un punto di partenza per trasformazioni, che però non verranno mai. Calamandrei sintetizza così il suo pensiero sulla Costituzione "davanti alla rivoluzione sbandierata si era aperta la strada alla restaurazione clandestina", lo spirito della Resistenza si era oramai affievolito. Non sarà solo la Costituzione, testimonianza di quel "riattaccarsi con pigra nostalgia alle comode e cieche viltà del passato", ma tutta l'azione politica del periodo '45-'48 sarà caratterizzata dal trionfo del continuismo. Gli istituti del regime fascista diventano l'ossatura della Repubblica: forze armate, magistratura, burocrazia centrale e periferica, associazioni di coltivatori diretti, federazioni di consorzi agrari, Iri, Imi, ferrovie dello Stato, Inps, restano il nocciolo della conservazione, che si opporrà con tutte le proprie forze alla trasformazione e alla modernizzazione dell'amministrazione dello stato, perpetuando privilegi e ingiustizie. Grandi studiosi dell'epoca capirono la gravità di aver approvato una Costituzione zoppa, perchè frutto di una logica compromissoria tra Dc e Pci, ma al referendum del 4 dicembre 2016 i fautori del no al rinnovamento turlupinarono le piazze con lo slogan la Costituzione è sacra e non si tocca.
Nenni, perseverando nella politica di autolesionismo, commette un altro errore: convince Togliatti a presentarsi alle elezioni politiche con liste comuni. Sandro Pertini, Ignazio Silone, Ivan Matteo Lombardo, Riccardo Lombardi mettono in guardia il partito dai rischi di vassallaggio politico, ma le loro voci restano inascoltate; il partito paga la sua scelta con l'esclusione dall'Internazionale socialista. Lo stalinismo sta rivelando intanto il suo volto (nel maggio '47 si hanno i drammatici avvenimenti, che impongono al presidente ungherese Nagy le dimissioni, è del febbraio '48 il colpo di stato in Cecoslovacchia, che conduce al governo Gottward e al "suicidio" di Masaryk), l'economia sta dando segni di forte ripresa, ma, sordo a questi segnali, il Congresso del Psi si pronuncia a favore del Fronte popolare.
L'Italia si prepara alle elezioni, con spirito da crociata, con accuse durissime da una parte e dall'altra e con la messa in stato di allerta di questori ed ex-partigiani comunisti, per parare l'eventuale colpo di stato, che ciascun contendente paventa dalla parte avversa. Il ministro dell'interno, Scelba, rafforza la polizia di ventimila unità e mette a punto un piano antisommossa; il piano prevede la divisione del paese in grosse circoscrizioni a capo delle quali, in caso di insurrezione comunista e interruzione dei contatti con Roma, andrebbe automaticamente un superprefetto, dotato di pieni poteri. Pio XII lancia un appello ai cattolici perché combattano uniti contro il materialismo ateo, ricordando ancora che la scelta politica è "con Cristo o contro Cristo".
Le elezioni del 18 aprile '48, premiano la nuova politica della Dc che conquista il 48,5% dei voti, e segnano la sconfitta del Fronte (31%), che viene penalizzato, sia da errori interni, come la demagogia operaista e frontista e la secessione saragatiana, sia da avvenimenti esterni, come l'imperialismo staliniano, il colpo di stato comunista a Praga, del mese di marzo, e l'avvio della guerra fredda. I moderati cattolici e, loro malgrado, laici, hanno trovato rappresentanza e rifugio sotto le insegne della democrazia cristiana, che sembra assicurare meglio lo sviluppo economico; è interessante ricordare che De Gasperi scriveva a Pio XII "...banche, Istituti economici, grandi editori, grosse industrie sono in mano a uomini che possono considerarsi in fondo degli anticlericali rinsaviti dalla paura del comunismo". Le sinistre, incapaci di una seria autocritica, che consideri il mutato stato d'animo degli italiani rispetto ai primi giorni della liberazione e la trasformazione, che sta vivendo il Paese, accusano il comportamento della Chiesa, con i relativi risvolti pittoreschi, come madonne piangenti e pellegrine, i Comitati civici di Luigi Gedda, il "microfono di Dio" di padre Lombardi, con i suoi scenari apocalittici e gli americani, con il loro programma di aiuti economici. La sinistra, dalla consultazione non è capace di trarre un insegnamento essenziale: una percentuale enorme degli elettori è priva di cultura politica, essa è facile preda del populismo mitopoietico, ma aborre rivoluzioni e alchimie politiche, e chiede riferimenti stabili. La sinistra uscita dalla liberazione avrebbe dovuto offrire agli italiani un partito socialdemocratico di ispirazione europea, da oppore a uno schieramento conservatore; essa ha consentito invece il sopravvento dei fautori dello scontro ideologico, imbrigliando l'Italia in quella forma politica che Giorgio Galli ha felicemente chiamato del "bipartitismo imperfetto". Il Pci si chiude infatti nella "fortezza del socialismo accerchiato", Longo chiarisce che l'articolo 2 dello statuto del partito, che prevede si possa essere membri del Pci indipendentemente dalle idee religiose e filosofiche, è di fatto abrogato, e si avvia l'era del dottrinarismo ideologico, mentre la Dc si prepara a vivere la stagione del suo lungo regime. Secondo lo storico Martinelli, se gran parte del gruppo dirigente del Pci reagisce alla sconfitta con atteggiamenti estremistici, Togliatti, in incontri privati, dichiara di sentirsi sollevato per la mancata vittoria, che avrebbe potuto provocare un colpo di stato nel Paese e, pubblicamente, dichiara che una vittoria al 51%, avrebbe sì creato condizioni più favorevoli al Pci, ma avviato anche un periodo di lotte, del quale non era possibile vedere la fine, mentre obiettivo del partito restava la "trasformazione socialista della società". L'analisi delle preferenze porta altre amarezze al Psi, che scopre di portare alla Camera solo poche decine di deputati; i suoi rappresentanti erano stati confinati, infatti, nelle fasce basse delle liste elettorali del Fronte popolare. Il Pci aveva evidentemente messo in conto la possibilità di una sconfitta e aveva preso misure adeguate. A rendere ancora più amara la pillola ai socialisti è l'ottimo risultato ottenuto dal Psdi di Saragat, con il 7% dei consensi.
La vittoria della Dc è anche quella di De Gasperi, riconosciuto, da amici e da avversari politici, come la persona giusta, al posto giusto, nel momento giusto e che sarà forse l'unico vero statista della Repubblica italiana; la sua capacità di coniugare sviluppo e solidarietà avranno pochi uguali in Italia. Gli storici gli riconoscono anche una certa autonomia rispetto alla Chiesa; questa autonomia gli consentì di resistere alle ingerenze dirette di papa Pacelli, che insisteva perché gli anticlericali venissero subito estromessi dal governo. La sua autonomia può essere ben colta dalle parole di Montanelli "De Gasperi, che agli occhi di molti italiani passava per l'uomo dei preti, è stato in realtà l'unico presidente di questo dopoguerra che abbia difeso lo Stato dalle interferenze della Chiesa.....Questo fervente cattolico, quando era in gioco lo Stato, non piegava la testa nemmeno davanti al papa". Come il binomio Adenauer-Ehrard, in Germania, riesce, tra il '49 e il '63, a creare condizioni irreversibili per federalismo, liberismo e welfare state, così, il binomio De Gasperi-Einaudi avrebbe potuto lasciare, all'Italia, un'eredità altrettanto solida; ma i due grandi vecchi sono troppo soli per poter influenzare la generazione, che incalza, e che porta con sé il grave handicap dell'ideologismo; inoltre molti cavalli di razza della Dc, che saranno protagonisti del dopo-De Gasperi, sono nati e cresciuti durante il fascismo e di questo periodo e di questa cultura portano traccie indelebili.
Con le elezioni del '48 non si spezza del tutto quel filo rosso che unisce Dc e Pci; i due schieramenti sanno infatti, che, al di là dell'opposizione ideologica, è sottesa una comunanza di interessi contro due nemici comuni, il laicismo, nel senso della neutralità rispetto all'ideologia e il liberalismo. Il rischio che a questi possa essere consentito di tornare ad essere un polo di aggregazione politica e culturale della borghesia, tiene in vita un legame strategico; democristiani e comunisti sono pronti a coalizzarsi ogniqualvolta il pericolo della democrazia borghese si presenti all'orizzonte. La presenza, in Italia, del centro del cattolicesimo mondiale e del più forte partito comunista occidentale non può che portare a posizioni di mediazione tra i due mondi.
De Gasperi tenta di fare eleggere Presidente della Repubblica, Carlo Sforza, un sincero repubblicano, ma le correnti Dc non sono d'accordo e, l'undici maggio, viene eletto il monarchico Luigi Einaudi e con questa nomina inizia ufficialmente l'era dello Stato repubblicano, con la sua Costituzione, il suo Parlamento e il suo Presidente; il 23 maggio si insedia il quinto De Gasperi, il primo governo "centrista" (Dc, Psli, Pli e Pri), nel quale la Dc detiene tutte le posizioni chiave. La coalizione perderà, prima il Pli, con il sesto De Gasperi, del 27/1/50 e poi il Psli, con il settimo De Gasperi, del 26/7/51.
Il 14 luglio del 1948 Togliatti viene gravemente ferito a colpi di pistola da uno psicopatico; la reazione del popolo frontista sembra il preludio di una rivoluzione: fabbriche, strade, quartieri, stazioni ferroviarie, caserme di polizia e carabinieri, intere città, cadono in mano dei dimostranti, spuntano armi, in abbondanza e tenute in perfetta efficienza, Giuseppe Di Vittorio proclama uno sciopero generale di tre giorni. Ma, anche in quest'occasione, il Pci mostra notevole realismo, lascia spegnere l'ondata rivoluzionaria e Togliatti stesso, appena ripresosi, afferma che la linea della rivoluzione è sbagliata e avventuristica. Non è solo il pugno di ferro mostrato dal ministro dell'Interno, Mario Scelba, a soffocare la rivoluzione, ma vi contribuiscono l'atteggiamento del Pci e la non disponibilità del Pcus. Gli storici hanno analizzato con grande attenzione il comportamento di Togliatti in questo momento storico e sembra prevalere l'ipotesi che, oltre agli ordini imposti da Stalin, ci possa essere stata ancora la convinzione di poter conquistare il potere democraticamente. Giova però ricordare che in Italia la pianta dello spirito giacobino non attecchisce; dirà Ugo Spirito, il più fedele degli allievi di Gentile, che le grandi speranze rivoluzionarie si esauriscono, perché irretite dal conservatorismo italiano.
L'atteggiamento realista di Togliatti in politica interna, bilanciato tra lotta di classe e accordo istituzionale, non trova però un punto di razionalità nei giudizi che il leader comunista dà di Stalin e dei paesi dell'Est; il suo atteggiamento influenzerà i comunisti italiani, che resteranno all'oscuro della grigia realtà e che vivranno per decenni, in una sorta di ghetto culturale, sognando il mito del paradiso socialista. La posizione di Togliatti e del Pci nei confronti della Yugoslavia di Tito, oltre alla debolezza del governo italiano e alle incertezze del segretario di Stato americano Byrnes, avranno non poca influenza nella perdita dell'Istria, a seguito del duro trattato di pace. Durante il Congresso del Pci del 1951 Togliatti, a proposito dei paesi comunisti, afferma "Essi hanno compiuto tutti tali progressi economici che non possono che sembrare meravigliosi a noi italiani", eppure nello stesso febbraio '51, quando Stalin chiede a Togliatti di trasferirsi a Praga per dirigervi il Cominform (l'ufficio informazioni tra i partiti comunisti), Togliatti rifiuta e, fuggito precipitosamente da Mosca, non mette mai più piede in Urss, vivente Stalin. Il 6 marzo '53 l'Unità titola a tutta pagina "E' morto l'uomo che più ha fatto per la liberazione del genere umano", l'iperbole si riferisce a Stalin. Il 28 giugno '56, a Poznam, in Polonia, una manifestazione di operai, durante uno sciopero generale, viene stroncata dall'esercito, con un bilancio di cinquanta morti e trecento feriti. Il 3 luglio, Togliatti pubblica, sull'Unità, un articolo in cui la rivolta di Poznam è presentata come opera di provocatori. Il grido di dolore di intellettuali e operai, durante la rivoluzione ungherese, repressa nel sangue dai carri armati sovietici, il 5 novembre '56, non intacca la fede del popolo comunista nel paradiso socialista. Eppure, al XX Congresso del Pcus, il 25 febbraio del '56, Chruscev ha condannato il culto della personalità e fatto cadere il principio della "guerra inevitabile" e il 17 aprile, successivo, ha sciolto il Cominform. Togliatti, nel suo giudizio sui paesi del blocco comunista non sarà rimasto insensibile ai finanziamenti dall'Urss; afferma Emilio Taviani: "Gli aiuti finanziari dell'Urss al Pci, a quanto risultava ai nostri servizi segreti, ebbero inizio nel 1947" e, sempre secondo Taviani, "...la spaccatura della classe dirigente della Resistenza si consumò unicamente sulla politica estera", poiché il Pci mostrava "di essere al servizio della politica estera dell'Urss".
Per anni la politica del Pci sarà caratterizzata, quindi, da fedeltà all'Unione Sovietica, in politica estera, e da pragmatismo e atteggiamento riformista, in politica interna: l'ordinamento parlamentare prevede che alcune leggi possano essere promulgate in Commissione, con il voto favorevole dell'80% dei membri? ecco il Pci accordarsi con la maggioranza in uno scambio del do ut des; la maggior parte delle votazioni avviene a scrutinio segreto? ecco il partito correre in soccorso della Dc, sottoposta all'indisciplina dei suoi parlamentari. Al blocco dell'alternanza a livello governativo si contrappone la cooperazione a livello parlamentare, in definitiva è stato creato il sistema che Luciano Cafagna ha chiamato del "polarismo collusivo". Lo storico tedesco Michael Braun osserva che lo stato italiano è stato caratterizzato da tre peculiarità: a livello di governo, dall'alternanza bloccata, a livello di Parlamento, dalla cooperazione tra maggioranza e minoranza e a livello segreto, da uno "Stato parallelo" con il compito di provvedere che l'avanzata della sinistra procedesse entro un percorso ben delimitato e non portasse all'ingresso del Pci nel governo.
Il periodo, che va dalla liberazione, alla nascita della Repubblica e dei suoi primi governi, pone le basi dello Stato e crea le condizioni per esaltare le virtù, ma anche i vizi strutturali italiani. La ricostruzione avviene grazie al concorrere di almeno quattro fattori: uno, l'intesa "fra gentiluomini" che De Gasperi stringe con l'establishment laico-liberale, in base al quale a quest'ultimo è affidata la conduzione dell'economia e della finanza, in cambio della prevalenza dei cattolici nella conduzione politica del Paese, due, il ricordo della guerra, che attenua le pretese individuali e valorizza il principio della solidarietà, tre, il ruolo della famiglia, quattro, la gestione dei servizi sociali, attraverso una stretta collaborazione tra pubblico e privato. Dall'altro versante gran parte di quei dirigenti cattolici, ai quali è affidata la conduzione politica del Paese, non accoglie l'esperienza dei paesi anglosassoni e nord-europei, che indica come facendo crescere insieme liberalismo e liberismo, Locke e Adam Smith, sia possibile assicurare libertà e sviluppo; pochi accettano il principio, che limitando i poteri dello Stato, impedendogli di invadere la sfera dell'individuo, sia possibile creare quella sinergia tra democrazia e libertà economica, che è essenziale per un Paese moderno. Inevitabilmente, al termine dell'era degasperiana, con l'avvento di Amintore Fanfani, prima, e dei socialisti, dopo, responsabilità e solidarismo lasceranno il posto a garantismo e assistenzialismo. Nel giugno '49 durante il terzo Congresso della Dc i dossettiani propongono ufficialmente la programmazione economica.
Gli indicatori dello stato di salute del paese, nel 1950, dànno le seguenti informazioni: la disponobilità di derrate alimentari è quasi quella degli anni '30, è iniziata la motorizzazione del Paese, con la produzione di circa 40.000 scooter l'anno, l'inflazione, sottoposta alla spietata politica monetaria di Einaudi, è al 3,8%, il 23% circa dell'intera popolazione si trova ancora nella fascia tra misera e indigente, e costringe all'emigrazione ben 145.000 persone, ma, compatibilmente con la forte stretta monetaria, la produzione aumenta a ritmi soddisfacenti, tanto che il prodotto interno lordo supera quello del 1938 e fa ritenere esaurito il periodo della ricostruzione. Contrariamente all'opinione diffusa, la macchina produttiva del Paese non ha subito gravi ferite, a causa della guerra, ed è stata in grado di porsi subito in moto; ciò consente all'Italia di recuperare, nel 1950, il livello di reddito pro-capite dell'anteguerra, ben prima di Germania e Giappone, ma anche di Francia e Inghilterra. La Confederazione generale dell'industria, con il suo Presidente Angelo Costa, non dà segni di grande fantasia, si batte per la libertà di licenziamento e per la liquidazione dei Consigli di gestione, ma anche per conservare condizioni di protezionismo doganale e per difendere gli assetti monopolistici, contribuendo non poco a ingessare la grande industria del Paese.
Sul versante sindacale, dopo i grandi scioperi dei braccianti delle campagne settentrionali, nel '48 e '49, gli anni quaranta si chiudono con le violente proteste dei contadini del Sud, che, oppressi da secolari condizioni di degrado, sembrano conquistare una coscienza collettiva che consente di superare sfiducia e fatalismo; le stragi di Melissa e di Portella della Ginestra scuotono il Paese e il Parlamento approva, sconfiggendo il partito dei baroni e del notabilato meridionale, una legge che, come più importante provvedimento, prevede l'espropriazione (con indennizzo) di una parte dei grandi latifondi, quelli meno produttivi, e la relativa ridistribuzione ai contadini. La riforma rappresenta il primo serio tentativo, nella storia d'Italia, di colpire la proprietà fondiaria assentesista, responsabile dell'immobilismo del Sud, e di favorire i contadini. Ma, all'interno del sindacato unico, la Cgil, i contrasti, tra comunisti e socialisti, cattolici e repubblicani, sono aspri, la componente comunista sostiene che la situazione economica è in continuo peggioramento perché "adattata e subordinata alle esigenze dell'economiua americana", cosicché, per la soddisfazione del Vaticano e della Confindustria, nel '50, nascono altri due sindacati, la Cisl filo-democristiana, di Giulio Pastore, e la Uil.
Nel Paese ha ripreso a produrre anche la cultura; l'Italia si impone nel mondo della cinematografia con i suoi film neorealisti: Roberto Rossellini con la "trilogia della guerra": Roma città aperta, Paisà e Germania anno zero, Vittorio De Sica con Ladri di biciclette e Sciuscià, Francesco De Santis con Caccia tragica e Riso amaro.
Articolo successivo
25 gennaio 2017
Tratto da