Sezioni   Naviga Articoli e Testi
stampa

 

        Inserisci una voce nel rettangolo "ricerca personalizzata" e premi il tasto rosso per la ricerca.

Italia: vizi e virtù. I governi di transizione


In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"


Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.

copertina 3

Articolo precedente

2.7 I governi di transizione (1946 - 1953)
Il 13 luglio 1946 è costituito il secondo gabinetto De Gasperi, terzo di "unità nazionale" , formato da Dc, Psiup, Pci, Pri e dal liberale Epicarmo Corbino. Il primo governo, dopo la costituzione della repubblica, accentua la posizione centrale della Dc e segna l'inizio del controllo dei ministeri chiave da parte del partito di maggioranza. Nel novembre del 1946, in occasione di alcune elezioni amministrative, la Dc subisce una serie di sconfitte, vincono i comunisti a sinistra e i qualunquisti a destra. De Gasperi si rende conto che l'accordo con le sinistre premia il Pci, che, pur essendo al governo, nelle piazze soffia sul fuoco dello scontento, e teme che la gerarchia ecclesiastica abbandoni il partito. De Gasperi si sente peraltro accerchiato, perché repubblicani, liberali e Confindustria criticano la linea economica e l'elevato tasso di inflazione e anche gli americani hanno cambiato atteggiamento. Terminata con la Russia la luna di miele roosveltiana, essi si avviano, con Truman, a percorrere la strada della guerra fredda. Pio XII esercita forti pressioni su De Gasperi, tramite il cardinale Montini, perché rompa con comunisti e socialisti; il 22 dicembre 1946, durante un'omelia in Piazza S. Pietro, lancia l'antico grido di battaglia «O con Cristo o contro di Cristo».
Lo Psiup nel frattempo è sempre più nel gorgo delle lotte intestine; Nenni non riesce ad approfittare della vittoria elettorale, esalta la "natura operaia" del partito, a scapito delle classi medie, perde l'occasione storica di creare un grande partito riformista, rifiutando la proposta di Saragat di fare dello Psiup «non la retroguardia del bolscevismo, ma l'avanguardia della democrazia». L'undici gennaio 1947, anche sotto l'incalzare della crisi con la Yugoslavia, al Congresso socialista, si consuma la scissione. Lo Psiup si scinde nello Psi e nel Partito socialista dei lavoratori italiani che si trasferisce a palazzo Barberini. Dei 115 deputati socialisti della costituente ben 52 passano con lo Psli di Saragat. La scissione avrà due effetti: l'imbalsamazione dello Psli, prima, e dello Psdi, dopo, e la sua degenerazione in partito vassallo della Dc, e la colonizzazione, da parte del Pci, dei socialisti che impiegheranno anni per trovare una propria autonomia politica. Nel dicembre del 1946, per iniziativa di un gruppo di reduci della repubblica di Salò, nasce il Movimento sociale italiano (Ignazi, 1994).
La crisi di governo del gennaio 1947, innescata dalla scissione dello Psiup, approda al tripartito Dc-Pci-Psi, con il terzo ministero De Gasperi, quarto di "unità nazionale" (2 febbraio 1947 - 31 maggio 1947), dando ai comunisti l'impressione che l'accordo tra cattolici e comunisti sia un processo irreversibile; così si spiega anche il voto comunista in favore dell'inserimento nella costituzione, dei patti lateranensi, con il carico di illiberalità che essi contengono. Il 10 febbraio 1947 l’ambasciatore Meli Lupi di Soragna firma il trattato di pace, un vero e proprio dictat; solo De Gasperi cerca disperatamente di contrastare le perdite territoriali a Occidente e a Oriente, nell’assoluta indifferenza delle sinistre e di parte della stampa. Per effetto del trattato, l’Italia perde Briga e Tenda, Zara, la quasi totalità della Venezia Giulia, l’isola di Saseno, l’Etiopia, l’Eritrea, la Libia, il Dodecanneso, la concessione cinese di Tien Tsin e deve concedere larga autonomia all’Alto Adige.
All’Italia viene assegnato un mandato temporaneo sulla Somalia. Trieste resta sotto l’amministrazione alleata con il territorio circostante e torna all’Italia solo nel 1954. «In questa corona di spine, la spina che più pungeva era Trieste. La città aveva subìto l’occupazione da parte dei miliziani di Tito ricordata con terrore dagli abitanti, e le foibe carsiche s’erano riempite dei cadaveri di italiani che vi erano stati gettati a volte per essere stati fascisti, a volte semplicemente per essere italiani. La Yugoslavia, spalleggiata dall’Urss e, in sordina, dal Pci voleva che non solo Trieste, ma una larga fetta di territorio italiano passasse sotto la sua sovranità» (Montanelli, 2000). Trieste si salvò grazie al fatto che tra Usa e Urss era scoppiata la guerra fredda e a Washington si guardava a Italia e Germania con un’ottica diversa, non più da vincitori a vinti Mentre la classe politica dell'epoca, ammalata di quella che Vittorio Emanuele Orlando definì "cupidiglia e servilismo", non riesce, e non vuole, difendere lembi di suolo italiano, pur tra le devastazioni lasciate dalla guerra e nonostante l’umiliazione di Parigi, l’Italia va riprendendosi con portentosa vitalità, come se un potenziale di energie e di creatività avesse trovato finalmente una valvola di sfogo per liberarsi e mostrare l’ingegno della gente comune.
Nell'aprile del '47, la Dc subisce un'altra sconfitta; alle elezioni regionali in Sicilia (che con Val d'Aosta e Trentino Alto Adige, ha ottenuto un'assemblea regionale e più ampie autonomie), scende dal 33,6%, al 20,5% di consensi. È questo un segnale inequivocabile per De Gasperi; d'altra parte, i patti lateranensi sono stati approvati, ed è quindi possibile procedere alla rottura con le sinistre. Il primo maggio del 1947, a Portella della Ginestra, la mafia risponde in modo deciso e immediato all'avanzata dei comunisti e invia il messaggio che nulla cambierà nell'isola. La banda di Salvatore Giuliano spara sulla folla, raccolta per celebrare la festa dei lavoratori, uccidendo undici persone e ferendone sessantacinque. Il 13 maggio De Gasperi si dimette e De Nicola affida l'incarico a Francesco Saverio Nitti. Il vecchio liberale non si raccapezza nel magma della nuova politica italiana e rinuncia. La crisi viene superata, il 31 maggio, quando la costituente dà la fiducia al quarto governo De Gasperi un monocolore democristiano, integrato da due liberali a titolo personale (Einaudi è alla vicepresidenza e al bilancio), e alcuni indipendenti (31/05/47-23/5/1948). È chiamato il governo "della rinascita e della salvezza" e segna, sia la fine della coalizione antifascista, nata dalla resistenza, sia l'avvio dell'era della Dc.
Il liberale Luigi Einaudi da quel momento prende in mano il timone dell’economia italiana. Egli si propone, innanzitutto, di correggere le degenerazioni di una ripresa che era travolgente, ma che era anche accompagnata da forti spinte inflazionistiche e dalla febbre della speculazione. La borsa si sgonfia, gli speculatori si disperano, ma i lavoratori non vedono più il loro potere di acquisto eroso da un’inflazione a due cifre. Corre l’obbligo sottolineare che la cura da cavallo imposta da Einaudi fu duramente ostacolata dalla sinistra e da parte della Dc che vedevano solo gli effetti sul breve periodo. La ridotta liquidità fece fallire alcune imprese, ma valorizzò quelle sane che non avevano bisogno della svalutazione della lira per sopravvivere. Nel dicembre del 1947, la Dc tiene il suo secondo congresso, conferma Piccioni segretario e propone l'allargamento del governo ad altre forze moderate. Il rimpasto, del dicembre '47, vede entrare nel governo i socialisti dello Psli, i repubblicani e i liberali, dando vita a quell'accordo politico "centrista", che, più o meno stabilmente, reggerà fino alla costituzione del centro-sinistra. All'interno della Dc iniziano a mettersi in evidenza i professorini, un gruppo di docenti della Università Cattolica di Milano (Amintore Fanfani, Giuseppe Lazzati, Giuseppe Dossetti, Arrigo Boldrini) che si riuniscono periodicamente nell'eremo dei Camaldoli, sull'Appennino toscano. Lo scopo di questi incontri è elaborare un codice di politica economica e sociale. Il Codice di Camaldoli confuta, sia le teorie del liberismo economico, sia quelle del marxismo collettivista e propone un modello che concilia le corporazioni medioevali, basate sulla socialità dell'impresa con le teorie keynesiane (Bernabei, 1999).
Se non si tiene conto del Codice di Camaldoli non si possono comprendere né Fanfani, Vanoni e La Pira né la politica delle partecipazioni statali attuata in Italia. La base ideologica del gruppo di Camaldoli sostiene che l'uomo può influire sulle sorti della propria vita, ma anche su quelle dei popoli, e quindi l'iniziativa politica può trasformare la società. In generale, la destra Dc, ma anche lo stesso Moro, hanno, invece, una visione deterministica: la vittoria del comunismo è un fatto inevitabile, pertanto la miglior politica, per tenere più lontano possibile il momento della transizione, è l'immobilismo, la resistenza passiva. Il 22 dicembre 1947, viene approvata la Costituzione e con essa si chiude definitivamente l'era della collaborazione tra cattolici e marxisti, nata durante la lotta di liberazione, prima, e sulle ceneri del fascismo, poi.
La Costituzione nasce immiserita da preoccupazioni politiche ed elettoralistiche, imbrigliata dal bisogno di assicurare reciproche garanzie, piuttosto che di realizzare forti istituzioni democratiche; essa brilla per la mancanza di coraggio. La "religione della democrazia", che, secondo i padri costituenti, dovrebbe costituire l'anima della Costituzione, resta un concetto puramente astratto dovendo conciliare cattolicesimo, marxismo e liberalismo (Guerri, 1997). La prima parte, che, ancora oggi, è considerata perfetta, sacra e intoccabile è proprio quella che andrebbe completamente riscritta, perché è costituita da una serie di astrazioni e di principi discutibili. Osserva Ida Magli « … è un trattato sulla specie, sull'essere umano, fuori dalla realtà: con un'imposizione etica assoluta, con un delirio di presunzione e di onnipotenza da parte di coloro che l'hanno scritta …. Si tratta della "religione" di pochi uomini convinti di essere Dio, di avere capito tutto, di potere realizzare tutto, e che nulla potrà più essere pensato, capito, desiderato, se non ciò che è stato pensato, capito, desiderato e imposto da loro» (Magli, 1996). Mentre in Germania il ricordo della debole repubblica di Weimar induce a costruire una democrazia forte, in Italia prevale l'idea che il pericolo della dittatura si possa contrastare solo con un'articolata distribuzione del potere. L'opposizione può disporre di un potere di veto quale non si riscontra in nessun'altra democrazia occidentale e viene meno il principio primo della responsabilità e cioè il dovere di governare da parte delle maggioranze. La Costituzione, che prevede un potere esecutivo in balia del Parlamento, e un Parlamento ostacolato nel suo lavoro dalla presenza di due camere con le stesse competenze, pone le basi per assicurare la centralità dei partiti, e quindi per favorire la logica compromissoria, contro quella della competizione.
Non solo la Costituzione sarà la testimonianza di quel «riattaccarsi con pigra nostalgia alle comode e cieche viltà del passato», ma tutta l'azione politica del periodo '45-'48 sarà caratterizzata dal trionfo del continuismo (Bobbio, 1984). I costituenti, risuscitano, per le elezioni politiche, il sistema elettorale proporzionale, allo scopo, sia di impedire che un solo partito possa diventare troppo forte, sia di dare visibilità anche ai partiti minori. Gli svantaggi del sistema proporzionale puro sono descritti con precisione dallo storico inglese Mack Smith «… un ovvio svantaggio era l'impossibilità di tenere saldamente insieme un variegato ventaglio di piccoli gruppi politici, e quindi di dar vita a una maggioranza stabile e omogenea. Con dieci e più partiti presenti in Parlamento, in maggioranza per giunta divisi al loro interno in fazioni rivali, un gabinetto poteva arrivare ad includere quattro partiti e una dozzina di correnti: una situazione che scoraggiava qualunque iniziativa legislativa ed era destinata a creare divisioni…… Prese così forma la combinazione di instabilità politica e immobilismo» (Smith, 1997). I costituenti avevano inoltre stabilito che il voto degli elettori non venisse richiesto per candidature in collegi nominali ma in liste di candidati preparate dai partiti per ciascuna circoscrizione. Questo meccanismo permette ad alcuni uomini politici di diventare estremamente potenti, in quanto capaci di controllare il destino dei candidati di un'intera circoscrizione (ricordiamo Lattanzio e Moro in Puglia, Fanfani in Toscana, Bisaglia e Rumor in Veneto, Gava a Napoli, De Mita ad Avellino, Andreotti a Roma e in Sicilia, Colombo in Basilicata, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche).
Gli istituti del regime fascista diventano l'ossatura della repubblica: forze armate, magistratura, burocrazia centrale e periferica, professori universitari, associazioni di coltivatori diretti, federazioni di consorzi agrari, Iri, Imi, Ferrovie dello stato, Inps, saranno lo zoccolo duro della conservazione, che si opporrà con tutte le proprie forze alla trasformazione e alla modernizzazione della pubblica amministrazione, perpetuando privilegi e ingiustizie; si dovrà attendere il 2008 quando il ministro Brunetta, del Berlusconi quater, tenterà una riforma in termini efficientistici della pubblica amministrazione.

Articolo successivo

LOGO

31 gennaio 2017

1

www.impresaoggi.com