In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"
Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
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2.10 Si apre l'era dei dorotei (1959 - 1969)
Dopo le elezioni del 25 maggio 1958 (Dc 42,3%, Pci 22,7%, Psi, 14,2%), Gronchi affida l'incarico a Fanfani (Dc, Psdi e astensione del Pri; 1 luglio 1958 -15/2/59), che sperimenta sulla sua pelle la nascita dei "franchi tiratori" nelle votazioni a scrutinio segreto.
Alla pubblica istruzione va un intellettuale pugliese, Aldo Moro; pochi immaginano che la sua dialettica estenuante e le sue doti di mediatore lo porteranno presto a diventare un leader della Dc. Il declino di Fanfani (Galli, 1993) comincia in Sicilia, il 23 ottobre del 1958, quando il candidato ufficiale della Dc è battuto da Silvio Milazzo, che ottiene i voti della destra e della sinistra. Fanfani logorato in parlamento dai frequenti voti contrari si arrende e il 26 gennaio '59, presenta le dimissioni del governo e, il 31, lascia la segreteria.
Il Segni II è un governo di centro destra, un "monocolore di necessità", il cui compito è quello di "attendere la decantazione dei problemi" (15/2/59-25/3/60); socialdemocratici e repubblicani non sono disponibili a votare governi, che non siano appoggiati anche dai socialisti, cosicché il voto dei missini è determinante. Dopo l'èra De Gasperi, la Dc ha sperimentato dunque l'èra Fanfani, che sarebbe durata ancora a lungo se, nel '58, l'ex-professorino non avesse fatto l'errore di unificare nelle sue mani le cariche di segretario, di presidente del consiglio e di ministro degli esteri, inducendo paure di autoritarismo e provocando la reazione ostile del partito.
La Dc sarà sempre ostile ai leader autoritari e decisionisti. La terza èra è quella dei dorotei, il correntone, che nasce, nel marzo del 1959, nel convento di Santa Dorotea, a Roma; i leader sono Mariano Rumor, Emilio Colombo, Paolo Emilio Taviani, Moro, Segni, Gui, che giudicano intempestiva l'apertura a sinistra, e sanzionano il cambiamento al vertice del partito e del governo. Secondo la testimonianza di Cossiga, il vero doroteismo, quello che interpreta la democrazia cristiana come l'inviluppo delle diverse correnti di pensiero è rappresentato da Moro, che vede in questa associazione di logiche e interessi diversi, la possibilità dell'incontro con il Pci (Cossiga, 2000).
Il 14 marzo del 1959, al consiglio nazionale della Dc i dorotei chiedono e ottengono, grazie anche all'appoggio degli andreottiani, che alla segreteria del partito vada Moro. I dorotei scelgono Moro, perché il suo approccio a un governo di centro-sinistra è più cauto e perché Moro dà prova di un'abilità giolittiana nella negoziazione più che nella proposta di soluzioni; è l'uomo di cui hanno bisogno i democristiani in questo periodo storico. Il suo ragionamento è sempre volutamente nebbioso, in modo che possa adattarsi ad ogni interpretazione. Dice Smith, su Moro e sul suo rapporto con i socialisti «Eccellente tattico e mediatore gli facevano però difetto le capacità di statista di De Gasperi, e in privato si diceva pessimista circa la possibilità di riformare quello che definiva un sistema profondamente corrotto. …. Su un punto era fortunato, gli alleati socialisti non erano alla sua altezza in fatto di abilità politica …. Il partito socialista si era alleato con Moro nella speranza di riuscire a scardinare il sistema, ma in realtà fu il sistema ad assorbirlo, ed esso finì con adottarne abitudini e comportamenti. Il cinismo soppiantò sempre più l'idealismo» (Smith, 1997).
Durante quella che abbiamo definito l'èra Fanfani, la Dc si dà un'organizzazione, ma questa poggia sulle "correnti", che hanno strutture autonome, propri giornali, sedi, centri studio; i finanziamenti provengono dai centri di potere locale, sui quali i capi esercitano un controllo stretto. La base di calcolo del potere delle correnti è il numero di tessere di iscritti che si controllano; non ci sarà limite alla fantasia dei notabili. I pacchetti di tessere si comprano, gli iscritti si inventano o si convincono in cambio di favori. Se a livello di partito i giochi si fanno truccando le tessere, nelle competizioni elettorali la nomina è ottenuta grazie ai voti di preferenza e questi vengono ottenuti grazie al voto di scambio, e cioè offrendo la pensione facile, la pensione di invalidità falsa, il posto di lavoro nell'ente pubblico, la raccomandazione per l'amico imprenditore, oppure facendo passare diritti dei cittadini come concessioni del politico.
Il settimo congresso della Dc, (Firenze, ottobre del 1959), vede uno scontro durissimo tra Fanfani, appoggiato da tutta la sinistra, e la coalizione "moderata", che vince di strettissima misura. Moro ottiene un successo personale, più ampio del blocco di voti di cui dispone la coalizione, successo, che costituisce l'investitura, che "lo consacra effettivo leader del partito". Il segretario Dc, essendo oramai certo del controllo del partito, apre a Fanfani, per una strategia comune da seguire per sostituire il Pli con lo Psi, nel sistema di potere della Dc. I liberali, irritati, tolgono l'appoggio al governo, e Segni deve lasciare. Segni fallisce un tentativo di accordo con i socialisti, intransigenti sulla nazionalizzazione dell'energia elettrica, progetto osteggiato da Confindustria, liberali e destra Dc, e Gronchi ne approfitta per affidare l'incarico a Tambroni, che imposta un monocolore "pendolare", cioè disponibile ad accettare i voti, sia a destra, che a sinistra (25/3/60-26/7/60).
Ma il voto dell'Msi risulta determinante, tre ministri (Bo, Pastore e Sullo escono dal governo) e l'11 aprile la Dc invita Tambroni a dimettersi. Gronchi conferisce l'incarico a Fanfani, che viene ancora fermato dalle forti reazioni al centro-sinistra, specie della curia vaticana. La partita scivola sul piano dello scontro tra presidenza della repubblica e Dc; Gronchi respinge, infatti, le dimissioni di Tambroni e la Dc si ricompatta, accettando solo a condizione che si tratti di un governo provvisorio. Il presidente del consiglio non si accontenta, però, di un ruolo puramente formale e inizia, con l'appoggio di Gronchi, una politica di consolidamento del potere. Ma, sotto la pressione di violenti moti di piazza, il suo tentativo di spostare a destra l'asse della politica italiana, viene sconfitto.
Nel frattempo la Dc, diffidando degli atteggiamenti "gollisti" del presidente Gronchi, si accorda con un ampio schieramento parlamentare, cosicché, nello stesso mese viene varato un monocolore Dc, grazie all'appoggio di Psdi, Pri e Pli e l'astensione di Psi e monarchici. Il governo, che Moro definirà delle "convergenze parallele", è il Fanfani terzo (26/7/60-21/2/62). Per il progetto di governo con lo Psi si dovranno attendere l'eliminazione del veto posto dalla chiesa, con l'apertura di papa Giovanni, e la nuova strategia americana avviata con l'elezione di Kennedy. L'epoca dei governi centristi è oramai chiusa e va aprendosi quella del centro sinistra.
Alla base del successo, che l'analisi storica attribuisce alla politica dei governi centristi, vanno annoverate anche le doti personali di uomini della media-borghesia, che avevano come regola l'impegno, il senso della responsabilità, il volontariato e la vita semplice; nessuno dei vari De Gasperi, Scelba, Saragat, La Malfa, Taviani si arricchisce grazie alla politica o modifica il proprio tenore di vita. In quegli anni, inoltre, la Dc riesce a sterilizzare un istinto di destra, che l'Italia continua a coltivare, raccogliendo gran parte del propri elettori tra conservatori ostili a qualunque cambiamento (il cosiddetto blocco d'ordine degli anni cinquanta-sessanta o maggioranza silenziosa degli anni ottanta).
2.10.1 Sintesi sul doroteismo
Sin dal Consiglio Nazionale democristiano del 1957 a Vallombrosa emersero delle forti tensioni tra il Segretario del partito Amintore Fanfani e buona parte del gruppo dirigente della corrente maggioritaria della DC Iniziativa Democratica (cui apparteneva lo stesso Fanfani). Il contrasto nacque sostanzialmente sulla prospettiva di un avvicinamento della Democrazia Cristiana al Partito Socialista Italiano. In quell'occasione, infatti, Fanfani propose una linea meno ostile nei confronti del PSI, affermando che l'atteggiamento della DC verso quel partito potesse mutare alleanza a seconda delle garanzie democratiche che esso avrebbe saputo offrire.
All'interno di Iniziativa Democratica affiorarono non pochi dissensi. Esponenti di primo piano della corrente e delle istituzioni come Carlo Russo, Mariano Rumor (Vicesegretario del partito), Paolo Emilio Taviani, Emilio Colombo, Giacomo Sedati e Tommaso Morlino non votarono a favore della relazione di Fanfani.
Dopo le vittoriose elezioni del 1958, Fanfani assunse la guida del governo, mantenendo contemporaneamente la segreteria del partito e l'incarico ad interim di Ministro degli Esteri. Una simile concentrazione di potere creò molte preoccupazioni all'interno di Iniziativa Democratica e del partito, favorendo l'emergere del fenomeno dei franchi tiratori contro il governo.
Dopo l'ennesima bocciatura in parlamento, il 26 gennaio 1959 Fanfani rassegnò contestualmente le dimissioni da Presidente del Consiglio e da Segretario della DC. Fu convocato a Roma per il 14 - 17 marzo un Consiglio Nazionale della DC che avrebbe dovuto discutere della situazione politica.
In vista del Consiglio Nazionale, gli esponenti di Iniziativa Democratica si riunirono nel convento delle suore di Santa Dorotea a Roma. In quella sede, la maggioranza della corrente scelse di accettare le dimissioni di Fanfani da Segretario, accantonando la linea politica di apertura a sinistra.
Si determinò in questo modo una spaccatura tra gli uomini rimasti vicini all'ex Segretario e il gruppo dissidente (ormai da tutti ribattezzato dei dorotei) raccolto attorno ad Antonio Segni (nel frattempo nominato a capo di un monocolore democristiano appoggiato dai liberali e dalle destre), Mariano Rumor, Paolo Emilio Taviani, Emilio Colombo, Giacomo Sedati e, seppure su una posizione più autonoma, Aldo Moro.
L'ordine del giorno dei fanfaniani che rifiutava le dimissioni del Segretario fu respinto dal Consiglio Nazionale con 54 no, 37 si e 9 astenuti. Su indicazione dei dorotei, Aldo Moro fu nominato nuovo Segretario.
La linea politica che i dorotei dettarono al partito e con la quale si presentarono all'imminente VII Congresso Nazionale di Firenze nel 1959 era nettamente opposta a quella di Fanfani: fiducia confermata al Governo Segni (almeno finché i voti missini non fossero divenuti determinanti) e chiusura all'ipotesi di accordo con il PSI.
Le differenze tra i dorotei e Fanfani in questa fase erano assai profonde e dettate da un approccio culturale e politico differente ai problemi posti dalla fine della stagione centrista. Per Fanfani, erede spirituale e politico di Dossetti, contavano soprattutto tre fattori: lo Stato, il partito e il singolo. Il partito doveva imporre dall'alto, al popolo, la propria visione del mondo. Per i membri della corrente dorotea invece si trattava di dar voce ai valori già presenti nella società, interpretarli e tradurli in una dimensione politica.
Al Congresso di Firenze dell'ottobre 1959 i dorotei riuscirono a far prevalere ancora una volta la loro linea politica, nonostante l'impegno dei fanfaniani e delle sinistre interne per una più rapida svolta verso il Centro-Sinistra. Nelle elezioni per il Consiglio Nazionale, grazie all'alleanza con le destre interne di Giulio Andreotti e Mario Scelba, Impegno Democratico ottenne una solida maggioranza: 52 furono gli eletti dorotei, contro i 36 della lista formata da fanfaniani e sindacalisti. Un solo seggio andò infine alla corrente andreottiana e alla Sinistra di Base.
Tuttavia la crisi successiva alla caduta del governo di Antonio Segni rese evidente a tutti che il quadro politico italiano avesse bisogno di una svolta: il PSDI e il PRI avevano ormai abbandonato la prospettiva di partecipare a governi "centristi", mentre l'esperienza del breve Governo Tambroni aveva dimostrato le difficoltà di governare con l'appoggio della destra missina. Aldo Moro iniziò così a traghettare il partito e la corrente dorotea verso l'apertura a sinistra: al successivo Congresso Nazionale di Napoli (nel gennaio del 1962) la DC decise di aprire una stagione di collaborazione con il PSI, seppur escludendo per il momento la possibilità di un'organica partecipazione di quel partito al governo. Da questa decisione nacque il quarto governo Fanfani: un tripartito DC-PSDI-PRI, che godeva dell'appoggio esterno determinante del PSI.
I dorotei si confermarono nel Congresso di Napoli la corrente maggioritaria all'interno della DC; seppur presentandosi alle elezioni del Consiglio Nazionale in una lista unica con i fanfaniani (denominata degli Amici di Moro e Fanfani), gli esponenti dorotei ottennero 52 seggi, contro i 28 fanfaniani. Altri 22 seggi andarono alla lista della destra interna di Andreotti e Scelba, mentre le sinistre sindacalista e basista ottennero 18 seggi.
Il nuovo governo di Fanfani si impegnò profondamente per la realizzazione del programma di governo, compiendo anche scelte sgradite allo storico elettorato democristiano, come ad esempio la scelta di nazionalizzare l'energia elettrica o la proposta di legge urbanistica del ministro Fiorentino Sullo. Anche a causa di queste scelte, alle elezioni politiche del 1963 la DC subì un brusco calo di consensi. I dorotei si fecero interpreti di questo scontento e da allora in avanti iniziarono a lavorare per mitigare la portata delle iniziative legislative della nuova coalizione, così da non alienare al partito i consensi del suo elettorato tradizionale.
Anche su pressione dei dorotei, Fanfani fu allontanato dalla Presidenza del Consiglio, dove a inizio dicembre del 1963 venne nominato Aldo Moro. Al suo posto Mariano Rumor, uno dei leader storici della corrente, venne nominato nuovo segretario del partito.
2.10.1.1 Gli anni Sessanta
Con Moro al governo, Segni alla presidenza della Repubblica e Rumor alla segreteria, il gruppo storico della corrente dorotea occupava all'inizio degli anni Sessanta le posizioni più rilevanti della vita politica nazionale. Di particolare importanza fu l'azione di Rumor come Segretario del partito: nei cinque anni alla guida della DC, Rumor cercò di rassicurare l'elettorato moderato, nel tentativo di recuperare i consensi persi nelle elezioni precedenti.
Il nuovo Segretario e con lui tutto il gruppo dirigente doroteo si impegnarono a fondo per una normalizzazione della spinta riformista del primo Centro-Sinistra, mettendo spesso in difficoltà il Presidente del Consiglio Aldo Moro. In particolare, si possono ricordare le posizioni che nel primo quinquennio di governo di Centro-Sinistra assunse il Ministro del Tesoro Emilio Colombo, la cui linea di rigore economico creò forti tensioni sia con l'ala socialista della coalizione, sia con lo stesso Presidente del Consiglio.
In questo periodo, la corrente dorotea di Impegno democratico restò quella di maggioranza relativa all'interno del partito. Al Congresso Nazionale del 1964 ottenne il 46,5% dei voti e 56 seggi in Consiglio Nazionale, mentre in quello del 1967, pur fortemente ridimensionata, ottenne comunque la maggioranza relativa con 34 seggi.
Proprio in occasione di quest'ultimo Congresso, avvenne nella corrente dorotea una prima importante scissione, ad opera del gruppo riunitosi attorno alle posizioni di Paolo Emilio Taviani: i cosiddetti pontieri. Questo gruppo, che mirava a costruire un legame tra le posizioni della maggioranza del partito e le correnti della sinistra interna, si presentò in autonomia al Congresso, ottenendo 14 seggi in Consiglio Nazionale. In quella stessa occasione, infine, si evidenziò per la prima volta una spaccatura tra il nucleo storico dei dorotei e quello degli amici di Aldo Moro (i morotei): seppur riuniti in una lista unitaria per le elezioni del Consiglio Nazionale, i morotei trattarono in autonomia per assicurarsi 14 seggi nel nuovo organismo.
Alle elezioni politiche del 1968 la DC riuscì ad aumentare, seppur di poco, i propri voti: questo risultato allontanò lo spettro di un calo costante dei consensi attorno al partito di maggioranza relativa e indusse il gruppo dirigente doroteo a pensare che la propria linea politica avesse pagato. Aldo Moro, ormai in rotta con i dorotei, fu sostituito da Rumor alla guida del governo.
Gli anni Sessanta si chiusero con due eventi traumatici per la corrente dorotea. Il primo fu la decisione di Aldo Moro di uscire ufficialmente dalla corrente, dichiarando che si sarebbe collocato in una posizione autonoma nella organizzazione interna del partito. Il secondo fu la tribolata elezione, il 19 gennaio 1969, di Flaminio Piccoli a nuovo Segretario politico: nel corso della votazione in Consiglio Nazionale, Piccoli ottenne solo la maggioranza relativa, colpito dai franchi tiratori della sua stessa maggioranza.
2.10.1.2 Gli anni Settanta
La segreteria Piccoli, appoggiata dai dorotei, dai fanfaniani e dagli amici di Paolo Emilio Taviani entrò presto in crisi proprio a causa dei dissidi all'interno della stessa corrente dorotea. Nonostante all'XI Congresso Nazionale del 1969 Impegno Democratico si fosse confermata la prima corrente del partito (con il 38,3% dei voti e 46 seggi in Consiglio Nazionale), questa componente era minata da dissidi interni sulle prospettive di governo nel quadro di una crisi economica e sociale profonda.
Il 20 ottobre 1969, si consumò la principale scissione nella storia della corrente dorotea. Piccoli e Rumor annunciarono lo scioglimento di Impegno Democratico, con lo scopo dichiarato di fare un passo verso lo scioglimento di tutte le correnti del partito. Tale mossa, in realtà, servì principalmente a separare l'area che faceva loro riferimento dal gruppo riunitosi attorno alle posizioni di Emilio Colombo e Giulio Andreotti (da qualche anno entrato a far parte di Impegno Democratico), che si opposero allo scioglimento della corrente. Grazie a questa decisione, i dorotei si divisero in due tronconi: Iniziativa Popolare, l'area maggioritaria che faceva riferimento a Piccoli, Rumor e Bisaglia, e Impegno Democratico, che invece teneva assieme l'organizzazione degli amici di Colombo e Andreotti.
A seguito della scissione dorotea, Piccoli si dimise da Segretario del partito. Per la prima volta dopo molti anni, venne eletto un nuovo Segretario proveniente da una corrente diversa da quella dorotea: si trattò del fanfaniano Arnaldo Forlani. Durante tutto il decennio degli anni Settanta, pur se Iniziativa Popolare si confermò la prima corrente all'interno del partito (riassorbendo tra l'altro la scissione dei cosiddetti pontieri di Taviani), i dorotei non riuscirono più ad esprimere un Segretario nazionale del partito.
Rumor rimase Presidente del Consiglio e cercò di rilanciare l'azione del governo: venne definitivamente deciso il varo delle regioni; fu approvato lo Statuto dei Lavoratori, accompagnato da incentivi salariali, pensionistici e previdenziali; si cercò di porre un argine alla violenza politica e ai disordini. Tuttavia la crisi della formula politica di Centro-Sinistra creò una situazione di profonda instabilità che travolse i governi di Rumor e tutti quelli che si alternarono nel corso del decennio.
Nel quadro della crisi complessiva del Paese e della politica di Centro-Sinistra, i dorotei continuarono a rappresentare l'ala moderata della Democrazia Cristiana, opponendosi alla politica del dialogo verso il PCI. In questo contesto, appoggiarono le segreterie dirette da Arnaldo Forlani e Amintore Fanfani, che cercarono di rilanciare il profilo moderato del partito.
Con la sconfitta alle elezioni politiche del 1975 e l'allontanamento di Fanfani dalla segreteria del partito, la DC attraversò un momento assai travagliato: la crisi del Centro-Sinistra era ormai assai profonda e la prospettiva di una svolta moderata non aveva pagato in termini elettorali. Iniziò ad affacciarsi con insistenza nel partito l'idea di aprire una nuova stagione di dialogo con le forze della sinistra, che rilanciasse il profilo popolare e riformista della DC. Su questa prospettiva si aprì un acceso scontro congressuale nel 1976 tra il blocco moderato (guidato da Forlani) e quello delle sinistre interne (guidato da Benigno Zaccagnini).
Al Congresso nazionale del 1976 la corrente dorotea si presentò spaccata ancora una volta: la maggior parte dei membri della corrente (guidati da Piccoli e Bisaglia) appoggiò Forlani; un più piccolo gruppo, legato a Rumor, Taviani e Colombo, scelse invece di appoggiare Zaccagnini, in aperto contrasto con la nuova generazione di leader dorotei. Zaccagnini vinse di stretta misura il Congresso, aprendo in questo modo la breve stagione della solidarietà nazionale.
2.10.1.3 Gli anni Ottanta
Il fallimento della stagione della solidarietà nazionale fece emergere nella Democrazia Cristiana una nuova tendenza moderata, incline a una rinnovata e più stretta collaborazione con il PSI in funzione anti-comunista. I dorotei furono tra i promotori di questa nuova linea politica, entrando a far parte della cosiddetta maggioranza del Preambolo: la coalizione che al Congresso nazionale del 1980 riportò alla segreteria il doroteo Flaminio Piccoli.
Nonostante l'indirizzo moderato e di apertura al PSI di Craxi fosse tendenzialmente condiviso da tutti gli esponenti della corrente dorotea, l'organizzazione unitaria di questa componente durante anni Ottanta venne meno. L'esperienza di Iniziativa Popolare, infatti, venne superata a seguito del Congresso nazionale del 1982, in cui i due maggiori esponenti dorotei (Piccoli e Bisaglia) si trovarono a sostenere candidati diversi alla segreteria del partito.
Nella quadro della scomposizione dell'area dorotea degli anni Ottanta, emerse come principale erede di quest'area politica all'interno della Democrazia Cristiana la nuova corrente di Impegno Riformista. Tale area fu anche nota come Corrente del Golfo, in riferimento alle origini napoletane dei suoi leader più in vista (Antonio Gava e Vincenzo Scotti). Tuttavia, nel corso dell'intero decennio, furono comunque riscontrabili molteplici posizioni a vario modo ascrivibili all'area storicamente definita come dorotea, per lo più legate alle figure di singoli leader nazionali.
2.10.1.4 Principali esponenti
Mariano Rumor, Presidente del Consiglio dei ministri e Segretario della Democrazia Cristiana
Emilio Colombo, Presidente del Consiglio dei ministri
Filippo Maria Pandolfi, ministro e commissario europeo
Flaminio Piccoli, Segretario della Democrazia Cristiana
Antonio Bisaglia, Ministro dell'Agricoltura, delle Partecipazioni Statali e dell'Industria, Presidente dei Senatori DC
Antonio Gava, Ministro dell'interno e Presidente dei Senatori DC
Antonio Segni, Presidente della Repubblica Italiana
Paolo Emilio Taviani, Ministro degli Interni e Segretario della Democrazia Cristiana
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