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Vincenzo Lancia e l'auto di alta gamma


INVENTORI E GRANDI IMPRENDITORI

In questa sottosezione illustrerò la vita di quei capitani d'industria e/o inventori che hanno sostanzialmente contribuito al progresso industriale del mondo occidentale con particolare riguardo dell'Italia.

Personaggi precedenti

A - Giovanni Agnelli - Domenico Agusta - Giovanni Ansaldo - Richard Arkright
B - Karl Benz - László József Bíró - Coniugi Bissel - William Edward Boeing - Giovanni Borghi - Giuseppe Borletti - Ernesto Breda
C - Eugenio Cantoni - Bernardo Caprotti - Vittorio Cini - André Gustave Citroen Cristoforo Benigno Crespi
D - Gottlieb Wilhelm Daimler - Ernesto De Angeli - Filippo De Cecco - Rudolf Diesel - Guido Donegani
E - Thomas Edison
F - Giorgio Enrico Falck - Michele Ferrero - Henry Ford
G - Carlo Guzzi -
H - Hewlett e Packard
I - Ferdinando Innocenti -
K - Raymond Albert Kroc - Alfred Krupp
M - Franco Marinotti - Fratelli Michelin -
O - Adriano Olivetti
P - Armand Peugeot - Enrico Piaggio - Giovanni Battista Pirelli . Stephen Poplawski - Ferdinand Porsche
R - Louis Renault - John Davison Rochefeller - Nicola Romeo
S - Isaac Merrit Singer - Alfred Sloan - Otto Sundbäck
T - Franco Tosi
V - Vittorio Valletta - Giuseppe Volpi

lancia 1

Vincenzo Lancia
(VC), 24 agosto 1881 - Torino, 15 febbraio 1937
Terzo figlio di Giuseppe, un imprenditore attivo nella produzione di carne conservata, il giovane Lancia si mostra insofferente alla disciplina scolastica – frequenta senza successo la scuola tecnica –, orientando i suoi interessi verso la meccanica, in particolar modo le prime iniziative nel campo dell’automobilismo.
A Torino i primi tentativi di produzione automobilistica risalgono al 1895 e fra questi il più rilevante è quello del cuneese G. B. Ceirano, la cui officina è situata in corso Vittorio Emanuele II 9, al piano terra del palazzo di proprietà del padre di Vincenzo, dove vive la famiglia. Lancia si trova quindi a osservare – praticamente nel cortile di casa – la più interessante esperienza di costruzione automobilistica torinese di fine secolo.
Nel 1898 viene assunto da Ceirano come impiegato, ma probabilmente solo perché questa qualifica sembra più consona alla sua posizione sociale. In realtà, si immerge nell’attività dell’officina, dal disegno delle vetture, alla costruzione, alla riparazione, ed è presto in grado di padroneggiare completamente i problemi dell’assistenza tecnica. Nel 1900 la Ceirano viene acquisita dalla Fiat di Giovanni Agnelli, e Lancia può così fare esperienza di una superiore realtà tecnica e organizzativa.
A 25 anni Lancia, già collaudatore e poi pilota al volante delle Fiat, si sente maturo per tentare la propria strada di costruttore. Il 29 novembre 1906, a Torino, fonda la società in nome collettivo Lancia e C. con un capitale di 100.000 lire suddiviso in parti uguali fra lui e C. Fogolin, un altro ex dipendente Fiat.
I primi modelli prodotti dalla nuova azienda, che nei primi anni può contare su circa 70 dipendenti, non sono particolarmente innovativi e sofisticati; si basano tuttavia su concezioni progettuali che diverranno una caratteristica di fondo dell’impresa. L’obiettivo è ottenere una vettura leggera e versatile, curata nei dettagli, robusta ma piacevole da guidare anche su lunghe distanze, senza bisogno di particolari attenzioni. Le vetture Lancia sono destinate a clienti di fascia medio-alta: il primo modello prodotto – l’Alfa – costa fra le 10.000 e le 14.000 lire. L’accoglienza è generalmente buona, sia in Italia sia all’estero, e soprattutto in Inghilterra e negli Stati Uniti.
Nel gennaio 1911 l’azienda trasferisce la propria attività produttiva in via Monginevro, nell’area di Borgo S. Paolo, attratta dalle possibilità di espansione in una zona periferica. Nel nuovo stabilimento lavorano 390 operai, segno del forte sviluppo dell’azienda. Nei due anni iniziali, da via Monginevro escono cinque diversi modelli di automobile, oltre allo chassis dell’autocarro leggero 1Z fornito all’esercito italiano per la guerra di Libia. Tra il 1912 e il 1913 Lancia abbandona l’iniziale impostazione, che concedeva grande spazio alle richieste di “personalizzazione” dei clienti, in favore di una maggiore uniformità produttiva e della ricerca di un modello di automobile di “lunga durata”. Il risultato è la Theta, il cui motore da 4.940 cm3 appare particolarmente adatto a una macchina di elegante praticità ed estremamente versatile (con versioni limousine e torpedo), ma anche a essere montato su un carro armato e su un camion.
Durante la Prima guerra mondiale il contributo dell’azienda allo sforzo bellico è però limitato: dalla Lancia escono solo 3.000 unità fra autocarri e autovetture, mentre l’industria automobilistica italiana produce complessivamente 80.300 veicoli, e la Fiat, da sola, 56.000.
Nel dopoguerra Lancia, rimasto da solo al comando dell’azienda dopo il ritiro di Fogolin, deve affrontare un periodo di incertezze, che costringe l’impresa, nel 1919, a chiudere il primo bilancio in perdita della sua storia. Ma il sovradimensionamento degli impianti e la diversificazione provocati dalla domanda bellica lasciano strascichi ben più gravosi in altre imprese del settore, e il successivo quadriennio 1919-1922, pur caratterizzato da una forte instabilità della domanda, segna il ritorno dell’azienda all’utile.
La Lancia è uno dei protagonisti del rinnovamento dell’automobilismo nazionale nei primi anni Venti, insieme con la Isotta Fraschini e l’Alfa Romeo, nel segmento delle vetture di lusso, e la Fiat, nel gruppo dei veicoli di minore cilindrata. Nel dicembre 1921 la rivista «Motori, aerei, cicli e sports» dà notizia di un’automobile che si presenta come una vera rivoluzione tecnica: è la Lambda, la vettura grazie alla quale Lancia, che sino ad allora era considerato un costruttore di alta qualità ma piuttosto conservatore, acquista la reputazione di progettista fra i più audaci nel panorama internazionale.
Le grandi novità della Lambda sono: un motore a quattro cilindri a V, con angolo molto stretto (a 13 gradi), tale da consentire una costruzione compatta e leggera, l’avantreno a ruote indipendenti – un passo avanti di non poco conto sul piano della sicurezza –, ma soprattutto la fusione fra carrozzeria e telaio – la scocca portante –, che dimezza il peso della vettura rispetto a modelli della stessa cilindrata e offre una resistenza agli urti molto maggiore rispetto alle strutture tradizionali.
Con la Lambda, Lancia offre l’unica vera automobile italiana “media”, di alta classe, in grado di fornire prestazioni d’eccezione e indubbia comodità a un prezzo (35.000 lire) non troppo superiore a quello di modelli ben più spartani come la Fiat 501. La Lambda ottiene uno straordinario successo di mercato: fra il 1923 e il 1931 ne vengono costruiti oltre 13.000 esemplari.
All’inizio degli anni Trenta la Lancia toglie alla Bianchi la seconda posizione fra le imprese automobilistiche italiane, posizione che mantiene saldamente fino a fine decennio, controllando più del 9% del mercato nazionale. Quest’ultimo resta ancora piuttosto asfittico: nel 1938, a fronte di sette veicoli su 1.000 abitanti rilevabili in Italia, stavano i 18 della Germania, i 43 della Francia, i 44 della Gran Bretagna e i 114 negli Stati Uniti. L’evoluzione complessiva del settore, i suoi ritmi di sviluppo, la definizione dell’assetto competitivo ben si adattano al percorso di un’azienda quale la Lancia, che mira alla differenziazione del proprio prodotto, alla costruzione di un numero relativamente limitato di veicoli – nel 1939, anno in cui si contano più di 5.000 dipendenti, la produzione ammonta a 6.262 vetture – e che di sicuro non ricerca un’organizzazione interna di tipo fordista; alla produzione di massa punta invece la Fiat, che negli anni Venti e Trenta, grazie a una strategia di poderosa integrazione verticale e alla dotazione di un’estesa gerarchia manageriale, arriva a controllare quasi il 90% della produzione italiana.
La possibilità di sopravvivenza per le case minori è dunque legata alla capacità di presentare sul mercato vetture che si distinguano sul piano qualitativo. Fino al 1937, anno in cui Vincenzo muore, stroncato da un infarto, la Lancia immette sul mercato altre cinque vetture: un modello di lusso di alta cilindrata, la Dilambda, nel 1929; due anni dopo l’Astura e l’Artena per la fascia medio-alta, distinte solo per la diversa dimensione del motore (otto cilindri la prima, quattro la seconda); una raffinata “utilitaria”, l’Augusta, nel 1932; una macchina veloce di media cilindrata, l’aerodinamica Aprilia, nel 1937.
In questo modo negli anni Trenta la Lancia riesce ad essere presente in tutti i segmenti del mercato, mentre i buoni rapporti con il Regime – che in campo automobilistico non nasconde la sua preferenza per le vetture prodotte dalla Lancia e dall’Alfa Romeo, rispetto alle Fiat –, garantiscono, a partire dalla metà degli anni Trenta, un consistente aumento delle commesse pubbliche (comprese quelle militari), da cui l’azienda ricava ottimi profitti.
Dopo la morte di Lancia, la guida dell’azienda viene assunta dalla moglie Adele Miglietti, coadiuvata da alcuni stretti collaboratori. Vincenzo Lancia lascia un’impresa con una solida condizione economica e, soprattutto, consolidate routine, che le consentiranno di mantenere nel panorama dell’automobilismo italiano la posizione ottenuta dal Primo dopoguerra.
Il grande cambiamento degli anni Cinquanta farà tuttavia avvertire la mancanza delle capacità imprenditoriali del fondatore, che nessuno – né in famiglia, né fra i maggiori dirigenti della società – appare in grado di sostituire. Inizia allora quell’inarrestabile declino dell’azienda che ne provoca l’acquisizione da parte della Fiat nel 1969.
Risorse archivistiche e bibliografiche
Archivio storico Lancia, Torino, con particolare riferimento alle sezioni: I, Consiglio di amministrazione; II, Presidenza - Amministratore unico; III, Presidenza - Direzione Generale; IV, Produzione; VII, Commerciale; IX, Amministrazione. Nell’anniversario della morte di Vincenzo Lancia, Torino, 1938 (in particolare C. Fogolin, Ricordi su Vincenzo Lancia, pp. 11-58); W. H. J. Oude Weernink, La Lancia, Vimodrone (MI), 1994; F. Amatori, Impresa e mercato. Lancia, 1906-1969, Bologna, Il Mulino, 1996.


impresa.san.beniculturali.it - Eugenio Caruso - 3 aprile 2017

Tratto da

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www.impresaoggi.com