Io lavoro sempre con la convinzione che non esista, in fondo, nessun problema irrisolvibile.
Jung
INVENTORI E GRANDI IMPRENDITORI
In questa corposa sottosezione illustro la vita di quei capitani d'industria e/o inventori che hanno sostanzialmente contribuito al progresso industriale del mondo occidentale con particolare riguardo dell'Italia e del made in Italy.
Biografie precedenti
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E - Thomas Edison - Carlo Erba - Carlo Esterle -
F - Giorgio Enrico Falck - Alberto Fassini - Renato Fastigi - Carlo Feltrinelli - Salvatore Ferragamo - Enzo Ferrari - Michele Ferrero - Serafino Ferruzzi - Giovanni Battista Figari - Ignazio Florio - Henry Ford - Eden Fumagalli -
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H - Hewlett e Packard - Ulrico Hoepli -
I - Ferdinando Innocenti -
L - Vincenzo Lancia - Vito Laterza - Achille Lauro - Roberto Lepetit - Mattia Locatelli - Florestano de Larderel - Luigi Lavazza -
K - Raymond Albert Kroc - Alfred Krupp
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N - Vittorio Necchi
O - Adriano Olivetti
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R - Guglielmo Reiss Romoli - Louis Renault - Alberto Riva - Angelo Rizzoli - Agostino Rocca - John Davison Rochefeller - Nicola Romeo - Alessandro Rossi -
S - Angelo Salmoiraghi - Isaac Merrit Singer - Alfred Sloan - Luisa Spagnoli - Otto Sundbäck
T - Franco Tosi
V - Vittorio Valletta - Giuseppe Volpi
Z - Lino Zanussi
Gioacchino Alemagna.
Nato a Melegnano (Milano) il 13 maggio 1892, iniziò a lavorare all'età di quattordici anni come garzone pasticcere. Scoppiato il conflitto mondiale, venne richiamato sotto le armi. Tornato a Milano alla fine della guerra, aprì nel 1919 un laboratorio di pasticceria con annesso un negozio in via Paolo Sarpi, in una zona popolare posta tra il parco Sforzesco e il cimitero Monumentale.
Nonostante le dimensioni ridotte della pasticceria (con Alemagna lavoravano solo il fratello Emilio e la moglie Eva), gli affari andarono subito piuttosto bene. Puntando sulla qualità dei prodotti prima che sulla quantità - una scelta che contraddistinse le sue attività anche in seguito - egli riuscì ben presto a farsi un nome e a conquistarsi una buona clientela.
In tal modo fu anche relativamente semplice effettuare il passo successivo: il trasferimento del negozio in una zona più centrale di Milano. È infatti del 1922 l'apertura di una pasticceria in via Carlo Alberto (l'attuale via Mazzini). Il grande intuito imprenditoriale si manifestò anche in altre maniere. La confezione dei dolci a quell'epoca continuava a essere svolta su base artigianale: fino alla metà degli anni venti, in effetti, non si può parlare di industria dolciaria in Italia. Non solo le ricette per la preparazione dei prodotti venivano tramandate dal capopasticcere all'aiutante secondo una tradizione e dei modelli risalenti ai secoli precedenti, ma anche le attrezzature tecniche risentivano sensibilmente del clima generale nel quale si svolgeva questo tipo di attività economica. Mostrando un indubbio spirito pionieristico, Alemagna fu il primo a richiedere alle industrie meccaniche la progettazione e la realizzazione di macchinari adatti all'industria dolciaria.
Tuttavia, prima di avviare le proprie attività su un piano più specificamente industriale, egli si preoccupò di perfezionare l'operazione che doveva portarlo con i suoi esercizi commerciali nel cuore di Milano. Nel 1933 inaugurò infatti una pasticceria in piazza Duomo, all'angolo con via Torino, che aumentò la sua notorietà. I suoi prodotti cominciarono ad essere venduti anche fuori Milano, mentre nel contempo iniziò pure quella guerra personale a colpi di panettoni e di vetrine scintillanti con l'altro astro nascente della pasticceria milanese, Angelo Motta, che da alcuni anni aveva aperto un negozio a un centinaio di metri di distanza, in galleria dell'Unione (allora galleria Carlo Alberto).
Fra i due, però, fu Motta quello che seppe approfittare maggiormente dei vantaggi, diretti e indiretti (si pensi al problema dell'immagine), che venivano da quel tipo di prodotto. Anche perché il panettone, come lo si conosce oggi, simbolo di milanesità solo in un primo tempo e poi genericamente del Natale, venne realizzato per primo proprio da Motta. L'antica ricetta lombarda lo voleva basso, di pasta molto compatta. Aggiungendo più uova e più burro, il più diretto concorrente di Alemagna lo rese più morbido e più decorativo. E, intanto, mentre Alemagna continuava a puntare sulla qualità e la raffinatezza dei prodotti (e della clientela), Motta si poneva, con largo anticipo sul rivale, sul piano della produzione di massa (è del 1927 la creazione del primo stabilimento Motta, dotato di attrezzature modernissime).
La trovata di sovrapporre la lettera "M" alla confezione del panettone (un marchio che, oltre a richiamare il nome della ditta e della capitale lombarda, costituiva un'attrattiva evidente anche per il regime) costituì un autentico colpo pubblicitario grazie al quale vivere di rendita per parecchio tempo.
Alemagna accorciò un poco le distanze da Motta nel 1937, quando mise in funzione uno stabilimento industriale in via Silva, dopo aver rilevato un opificio di tintoria con l'annesso magazzino. Nei tre anni successivi la fabbrica venne allargata e dotata di nuovi macchinari, mentre anche a livello di gestione aziendale si ebbe una importante novità con la nascita della Azienda Alemagna Panettoni. Insomma, alla vigilia della seconda guerra mondiale Alemagna aveva finalmente iniziato a staccarsi dalla precedente tradizionale visione della propria attività, tutta basata su quella formula che si potrebbe definire pasticceria artigianale di qualità. Ma si trattava pur sempre aappena di un timido avvio.
Nello stabilimento lavoravano inizialmente otto persone. Con la guerra, oltre ai problemi di carattere generale comuni a tutto il tessuto economico nazionale, sopravvennero alcune difficoltà specifiche per il settore, soprattutto a causa della rarefazione di certe materie prime, assolutamente indispensabili, impiegate nell'industria dolciaria, lo zucchero su tutte. Alemagna, e con lui tutti gli industriali del ramo, sperimentò con successo l'impiego del miele al posto dello zucchero. Tale soluzione, che negli anni di guerra costituì solo una scelta di ripiego, in realtà si rivelò, almeno per certe produzioni, un accorgimento che presentava più di un vantaggio, tanto che venne parzialmente adottato anche dopo il 1945. Nel 1943 lo stabilimento venne praticamente distrutto nel corso di un'incursione aerea. Due anni più tardi entrò in funzione, sempre sulla stessa area, una nuova fabbrica, che Alemagna dotò dei migliori macchinari disponibili, allargandone nel contempo la superficie fino a raggiungere i 150.000 metri quadrati.
Non appena l'opera di ricostruzione dell'economia italiana raggiunse una fase di consolidamento, egli riprese i propri progetti di espansione commerciale secondo le linee direttrici adottate già negli anni Venti e Trenta. Nel 1949 venne inaugurato l'ennesimo negozio, stavolta in via Manzoni con ben diciannove vetrine sfavillanti e zeppe di prodotti dolciari. A metà degli anni Cinquanta un nuovo gioiello andò ad arricchire la collezione delle pasticcerie milanesi che portavano l'insegna Alemagna. Nel 1953 venne aperto al pubblico un negozio in largo Augusto che la stampa dell'epoca definì con entusiasmo uno dei più moderni ed efficienti d'Europa. E due anni più tardi l'ormai vecchia pasticceria di piazza Duomo fu rimessa completamente a nuovo, divenendo la più grande d'Europa per superficie. Nei dieci anni che avevano seguito la fine del conflitto la ditta Alemagna era cresciuta notevolmente anche sul piano industriale.
Mentre nel 1945 essa non figurava nemmeno tra le prime venti industrie dolciarie italiane per numero di addetti e per cifra d'affari (l'elenco era aperto dalla Venchi-Unica, dalla Motta, dalla Perugina, dalla Caffarel e dalla Ambrosoli), verso la metà del decennio successivo il quadro era completamente cambiato. L'industria dolciaria di Milano e provincia comprendeva ormai poco meno di un centinaio di imprese industriali che in totale occupavano circa seimila persone, duemilacinquecento delle quali lavoravano per l'Alemagna: un risultato estremamente significativo, se si pensa agli otto operai che la ditta contava nel 1937, e tale da far meritare all'imprenditore. nel giugno del 1954 il titolo di cavaliere del lavoro.
Nel frattempo l'impresa aveva alquanto diversificato la produzione. Accanto ai prodotti tradizionali (primo fra tutti il panettone) fecero la loro comparsa la cioccolata, i gelati, le caramelle, la frutta candita, i torroni e un vasto assortimento di dolci da forno. Gli anni del boom economico rappresentarono un'ulteriore occasione di sviluppo, ma anche di sempre più accanita concorrenza con l'antica rivale Motta. Gli strumenti del confronto-scontro furono numerosi e, spesso, molto dispendiosi. Pochi settori si sono affidati al potere evocativo dell'immagine o del messaggio pubblicitario con tanta convinzione e precocità come l'industria alimentare e dolciaria in particolare.
L'Alemagna e la Motta si rincorsero e si scavalcarono di continuo alla ricerca di nuove idee, di nuovi canali, di nuovi modi per raggiungere il pubblico e per risvegliarne in maniera accattivante il desiderio. Ecco allora un esercito di automezzi con il marchio della ditta o con il nome (o il simbolo) di certi prodotti di più sicuro richiamo muoversi di continuo per tutta la penisola e anche all'estero (i prodotti Alemagna - in totale circa un migliaio alla fine degli anni Sessanta - raggiungevano quarantaquattro paesi stranieri). Oppure ecco l'apertura di un negozio in un quartiere, decisa semplicemente per rispondere a una analoga scelta compiuta in precedenza dal concorrente, anche a costo di effettuare un investimento che si sapeva improduttivo in partenza. Oppure ancora la lotta a colpi di slogan pubblicitari, che vide di fronte un "Non c'è Natale, se non c'è Motta" e un "Si scrive Natale, si pronuncia Alemagna".
Nell'Italia consumistica degli anni Sessanta i successi più vistosi per l'impresa, da questo punto di vista, furono senz'altro il lancio delle caramelle "Sanagola" e "Charms". Queste ultime furono inizialmente imitate dalla ditta italiana, poiché in origine erano state ideate negli Stati Uniti e portate in Italia da Alberto Alemagna, figlio di Gioachino, che affiancò il padre nella conduzione dell'impresa a partire dagli anni cinquanta (ma poi furono gli Americani ad acquistare le macchine progettate dagli Alemagna per confezionare i pacchetti di caramelle).
Se il rapporto fra problemi tecnici della produzione, innovazione tecnologica e produzioni di qualità fu sempre una costante dell'attività dell'imprenditore, altrettanto non si può certo dire per i metodi di gestione adottati, metodi che furono sempre improntati a una visione verticistica e paternalistica dell'impresa. Da un certo punto di vista il grande industriale rimase in sostanza un pasticcere, padrone assoluto del proprio laboratorio, nel bene e nel male. Gli stabilimenti Alemagna (nei quali erano occupati circa seimila operai alla fine degli anni Sessanta, quando si producevano fino a 1500 quintali di panettoni o di colombe nei periodi di punta), i cinque negozi, di cui uno a Roma, e i centoventi autobar lungo le autostrade facevano capo alla società in nome collettivo Alemagna Panettoni di Gioachino Alemagna e C. (della quale era contitolare il figlio Alberto), a fianco della quale operava la Finanziaria Alemagna che aveva come amministratore unico lo stesso Alberto Alemagna.
Alemagna. si ritirò dagli affari nel 1967, lasciando la guida dell'impero dolciario al figlio. Assistette, nel 1968, al passaggio nelle mani della finanziaria alimentare dell'IRI, la SME, dell'antica rivale, la Motta. La lunga ed estenuante concorrenza tra le due aziende non ebbe tuttavia un vincitore: l'imptrsa Alemagna resistette solo ancora pochi anni al destino dell'altra grande industria milanese. Nel 1970 il 50% del pacchetto azionario della ditta venne acquistato dalla SME, primo passo verso il definitivo assorbimento dell'impresa da parte dello Stato nel 1976, un evento che si verificò circa due anni dopo la morte dell'Alemagna, deceduto a Milano il 23 sett. 1974.
La crisi che colpì l'Alemagna alla fine degli anni sessanta indusse la proprietà a cedere il 50% del pacchetto azionario alla SME, del gruppo IRI, che già aveva rilevato la Motta, la quale poi fuse nel 1975 le due storiche aziende in unica società, la Unidal (poi ridenominata Sidalm).
Nel 1986, dopo lo scioglimento della Sidalm, il marchio Alemagna fu incorporato da SME insieme alle altre controllate Motta e Pavesi nel gruppo Alivar, che divenne così l'unica società gestrice dell'intero comparto dolciario della stessa holding alimentare pubblica. Nel 1990, dopo lo scioglimento anche dell'Alivar, i marchi Alemagna e Motta furono incorporati nel neocostituito "Gruppo Dolciario Italiano", società appositamente creata da SME per gestire le attività del comparto dei prodotti dolciari. Nel 1993, in ambito di totale privatizzazione della SME, il "G.D.I." fu ceduto insieme alla Italgel alla multinazionale svizzera del settore alimentare Nestlè. Infine, il marchio Alemagna è stato ceduto da Nestlè nel 2009 alla industria dolciaria italiana Bauli. Charms e Sanagola cedute a Fida. Con la scomparsa del marchio Alemagna se ne va anche un pezzo della nostra storia di milanesi, dei quattro passi in galleria, del "prendiamoci un caffè all'Ale".
Fonti e Bibl.: Artefici del lavoro italiano, a cura dell'Istituto di arti e mestieri per gli orfani dei lavoratori italiani caduti in guerra "F. D. Roosevelt", Roma 1956, pp. 18-20;
Chi è? Diz. degli Italiani d'oggi, Roma 1961, p. 18;
Associazione fra le società italiane per azioni, Repertorio delle società italiane per azioni, Roma 1967, 11, p. 3159;
Federazione nazionale dei cavalieri del lavoro, Elenco dei cavalieri del lavoro dalla fondazione dell'ordine, Roma 1967, p. 6;
A. S. Ori, La favolosa Italia degli affari. I faraoni di Milano, Bologna 1970, pp. 380 s.; Id.,
Dove va l'industria alimentare italiana? Anatomia di una crisi, Modena 1973, p. 33;
G. Vergani, Il panettone trasloca. Milano perde un mito, in La Repubblica, 20 nov. 1984.
Eugenio Caruso
- 19 ottobre 2017
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