Sezioni   Naviga Articoli e Testi
stampa

 

        Inserisci una voce nel rettangolo "ricerca personalizzata" e premi il tasto rosso per la ricerca.

Diocleziano grande imperatore, ma, persecutore dei cristiani



Diocleziano rientrò ad Antiochia nell'autunno del 302. L'anno successivo compì un primo passo nella repressione del Cristianesimo facendo imprigionare e poi giustiziare (17 novembre del 303) il diacono romano di Cesarea, ritenuto colpevole di aver messo in discussione la legittimità a giudicare dei tribunali imperiali e, soprattutto, per essersi rifiutato di compiere, in rispetto alle disposizioni dell'imperatore, i sacrifici rituali agli dèi. Successivamente l'augusto si trasferì a Nicomedia, accompagnato da Galerio, dove trascorse l'inverno. Secondo Lattanzio, i due imperatori durante il loro soggiorno a Nicomedia pianificarono la politica da adottare nei confronti dei cristiani. Diocleziano, inizialmente, intendeva limitarsi a imporre ai cristiani il divieto di ricoprire incarichi amministrativi e militari, ritenendo tali misure sufficienti a placare gli dèi, ma Galerio persuase l'augusto a condurre un'azione più decisa che prevedeva la possibilità di sterminare gli adepti di questa nuova religione. Le argomentazioni addotte da Galerio a sostegno dell'adozione della linea dura verso i cristiani potrebbero essere così riassunte: i cristiani avevano creato uno Stato nello Stato, che era già governato da proprie leggi e magistrati, possedeva un tesoro e manteneva la coesione grazie all'instancabile opera dei vescovi che dirigevano le diverse comunità dei fedeli cui erano preposti attraverso decreti cui si obbediva ciecamente; occorreva, quindi, intervenire prima che il Cristianesimo "contaminasse" i ranghi dell'esercito. Secondo fonti dell'epoca, prima di agire si consultò il Didymaion, l'oracolo di Apollo di Didyma, ma il responso fu che, "a causa degli empi sulla Terra, Apollo non avrebbe potuto fornire il proprio aiuto". Gli "empi" cui l'oracolo fece riferimento vennero identificati con i cristiani e Diocleziano si lasciò indurre a condividere questa interpretazione.
La persecuzione ebbe inizio il 23 febbraio del 303, e fu condotta con grande ferocia, soprattutto in Oriente, dove la religione cristiana era ormai notevolmente diffusa. Il primo editto venne affisso nella capitale, Nicomedia, e ordinava:
a) il rogo dei libri sacri, la confisca dei beni delle chiese e la loro distruzione;
b) il divieto per i cristiani di riunirsi e di tentare qualunque tipo di difesa in azioni giuridiche;
c) la perdita di carica e privilegi per i cristiani di alto rango, l'impossibilità di raggiungere onori ed impieghi per i nati liberi, e di poter ottenere la libertà per gli schiavi;
d) l'arresto di alcuni funzionari statali.
Questa nuova forma di persecuzione, che trovava fondamento in precise norme di legge, da un lato esasperò gli animi dei cristiani, da un altro fu soggetta ad abusi ed atti di violenza da parte dei non cristiani, che comunque le autorità statali incaricate di vigilare sull'applicazione dell'editto non erano disposte a tollerare. Nel giro di pochi giorni, prima della fine di febbraio, per due volte il palazzo e le stanze di Diocleziano subirono un incendio. La strana coincidenza fu considerata prova della dolosità dei due eventi, e il sospetto ricadde sui cristiani. Venne allora promossa un'indagine, ma diede esito negativo, poiché nessun responsabile venne trovato. Diocleziano, allora, sentendosi minacciato in prima persona, abbandonò ogni residua prudenza e irrigidì la persecuzione. Nonostante i numerosi arresti, torture ed esecuzioni ovunque, sia nel palazzo che nella città, non fu possibile estorcere alcuna confessione di responsabilità nel complotto. Ad alcuni apparve però sospetta la frettolosa partenza di Galerio dalla città, che fu giustificata con il timore di cadere vittima dell'odio dei cristiani. Vennero inizialmente messi a morte gli eunuchi di corte, Doroteo e Gorgonio. Le esecuzioni continuarono fino almeno al 24 aprile del 303, quando sei persone, incluso il vescovo Antimo di Nicomedia, furono decapitate. Dopo il secondo incendio, scoppiato sedici giorni dopo il primo, Galerio abbandonò la città per Roma, dichiarando Nicomedia insicura, e poco dopo anche Diocleziano lo seguì.
Forse per l'iniziale scarsa animosità nei confronti della persecuzione da parte di Diocleziano, che voleva magari verificarne gli esiti personalmente prima di dover intervenire su larga scala, stranamente l'editto impiegò quasi due mesi per arrivare in Siria e quattro per essere reso pubblico in Africa. Nelle varie parti dell'Impero i magistrati e i governatori applicarono comunque con varia severità (e a volte con mitezza) il decreto, ma le vittime e le distruzioni delle chiese furono numerose, come numerosi furono i roghi dei libri sacri. Questo editto fu seguito da altri, nei quali si comminavano pene sempre più gravi, dapprima nei confronti dei funzionari pubblici, e quindi di tutti i cittadini di fede cristiana. Malgrado il crescendo delle persecuzioni, queste risultarono infruttuose. La maggior parte dei cristiani riuscirono a fuggire, e anche i pagani, risultarono generalmente indifferenti alla persecuzione. Le sofferenze dei martiri rafforzarono la determinazione dei loro fratelli cristiani.
Diocleziano vide il suo compito come quello di un restauratore, un'autorità il cui dovere era di riportare l'impero alla pace, di ridare stabilità e giustizia dove le orde dei barbari avevano portato devastazione. Egli si assunse la responsabilità di irreggimentare, centralizzare l'autorità politica in modo massiccio. Egli impose un sistema di valori verso il pubblico spesso diverso e poco ricettivo da parte dei provinciali. Le città maggiormente utilizzate quali sedi imperiali di questo periodo furono: Mediolanum (Milano), Augusta Treverorum (Treveri), Arelate (Arles), Sirmium (Sremska Mitrovica), Tessalonica (Salonicco), Serdica (Sofia), Nicomedia (Izmit) e Antiochia (Antakya). Esse erano considerate sedi imperiali alternative a esclusione della città di Roma e dell'aristocrazia senatoriale. Si perfezionò così il processo di esautoramento del Senato romano come autorità decisionale: l'impero divenne una monarchia assoluta ed assunse caratteristiche tipiche delle monarchie orientali, come l'origine divina del monarca e la sua adorazione. Venne sviluppato un nuovo stile cerimoniale che enfatizzava ed esaltava la figura dell'imperatore nei confronti delle altre persone. Gli ideali quasi repubblicani di augusto, primus inter pares, furono abbandonati completamente da tutti i tetrarchi. Diocleziano iniziò ad indossare una corona d'oro e gioielli, proibì l'utilizzo degli abiti color porpora a tutti, eccetto che agli imperatori. I sudditi erano tenuti a prostrarsi alla sua presenza; ai più fortunati era concesso il privilegio di baciare l'orlo della sua veste.
La tetrarchia venne progettata prima di tutto su base territoriale, sia per le crescenti difficoltà dovute alle numerose rivolte interne all'impero, sia a causa delle devastanti incursioni dei barbari lungo i confini esterni. Come già vfisto, si provvedette a dividere l'impero in quattro parti, tra due augusti e due cesari. Ogni sua parte era poi costituita da tre diocesi, per un totale di dodici. La diocesi era governata da un pretore vicario o semplicemente vicario (vicarius), sottoposto al prefetto del pretorio. Il vicario controllava i governatori delle province (variamente denominati: proconsules, consulares, correctores, praesides) e giudicava in appello le cause già decise in primo grado dai medesimi (le parti potevano scegliere se appellarsi al vicario o al prefetto del pretorio). I vicari non avevano poteri militari, infatti le truppe stanziate nella diocesi erano sotto il comando di un comes rei militaris, che dipendeva direttamente dal magister militum e aveva alle sue dipendenze i duces ai quali era affidato il comando militare nelle singole province. Per evitare la possibilità di usurpazioni locali, per facilitare una raccolta più efficiente delle tasse e forniture, e per facilitare l'applicazione della legge, Diocleziano raddoppiò il numero delle province da cinquanta ad almeno cento. Le province vennero raggruppate in dodici diocesi, ciascuna governata da un funzionario chiamato vicarius, o "vice del prefetto del pretorio". Alcune delle divisioni provinciali richiesero delle successive revisioni, che portarono a modifiche subito dopo il 293 o agli inizi del IV secolo. La stessa Roma venne esclusa dall'autorità del prefetto del pretorio, poiché venne amministrata da un prefetto urbano dell'ordine senatorio, l'unico funzionario di prestigio riservato esclusivamente ai senatori, ad eccezione di alcuni governatori: in Italia con il titolo di corrector, oltre ai proconsules d'Asia e Africa.
Diocleziano mutò completamente l'illusione augustea di un governo imperiale, nato dalla cooperazione tra l'imperatore, l'esercito e il senato. Nel suo palazzo egli stabilì una struttura a tutti gli effetti autocratica, un cambiamento più tardi sintetizzato nel nome di concistoro (consistorium), non un consiglio. Il termine consistorium era già stato utilizzato per definire il luogo dove avvenivano questi incontri del consiglio imperiale. Diocleziano regolò la sua corte iniziando a distinguendola per reparti separati (scrina), a cui erano affidati particolari compiti. Da questa struttura vennero create le funzioni dei diversi magistri, come il Magister officiorum, e delle segreterie associate. Si trattava di uomini preposti a trattare petizioni, richieste, corrispondenza, affari legali, oltre alle ambasciate straniere. All'interno della sua corte, Diocleziano mantenne un organismo permanente di consulenti legali, uomini con un'influenza notevole sul riordino degli affari giuridici. C'erano poi due "ministri" delle finanze, che avevano a che fare sia con il tesoro pubblico (aerarium populi Romani), sia con i domini privati dell'imperatore (fiscus Caesaris), oltre al prefetto del pretorio, il funzionario sicuramente più influente di tutti. La riduzione della guardia pretoriana a livello di semplice guarnigione della città di Roma ridusse notevolmente il potere militare nelle mani del prefetto, a vantaggio di compiti prevalentemente civili. Il prefetto mantenne uno staff di centinaia di collaboratori e diresse affari in numerose discipline del governo imperiale: dalla tassazione, all'amministrazione, alla materia legale, ai comandi militari minori, tanto che il prefetto del pretorio spesso risultò essere secondo solo all'imperatore stesso.
La diffusione del diritto imperiale nelle province fu facilitato dalla riforma che Diocleziano fece a livello di struttura provinciale, ora che vi era un numero maggiore di governatori (praesides) che prendevano decisioni su più ridotte aree geografiche e su popolazioni meno numerose. La riforma di Diocleziano fece sì che tra le funzioni dei governatori ci fosse quella di presiedere ufficialmente alle corti minori: mentre le funzioni militari e giudiziarie nell'alto impero romano erano le funzioni tipiche del governatore, e i procuratori si occupavano di tassazione, sotto il nuovo sistema dei vicarii, i governatori erano responsabili della giustizia e della tassazione, mentre un nuovo tipo di funzionario, il dux, agiva indipendente dal servizio civile, e deteneva il comando militare. Questi duces spesso amministravano le forze militari di due o tre delle nuove province create da Diocleziano, comandando su forze militari che potevano essere costituite da 2.000 fino a più di 20.000 armati. Oltre al ruolo di giudici e funzionari addetti a riscuotere le tasse, i governatori dovevano mantenere il servizio postale (cursus publicus) e garantire che i consigli cittadini facessero il loro dovere.
Gli imperatori che avevano preceduto Diocleziano nei quarant'anni antecedenti il suo regno, non erano riusciti a far fronte ai loro doveri in modo efficace, e la loro produzione di rescritti attestata risulta bassa. Diocleziano al contrario, fu prodigioso nei suoi affari: ci sono almeno 1.200 rescritti a suo nome che ancora sopravvivono, e questi rappresentano solo una piccola parte dell'enorme mole di lavoro svolta. Il forte aumento del numero di editti e rescritti prodotti sotto il governo di Dioclezioano è stato letto come la prova tangibile di un continuo sforzo per riallineare tutto l'impero alle condizioni dettate dal potere centrale imperiale.
Dopo la riforma delle province di Diocleziano, i governatori vennero chiamati iudex o giudice. Il governatore divenne responsabile delle sue decisioni, prima nei confronti del suo superiore, così come in quelli dell'imperatore. Fu proprio attorno a questo periodo che i documenti giudiziari divennero trascrizioni di quanto era stato detto nel corso del processo, rendendo più facile determinare il pregiudizio o il comportamento improprio da parte del governatore. Con queste fonti e il diritto universale d'appello, le autorità imperiali probabilmente avevano un grande potere di far rispettare le norme di comportamento da parte dei loro giudici. Nonostante i tentativi riformistici di Diocleziano, la ristrutturazione provinciale era tutt'altro che chiara, specialmente quando i cittadini facevano ricorso contro le decisioni dei funzionari imperiali. I proconsoli, per esempio, erano spesso giudici di primo grado e del successivo grado d'appello, e i governatori di alcune province ricevevano casi di appello da quelle vicine. Ben presto divenne impossibile per l'imperatore evitare di occuparsi di alcuni casi di arbitrato o di giudizio. Il regno di Diocleziano segna la fine del periodo classico del diritto romano. E se il sistema dei rescritti di Diocleziano mostrò aderenza alla tradizione classica, la giurisprudenza di Costantino fu invece piena di influenze greche e orientali.
Diocleziano creò una vera e propria nuova gerarchia militare sin dalle più alte cariche statali, quelle dei "quattro" Imperatori, dove il più alto in grado era l'augusto Iovio (protetto da Giove), assistito da un secondo augusto Herculio (protetto da un semidio, Ercole), a cui si aggiungevano i due rispettivi cesari, ovvero i "successori designati". In sostanza si trattava di un sistema politico-militare che permetteva di dividere meglio i compiti di difesa del confine: ogni tetrarca, infatti, curava un singolo settore strategico e la sua sede amministrativa era il più possibile vicino alle frontiere che doveva controllare (Treviri e Milano in Occidente; Sirmio e Nicomedia in Oriente), in questo modo era possibile stroncare rapidamente i tentativi di incursione dei barbari, evitando che diventassero catastrofiche invasioni come quelle che si erano verificate nel III secolo.
Il nuovo sistema difensivo dei confini venne reso più elastico e "profondo": alla rigida difesa del vallum venne aggiunta una rete sempre più fitta di castella interni, collegati tra di loro da un più complesso sistema viario (un esempio su tutti: la strata Diocletiana in Oriente). In sostanza si passò da un sistema difensivo di tipo "lineare" ad uno "più profondo" (sebbene non nelle proporzioni generate dalla crisi del III secolo, quando Gallieno e gli imperatori illirici erano stati costretti dai continui "sfondamenti" del limes a far ricorso a "riserve" strategiche molto "interne" rispetto alle frontiere imperiali), che vide un notevole ampliamento dello "spessore" del limes, il quale fu esteso da una fascia interna del territorio imperiale ad una esterna, in Barbaricum, attraverso la costruzione di numerose "teste di ponte" fortificate (anche oltre i grandi fiumi Reno, Danubio ed Eufrate), avamposti con relative vie di comunicazione e strutture logistiche.
Se da un lato Lattanzio fu critico nei confronti di Diocleziano per il suo eccessivo incremento degli effettivi dell'esercito romano, dichiarando che «ciascuno dei quattro [tetrarchi] aveva un numero di armati largamente superiore a quello di qualunque altro imperatore avessero governato lo Stato da soli»; dall'altro viene lodato dallo storico Zosimo, che ne descrive l'apparato quantitativamente concentrato lungo le frontiere, a differenza di quanto invece fece Costantino che lo concentrò nelle città. Diocleziano non solo intraprese una politica a favore dell'aumento degli effettivi, ma anche volta a migliorare e moltiplicare le costruzioni militari del periodo. L'espansione del numero dei soldati e dei funzionari civili, costrinse il sistema imperiale a dovervi provvedere con ulteriori tassazioni. E poiché il mantenimento delle armate comportava la parte di budget maggior del bilancio statale, qualsiasi riforma risultò particolarmente costosa. La percentuale della popolazione dei maschi adulti, escludendo gli schiavi, che prestavano servizio sotto le armi passò da un venticinquesimo ad un quindicesimo, un incremento giudicato eccessivo da alcuni storici moderni. Le paghe delle truppe furono mantenute a livelli bassi, tanto che spesso gran parte degli uomini ricorreva all'estorsione o al ricoprire normali posti di lavoro tra i civili. Gli arretrati divennero una costante per la maggior parte delle truppe, molte delle quali erano perfino pagate in natura al posto di ricevere un regolare stipendio. E dove non era possibile pagare questo immenso esercito, spesso scoppiavano conflitti civili e rivolte. Per questo motivo Diocleziano dovette anche riformare il sistema imperiale della tassazione.
Nella prima età imperiale (dal 30 a.C. al 235 d.C.), il governo romano pagava per quello di cui aveva bisogno in oro e argento. Il valore della moneta era così rimasto pressoché stabile. L'acquisto forzato venne utilizzato solo nel caso in cui fosse strettamente necessario, per mantenere la fornitura di eserciti durante una campagna militare. Nel corso della crisi del III secolo (235-285), che aveva comportato pesanti conseguenze economiche e sociali, il governo fece ricorso spesso all'esproprio piuttosto che al pagamento in moneta svalutata, poiché non era possibile capire quale fosse il reale valore del denaro. L'esproprio aveva un significato pari a quello del sequestro.
Diocleziano effettuò una specie di confisca sotto forma di tassazione. Egli introdusse un vasto sistema di tasse basato sui singoli individui (capita) e sui terreni (iuga) e lo legò ad un nuovo e regolare censimento della popolazione dell'impero e della sua ricchezza. I funzionari di questo censimento viaggiavano in tutto l'impero, valutavano il valore del lavoro e della terra di ciascun proprietario terriero, e univano il valore di tutti i proprietari terrieri al totale di tutta la popolazione residente in città, con lo scopo di avere una valutazione complessiva di tutti i capita e gli iuga dell'intero impero. Si trattava di un vero e proprio bilancio statale annuale. Lo iugum non era una vera e propria misurazione dei terreni. Esso variava a secondo della tipologia del terreno, del suo raccolto ed era legato anche alla quantità di lavoro necessario per il sostentamento. Anche il caput dipendeva dalla tipologia delle persone censite: ad esempio una donna era spesso valutata come mezzo caput, o comunque un valore differente da un caput completo. Le città dovevano fornire animali, denaro e forza lavoro in proporzione ai loro capita, e il grano doveva essere fornito in proporzione ai loro iuga. La tassa di reclutamento era chiamata praebitio tironum, e poteva essere pagata in natura (con l'arruolamento di reclute tra gli addetti al lavoro di un proprietario terriero) oppure, quando un capitulum era esteso a molte aziende agricole, gli agricoltori contribuivano a pagare il vicino che era stato costretto a fornire le reclute. I proprietari terrieri dell'ordine senatorio avevano anche la facoltà di pagare le tasse con un pagamento in oro (aurum tironicum). Questa forma di tassazione era denominata capitazione.
La maggior parte delle imposte veniva pagata il 1º settembre di ogni anno, ed erano riscossi presso ciascun proprietario terriero dai decuriones. Essi avevano un ruolo analogo a quello dei consiglieri comunali, ed erano responsabili per il pagamento di tasca propria per quello che non riuscivano a raccogliere. La riforma di Diocleziano incrementò inoltre il numero di funzionari finanziari nelle province: più rationales e magistri privatae sono attestati sotto il suo regno rispetto ai suoi predecessori. Questi funzionari avevano il compito di gestire gli interessi del fisco, che raccoglieva le tasse in oro, e le proprietà imperiali. Le fluttuazioni del valore della moneta, fece sì che la riscossione delle tasse avvenisse di norma soprattutto in natura, benché tutto poi fosse convertito in moneta, tenendo conto dell'inflazione. Nel 296, Diocleziano emise un editto che riformava le procedure di censimento. Esso introduceva un censimento ogni cinque anni sull'intero impero, sostituendo così i precedenti censimenti e valutando i cambiamenti del valore dei nuovi capita e iuga.
L'Italia, che era stata per lungo tempo esente da imposte, fu inclusa nel nuovo sistema fiscale dal 290/291, al pari della altre province. Solo la città di Roma e la diocesi Suburbicaria rimasero esenti, proprio dove i senatori romani possedevano la maggior parte dei loro possedimenti terrieri.
Gli editti di Diocleziano sottolinearono la comune responsabilità di tutti i contribuenti. I pubblici registri delle tasse furono resi pubblici. La posizione del decurione, membro con consiglio cittadino, costituiva un'aspirazione per i ricchi aristocratici e la classe media, che mostravano la loro ricchezza pagando per i servizi cittadini e i lavori pubblici. Ma quando i decurioni divennero responsabili per ogni deficit nella raccolta delle tasse, molti cercarono di trovare il modo per eludere tali obblighi.
Il tentativo di Aureliano di riformare la moneta era fallito; il denario era morto. Diocleziano aveva restaurato il sistema basato sul conio dei tre metalli e aveva emesso monete di qualità migliore. il nuovo sistema era basato su cinque monete: quello aureus/solidus, una moneta d'oro del peso di 1/60 di libbra, come in passato avevano fatto i suoi predecessori; l'argenteo, una moneta d'argento del peso di 1/96 di libbra che conteneva il 95% d'argento puro; il follis, qualche volta indicato anche come il laureatus A, moneta di rame con l'aggiunta d'argento, del peso di 1/32 di libbra; il radiatus, una piccola moneta di rame del peso di 1/108 di libbra, senza alcuna aggiunta di argento; ed una moneta conosciuto aggi come il laureatus B, una più piccola moneta di rame del peso di 1/192 di libbra. Il denarius venne abbandonato dalle zecche imperiali, ma il valore delle monete continuò ad essere misurato sulla base di questa moneta. E poiché il valore nominale di queste emissioni era inferiore al loro valore intrinseco come metalli, la condizione fu di coniare queste monete in perdita. Questa pressi poté essere sostenuta solo con la requisizione di metalli preziosi dai cittadini privati in cambio di nuova moneta appena coniata, il cui valore era di gran lunga inferiore al prezzo del metallo prezioso requisito.
A partire dal 301, il sistema era comunque in difficoltà, colpito da un nuovo attacco inflazionistico. Diocleziano, al fine di contenerne gli effetti emise l'Editto sui prezzi massimi (Edictum De Pretiis Rerum Venalium), un atto che generava un nuovo tariffario su tutti i debiti in modo che un nummus, la moneta circolante più comune, era deprezzata della metà. Nell'editto, conservatoci in un'iscrizione dalla città di Afrodisia in Caria (nei pressi di Geyre, Turchia), venne dichiarato che tutti i debiti contratti prima del 1º settembre del 301 fossero rimborsati con il vecchio valore, mentre tutti quelli contratti dopo questa data fossero ripagati al nuovo valore. L'editto era stato fatto per preservare il prezzo corrente dell'oro e mantenere la monetazione sull'argento, il metallo tradizionale della monetazione romana. Questo editto rischiò di dare un nuovo impulso alla crescita inflazionistica, così come era accaduto dopo la riforma monetaria di Aureliano. La risposta del governo centrale imperiale era stata di tentare di congelare i prezzi.
Questi provvedimenti, tuttavia, non ebbero successo: la nuova moneta scomparve rapidamente dal mercato in quanto si preferiva conservarla (tesaurizzazione) ed i prezzi fissati fecero scomparire alcuni beni dal mercato ufficiale per essere venduti alla borsa nera e quindi lo stesso Diocleziano fu costretto a ritirare l'editto. Nel frattempo, però, le condizioni di vita della popolazione peggiorarono: le tasse erano pesantissime e molti abbandonarono le proprie attività produttive, non più redditizie, spesso per vivere come mendicanti. Diocleziano ricorse allora alla precettazione, ossia l'obbligo per gli abitanti dell'impero a continuare il proprio mestiere e la negazione della scelta libera della professione, costringendo gli abitanti dell'impero romano a subentrare ai padri nelle loro attività produttive.
In termini più elementari, l'editto non conosceva le leggi di domanda e offerta: si ignorava il fatto che i prezzi potessero variare da regione a regione, in base alla disponibilità dei prodotti, e non teneva conto del costo dei trasporti nel prezzo di vendita al dettaglio. Nel giudizio dello storico David Potter, l'editto fu "un atto di follia economica". L'editto iniziava con un lungo preambolo retorico e moralizzante, che poco capiva di economia e che, semplicemente criminalizzando una pratica comune, sperava di porre rimedio alla pesante crisi del periodo.
Anche in risposta alle pressioni economiche e al fine di proteggere le funzioni vitali dello Stato, Diocleziano limitò la mobilità sociale e professionale. I contadini risultarono legati alla terra in un modo tale che ciò lasciasse presagire un successivo sistema in cui le occupazioni risultassero ereditarie, come nel caso dei possidenti terrieri o delle occupazioni di panettieri, armaioli, intrattenitori dello spettacolo e lavoratori della zecca. I figli dei soldati furono arruolati con la forza, qualcosa che divenne poi una tendenza spontanea, ma che espresse anche le crescenti difficoltà nel reclutamento degli eserciti.
Diocleziano entrò nella città di Roma agli inizi dell'inverno del 303. Il 20 novembre, celebrò insieme a Massimiano il ventennale del proprio governo (vicennalia), il decimo anniversario della tetrarchia (decennalia), e il trionfo per la vittoria ottenuta sui Persiani. Presto divenne insofferente nei confronti della città, poiché i Romani ebbero nei suoi confronti, come sottolinea Edward Gibbon, sulla base di quello che ci ha tramandato Lattanzio, una "familiarità licenziosa". Il popolo romano non ebbe sufficiente deferenza nei confronti della sua suprema autorità; si aspettava che lo stesso recitasse la parte di un sovrano democratico, non monarchico. Il 20 dicembre del 303, Diocleziano decise di allontanarsi dalla capitale, deluso (dopo aver visionato anche la costruzione delle più grandi terme romane, a lui dedicate), e si recò al nord. Non attese neppure la cerimonia che lo avrebbe investito del nono consolato; lo fece invece a Ravenna il 1º gennaio del 304. Secondo quanto narrano i Panegyrici Latini e Lattanzio, Diocleziano organizzò il ritiro dalla vita politica suo e di Massimiano, abdicando in favore dei due cesari. Massimiano, secondo questi racconti, giurò di tener fede a quanto auspicato dall'augusto Giovio, in una cerimonia tenutasi nel tempio di Giove Ottimo Massimo.
Da Ravenna, lo stesso partì per il Danubio. Qui, probabilmente in compagnia di Galerio, prese parte ad una campagna militare contro i Carpi. Si ammalò durante questo periodo, e le sue condizioni di salute peggiorarono rapidamente, tanto da costringerlo ad essere trasportato in lettiga. Nella tarda estate partì per Nicomedia. Il 20 novembre apparve in pubblico per inaugurare il nuovo circo, davanti al palazzo imperiale. Crollò subito dopo le cerimonie. Durante l'inverno del 304/5 rimase per tutto il tempo all'interno del palazzo di Nicomedia. Alcuni diffusero la voce che lo stesso augusto fosse morto e che tutto ciò era stato tenuto segreto fino a quando Galerio non avesse potuto ottenere il completo controllo del potere sulla città. Il 13 dicembre, qualcuno diramò la falsa notizia che fosse morto. Venne proclamato il lutto cittadino, fino a quando non vennero smentite le voci della sua morte. E quando Diocleziano riapparve in pubblico il 1º marzo del 305, egli era emaciato e appena riconoscibile.
Galerio giunse nella città più tardi, in marzo. Secondo quanto ci racconta Lattanzio, egli venne armato con l'intenzione di ricostituire la tetrarchia, costringendo Diocleziano a dimettersi e a inserire negli uffici imperiali uomini di sua fiducia. Sembra che abbia minacciato lo stesso augusto, tanto che alla fine riuscì a convincerlo a rispettare il suo piano. Lattanzio sostiene anche che fece lo stesso con Massimiano a Sirmio. Il 1º maggio del 305, Diocleziano convocò in assemblea i suoi generali, i comites tradizionali e i rappresentanti delle rispettive legioni. Si incontrarono tutti presso la stessa collina, a tre miglia da Nicomedia, dove un tempo Diocleziano era stato proclamato imperatore. Davanti alla statua di Giove, la sua divinità protettrice, Diocleziano si rivolse alla folla con le lacrime agli occhi. Egli parlò loro della sua debolezza, della sua necessità di riposare e di ritirarsi. Dichiarò che vi era la necessità di passare il comando a chi fosse stato più forte di lui. Divenne così il primo imperatore romano ad abdicare volontariamente.
La maggior parte ritiene che essi sapessero cosa sarebbe accaduto: a Costantino e Massenzio, i soli figli adulti degli imperatori regnanti, uomini che si erano preparati da lungo tempo a succedere ai loro padri, sarebbe stato concesso il titolo di Cesari. Costantino aveva viaggiato attraverso la Palestina a fianco di Diocleziano, ed era presente nel palazzo di Nicomedia nel 303 e 305. È probabile che Massenzio abbia ricevuto un identico trattamento. Nel racconto di Lattanzio, quando Diocleziano annunciò le sue dimissioni, l'intera folla si voltò verso Costantino. Non dovevano essere dichiarati Cesari, Flavio Valerio Severo e Massimino Daia. Quest'ultimo apparve e prese le vesti di Diocleziano. Lo stesso giorno, Severo ricevette quelle da Massimiano a Mediolanum (Milano). Costanzo divenne così il nuovo augusto d'Occidente al posto di Massimiano, e Costantino e Massenzio vennero totalmente ignorati nella nuova transizione di potere. Questo non fece ben sperare per la futura sicurezza del sistema tetrarchico.
Dopo una solenne cerimonia, il 2 maggio 305, deposta la carica e il titolo di Augustus, si ritirò in un meraviglioso palazzo fatto costruire appositamente per lui a Spalato, poco distante da Salona, l'importante centro provinciale della Dalmazia (oggi in Croazia). Si trattava di una struttura pesantemente fortificata in riva al Mare Adriatico. Massimiano, invece, si ritirò in una villa in Campania o in Lucania.[372] Le loro nuove residenze erano distanti dalla vita politica, ma i due ex-augusti erano abbastanza vicini per rimanere in stretto contatto tra loro. Galerio assunse i fasces consolari nel 308 con Diocleziano come suo collega. Nell'autunno dello stesso anno, Galerio chiese a Diocleziano di partecipare ad un convegno a Carnuntum (Petronell-Carnuntum, Austria). I due ex-augusti si recarono nella fortezza legionaria sul Danubio, dove si tenne questa riunione l'11 novembre del 308, dove Galerio sostituì lo scomparso Severo con Licinio, poiché era stato ucciso da Massenzio. Diocleziano vietò a Massimiano di avere nuove aspirazioni alla porpora imperiale dopo il suo ritiro, che si doveva intendere definitivo. A Carnuntum molti pregarono Diocleziano di riprendere il potere, per risolvere i conflitti che erano sorti con l'ascesa al potere di Costantino e l'usurpazione di Massenzio, ma egli replicò:
A Carnuntum venne, pertanto, stabilita per l'ultima volta in modo pacifico, la gerarchia tetrarchica:
Galerio, augusto d'Oriente (Provincie illiriche, Tracia, Dacia, Grecia, Macedonia, Asia minore);
Licinio, augusto d'Occidente (Pannonia, Norico, Rezia);
Massimino Daia, cesare d'Oriente (Vicino Oriente, Egitto);
Costantino, cesare d'Occidente (Britannia, Gallie, Germania Superiore e Inferiore, Spagna).
Massenzio veniva riconosciuto per l'ennesima volta usurpatore e Massimiano costretto a ritirarsi a vita privata.[374] È curioso notare come in oriente il potere dei tetrarchi fosse ben saldo, mentre in occidente gli usurpatori Massenzio e Domizio Alessandro governavano, rispettivamente, su Italia, Sicilia, Mauretania e Tripolitania il primo, e Sardegna, Africa Proconsolare e Numidia il secondo. Nei piani di Galerio, al neo-augusto Licinio spettava il compito di riconquistare i territori usurpati da Massenzio e Domizio Alessandro.
Diocleziano trascorse gli ultimi anni della sua esistenza nei giardini del suo palazzo. Vide il sistema tetrarchico fallire, sotto i colpi delle ambizioni dei suoi successori. Egli venne anche a conoscenza del terzo tentativo da parte di Massimiano di riprendere il potere imperiale, del suo suicidio forzato e della sua damnatio memoriae decretata da Costantino nel 310 che in parte colpì anche la sua persona, dato che in molti ritratti statuari e pittorici Massimiano e Dicoleziano erano rappresentati insieme[375]. Era ancora vivo agli inizi del 313, quando fu invitato da Costantino alle nozze tra la sorella Costanza e Licinio, celebrate a Milano nel febbraio di quell'anno.[376] Morirà qualche mese più tardi, probabilmente tra marzo e aprile, comunque prima della sconfitta di Massimino, occorsa nell'estate del 313 per mano di Licinio.

Fu l'ultimo degli imperatori dell'infausto III secolo: di questi ricordo i più valenti.
- Valeriano (253-260)
- Gallieno (253-268)
- Aureliano (270-275)
- Diocleziano (284-305).

Eugenio Caruso - 26 dicembre 2017

LOGO

Tratto da


www.impresaoggi.com