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Un Occidente senza la leadership usa.


L’amministrazione Trump sta indebolendo i legami atlantici. Per questo l’Europa non ha altra scelta che guardare oltre questa presidenza americana e riempire il vuoto di leadership, rafforzando la difesa comune e lavorando in quelle aree del mondo dove l’influenza americana si sta riducendo.
La sconfessione dell’accordo sul nucleare con l’Iran da parte di Donald Trump è solo l’ennesima conferma del carattere erratico di questa presidenza. A prescindere dal fatto che il Congresso decida o meno di ripristinare le sanzioni alla Repubblica islamica, Trump si è comunque posto in rotta di collisione con la comunità internazionale, alienandosi gli alleati, cedendo la leadership a Cina e Russia e fornendo a tutti, avversari (Corea del Nord inclusa) e alleati, ottime ragioni per dubitare di Washington nel prossimo futuro.
Sin dall’inizio, Trump ha isolato il paese su quasi ogni fronte. Ha inaugurato il proprio mandato cancellando il Transpacific Partnership e dando sostanzialmente carta bianca alla Cina nel suo ambizioso progetto “One Belt One Road”. I continui appelli al protezionismo pongono una pesante ipoteca sul libero commercio, a lungo difeso dall’America. Durante il primo viaggio presidenziale in Europa (maggio 2017) ha bollato come “molto cattiva” la Germania per il suo attivo commerciale. A seguire, Trump ha ritirato l’America dall’accordo di Parigi sul clima, mettendosi contro buona parte del mondo. Questi gesti hanno spinto la cancelliera tedesca Angela Merkel, di norma tutt’altro che incline alle iperboli, ad affermare che “gli europei devono prendere in mano il loro destino”.
All’orizzonte non c’è un mondo senza Occidente, ma un Occidente senza l’America. L’Europa non ha altra scelta che guardare oltre questa presidenza, essendo ormai chiaro che il trumpiano “America First” vuol dire in realtà “America Only”. Trump è un uomo d’affari, non un uomo di Stato: vede qualsiasi relazione, anche internazionale, in un’ottica puramente transattiva.
Ma la relazione tra gli Stati Uniti e i loro alleati europei va molto oltre un do ut des. Il grande traguardo dell’Occidente consiste nell’essersi lasciato alle spalle questo gioco a somma zero. Nel secolo scorso, le democrazie atlantiche hanno compreso che per evitare le guerre occorreva forgiare una comunità internazionale fondata sulla fiducia reciproca, su regole condivise, sulle istituzioni multilaterali e sul libero commercio. Di fatto, i membri della comunità atlantica hanno rinunciato ai vantaggi immediati in nome di una solidarietà duratura.
Trump è estraneo, se non apertamente ostile, a questa vicenda storica, il che spiega perché il destino dell’Occidente sia oggi in mani europee. La questione è allora se l’Unione Europea, pur costretta a fronteggiare la Brexit e i suoi stessi populismi, sia all’altezza della sfida. Se cioè sia capace di fungere da ancora del mondo occidentale. La risposta, per ora, è che né la Germania, né l’UE nel suo insieme, appaiono pronte a rivestire questo ruolo. Tuttavia, lo shock della presidenza Trump potrebbe rivelarsi abbastanza forte da spingere finalmente all’azione il vecchio continente.
L’UE può prepararsi al meglio a riempire il vuoto di leadership lasciato dagli Stati Uniti mettendo in campo le seguenti misure.
Primo: l’Europa necessita di una struttura decisionale più bilanciata. La Germania è diventata troppo influente, al punto da preoccupare gli altri Stati membri. Fermo restando che quella di Berlino rimarrà la voce più forte, il nucleo europeo deve ampliarsi e ricevere maggiore impulso dal resto dell’Unione. Il ritorno politico della Francia con Emmanuel Macron è senz’altro un buon segno, ma – specie alla luce della Brexit e del caos in cui versa attualmente il Regno Unito – Francia e Germania devono adoperarsi per costruire un consenso con Italia, Spagna e altri Stati membri più piccoli. Per guidare l’Occidente, l’Unione Europea non può prescindere dal concorso di tutte le sue parti.
Secondo: malgrado le costanti pulsioni antieuropee dei populisti di destra e di sinistra, l’UE deve sviluppare meccanismi di governo collettivo negli ambiti dell’economia, della difesa e della politica estera. L’Europa non riuscirà a svolgere un efficace ruolo di guida senza istituzioni più centralizzate e capaci. La crescente frattura con gli Stati Uniti potrebbe fornire agli europei una valida ragione per mettere in comune ulteriori aspetti della loro sovranità.
Gli attuali progressi sulla difesa europea configurano un passo importante in questa direzione. Va in questa stessa direzione il recente discorso di Macron alla Sorbona, la cui importanza non sta tanto nella sostanza, quanto nel fatto stesso di avere riflettuto sul modo migliore per garantire una sovranità europea. Finalmente, uno dei maggiori leader europei rompe il silenzio e difende il progetto europeo d’integrazione, in un frangente che vede il dibattito pubblico dominato dalla retorica antieuropea dei populismi.
Terzo: per compensare l’isolazionismo statunitense, l’UE dovrà cercare di instaurare cooperazioni più efficaci con altri paesi, inclusi quelli non democratici. Volutamente o meno, Trump sta riducendo l’influenza statunitense e obbligando l’Europa a guardare altrove per costruire nuove coalizioni. Assai indicativo, in tal senso, è il fatto che nei prossimi anni l’Unione Europea potrebbe trovare nella Cina un partner migliore rispetto agli Stati Uniti su dossier quali la liberalizzazione del commercio e la lotta al cambiamento climatico.
Ciò non modifica un punto essenziale: l’UE deve restare filoatlantica e continuare a trattare gli Stati Uniti come alleato preferenziale – anche se la relazione transatlantica diventerà più “contrattualistica” e forse meno speciale. Dopo tutto, la comunità atlantica ha prosperato per decenni in virtù di interessi tangibili, non solo di valori e opinioni comuni. Anche se a muovere Trump sono in primo luogo calcoli di breve termine, la collaborazione con l’Europa gli apparirà spesso conveniente. Invece di limitarsi a criticare il presidente americano, la Germania dovrebbe quindi aumentare la propria spesa militare e varare misure per stimolare la domanda interna, favorendo così la sicurezza e la crescita nell’eurozona.
Gli europei dovrebbero anche tenere a mente che l’era Trump prima o poi finirà. La mia tesi è che l’attuale inquilino della Casa Bianca è probabilmente una parentesi politica, non l’anticipo dei tempi futuri. L’America alla fine tornerà. Fino ad allora, l’UE dovrà presidiare il fortino dell’Occidente.

Charles Kupchan (Charles A. Kupchan è professore di Relazioni internazionali presso la Georgetown University e senior fellow al Council on Foreign Relations. È stato consigliere per la Sicurezza nazionale dal 2014 al 2017.
www.aspeninstitute.it

28 dicembre - 2017

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www.impresaoggi.com