I GRANDI PERSONAGGI STORICI
Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona.
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Vespasiano
Genealogia della dinastia flavia
Tito Flavio Vespasiano ( Cittareale, 9 – Cotilia, 79), governò fra il 69 e il 79 col nome di Cesare Vespasiano Augusto.
Fondatore della dinastia flavia, fu il quarto a salire al trono nel 69 (l'anno dei quattro imperatori) ponendo fine a un periodo d'instabilità seguito alla morte di Nerone.
Nacque da Tito Flavio Sabino, appartenente a una ricca famiglia dell'ordine equestre di Reate (odierna Rieti). Flavio Sabino fu esattore di imposte e operatore finanziario; la madre Vespasia Polla, di nobili origini, era di Norcia, figlia di un militare di carriera, Vespasio Pollione e sorella di un senatore.
Venne educato in campagna, vicino al vicus di Cosa (oggi nei pressi di Ansedonia), sotto la guida della nonna paterna, tanto che anche quando divenne princeps tornò spesso nei luoghi della sua infanzia.
Dopo aver preso la toga virilis (all'età di sedici anni), rifiutò per molto tempo il tribunato laticlavio (era uno dei sei tribuni militari che prestavano servizio in ciascuna delle legioni dell'esercito romano). Ma poi spinto dalla madre a farne richiesta, servì lo Stato, iniziando il suo personale cursus honorum:
inizialmente nell'esercito, in Tracia, come laticlavio per almeno 3 o 4 anni (attorno all'anno 30);
più tardi divenne questore nella provincia di Creta e Cirene (nel 34 all'età di venticinque anni);
in seguito ricoprì la carica di edile, classificandosi al sesto posto, dopo essere stato respinto la prima volta (nel 38); infine pretore (nel 40 all'età di trent'anni), riuscendo tra i primi come ci racconta Svetonio, che aggiunge:
« Da pretore, per non trascurare alcun mezzo di ingraziarsi Gaio [Caligola], che era ostile al Senato, in onore della sua vittoria sui Germani sollecitò giochi straordinari e, come aggravante alla pena dei congiurati, stabilì che fossero lasciati senza sepoltura. Lo ringraziò anche davanti al Senato di avergli fatto l'onore di un invito a cena. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 2)
Frattanto in questi anni sposò Domitilla, figlia di un cavaliere di Ferento, da cui ebbe due figli: Tito e Domiziano, in seguito imperatori, e una figlia, Flavia Domitilla. La moglie e la figlia morirono entrambe prima che diventasse princeps.
« Dopo la morte della moglie, si rimise in casa Cenide, liberta, un tempo sua amante e, anche quando fu imperatore, la tenne quasi in conto di legittima moglie. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 3
La conquista della Britannia (dal 43 al 50), vide Vespasiano partecipare come legatus legionis della legio II Augusta.
La carriera militare e senatoriale proseguì prima, servendo nel distretto militare germanico della Gallia Lugdunensis come legatus legionis della legio II Augusta (che a quel tempo era di stanza ad Argentoratae) grazie al favore esercitato da Narciso presso l'imperatore. In seguito partecipò all'invasione romana della Britannia sotto l'Imperatore Claudio, dove si distinse, sempre come comandante della II Augusta, sotto il comando generale di Aulo Plauzio. Vespasiano partecipò sia all'importante battaglia di Medway insieme al fratello Sabino, sia alla conquista dell'isola di Wight (Vette), penetrando poi fino ai confini del Somerset, in Inghilterra. Di quest'ultimo periodo militare Svetonio ricorda:
« [...] ebbe trenta scontri col nemico. Costrinse alla resa due popolazioni, più di venti città fortificate e l'isola di Vette, che è molto vicina alla Britannia, agli ordini sia del legato consolare Aulo Plauzio sia dello stesso Claudio. Per questo ricevette le insegne del trionfo e, in breve tempo, due sacerdozi, e inoltre un consolato che esercitò negli ultimi due mesi dell'anno. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 4)
Nel 51 fu console per gli ultimi due mesi dell'anno, poi fino a quando non ottenne il proconsolato, Svetonio di lui disse che:
« Il periodo di tempo fino al consolato, lo passò in appartato riposo, temendo Agrippina, che aveva ancora molto potere presso il figlio e odiava l'amico del pur defunto Narciso. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 4)
Nel 63 andò, infatti, come governatore in Africa proconsolare dove, secondo Tacito (II.97), il suo comportamento fu infame e odioso; secondo Svetonio, al contrario, il suo governo fu condotto con assoluta integrità e onore. Certo è che la sua fama e visibilità a Roma, crebbe. Svetonio aggiunge:
« Non ritornò di certo più ricco, giacché, compromesso ormai il suo credito, ipotecò tutte le proprietà al fratello e, di necessità, per sostenere le spese del suo rango, dovette abbassarsi a traffici da mercante di bestiame; perciò era comunemente soprannominato «il mulattiere». »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 4)
Fu infatti in Grecia al seguito di Nerone. Svetonio ne racconta un episodio curioso:
« Durante il viaggio in Acaia, al seguito di Nerone, poiché, mentre l'imperatore cantava, o si allontanava troppo spesso o sonnecchiava alla sua presenza, si tirò addosso un danno enorme e, trovatosi escluso non solo dalla vita di corte ma anche dalle pubbliche udienze, si ritirò in una cittadina fuori mano fino a quando, mentre se ne stava nascosto e temeva ormai il peggio, gli fu offerto il governo di una provincia e il comando di un esercito. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 4)
Nel 66, quando Nerone venne informato della sconfitta subita in Giudea dal suo legatus Augusti pro praetore di Siria, Gaio Cestio Gallo, pensò che il solo Vespasiano sarebbe stato all'altezza del compito, e quindi capace di condurre una guerra tanto importante in modo vittorioso.
« [Vespasiano] un uomo che era invecchiato nei comandi militari [...], il quale dopo aver pacificato l'Occidente sconvolto dai Germani, aveva contribuito ad assoggettare la Britannia [...], procurando al padre di Nerone, l'imperatore Claudio, di celebrare il trionfo su di essa, senza aver compiuto particolari e personali fatiche. »
(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, III, 1.2)
« Poiché erano necessari, per domare quella rivolta, un esercito più consistente e un valente comandante al quale affidare, ma senza rischi, una sì ardua impresa, fu prescelto Vespasiano, soprattutto perché uomo di provato valore e tale da non dare ombra in alcun modo, per la modestia delle sue origini e del suo nome. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 4)
E così Vespasiano fu incaricato della conduzione della guerra in Giudea, che minacciava di espandersi a tutto l'Oriente. Vespasiano, che si trovava in Grecia al seguito di Nerone, inviò il figlio Tito ad Alessandria d'Egitto per rilevare la legio XV Apollinaris, mentre egli stesso attraversava l'Ellesponto, raggiungendo la Siria via terra, dove concentrò le forze romane e numerosi contingenti ausiliari di re clienti (tra cui quelli di Erode Agrippa II).
Ad Antiochia di Siria, Vespasiano, concentrava e rafforzava l'esercito siriaco (legio X Fretensis), aggiungendo due legioni (la legio V Macedonica e la legio XV Apollinaris, giunta dall'Egitto), otto ali di cavalleria e dieci coorti ausiliarie; attendeva l'arrivo del figlio Tito, nominato suo vice (legatus); acquisiva grande popolarità nelle vicine province orientali, per aver riportato con grande rapidità la disciplina nell'armata romana e compiva due vittoriose imprese militari, assaltando una fortezza nemica (Iotapata), seppur rimanendo ferito a un ginocchio o ad un piede.
Intanto i Giudei, esaltati dal successo conseguito su Cestio Gallo, raccolsero con grande rapidità tutte le loro forze meglio equipaggiate e mossero contro Ascalona, città distante circa 90 km da Gerusalemme. La spedizione era guidata da tre uomini di valore: Niger della Perea, Sila di Babilonia e Giovanni l'Esseno. Ascalona era circondata da possenti mura, ma con poche truppe: si trattava di una sola coorte di fanteria e un'ala di cavalleria. Ma ciò risultò sufficiente, poiché il comandante romano, Antonio, riuscì a mettere in fuga i nemici ed a ucciderne ben 18.000. Secondo Svetonio e Giuseppe Flavio, una profezia:
« In tutto l'Oriente si era diffusa un'antica e persistente credenza secondo cui era scritto nei fati che quanti in quel tempo fossero venuti dalla Giudea si sarebbero impadroniti del sommo potere. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 4)
« Ciò che maggiormente incitò i Giudei alla guerra fu un'ambigua profezia, che si trovava nelle sacre scritture, secondo le quali in quel tempo uno che veniva dal loro paese sarebbe diventato il dominatore del mondo. Questa profezia la intesero come se riguardasse uno di loro, ma molti sapienti si sbagliarono ad interpretarla in questo modo, poiché la profezia in realtà si riferiva al dominio di Vespasiano, acclamato imperatore in Giudea. »
(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VI, 5.4.312-313)
Applicando a sé stessi questa profezia, i Giudei si erano ribellati al governatore romano e lo avevano ucciso, sconfiggendo poi il governatore di Siria Gaio Cestio Gallo, giunto in soccorso del primo, e riuscendo anche a prendergli un'aquila legionaria.
Giuseppe Flavio racconta che, dopo aver radunato le truppe, Vespasiano (inizi del 67) mosse da Antiochia alla volta della Tolemaide. Gli vennero incontro gli abitanti di Zippori, la città più grande della Galilea, che si erano dimostrati fedeli anche a Cestio Gallo e che ricevettero, per questo motivo, nuovi armati romani a loro protezione (mille cavalieri e seimila fanti), sotto il comando del tribunus militum Giulio Placido. La città era infatti considerata di fondamentale importanza strategica, atta a vigilare l'intera regione.
Svetonio aggiunge un episodio curioso di questi anni di guerra:
« In Giudea, quando consultò l'oracolo di Giove Carmelo, le sorti gli confermarono la promessa che si sarebbe avverato tutto ciò che di più grandioso egli concepisse e desiderasse. E uno dei notabili prigionieri, Giuseppe, mentre veniva costretto in catene, tenacemente assicurava che presto sarebbe stato liberato dallo stesso Vespasiano, una volta divenuto imperatore. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 5)
Lo stesso Giuseppe afferma nella sua Guerra giudaica che, quando Vespasiano dispose di metterlo sotto custodia con ogni attenzione, volendo inviarlo subito dopo a Nerone, Giuseppe dichiarò che aveva da fare un annuncio importate allo stesso Vespasiano, di persona ed a quattr'occhi. Quando il comandante romano ebbe allontanato tutti gli altri tranne il figlio Tito e due amici, Giuseppe gli parlò:
« Tu credi, Vespasiano, di aver catturato soltanto un prigioniero, mentre io sono qui per annunciarti un grandioso futuro. Se non avessi avuto l'incarico da Dio, conoscevo bene quale sorte spettava a me in qualità di comandante, secondo la legge dei Giudei: la morte. Tu vorresti inviarmi da Nerone? Per quale motivo? Quanto dureranno ancora Nerone ed i suoi successori, prima di te? Tu, o Vespasiano, sarai Cesare e imperatore, tu e tuo figlio. Fammi pure legare ancor più forte, ma custodiscimi per te stesso. [...] e ti chiedo di essere punito con una prigionia ancor più rigorosa se sto mentendo, davanti a Dio. »
(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, III, 8.9.400-402)
Vespasiano rimase incredulo, pensando che Giuseppe lo stesse adulando per aver salva la vita, ma poi, sapendo che anche in altre circostanze Giuseppe aveva fatto predizioni esatte, fu indotto a ritenere che ciò che gli aveva annunciato fosse vero, avendo egli stesso in passato pensato al potere imperiale e ricevendo altri segnali che gli presagivano il principato. Alla fine non mise in libertà Giuseppe, ma gli donò una veste ed altri oggetti di pregio, trattandolo con ogni riguardo anche per le simpatie del figlio Tito.
Dopo un primo ed intenso anno di guerra in Giudea, che aveva visto Vespasiano, sottomettere tutti i territori giudaici a parte quelli intorno alla capitale Gerusalemme, dove peraltro era in corso una guerra civile tra la fazione degli Zeloti e coloro che stavano dalla parte dei sommi sacerdoti, il comandante romano si stava preparando ad attaccare Gerusalemme da ogni parte. Quando, però, giunse la notizia che Nerone si era tolto la vita, dopo un regno di tredici anni, otto mesi e otto giorni, Vespasiano preferì rinviare la marcia su Gerusalemme, aspettando di sapere chi fosse stato acclamato imperatore. Appreso che era stato eletto Galba, preferì rimanere a Cesarea, in attesa di ricevere istruzioni sulla guerra.
Decise così di inviare il proprio figlio, Tito, per rendergli omaggio e per farsi dare disposizioni sulla guerra in Giudea. Accompagnava Tito, il re Agrippa. E mentre questi stavano attraversando per via di terra l'Acaia, giunse la notizia dell'uccisione di Galba (dopo soli sette mesi e sette giorni di regno), e dell'acclamazione a imperatore del suo rivale Otone. E se Agrippa decise di proseguire per Roma, senza preoccuparsi del cambiamento intervenuto, Tito, per una divina ispirazione, tornò in Siria, raggiungendo il padre a Cesarea. Non sapendo come comportarsi, visto lo scoppio della guerra civile, preferirono sospendere le operazioni militari contro i Giudei, in attesa di conoscere quali sarebbero stati gli sviluppi a Roma.
Lo scoppio della guerra civile in seguito alla morte di Nerone (giugno del 68) vide l'elezione di quattro imperatori in varie parti dell'Impero romano nel giro di poco più di un anno: il primo fu Galba in Spagna, cui successero Otone, acclamato dalla guardia pretoriana, Vitellio, sostenuto dalle legioni germaniche ed infine Vespasiano, proclamato da quelle orientali e danubiane.
Secondo Svetonio, Vespasiano, impegnato dal 67 nella repressione della rivolta giudea, nel 69 fu designato imperatore contro il regnante Vitellio dalle sue stesse legioni, non prima però di aver ricevuto l'approvazione delle armate della Mesia, che a quel tempo erano sotto il comando di Antonio Primo:
« Tuttavia, sebbene i suoi fossero molto risoluti e insistenti, non prese alcuna iniziativa prima di esservi spinto da manifestazioni di simpatia che occasionalmente gli furono tributate anche da soldati sconosciuti e lontani. I duemila soldati delle tre legioni appartenenti all'esercito della Mesia, che erano stati mandati in aiuto di Otone, appena intrapresa la marcia, ricevettero la notizia della sconfitta e del suicidio di costui. Ciononostante proseguirono fino ad Aquileia, quasi senza tener conto di quelle voci. Lì, approfittando dell'occasione e dell'assenza di controllo, si erano dati ad ogni sorta di rapine. Temendo di doverne, al ritorno, rendere ragione e subire una condanna, decisero allora di scegliere e di nominare anche loro un imperatore, giacché ritenevano di non essere inferiori né all'esercito di Spagna che aveva eletto Galba, né a quello di Germania che aveva eletto Vitellio. Così furono presentati i nominativi dei luogotenenti di rango consolare, dovunque allora si trovassero. Tutti venivano scartati per i più diversi motivi; finché alcuni soldati della terza legione, quella che verso la fine dell'impero di Nerone dalla Siria era stata trasferita in Mesia, esaltarono con grandi lodi Vespasiano. Ci fu un accordo generale e scrissero immediatamente il nome di Vespasiano su tutti i loro vessilli. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 6)
Svetonio aggiunge che, se questa prima insurrezione venne inizialmente placata e le truppe ricondotte al loro dovere, generò grande fermento in tutto l'Impero, tanto che il prefetto d'Egitto, Tiberio Alessandro, per primo, indusse le sue legioni a prestare giuramento nei confronti di Vespasiano il 1º luglio (mentre quest'ultimo si trovava a Cesarea), che in seguito venne considerato come il primo giorno del suo principato. L'11 luglio era la volta dell'esercito di Giudea a prestare giuramento davanti allo stesso Vespasiano. Trovò, inoltre, un valido aiuto militare da parte di Gaio Licinio Muciano, governatore della Siria e un'alleanza inaspettata dal re dei Parti, che gli mise a disposizione ben 40.000 arcieri. In oriente tutti guardavano a lui. Svetonio aggiunge:
« Molto giovò all'impresa la diffusione di una lettera indirizzata a Vespasiano, autentica o falsa che fosse, del defunto Otone che, in un'estrema supplica, lo pregava di vendicarlo e lo esortava a soccorrere lo Stato. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 6.)
Tacito
Tacito scrive che Vespasiano, sebbene avesse già giurato con l'esercito per Vitellio, stesse considerando le proprie forze. Rifletteva sul fatto che aveva ben 60 anni e due giovani figli, e che gli eserciti che avrebbe dovuto affrontare erano vittoriosi, mentre i propri erano estranei alla guerra civile o perdenti; inoltre immischiandosi in quei giochi di potere c'era da temere un assassinio, come era successo di recente con Scriboniano. Muciano invece lo incitava pubblicamente ricordandogli di avere 9 legioni pronte a servirlo ed esercitate nella guerra Giudaica mentre il nemico ne aveva di infiacchite dai vizi e riflette che le legioni che hanno perso sono spesso le più valorose. Dopo il discorso poi pensano a convincere Vespasiano aruspici ed indovini, in quanto egli era superstizioso: fra i prodigi c'era quello che riguardava un altissimo cipresso nel suo podere che un giorno cadde improvvisamente per poi risorgere nello stesso punto il giorno successivo ancora più frondoso.
L'iniziativa di nominarlo imperatore partì da Alessandria d'Egitto per la fretta di Tiberio Alessandro, prefetto d'Egitto, il primo di luglio (mentre quest'ultimo si trovava a Cesarea). Questa data venne consacrata come il primo giorno del principato di Vespasiano sebbene le legioni che comandava in Giudea avessero prestato giuramento solo due giorni dopo (secondo Svetonio invece questo avvenne l'11 luglio, forse perché vi fu confusione fra l'esercito di Siria e quello di Giudea), quando pochi soldati, mentre gli altri aspettavano che qualcuno facesse la prima mossa, lo attesero fuori dalla sua tenda come di consueto, ma invece di salutarlo come legato lo acclamarono imperatore. Così tutti gli altri soldati si unirono ad adularlo, ma da parte sua non vi fu vanagloria o arroganza, e dopo che ebbero prestato giuramento, tenne un discorso nel teatro di Antiochia. Giurarono per Vespasiano tutta la Siria, il re Soemio, il re Antioco, il re Erode Agrippa II, sua sorella, le province bagnate dal mare dall'Asia all'Acaia e quelle che si estendevano all'interno verso il Ponto e l'Armenia.
Giuseppe Flavio spiega che, Vespasiano tornato a Cesarea, dopo aver devastato la regione vicina a Gerusalemme (maggio del 69), ricevette la notizia della caotica situazione a Roma e dell'acclamazione a imperatore di Vitellio. E sebbene Vespasiano fosse bravo sia nell'ubbidire, sia nel comandare, rimase indignato per come Vitellio si era impossessato del potere a Roma. Non riusciva a pensare alla guerra che stava conducendo contro i Giudei. Gli ufficiali, inoltre, lo incitavano a prendere il potere e accettare l'acclamazione ad imperatore, sostenendo che:
« Se per governare era necessaria l'esperienza degli anni, questa si trovava in Vespasiano padre, se il vigore della giovinezza, questa si trovava nel figlio Tito, sommandosi così i pregi dell'età di entrambi. Ai nuovi eletti ci sarebbero state come sostegno, non soltanto i soldati di tre legioni insieme alle truppe alleate dei re, ma anche quelle di tutto l'Oriente, oltre alle province europee, abbastanza lontane da non temere Vitellio, gli alleati in Italia, un fratello di Vespasiano (Tito Flavio Sabino) e un altro figlio (Domiziano). »
(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, IV, 10.3.597-598.)
I soldati si radunarono tutti insieme e, facendosi coraggio l'un l'altro, acclamarono Vespasiano loro imperatore, pregandolo di salvare la Res publica. Al suo iniziale rifiuto, come ci racconta Giuseppe Flavio, sembra che anche i generali cominciassero ad insistere, mentre i soldati gli si avvicinavano con le spade in pugno, quasi lo stringessero d'assedio, cominciarono a minacciare di ucciderlo qualora non avesse accettato. E se Vespasiano, in un primo momento, espose le sue ragioni che lo inducevano a rifiutare la porpora imperiale, alla fine non riuscendo a convincerli, accettò l'acclamazione ad imperator.
« E poiché Gaio Licinio Muciano ed altri generali sollecitavano affinché [Vespasiano] esercitasse il potere come princeps, anche l'esercito lo incitava ad essere condotto a combattere qualunque rivale. Vespasiano, allora per prima cosa, rivolse la sua attenzione ad Alessandria, poiché sapeva che l'Egitto costituiva una delle regioni più importanti dell'impero per l'approvvigionamento del grano, credette che, assicuratosene il controllo, avrebbe costretto Vitellio ad arrendersi, poiché la popolazione di Roma avrebbe patito la fame. Mirava, inoltre, ad avere come sue alleate le due legioni presenti ad Alessandria, e a fare di quella provincia un baluardo. »
(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, IV, 10.5.605-607.)
Vespasiano decise così di scrivere a Tiberio Alessandro, governatore dell'Egitto e di Alessandria, informandolo di essere stato acclamato imperator dalle truppe in Giudea e che contava sulla sua collaborazione e aiuto. Alessandro, allora, dopo aver dato pubblica lettura al messaggio di Vespasiano, chiese che le legioni e il popolo giurassero fedeltà al nuovo imperatore. In seguito Alessandro si dedicò ai preparativi per accogliere Vespasiano, mentre la notizia si diffondeva in tutto l'Oriente romano e ogni città festeggiava la lieta notizia, compiendo sacrifici per il nuovo imperatore.
Ancora Giuseppe Flavio racconta che quando Vespasiano si trasferì a Berito da Cesarea Marittima, venne raggiunto da numerose ambascerie provenienti dalla provincia di Siria e dalle altre province orientali che gli recavano doni e decreti gratulatori. Giunse anche Muciano, governatore di Siria, a tributargli il suo appoggio e giuramento di fedeltà, insieme a quello dell'intera popolazione provinciale. Anche le legioni di Mesia e Pannonia, che già da tempo avevano dato segni di insofferenza al potere di Vitellio, giurarono con grande entusiasmo la loro fedeltà a Vespasiano.
Il nuovo imperatore, dopo aver assegnato i vari comandi nelle province orientali a lui fedeli e congedato le ambascerie, si trasferì ad Antiochia di Siria, dove si consigliò con i più fidati collaboratori sul da farsi, ritenendo che fosse importante raggiungere Roma prima possibile. Fu così che, una volta affidato un forte contingente di cavalleria e fanteria a Muciano (governatore di Siria), lo inviò in Italia via terra, attraverso Cappadocia e Frigia, poiché la stagione invernale non permetteva un tragitto via mare, considerato l'elevato rischio di naufragio. Contemporaneamente anche Antonio Primo, al comando della Legio III Gallica di stanza nella Mesia, di cui egli era a quel tempo governatore, si dirigeva in Italia per affrontare le armate di Vitellio.
Iniziata dunque la guerra civile, si trasferì da Antiochia ad Alessandria d'Egitto, per controllare anche questa provincia. Raccontano Tacito e Svetonio che durante il suo soggiorno in Egitto si rese protagonista di due "miracoli", ovvero di aver curato gli occhi di un cieco sputandoci sopra e la gamba di uno zoppo toccandogliela con il proprio calcagno (entrambi avevano supplicato il "tocco divino" dell'imperatore come Serapide aveva loro suggerito in sogno). In realtà i suoi medici gli avevano già suggerito che le piaghe potevano essere guarite, quindi il suo gesto, in caso di successo, gli avrebbe portato molta notorietà in quelle terre, e che in caso di insuccesso nulla sarebbe cambiato.
Le sue truppe entrarono in Italia nord orientale sotto il comando di Antonio Primo e sconfissero l'esercito di Vitellio nella seconda battaglia di Bedriaco, saccheggiando quindi Cremona e avanzando su Roma, per poi attestarsi a Otricoli in attesa di rinforzi dalla Siria. Vitellio, che nel frattempo era rientrato a Roma, cercò a questo punto di prendere tempo e di accordarsi con il fratello del suo rivale, Flavio Sabino, promettendogli di abdicare e cento milioni di sesterzi per aver salva la vita (18 dicembre del 69), nascondendo la notizia della sua disfatta.
« Ma, sconfitto dovunque o sul campo o per tradimento, venne a patti col fratello di Vespasiano, Flavio Sabino, per aver salva la vita e un appannaggio di cento milioni di sesterzi. Subito dopo, sui gradini del palazzo, davanti a una folla di soldati dichiarò di voler abbandonare quel potere che aveva assunto suo malgrado. Ma, di fronte alle generali proteste, differì la questione e, fatta passare una notte, si ripresentò ai Rostri alle prime luci del giorno: in veste dimessa e tra i singhiozzi ripeté le stesse dichiarazioni, questa volta leggendole da un testo scritto. »
(Svetonio, Vita di Vitellio, 15)
Poiché gran parte dei soldati (quelli delle legioni germaniche) e del popolo si opponevano a che abbandonasse il potere, esortandolo a non perdersi d'animo, si riprese e attaccò Flavio Sabino ed i suoi partigiani, costringendoli a difendersi sul Campidoglio, dove nel corso dello scontro il Tempio di Giove Ottimo Massimo fu dato alle fiamme e i soldati saccheggiarono i doni votivi, mentre buona parte dei partigiani dei Flavi perse la vita.
« Con un improvviso colpo di mano sospinse sul Campidoglio Sabino e gli altri Flaviani che se ne stavano senza più timori e, appiccato il fuoco al tempio di Giove Ottimo Massimo, li annientò. Intanto lui banchettando assisteva alla battaglia e all'incendio dal palazzo di Tiberio. »
(Svetonio, vita di Vitellio, 15.)
Il giovane figlio di Vespasiano, Domiziano, che era con lo zio, riuscì a scampare alla strage, travestendosi da sacerdote di Iside, e si nascose nella casa al Velabro di Cornelio Primo, un cliente di suo padre. Poco dopo, Vitellio, pentito di quanto aveva commesso e dandone la colpa ad altri. Convinse, quindi, il Senato ad inviare ambasciatori, insieme a delle vergini Vestali, per chiedere la pace, o comunque una tregua. Il giorno seguente, un esploratore lo informò che reparti di Vespasiano si stavano avvicinando. Tormentato se scappare in Campania o rimanere a Roma, preferì rientrare a palazzo, «come se avesse ottenuto la pace».
« Vi trovò ogni cosa in abbandono, perché anche quelli del suo seguito si stavano dileguando. Si cinse allora ai fianchi una fascia piena di monete d'oro e si rifugiò nella guardiola del portiere, dopo aver legato il cane davanti alla porta ed essersi barricato col letto e un materasso. »
(Svetonio, Vita di Vitellio, 16)
Le truppe di Antonio Primo, una volta trovatolo nei palazzi imperiali, seppur non avendolo riconosciuto inizialmente, poiché ubriaco e rimpinzato di cibo più del solito, avendo compreso che la fine era ormai vicina, lo condussero nel Foro romano. Qui attraverso l'intera via Sacra, con le mani legate, un laccio al collo e la veste strappata, lungo l'intero percorso, Vitellio venne fatto oggetto di ogni ludibrio a gesti e con parole, mentre era condotto con una punta di spada al mento e la testa tenuta indietro per i capelli, come si fa con i criminali. Alla fine venne scannato per le vie di Roma, dopo otto mesi e cinque giorni di regno:
« C'era chi gli gettava sterco e fango e chi gli gridava incendiario e crapulone. La plebaglia gli rinfacciava anche i difetti fisici: e in realtà aveva una statura spropositata, una faccia rubizza da avvinazzato, il ventre obeso, una gamba malconcia per via di una botta che si era presa una volta nell'urto con la quadriga guidata da Caligola, mentre lui gli faceva da aiutante. Fu finito presso le Gemonie, dopo esser stato scarnificato da mille piccoli tagli; e da lì con un uncino fu trascinato nel Tevere. »
(Svetonio, Vita di Vitellio, 16.)
Il 21 dicembre, il giorno dopo l'ingresso delle truppe di Antonio Primo in Roma, e l'uccisione di Vitellio il Senato proclamò Vespasiano imperatore e console con il figlio Tito, mentre il secondogenito Domiziano veniva eletto pretore con potere consolare. Il 22 dicembre anche Muciano raggiunse Roma, entrando in città al comando delle sue truppe e mettendo fine alle stragi che si stavano perpetrando dagli uomini di Antonio, alla ricerca dei soldati di Vitellio e di quei cittadini che si erano schierati dalla sua parte. Si contarono più di cinquantamila morti dopo questi scontri. Muciano accompagnò, quindi, Domiziano nel Foro romano e lo raccomandò al popolo romano come Cesare e reggente fino all'arrivo del padre dall'Oriente, mentre il giovane principe pronunciò loro un discorso.
Il popolo allora, finalmente libero da Vitellio e dai vitelliani, acclamò Vespasiano imperatore, celebrando l'inizio di un nuovo principato e la fine di Vitellio. Frattanto Vespasiano, che era giunto ad Alessandria d'Egitto, fu raggiunto dalla notizia che Vitellio era morto e che il popolo di Roma lo aveva proclamato imperatore (fine dicembre del 69). Giunsero, quindi, numerose ambascerie a congratularsi con lui da ogni parte del mondo. Vespasiano, ansioso di salpare per la capitale non appena fosse terminato l'inverno, spedì il figlio Tito con ingenti forze a conquistare Gerusalemme e porre fine alla guerra in Giudea.
E mentre Tito stringeva d'assedio Gerusalemme, Vespasiano si imbarcò ad Alessandria su una nave da carico, per poi approdare all'isola di Rodi; da qui continuò il viaggio su triremi ricevendo accoglienze festose in qualunque città egli decidesse di fermarsi lungo il percorso. Dalla Ionia, infine, passò in Grecia, poi all'isola di Corcira e da qui al promontorio Iapigio, da dove proseguì via terra per la capitale. Giuseppe Flavio racconta che Vespasiano fu accolto festosamente in tutte le città d'Italia, ma soprattutto a Roma dove ricevette accoglienze entusiastiche sia da parte del popolo che delle più importanti personalità cittadine, provandone una grandissima soddisfazione.
« Il senato, a conoscenza dei tragici eventi che avevano portato ad un continuo cambiamento di imperatori, premeva affinché ci fosse un princeps di età matura e ricoperto di gloria militare, la cui aura sarebbe stata utile ad assicurare la pace ai cittadini romani. »
(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VII, 4.1.65.)
« Quando giunse la notizia che era vicino [...], tutto il resto della popolazione, insieme a mogli e figli, lo attesero lungo i margini della strada e, quando passava [...], tutti lanciavano ogni genere di grida festose, acclamandolo benefattore, salvatore e unico signore degno di [governare] Roma. Tutta la città era piena di corone e incensi come un tempio. Con grande fatica, a causa della folla strabocchevole che gli era venuta incontro, riuscì ad entrare a palazzo, dove celebrò i dovuti sacrifici di ringraziamento alle divinità domestiche per essere tornato. Frattanto il popolo iniziava i festeggiamenti, banchettando diviso per tribù, per gentes e per clientes, ingraziandosi gli déi con sacrifici, affinché mantenesse Vespasiano a capo dell'impero romano il più a lungo possibile, e che conservasse il potere per i suoi figli ed i loro discendenti. »
(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VII, 4.1.70-73.)
Giunto così a Roma nella primavera del 70, Vespasiano dedicò fin dall'inizio ogni sua energia a riparare i danni causati dalla guerra civile. Restaurò la disciplina nell'esercito che sotto Vitellio era stata piuttosto trascurata, e con la cooperazione del senato, riportò il governo e le finanze su solide basi.
« I soldati, chi per baldanza di vittoria chi per il bruciore della sconfitta, si erano spinti a ogni sfrenata audacia; ma anche province e città libere, nonché alcuni regni, avevano tra loro rapporti piuttosto burrascosi. Perciò dei soldati di Vitellio egli congedò la maggior parte e li tenne a freno; quanto a quelli che avevano contribuito alla vittoria, non accordò alcun favore straordinario: anzi, ritardò perfino il pagamento delle legittime ricompense. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 8)
Chiese l'esazione delle imposte non pagate sotto Galba, introducendone poi di nuove e ancora più gravose (fra le quali il fiscus iudaicus e quella sui vespasiani); aumentò i tributi delle province, anche raddoppiandoli in alcuni casi; ebbe nel complesso un occhio attento sulle finanze pubbliche. Sembra infatti che la sua sia stata, in realtà, una illuminata economia, che, nello stato disordinato delle finanze di Roma, era una necessità assoluta a causa dell'immensa povertà in cui versava sia il fiscus sia l'aerarium.
« Vi sono invece altri che ritengono che egli sia stato spinto a saccheggi e rapine dalla necessità, per l'estrema povertà dell'erario e del fisco, che aveva denunciato sùbito fin dall'inizio del suo principato, dichiarando che «erano necessari quaranta miliardi di sesterzi perché lo Stato potesse reggersi». »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 16)
Un celebre aneddoto riferisce che egli mise una tassa sugli orinatoi (gabinetti pubblici, che da allora vengono chiamati anche vespasiani). Rimproverato dal figlio Tito, che riteneva la cosa sconveniente, gli mise sotto il naso il primo danaro ricavato, chiedendogli se l'odore gli dava fastidio («Pecunia non olet» ovvero «il denaro non ha odore», quale che ne sia la provenienza); e dopo che questi gli rispose di no, aggiunse «eppure proviene dall'orina». Attraverso l'esempio della sua semplicità di vita, mise alla gogna il lusso e la stravaganza dei nobili romani e iniziò sotto molti aspetti un marcato miglioramento del tono generale della società.
Uno dei provvedimenti maggiormente importanti di Vespasiano fu la promulgazione della lex de imperio Vespasiani, in seguito alla quale egli e gli imperatori successivi governeranno in base alla legittimazione giuridica e non più in base a poteri divini come avevano fatto i Giulio-Claudii. Questo provvedimento può essere riassunto in due formule: «il principe è svincolato dalle leggi» (princeps a legibus solutus est); «quanto piace al principe ha vigore di legge» (quod placuit principi legis habet vigorem).
Come censore (nel 73) riformò il Senato e l'ordine equestre, rimuovendone i membri inadatti e indegni e promuovendo uomini abili e onesti, sia tra gli Italici sia tra i provinciali, quali Gneo Giulio Agricola. Allo stesso tempo, rese questi organismi più dipendenti dall'imperatore, esercitando la sua influenza sulla loro composizione. Diede una pensione di cinquecentomila sesterzi all'anno ai consolari poveri. Svetonio aggiunge:
« E, affinché fosse ben chiaro che i due ordini differivano tra loro non tanto per i diritti quanto per il rango, in una lite sorta tra un senatore e un cavaliere romano sentenziò che «non si dovevano ingiuriare i senatori, ma che, comunque, ricambiare gli insulti era un diritto civile e morale». »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 9)
Gli elenchi dei processi si erano allungati in modo esponenziale, poiché alle precedenti liti ancora pendenti, soprattutto a causa dell'interruzione dovuta alla precedente guerra civile, se ne erano aggiunte di nuove. Vespasiano allora sorteggiò alcuni giudici per restituire i beni trafugati durante la guerra civile e dirimere, con giustizia straordinaria, e ridurre ai minimi termini tutte le vertenze di competenza dei centumviri, poiché in alternativa non sarebbe bastata una vita ai litiganti per trovare una soluzione.
E poiché la lussuria e la libidine si erano largamente diffusi in questo periodo, fece decretare dal Senato che ogni donna libera, che si fosse concessa ad uno schiavo di altri, venisse considerata anch'essa una schiava; che gli usurai, quando avessero concesso un prestito a un figlio di famiglia, non potessero esigerne la restituzione neppure dopo la morte del padre.
Spesso Vespasiano offriva banchetti sontuosi (epulae) per far guadagnare i macellai. In occasione dei Saturnalia offriva doni agli uomini, alle calende di marzo alle donne. Nel 73 Vespasiano e Tito rivestirono una magistratura repubblicana ormai quasi dimenticata, la censura, con l'obiettivo di ampliare il pomerium, ovvero il confine sacro della città, e iniziare una generale ristrutturazione urbanistica.
« Roma era deturpata dai segni di crolli e di passati incendi; e Vespasiano permise a chiunque di occupare le aree vuote e di costruirvi sopra se i proprietari non prendevano iniziative. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 8)
Molto danaro fu speso in lavori pubblici e in restauri e abbellimenti di Roma:
ricostruì il Campidoglio, dando lui stesso una mano a rimuovere le macerie e trasportandole personalmente in spalla; in questa circostanza fece rifare tremila tavole in bronzo, andate completamente distrutte nel recente incendio, dove erano conservati i senatoconsulti fin quasi dalla fondazione della città, i plebiscita, i trattati e le alleanze;
iniziò la costruzione di un nuovo e funzionale foro, il terzo dopo quelli di Cesare e Augusto, con annesso un tempio dedicato alla Pace. Il grandioso complesso fu decorato con le statue raccolte da Nerone in Grecia e in Asia Minore, antichi capolavori di pittura e di scultura, oltre che con la suppellettile d'oro presa nel tempio dei Giudei, di cui Vespasiano andava fiero. Si trovava accanto al foro di Augusto, separato solo dall'Argileto, antica strada tra Foro Romano ed Esquilino risistemata poco dopo sotto Domiziano con la costruzione del Foro Transitorio. Definito dai contemporanei come una delle meraviglie del mondo, venne iniziato da Vespasiano (nel 74) e concluso dal figlio Domiziano;
portò a termine sul Celio il tempio del Divo Claudio, iniziato da Agrippina ma quasi interamente demolito da Nerone fino alle fondamenta;
dispose la costruzione nonché la tassazione di numerosi orinatoi;
realizzò, infine, un grandioso anfiteatro, il Colosseo, simbolo ancora oggi dell'antica Roma, nell'area che sapeva essere stata a ciò destinata da Augusto.
Vespasiano, infine, fece potenziare e manutenere i più importanti tratti viari della penisola e in particolare le vie Appia, Salaria e Flaminia. Ci è noto anche che la statua colossale di Nerone, che era situata nel vestibolo della Domus Aurea, in summa sacra via.... L'incendio della Domus Aurea danneggiò la colossale statua di Nerone che fu restaurata da Vespasiano, il quale la convertì in una rappresentazione del dio Sole.
Vespasiano fu generoso verso senatori e cavalieri impoveriti, verso moltissime città devastate da terremoti o incendi, favorendo anche gli ingegni e le arti. Egli fu, infatti, il primo imperatore a stanziare una somma di centomila sesterzi all'anno a favore di retori greci e latini, a spese del fiscus. Versò numerosi congiaria ai poeti più importanti, ai migliori artigiani, come quello che restaurò la Venere di Coo e il Colosso di Nerone. Altri ricevettero un vitalizio di più di mille pezzi d'oro all'anno. Si dice che Marco Fabio Quintiliano fosse il primo pubblico insegnante a godere del favore imperiale. Svetonio racconta che:
« Fu il primo ad assegnare, attingendo al fisco, una pensione annua di centomila sesterzi per ciascuno ai retori latini e greci; i poeti più insigni, nonché gli artisti, come il restauratore della Venere di Coo e così pure quello del Colosso, gratificò con ricchi donativi e lauti stipendi, e anche a un ingegnere, che assicurava di poter trasportare sul Campidoglio con modica spesa alcune enormi colonne, offrì un premio non indifferente per il progetto, ma poi rinunciò all'esecuzione dell'opera dicendogli che «gli lasciasse sfamare il popolino». »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 18)
« Per gli spettacoli con cui si inaugurava la scena restaurata del teatro di Marcello, aveva richiamato anche vecchi artisti. All'attore tragico Apellaride donò quattrocentomila sesterzi, ai citaredi Terpno e Diodoro duecentomila ciascuno, centomila ad alcuni altri e, come minimo, quarantamila, oltre a moltissime corone d'oro. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 19)
Vi è altresì da aggiungere che i maestri della filosofia stoica e scettica, attivi in Roma, erano stati perseguitati per la loro opposizione al regime di Vespasiano. Ostilio e Demetrio erano stati mandati in esilio ed Elvidio Prisco, che si era rifiutato di riconoscere Vespasiano quale imperatore, fu messo a morte. Il potere imperiale considerava intollerabile la loro indipendenza di giudizio e se essi generalmente non erano politicamente attivi, erano però moralmente autorevoli e le loro critiche erano tanto più pericolose in quanto venivano diffuse pubblicamente tra i loro allievi.
La grande opera di Plinio il Vecchio, Naturalis historia, fu scritta durante il regno di Vespasiano e dedicata a suo figlio Tito.
Con Vespasiano, venne ripristinata l'antica disciplina militare, ma soprattutto si preoccupò di evitare che l'eccessivo lealismo/devozione delle legioni ai propri comandanti potesse generare una nuova guerra civile. La caduta di Nerone era seguita da una lotta che aveva, non solo portato distruzione nella penisola italica e dissanguato le casse dello stato, ma aveva coinvolto numerosi eserciti (da quello renano, a quello danubiano ed orientale). Fu necessario porre rimedio a ciò attraverso una nuova serie di riforme, che completasse quanto era già stato fatto durante la dinastia giulio-claudia:
al termine della guerra civile e della rivolta dei Batavi, sciolse ben quattro legioni che avevano trascinato nel fango le proprie insegne macchiandosi di disonore (I Germanica, IV Macedonica, XV Primigenia e XVI Gallica[87]) e ne riformò tre nuove (II Adiutrix Pia Fidelis, IV Flavia Felix, e XVI Flavia Firma) dando la possibilità ad alcuni di fare pubblica ammenda;
avendo trovato le casse dell'aerarium militare pressoché vuote, mise in atto tutta una serie di azioni per ripristinare la precedente situazione finanziaria alla guerra civile;
data inoltre la crescente scarsità di reclute (cosa che da tempo rappresentava un problema insanabile) decise di aumentare l'impiego di truppe ausiliarie provinciali (raddoppiando in molte unità il numero degli effettivi, passando da 500 a 1.000 armati, ovvero trasformandole da quingenariae a milliariae), facendo in modo che le generazioni future avessero un numero maggiore di potenziali cittadini romani da arruolare nelle legioni. Di contro si andava a creare una vera e propria rarefazione dell'elemento italico a vantaggio di quello provinciale, pur non producendo mutamenti sostanziali nel valore militare complessivo;
al fine di aumentare la capacità difensiva dei confini imperiali per tutta la loro lunghezza (oltre 9.500 km terrestri), dispose di ricostruire numerose fortezze legionarie in pietra e in posizioni strategicamente migliori, in modo da non trascurare la sicurezza delle legioni ivi acquartierate;
non trascurò il fatto che le truppe di confine, quando rimanevano inattive per troppo tempo, in un ambiente ospitale (soprattutto in Oriente), perdevano la loro capacità di combattere. Queste truppe, non avendo infatti una prospettiva immediata di guerra o di bottino, rischiavano di perdere la proverbiale disciplina e deteriorarsi. Solo un allenamento costante poteva preservare le capacità di combattimento, anche in tempo di pace, ben sapendo che dai primi accampamenti "rurali" (circondati dalle sole campagne) si era ormai passati a fortezze che andavano sempre più acquisendo una tipica atmosfera urbana (canabae);
tornò all'ordinamento augusteo, riducendo le coorti pretoriane a 9, e ancora una volta quingenarie, le quali furono aumentate poi dal figlio Domiziano fino a 10.
La riforma della prima coorte potrebbe essere avvenuta all'epoca di Augusto o forse al tempo dei Flavi. Si trattava di una coorte milliare, vale a dire di dimensioni doppie rispetto alle altre nove coorti, con 5 manipoli (non quindi 6) di 160 armati ciascuna (pari a 800 legionari), a cui era affidata l'aquila della legione. Primo esempio di costruzioni che ne ospitassero una coorte di queste dimensioni la troviamo nella fortezza legionaria di Inchtuthill in Scozia.
La prima guerra giudaica, fu la prima delle tre importanti ribellioni degli ebrei della provincia Giudea contro il potere imperiale. La provincia era da tempo una regione turbolenta con aspre violenze tra varie sette giudaiche in competizione e con una lunga storia di ribellioni.[100] La collera degli Ebrei verso Roma era alimentata dai furti nei loro templi e dall'insensibilità romana – Tacito parla di disgusto e repulsione – verso la loro religione. Gli ebrei iniziarono i preparativi per la rivolta armata. I primi successi, compreso il respinto primo assedio di Gerusalemme, e la battaglia di Beth Horon non fecero che sollecitare maggiore attenzione da Roma, dove Nerone incaricò il generale Vespasiano di spegnere la rivolta.
Vespasiano guidò le sue forze in una pulizia etnica delle aree in rivolta. Con l'anno 68, la resistenza ebraica nel nord era stata soffocata. La guerra in Giudea fu conclusa da Tito con la conquista di Gerusalemme nel 70. Sesto Giulio Frontino ricorda che l'ultimo baluardo difensivo dei Giudei fu sconfitto durante la festività ebraica della Shabbat. Contemporaneamente, in Oriente, veniva sedata nel sangue dal figlio Tito una difficile rivolta in Giudea, al termine della quale fu conquistata Gerusalemme (nel 70).
In seguito a questi eventi due legioni furono trasferite lungo il fiume Eufrate in Cappadocia (la XII Fulminata e la XVI Flavia Firma). Le ultime resistenze si opposero a Roma ancora per qualche anno, prima di cadere, portando all'assedio di Masada del 73 e al secondo assedio di Gerusalemme.
Tito, dopo aver portato a termine il difficile assedio di Gerusalemme, si imbarcò per l'Italia (inizi del 71), disponendo che i due capi della rivolta, Simone e Giovanni, insieme ad altri 700 prigionieri, scelti per statura e prestanza fisica, fossero inviati a Roma per essere trascinati in catene in trionfo. Giunto nella capitale, gli venne riservata un'accoglienza entusiasta da parte della folla cittadina. Pochi giorni più tardi, il padre Vespasiano accettò di celebrare un unico trionfo, sebbene il senato ne avesse decretato uno per ciascuno. Una volta avvisata circa la data della cerimonia trionfale, l'immensa popolazione di Roma uscì a prendere posto dovunque si potesse stare, lasciando libero solo il passaggio per far sfilare il corteo.
Negli anni seguenti, dopo il trionfo congiunto di Vespasiano e Tito sui Giudei, memorabile come prima occasione in cui padre e figlio furono associati nel trionfo, il Tempio di Giano fu chiuso, e il mondo romano fu in pace per i restanti nove anni del regno di Vespasiano. La pace di Vespasiano divenne proverbiale. Distrutto, quindi, il tempio di Gerusalemme e dispersa la popolazione, gli ebrei non furono perseguitati sotto Vespasiano e Tito. Lo stesso re Agrippa II e le sorelle Berenice e Drusilla vivevano a Roma, intimi dei Flavi, e una colonia di ebrei viveva nella capitale libera di praticare la propria religione, salvo essere tenuti a pagare il fiscus iudaicus.
A partire dal 71 Vespasiano, infatti, ordinò all'allora legatus Augusti pro praetore Sesto Lucilio Basso e al procurator Augusti Laberio Massimo di assoggettare tutto il territorio della Giudea al regime di locazione in affitto. L'imperatore non costituì su questo territorio alcuna nuova città, disponendo che quella regione diventasse come una sua proprietà privata. A soli 800 soldati mandati in congedo permise loro di costituire una colonia nella località chiamata Emmaus (a 30 stadi da Gerusalemme). Impose a tutti i giudei, ovunque risiedessero, una tassa di due dracme ciascuno da versare ogni anno al Campidoglio, in sostituzione di quella versata al tempio di Gerusalemme (fiscus iudaicus). Questa fu la sistemazione che venne data alla Giudea.
Nel quarto anno di regno di Vespasiano (dal luglio del 72), Antioco, re della Commagene, fu implicato in vicende tali che lo portarono a dover rinunciare al trono del regno "cliente" di Commagene a vantaggio di un'annessione romana. Giuseppe Flavio racconta che il governatore di Siria, Lucio Cesennio Peto, non sappiamo se in buona o cattiva fede nei confronti di Antioco, mandò una lettera a Vespasiano accusando lo stesso regnante, insieme suo figlio Epifane, di volersi ribellare ai Romani e di aver già preso accordi con il re dei Parti. Bisognava prevenirli per evitare una guerra che coinvolgesse l'impero romano.
Giuntagli una simile denuncia, l'imperatore non poté non tenerne conto, tanto più che la città di Samosata, la maggiore della Commagene, si trova sull'Eufrate, da dove i Parti avrebbero potuto attraversare il fiume ed entrare entro i confini imperiali. Così Peto venne autorizzato ad agire nel modo più opportuno. Il comandante romano allora, senza che Antioco e i suoi se l'aspettassero, invase la Commagene alla testa della legio VI Ferrata e di alcune coorti e ali di cavalleria ausiliaria, oltre ad un contingente di alleati dei re Aristobulo di Calcide e Soemo di Emesa.
L'invasione avvenne senza colpo ferire, poiché nessuno si oppose all'avanzata romana o provò a resistere. Una volta venuto a conoscenza di questi fatti, Antioco, non ritenendo opportuno muovere guerra ai romani, preferì abbandonare il regno, allontanandosi di nascosto su un carro con moglie e figli. Giunto a centoventi stadi dalla città verso la pianura, qui si accampò. Frattanto Peto inviò un distaccamento a occupare Samosata con un presidio, mentre col resto dell'esercito si diresse alla ricerca di Antioco.
I figli del re, Epifane e Callinico, che non si rassegnavano a perdere il regno, preferirono impugnare le armi, e tentarono di fermare l'armata romana. La battaglia divampò violenta per un'intera giornata; ma anche dopo questo scontro dall'esito incerto, Antioco preferì fuggire con la moglie e le figlie in Cilicia. L'aver abbandonato figli e sudditi al loro destino generò nel morale delle sue truppe un tale sconcerto che alla fine i soldati commageni preferirono consegnarsi ai romani. Al contrario il figlio Epifane, accompagnato da una decina di soldati a cavallo, attraversò l'Eufrate e si rifugiò presso il re dei Parti Vologese, il quale lo accolse con tutti gli onori.
Antioco giunse a Tarso in Cilicia, ma qui venne catturato da un centurione inviato da Peto a cercarlo. Arrestato, fu mandato a Roma in catene. Vespasiano però, rispettoso dell'antica amicizia, ordinò che durante il viaggio fosse liberato dalle catene e lo fece fermare a Sparta. Qui gli concesse cospicue rendite, al fine di poter mantenere un tenore di vita da re. Quando queste informazioni giunsero al figlio, Epifane ed agli altri famigliari, che avevano temuto per la sorte del padre, si sentirono liberati da una grave peso e cominciarono a sperare di potersi riconciliare con l'imperatore.
Chiesero pertanto a Vologese di potergli scrivere per perorare la loro causa. Essi, pur venendo trattati bene, non riuscivano ad adattarsi a vivere al di fuori dell'impero romano. Vespasiano concesse loro, generosamente, di trasferirsi senza paura a Roma insieme al padre, con la promessa che sarebbero stati trattati con ogni riguardo. Pochi anni più tardi, Vespasiano non accettò l'invito di Vologase, re dei Parti, di inviargli come alleato un esercito comandato da uno dei suoi figli, malgrado le insistenze dei figli Tito e Domiziano per essere prescelti nella guida di questa spedizione.
Vespasiano, al termine della guerra civile (68-69), procedette in Occidente a soffocare una difficile rivolta tra i Batavi,[112] ispirata dalla sacerdotessa Velleda.Al suo termine della quale le frontiere lungo il Reno furono consolidate con una nuova riorganizzazione.
Contemporaneamente alla rivolta batava si verificò un'invasione da parte delle popolazioni sarmatiche dei Roxolani (nel 70). Essi passarono a sud del Danubio e, giunta inaspettatamente con grande violenza sulla vicina provincia romana di Mesia, sterminarono un gran numero dei soldati disposti a difesa del confine. Lo stesso legatus Augusti pro praetore, Gaio Fonteio Agrippa, che si era fatto loro incontro attaccandoli con grande coraggio, venne ucciso. Devastarono, quindi, l'intero territorio che gli si apriva davanti, saccheggiando ovunque giungessero.
Vespasiano allora, informato dell'accaduto e di quanto fosse stata devastata la Mesia, inviò a punire i Sarmati, Rubrio Gallo, il quale poco dopo li affrontò in battaglia ottenendo una vittoria schiacciante e costringendo i superstiti a ritirarosi nei loro territori. Terminata l'invasione, Gallo provvide a fortificare nuovamente le frontiere provinciali, disponendo in quel settore di limes nuove guarnigioni più numerose e meglio fortificate «sì che passare il fiume era per i barbari del tutto impossibile».
Nuove turbolenze in Britannia iniziarono nel 69, anno dei quattro imperatori. Di fronte al disordine che si era ormai diffuso all'intero Impero romano, Venuzio della popolazione dei Briganti assunse il controllo del nord del paese. Con la salita al potere di Vespasiano, il nuovo governatore dell'isola, Quinto Petillio Ceriale, pose fine alla rivolta. Negli anni successivi i romani ripresero la conquista dell'isola. Il governatore Gneo Giulio Agricola, suocero dello storico Tacito e da sempre fedele a Vespasiano, cominciò infatti a sottomettere gli Ordovici nel 77-78 (Galles settentrionale).
L'obbiettivo era quello di occupare anche la Caledonia, nella parte settentrionale dell'isola (l'attuale Scozia). L'anno seguente Vespasiano morì e non poté assistere ai successi di Agricola. In Germania, fu Vespasiano a cominciare l'avanzata in quei territori poi denominati Agri Decumates (posizionati tra Germania superiore e Rezia), grazie alle campagne del Legatus Augusti pro praetore della Gallia Lugdunensis, un certo Gneo Pinario Cornelio Clemente nel 74, il quale ricevette gli ornamenta triumphalia per le imprese vittoriose in Germania. Furono creati, infatti, i forti di Schleitheim, Hüfingen, Rottweil, Waldmossingen, Offenburg e Riegel am Kaiserstuhl.
Fu capace di scherzare anche nei suoi ultimi momenti di vita, quando esclamò: «Purtroppo temo che mi stia trasformando in un Dio» (in latino: "Vae, puto deus fio" ). Ad aggravare la malattia sembra sia stata un'indigestione, per aver bevuto una quantità eccessiva di acqua gelata. Egli continuava, però, a compiere i suoi doveri di imperatore, ricevendo anche le legazioni mentre stava a letto. Sentendosi, infine, morire per un improvviso attacco di dissenteria, esclamò: «Un imperatore deve morire in piedi». E mentre tentava di alzarsi, spirò tra le braccia di chi lo stava aiutando, il 23 giugno del 79, all'età di sessantanove anni. Morì nella sua villa presso le terme di Cotilia, nell'attuale provincia di Rieti, dove ogni anno era solito trascorrere l'estate. Verrà divinizzato, in seguito, dal figlio Tito.
Alla morte di Vespasiano (23 giugno del 79), il figlio primogenito Tito rimase unico imperatore e, come il padre, escluse il fratello Domiziano dagli affari di Stato, non associandolo all'Impero né concedendogli l'imperium proconsulare né la tribunicia potestas, ma lo dichiarò suo successore, gli fece ottenere il consolato ordinario nell'80.
Eugenio Caruso
- 17 marzo 2018
Tratto da