I GRANDI PERSONAGGI STORICI
Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona.
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Claudio II
Claudio II il Gotico, il cui nome completo era Marco Aurelio Flavio Valerio Claudio, (Sirmia, 10 maggio 213 o 214 – Sirmium, luglio 270), è stato imperatore per un periodo di un solo anno e nove mesi, periodo troppo breve per poter porre in atto riforme in campo militare, finanziario e sociale; fu il primo degli imperatori illirici.
Fu anche il primo di un gruppo di imperatori che nel III secolo cercarono di risolvere i gravi problemi dell'impero. Gli ottimi rapporti che ebbe con il senato di Roma, che trovarono il fondamento principale nella gratitudine della Curia romana per l'eliminazione di Gallieno, si manifestarono anche dopo la morte di Claudio con l'elezione ad Augusto del fratello Quintillo.
Portò a termine la guerra con i goti, meritandosi il titolo di Gothicus Maximus. L'imperatore Costantino rivendicò Claudio il Gotico come suo avo, anche se una parentela (anche indiretta e per via del fratello Crispo, nome che Costantino scelse per il suo primogenito) non è dimostrabile in maniera decisiva.
Illyricum. Comprendeva inizialmente i territori dell'attuale Croazia e Albania settentrionale, in seguito ampliati alla vicina Bosnia, Serbia occidentale, Slovenia meridionale, Ungheria occidentale ed Austria orientale-meridionale.
Nacque probabilmente in Sirmia da famiglia illustre nel 213 o 214, che la Historia Augusta mette in relazione con la Gens Flavia (di Vespasiano, Tito e Domiziano). Aurelio Vittore sostiene che molti credevano fosse figlio di Gordiano III, il quale, ancora adolescente, venne iniziato da una donna matura in vista dell'imminente matrimonio. Vi sarebbe anche un accenno di parentela con il futuro imperatore Marco Aurelio Probo.
La Historia Augusta racconta che quando era ancora un giovane soldato:
« [Claudio] si mise in mostra in una gara tra i più forti lottatori, durante uno spettacolo che si teneva nell'accampamento in onore di Marte. Egli adiratosi con chi lo aveva afferrato non per la cintura, ma per i genitali, gli fece cadere con un sol pugno tutti i denti. Questo gesto gli fu perdonato, poiché si era vendicato per l'offesa ricevuta al proprio pudore. »
(Historia Augusta, Divus Claudius, 13.6-7.)
Si racconta che durante questo episodio fosse presente lo stesso imperatore Decio (che regnò dal 249 al 251), il quale lo lodò pubblicamente per il valore e il pudore, tanto da donargli armillae (bracciali) e torques (collari), ma lo invitò anche a ritirarsi dalle competizioni militari, temendo che potesse compiere altri atti troppo violenti per le regole della lotta. Sembra si sia distinto per le sue capacità militari, poco dopo (attorno al 250), come tribunus militum, durante il periodo delle invasioni dei goti. In questa circostanza venne inviato dallo stesso Decio presso il passo delle Termopili, a protezione del Peloponneso, ottenendo dal governatore dell'Acaia, duecento soldati della Dardania, cento cavalieri catafratti, sessanta cavalieri, sessanta arcieri cretesi e mille reclute ben armate.
Era ancora tribuno militare sotto l'imperatore Valeriano (tra il 253 ed il 258) della legio V Martia, dislocata a quel tempo nella provincia di Siria, come ci tramanda la Historia Augusta. Valeriano dispose, quindi, che fossero corrisposti a Claudio:
« ... uno stipendium di 3.000 moggi di grano, 6.000 di orzo, 2.000 libbre di lardo, 3.500 sestari di vino invecchiato, 150 di olio di prima qualità, 600 di olio di seconda scelta, 20 moggi di sale, 150 libbre di cera, una giusta quantità di fieno, paglia, aceto, legumi, ortaggi, 300 pelli per le tende, sei muli all'anno, come pure tre cavalli, dieci cammelle, nove mule, 50 libbre all'anno di argento lavorato e 150 aurei (filippi in questo caso) con impresso il viso di Valeriano e, quale dono di Capodanno, altri 47 aurei (filippi) e 160 trienti. A ciò si aggiungano anfore, bicchieri e pentole per undici libbre. Due tuniche militari rosse e due mantelli militari all'anno, due fibbie d'argento dorato, un anello con due gemme del peso di un'oncia, un bracciale di sette once, una collana da una libbra, un elmo dorato, due scudi ornati d'oro e una corazza da restituire. Due lance erculiane, due giavellotti corti, due falci, quattro falci da fieno. Un cuoco e un mulattiere con l'obbligo di restituirli. Due belle schiave di guerra. Una veste bianca di misto seta, ornata di porpora di Gerba, una tunica di porpora di Mauretania. Un segretario e uno schiavo addetto alla mensa, da restituire. Due paia di coperte di Cipro, due camice bianche, una toga, un laticlavio, tutti da restituire. Due cacciatori personali, un carpentiere, uno addetto al pretorio (alloggio personale), un portatore d'acqua, un pescatore ed un pasticcere. Mille libbre di legna al giorno, qualora se ne trovi, altrimenti di meno ed in misura di quanto possibile a seconda del luogo; quattro palate di legna secca al giorno. Un responsabile del bagno, compresa la legna per il bagno, altrimenti si laverà nei bagni pubblici. »
(Historia Augusta, Divus Claudius, 14.3-13.)
Valeriano aggiunse, quindi, alla fine:
« Ho deciso di assegnare tutti questi particolari vantaggi [a Claudio], come se trattassi non di un tribuno, ma di un generale, poiché è un uomo tale che bisognerebbe assegnargli ancora di più [di quello che già gli ho concesso]. »
(Historia Augusta, Divus Claudius, 14.15.)
In effetti il trattamento sembrerebbe riservato a un dux ducenarius, vale a dire a un ufficiale con uno stipendium base pari a 200.000 sesterzi annui. Dopo questo incarico, divenne governatore dell’Illyricum (dux totius Illyrici), che comprendeva, già dal tempo di Valeriano, un comando militare che sovrintendeva a tutti gli eserciti delle province romane di Tracia, due Mesie, Dalmazia, due Pannonie e tre Dacie.
« [...] gli ho assegnato uno stipendium pari a quello del prefetto d'Egitto, un corredo di vestiario pari a quello del proconsole d'Africa, tanto argento quanto ne percepisce il sovrintendente alle miniere dell’Illyricum (curator Illyrici metallarius), un numero di addetti al suo servizio pari a quello che destino a me stesso [Valeriano] quando mi reco in ogni città, perché sia evidente a tutti quale sia la considerazione in cui tengo quell'uomo [Claudio]. »
(Historia Augusta, Divus Claudius, 15.4.)
Sempre dalla Historia Augusta sappiamo che ebbe un ottimo rapporto con l'allora governatore della Mesia (non sappiamo se superiore o inferiore), Regaliano, al quale indirizzò una lettera, nella quale lo ringraziava per la riconquista di alcune regioni dell'Illirico (Mesia superiore), grazie anche al successo ottenuto nella battaglia combattuta presso Scupi. Tale episodio potrebbe riferirsi agli anni 258-259.
Qui esercitò il suo prestigioso comando, che sembra fosse il più importante dopo quello dell'imperatore stesso, per dieci anni a protezione del limes danubiano, contro la ormai devastante pressione dei goti (dal 258 al 268 circa). Un'altra indicazione presente in una lettera trascritta dalla Historia Augusta, indirizzata da Gallieno a un certo Venusto, vede Claudio in Dacia, quando sul trono vi era ancora probabilmente Valeriano, e non era ancora scomparso Cornelio Salonino (in un periodo ipotizzabile tra il 258 ed il 260). Dopo il 258 potrebbe, inoltre, aver ricoperto il suo primo consolato.
Nel corso del 267, Gallieno, grazie all'appoggio di Aureolo (magister equitum) e alla perizia militare del suo magister militum, Claudio, combatté con successo le armate galliche secessioniste di Postumo. Quando forse la vittoria finale era vicina, tanto da ipotizzare una riunificazione dell'impero delle Gallie al potere centrale di Roma, con la fine del 267-inizi del 268 una nuova ed immensa invasione da parte dei goti (unitamente a peucini, eruli ed a numerosi altri popoli) prese corpo dalla foce del fiume Tyras (presso l'omonima città), dando inizio al più sorprendente e devastante assalto di questo terzo secolo, che sconvolse le coste e l'entroterra delle province romane di Asia Minore, Tracia e Acaia affacciate sul Ponto Eusino e sul Mare Egeo.
« E così le diverse tribù della Scizia, come peucini, grutungi, ostrogoti, tervingi, visigoti, gepidi, celti ed eruli, attirati dalla speranza di fare bottino, giunsero sul suolo romano e qui operarono grandi devastazioni, mentre Claudio era impegnato in altre azioni [contro gli alemanni, [...]. Furono messi in campo trecentoventimila armati dalle diverse popolazioni[40] [...] oltre a disporre di duemila navi (seimila secondo Zosimo), vale a dire un numero doppio di quello utilizzato dai greci [...] quando intrapresero la conquista delle città d'Asia. »
E mentre i goti impegnavano lo stesso imperatore Gallieno in Tracia e Illirico, una nuova orda di alemanni riusciva a penetrare nell'Italia settentrionale attraverso il passo del Brennero (nel 268), approfittando dell'assenza dell'esercito imperiale, impegnato a fronteggiare sia la devastante invasione dei goti in Mesia, Acaia, Macedonia, Ponto ed Asia, sia l'usurpatore Aureolo che, prima fu battuto presso Pontirolo sull'Adda (pons Aureoli), poi si era fortificato a Mediolanum.
Gallieno, tornato a Mediolanum, si apprestò ad assediare Aureolo che qui si era richiuso, con la speranza di ricevere aiuto da parte di Postumo. Ma Aureolo, che aveva ormai perduto ogni speranza, fece spargere voci nel campo dell'imperatore, che inneggiavano contro Gallieno. Alcuni comandanti, stanchi dell'imperatore, ordirono una congiura e dissero al principe che Aureolo aveva tentato una sortita facendolo uscire dalla sua tenda.Gallieno fu ucciso a tradimento dal comandante della cavalleria dalmata Ceronio o Cecropio, in un agguato, insieme al fratello Publio Licinio Valeriano. Alla congiura pare non fosse estraneo il suo successore, Claudio, anche se non partecipò direttamente alla riunione.
« E poiché né Eracliano, né Marciano potevano sopportare una condotta tanto dissoluta da parte di Gallieno, si accordarono per pianificare chi tra loro due avesse assunto l'impero. [...] Di fatto venne però scelto Claudio, [...] uomo Optimus fra tutti, che non partecipò alla riunione, ma che godeva presso tutti di una tale riverenza, considerazione, da apparire giustamente degno dell'impero, come si poté poi comprovare in seguito. »
(Historia Augusta, Gallieni duo, 14.1-2.)
Tra gli organizzatori c'era il suo prefetto del pretorio Aurelio Eracliano e Marciano. Alla notizia della sua morte (avvenuta nel settembre/ottobre del 268), i suoi familiari furono assassinati. Morì così a cinquanta anni, dopo quindici di regno e fu divinizzato per volere del suo successore Claudio II, che nel frattempo era stato proclamato imperatore dalle truppe, decisione ratificata poco dopo dal Senato.
« [...] indossate le toghe i senatori si recarono al tempio di Apollo Palatino, e dopo aver dato lettura del messaggio dell'imperatore Claudio, vennero levate allo stesso le seguenti acclamazioni: “Claudio Augusto gli dei ti proteggano” ripetuto sessanta volte, [...] “Claudio Augusto, tu fratello, tu padre, tu amico, tu buon senatore, tu vero principe” (ripetuto ottanta volte), “Claudio Augusto, difendici tu da Aureolo... dai Palmireni... da Zenobia... da Vittoria... da Tetrico”. »
(Historia Augusta, Divus Claudius, 4.2-4.)
Claudio, una volta acclamato imperatore, ottenne la resa di Aureolo, il quale, una volta consegnatosi venne messo a morte e ucciso da Aureliano, contro il parere dello stesso Claudio. Dopo aver affidato ad Aureliano la conduzione della guerra contro i barbari della Meotide (eruli e goti), oltre al comando generale della cavalleria "mobile" (magister equitum), come testimonia la stessa Historia Augusta:
« Flavio Claudio saluta il suo Aureliano. La nostra repubblica si aspetta da te, come al solito, di contribuire con la tua opera: accostati a ciò. Voglio che i soldati siano sotto il tuo comando [...]. Bisogna attaccare i goti e cacciarli dalla Tracia. Molti di quelli che infatti tu combattesti e che fuggirono, vessano l'Haemimontus e l'Europa. Affido a te il comando di tutti gli eserciti di Tracia, dell'Illirico e dell'intera frontiera. Svela a noi la tua solita virtù. Sarà al tuo fianco mio fratello Quintillo, quando potrà raggiungerti. Io sono impegnato in altre faccende, affido il comando supremo della guerra alle tue virtù. »
(Historia Augusta, Divus Aurelianus, 17.1-4.)
Si recò a Roma per omaggiare il senato romano e ottenere la ratifica del titolo di Augustus (conferitogli in precedenza dalle armate settentrionali), oltre a ottenere il consolato per l'anno successivo e la deificazione di Gallieno. Claudio non volle commettere l'errore del suo predecessore, Massimino Trace (235-238), il quale, una volta ottenuta la porpora imperiale, non mise mai piede nella capitale, preferendo trascorrere il suo regno lungo i confini settentrionali, senza mai omaggiare il senato romano.
La sua assenza, se gli assicurò il sostegno del Senato, provocò nondimeno lo sfondamento del limes danubiano da parte dei barbari, tanto da costringerlo di lì a poco a far ritorno nel nord dell'Italia (inizi del 269), dove costrinse gli alemanni ad interrompere le loro scorrerie e a trattare il loro ritiro dal suolo italico. Il mancato accordo costrinse Claudio a combatterli. Egli, infatti, riportò la vittoria decisiva agli inizi di novembre, nella battaglia del lago Benaco (il lago di Garda) che, come racconta Aurelio Vittore, permise la loro definitiva cacciata dall'Italia settentrionale con gravissime perdite. Si racconta che più della metà dei barbari perirono nel corso della battaglia (forse addirittura ca. 50.000). Per questo successo ottenne il titolo di Germanicus Maximus.
Narra la Historia Augusta che verso la fine del 268, l'usurpatore Leliano (probabilmente governatore della Germania superiore), si era ribellato nell'Impero delle Gallie a Postumo, il quale lo aveva assediato a Mogontiacum, suo quartier generale e dove trasferì anche la sua personale zecca. Sembra però che al termine dell'assedio, sia Leliano, sia Postumo siano rimasti uccisi. Postumo venne ucciso dai suoi soldati poiché non aveva concesso il saccheggio della città renana. Questi scontri destarono forte preoccupazione in Claudio, che preferì ritardare la sua partenza per il fronte balcanico, preferendo però osservare gli eventi da lontano, senza dover intervenire direttamente.
Claudio, in seguito, operò una scelta strategica di non poco conto: preferì intervenire lungo il fronte balcanico contro i goti, piuttosto che cercare lo scontro "fratricida" contro le forze secessioniste dell'Impero delle Gallie. Affidò, quindi, al fratello Quintillo il comando delle armate dell'Italia settentrionale, a guardia del fronte occidentale, e partì per il limes danubiano, ricongiungendosi con Aureliano e Marciano. Frattanto a Postumo e Leliano succedette Vittorino (verso la fine del 268 o gli inizi del 269). Quest'ultimo venne riconosciuto dalle province di Gallia e Britannia, ma non da quella della Hispania, che tornarono sotto il dominio dell'impero "centrale".
Subito dopo (nel 269), un certo Giulio Placidiano, vir perfectissimus e praefectus vigilum, venne inviato nella Gallia Narbonensis dall'imperatore Claudio a occupare i territori sottratti all'impero "centrale". Placidiano riuscì probabilmente a riconquistare la parte orientale della Narbonensis, controllando la bassa valle del Rodano, nello stesso periodo in cui le truppe renane dell'Impero delle Gallie di Vittorino marciavano su Augustodunum per sedare una rivolta, scoppiata forse in coincidenza con l'arrivo di Placidiano. Vittorino, alla fine, riuscì a impedire che la città ribelle di Augustodunum Haeduorum (Autun, Francia), che aveva richiesto l'intervento militare di Claudio, ritornasse anch'essa all'impero "centrale". Assediò, infatti, la città per sette mesi, prima di conquistarla e saccheggiarla (estate 270). Claudio, impegnato com'era nella guerra contro i goti, suo obbiettivo prioritario, non poté fare altro che assistere all'inutile secessione di parte della Gallia Narbonense, senza poter intervenire direttamente.
Egli cercò nei pochi anni di regno di risolvere la difficile situazione interna e contemporaneamente fronteggiò con energia le gravi invasioni barbariche, affrontando con successo diverse popolazioni che si erano riversate entro i confini dell'Impero in grandi battaglie campali. Dopo gli alemanni, fu la volta di goti (tra cui grutungi, ostrogoti, tervingi e visigoti), peucini, eruli e gepidi, che stavano devastando l'Acaia e le coste del Mar Mediterraneo. La Historia Augusta cita una lettera che Claudio avrebbe inviato al Senato romano nella quale dava indicazione del numero dei barbari:
« Claudio imperatore al senato ed al popolo romano. O senatori ascoltate e rimanete sbalorditi, su ciò che è la verità. Trecentoventimila barbari sono penetrati in armi in territorio romano. Se riuscirò a vincerli, ricompensatemi sulla base dei miei meriti. Se non ci riuscirò, sappiate che mi sono sforzato di combatterli, dopo il regno di Gallieno. La Repubblica è stremata. [...] Non rimangono ormai più scudi, né spade, né pila. La Gallia e la Spagna sono nelle mani di Tetrico, mentre gli arcieri sono sotto il controllo di Zenobia. Qualunque cosa riusciremo a fare, sarà già abbastanza grande. »
(Historia Augusta, Divus Claudius, 7.2-5.)
Agli inizi del 269, dopo che per alcuni mesi i goti erano stati tenuti a bada dalle armate romane di Marciano, Claudio riuscì a raggiungere il teatro degli scontri e a riportare una vittoria decisiva su queste genti nella battaglia di Naisso, dove si racconta che persero la vita ben cinquantamila barbari, mentre pochi poterono far ritorno oltre il Danubio. E così il senato di Roma gli tributò, per i successi ottenuti insieme a Marciano, una statua, oltre al consolato.
I germani erano arrivati nel cuore della Mesia percorrendo la strada che da Tessalonica conduce a Scupi e poi verso nord, dopo aver devastato i territori attorno a Pelagonia (l'attuale Bitola).[38][72] I sopravvissuti alla battaglia di Naisso, proteggendosi con i carri, si diressero in Macedonia. Durante la lunga marcia sulla via del ritorno, molti dei barbari morirono insieme alle loro bestie, oppressi dalla fame; altri furono uccisi in un nuovo scontro con la cavalleria romana degli "equites Delmatae", la riserva strategica mobile appena istituita da Gallieno. La marcia dei goti proseguì in direzione orientale verso il monte Hemaus. Tuttavia i barbari, seppure circondati dalle legioni, riuscirono a procurare non poche perdite alla fanteria romana, che fu salvata solo grazie all'intervento della cavalleria affidata ad Aureliano, alleviando la sconfitta.
Contemporaneamente altre orde di goti, che si erano riversate l'anno precedente (nel 268) nel Mare Egeo e nel Mediterraneo orientale e avevano compiuto azioni di pirateria, furono respinte definitivamente dopo una serie di scontri dall'accorrente prefetto d'Egitto, Tenagino Probo, nelle acque di fronte alle isole di Cipro, Creta e Rodi. La Historia Augusta, riferendosi ad un discorso di Claudio gli fa pronunciare queste parole:
« Abbiamo distrutto trecentoventimila goti ed abbiamo affondato duemila navi. I fiumi sono ricoperti degli scudi del nemico, tutte le spiagge sono ricoperte di spade e lance. I campi neppure più si vedono nascosti dalle ossa, non esiste alcuna strada libera, numerosi carri sono stati abbandonati. Abbiamo catturato tante donne, che i nostri soldati vincitori ne possono tenere per sé due o tre a testa. »
(Historia Augusta, Divus Claudius, 8.4-8.6.)
In sintesi il principale teatro della guerra gotica furono le province romane delle due Mesie e della Tracia. Vennero combattute numerose battaglie nei pressi di Marcianopoli, di Bisanzio e di Tessalonica (presa d'assalto dai barbari in assenza di Claudio). Ovunque si combatté sotto il comando di Claudio, le truppe romane ottennero la vittoria sui goti. Vennero catturati molti barbari, tra cui numerose donne nobili dei barbari, e le province romane si riempirono di servi e agricoltori della coalizione dei goti, trasformando questi ultimi in coloni del territorio di frontiera. Alla fine della guerra, Claudio aveva così procurato alla Repubblica romana, sicurezza e abbondanti ricchezze.
In seguito a questi eventi Claudio, che era riuscito a ricacciare oltre il Danubio quell'immensa orda barbarica, poté fregiarsi dell'appellativo di "Gothicus maximus" e le monete coniate quell'anno ne celebrarono la "Victoria gothica".
Dei barbari superstiti, una parte fu colpita da una terribile pestilenza, un'altra entrò a far parte dell'esercito romano, e un'ultima si fermò a coltivare le terre ricevute lungo i confini imperiali. Vi è da aggiungere che, in questo periodo, le forze militari romane presenti in Dacia erano ormai allo stremo. Evidentemente quando Aureliano gli subentrò nell'impero (estate del 270), la situazione nella provincia d'oltre Danubio era ormai irrimediabilmente compromessa e prossima all'abbandono definitivo, come accadde tra il 271 ed il 274.
Mentre Claudio era impegnato nelle guerre di confine contro i goti, Zenobia, regina dei palmireni, dopo la morte del marito Odenato, si prese sulle spalle il manto imperiale. Successivamente inviò due suoi generali, Settimio Zabdas e Timagene, a conquistare la provincia romana d'Egitto (nel 269/270), importante granaio imperiale.
Alla fine Timagene riuscì ad uccidere in un agguato il prefetto d'Egitto, Tenagino Probo e le armate palmirene di Zabdas ottennero la vittoria, mentre tutti gli egiziani facevano atto di sottomissione a Zenobia di Palmira, giurandole fedeltà e riconoscendola come Regina d'Egitto.
Con l'inizio del 270, vide la fine della guerra gotica. Infatti i goti superstiti, che erano confluiti nella regione dell'Haemimontus, furono decimati da fame e pestilenza, senza che Claudio decidesse di intervenire per dar loro il colpo di grazia. E così mentre l'imperatore era ancora impegnato nelle regioni del basso Danubio, forse in una campagna contro i vandali, una nuova invasione di iutungi tornò a procurare ingenti danni più ad occidente, in Rezia e Norico. Claudio, costretto a intervenire con grande prontezza, affidò il comando balcanico ad Aureliano, mentre egli stesso si dirigeva a Sirmium (Sremska Mitrovica in Voivodina), suo quartier generale (estate del 270), da dove poteva meglio controllare e operare contro i barbari. Poco dopo tuttavia morì, in seguito a una nuova epidemia di peste scoppiata tra le file del suo esercito (luglio/agosto).
La sua morte venne interpretata, in modo assai retorico, come sommo sacrificio dell'imperatore per salvare l'impero stesso (res publica), come sembra fosse stato predetto dagli Oracoli sibillini.
Non si può tuttavia escludere che l'imperatore sia stato avvelenato per ordine di qualche rivale. La sua morte fu una disgrazia per l'impero romano che aveva finalmente trovato un uomo capace di accontentare tutti: senato, esercito e popolo.
« In suo onore, tutto il Senato dispose che fosse collocato nella curia romana un clipeus d'oro (uno scudo),[53][96] sul quale si riconosce la sua immagine in un busto in rilievo. A lui, il popolo romano eresse a proprie spese sul Campidoglio, davanti al tempio di Giove Ottimo Massimo, una statua d'oro[53][96] alta dieci piedi. In suo onore, per volontà di tutto il mondo, fu posta sui rostri [nel foro romano] una colonna palmata, sopra la quale venne posta una statua d'argento del peso di 1.500 libbre. »
(Historia Augusta, Divus Claudius, 3.3-4.)
E mentre Claudio moriva, il fratello Quintillo, uomo di elevate virtù, secondo quanto ci racconta la Historia Augusta, assunse l'impero conferitogli per consenso unanime, non per diritto di eredità, ma per merito delle sue doti.Pochi giorni più tardi veniva ucciso o, più probabilmente, si tolse la vita ad Aquileia, lasciando che fosse Aureliano a ereditarne l'impero.
Claudio non ebbe figli, ma due fratelli: Quintillo (che a sua volta ebbe due figli), eletto anch'egli imperatore dopo la morte del fratello, ma che regnò per soli diciassette o venti giorni; e un secondo fratello di nome Crispo. Quest'ultimo, a sua volta, generò una figlia di nome Claudia, la quale insieme a un nobile di stirpe dardana, Eutropio, ebbe come figlio il futuro imperatore Costanzo Cloro. Ancora Claudio ebbe anche delle sorelle, una delle quali, di nome Costantina, andò in sposa a un tribuno degli Assiri, ma morì in giovane età.
L'imperatore Costantino rivendicò, in seguito, una sua discendenza dal Gotico da parte paterna: mancano tuttavia prove che possano confermare una simile parentela, sebbene vi sia un'iscrizione che ne attesti la presunta discendenza. A Claudio viene inoltre attribuito anche il nome di Valerio, per sottolineare il legame di parentela con Flavio Valerio Costanzo Cloro.
Eugenio Caruso - 5 maggio 2018
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