Previsioni regionali della popolazione residente al 2065 (base 1.1.2017)
Si stima che in Italia la popolazione residente attesa
sia pari, secondo lo scenario mediano, a 59 milioni nel
2045 e a 54,1 milioni nel 2065. La flessione rispetto al
2017 (60,6 milioni) sarebbe pari a 1,6 milioni di residenti
nel 2045 e a 6,5 milioni nel 2065.
Tenendo conto della
variabilita' associata agli eventi demografici, la stima della
popolazione al 2065 oscilla da un minimo di 46,4 milioni a
un massimo di 62. La probabilita' che aumenti la
popolazione tra il 2017 e il 2065 e' pari al 9%.
- Il Mezzogiorno perderebbe popolazione per tutto il
periodo mentre nel Centro-nord, dopo i primi trent'anni di
previsione con un bilancio demografico positivo, si
avrebbe un progressivo declino della popolazione
soltanto dal 2045 in avanti. La probabilita' empirica che la
popolazione del Centro-nord abbia nel 2065 una
popolazione piu' ampia rispetto a oggi supera il 30%
mentre nel Mezzogiorno e' nulla.
- E'previsto negli anni a venire uno spostamento del
peso della popolazione dal Mezzogiorno al Centro-nord
del Paese. Nel 2065 il Centro-nord accoglierebbe il 71%
di residenti contro il 66% di oggi; il Mezzogiorno invece
arriverebbe ad accoglierne il 29% contro il 34% attuale.
- Le future nascite non saranno sufficienti a
compensare i futuri decessi: dopo pochi anni di
previsione il saldo naturale raggiunge quota -200 mila,
per poi passare la soglia -300 e -400 mila nel medio e
lungo termine.
- La fecondita' e' prevista in rialzo da 1,34 a 1,59 figli
per donna nel periodo 2017-2065. Tuttavia, l'incertezza
aumenta lungo il periodo di previsione. L'intervallo di
confidenza proiettato al 2065 e' piuttosto alto e oscilla tra
1,25 e 1,93 figli per donna.
- La sopravvivenza e' prevista in aumento. Entro il 2065
la vita media crescerebbe di oltre cinque anni per
entrambi i generi, giungendo a 86,1 anni e 90,2 anni,
rispettivamente per uomini e donne (80,6 e 85 anni nel
2016). L'incertezza associata assegna limiti di confidenza
compresi tra 84,1 e 88,2 anni per gli uomini e tra 87,9 e
92,7 anni per le donne.
- Si prevede che il saldo migratorio con l'estero sia
positivo, mediamente pari a 165 mila unita' annue (144
mila l'ultimo rilevato nel 2016), seppure contraddistinto da
forte incertezza. Non e' esclusa l'eventualita' ma con
bassa probabilita' di concretizzarsi (9,1%) che nel lungo
termine esso possa diventare negativo.
- Il saldo naturale della popolazione risente
positivamente delle migrazioni. Sempre nello scenario
mediano l'effetto addizionale del saldo migratorio sulla
dinamica di nascite e decessi comporta 2,6 milioni di
residenti aggiuntivi nel corso dell'intero periodo previsivo.
- Le migrazioni interregionali favoriranno ancora il
Centro-nord, ma seguiranno un'evoluzione di leggero
declino man mano che le generazioni di giovani e adulti,
le piu' interessate ai movimenti migratori, tenderanno
numericamente a ridursi.
- L'eta' media della popolazione passera' dagli attuali
44,9 a oltre 50 anni nel 2065. Considerando che
l'intervallo di confidenza finale varia tra 47,9 e 52,7 anni,
il processo di invecchiamento della popolazione e' da
ritenersi certo e intenso.
- Parte del processo di invecchiamento in divenire e'
spiegato dal transito delle coorti del baby boom (1961-76)
tra la tarda eta' attiva (39-64 anni) e l'eta' senile (65 e piu').
Si prevede un picco di invecchiamento che colpira' l'Italia
nel 2045-50, quando si riscontrera' una quota di
ultrasessantacinquenni vicina al 34%.
Calo progressivo della popolazione: fino a 54,1 milioni di residenti nel 2065
Sulla base dello scenario "mediano" si stima un lieve un calo della popolazione residente nei primi anni di previsione: dai 60,6 milioni al 1 gennaio 2017 (punto base delle previsioni) ai 60,5 milioni nel 2025 per un tasso di variazione medio annuo pari al -0,1 per mille. In una prospettiva di medio termine, invece, la diminuzione della popolazione risulta gia' molto piu' accentuata: da 60,5 milioni a 59,0 milioni tra il 2025 e il 2045, con un tasso di variazione medio annuo del -1,5 per mille. E'nel lungo termine, tuttavia, che le conseguenze della dinamica demografica prevista nello scenario mediano sulla popolazione totale si fanno piu' importanti. Tra il 2045 e il 2065, infatti, la popolazione diminuirebbe di ulteriori 4,9 milioni, registrando una riduzione medio annua del 4,3 per mille. In tale ipotesi la popolazione totale ammonterebbe a 54,1 milioni nel 2065, con una perdita complessiva di 6,5 milioni di residenti rispetto a oggi. Le previsioni demografiche sono, per definizione e costruzione, incerte e tale caratteristica e' tanto piu' rilevante quanto piu' ci si allontana dall'anno base. La futura evoluzione della popolazione totale rispecchia in pieno tale principio di elevata incertezza gia' dopo pochi anni di previsione.
Nel 2025 l'intervallo di confidenza al 90% della popolazione totale (ovvero che il suo presunto valore cada tra due estremi con probabilita' pari al 90%) oscilla tra 60 e 61,1 milioni. Venti anni piu' tardi e' tra 55,3 e 62,9 milioni, mentre al termine del ciclo previsivo la forchetta va da 46,4 a 62 milioni di residenti.
Cosi', se nella condizione meno favorevole la popolazione puo' subire una perdita di 14,2 milioni tra il 2017 e il 2065, nell'altra non e' nemmeno esclusa l'ipotesi di un suo possibile incremento, sebbene di non eccessiva entita' (+1,4 milioni). Pur in un quadro di profonda incertezza sulla futura entita' numerica, risulta altamente probabile che la popolazione possa subire una progressiva diminuzione. Infatti, non e' esclusa l'eventualita' che la dinamica demografica possa condurre a una popolazione nel 2065 piu' ampia di quella odierna, ma la probabilita' empirica che cio' accada e' molto bassa e pari al 9% (percentuale di casi favorevoli all'evento sul totale delle simulazioni condotte).
Nello sviluppo previsto per il Centro-nord e per il Mezzogiorno le dinamiche della popolazione risultano inizialmente contrapposte. Secondo lo scenario mediano nel breve termine si prevede che Nord-ovest (+1,3 per mille annuo fino al 2025), Nord-est (+1,3) e Centro (+1,2) possano godere di una variazione medio annua positiva, mentre per Sud (-2,6) e Isole (-2,9) si prospetta fin da subito un calo della popolazione.
Nel periodo intermedio di previsione (2025-2045) Nord-ovest, Nord-est e Centro vivono una prolungata fase di incremento demografico, seppure a livelli di crescita medio annui nettamente piu' contenuti (rispettivamente, +0,5, +0,1 e +0,3 per mille). Nel medesimo periodo Sud e Isole, invece, subiscono un calo demografico ulteriormente accelerato, rispettivamente pari al -4,5 e al -4,7 per mille annuo. Nel lungo termine (2045-2065) il bilancio demografico negativo di queste due ripartizioni tende a farsi ancor piu' rilevante. Il ritmo annuo di diminuzione passa al -8,3 per mille nel Sud e al -7,9 per mille nelle Isole. Nel 2065 i residenti risulterebbero pari a 10,7 milioni nel Sud e a 5,1 nelle Isole, ben un quarto in meno per entrambe rispetto a oggi. Il Centro-nord, dopo trent'anni di previsione con un bilancio demografico positivo, conoscerebbe anch'esso, dal 2045 in avanti, un progressivo declino della popolazione: del -2,3 per mille all'anno nel Nord-ovest, del -3 per mille nel Nord-est e del -2,9 per mille nel Centro. A conclusione del ciclo previsivo anche in queste ripartizioni risiederebbe un numero inferiore di individui rispetto a oggi: 15,7 milioni nel Nord-ovest, 11,1 milioni nel Nord-est e 11,6 milioni nel Centro.
L'evoluzione della popolazione totale nelle ripartizioni geografiche e' contrassegnata da una profonda incertezza. Per il Centro-nord tale incertezza si traduce nell'impossibilita' di poter determinare l'esatta direzione del cambiamento demografico, se cioe' orientato alla crescita, come indicato dai limiti superiori dell'intervallo di confidenza al 2065, ovvero alla decrescita guardando a quelli inferiori. La popolazione prevista nel Nord-ovest al 2065, ad esempio, e' compresa in un intervallo che va da 13,3 a 18,3 milioni, ossia tra due valori rispettivamente ben al di sotto e al di sopra di quello nell'anno base. Inoltre, sebbene lo scenario mediano indichi come piu' probabile una popolazione del Nord-ovest in diminuzione nel lungo termine, la probabilita' empirica che la popolazione di tale ripartizione abbia un continuo cammino di crescita e' pari al 38%. Analoghe considerazioni valgono anche per il Nord-est e per il Centro, con probabilita' empiriche di crescita della popolazione pari, rispettivamente, a 30 e 32% (solo 9% a livello nazionale).
In nessun caso, al contrario, si verifica che le popolazioni del Sud e delle Isole possano intraprendere un percorso di crescita. Appare certa, in altri termini, una loro riduzione ma con margini di variazione abbastanza ampi: tra 9,4 e 12 milioni i residenti previsti nel Sud al 2065, tra 4,5 e 5,7 milioni quelli nelle Isole. Cio' che risulterebbe molto probabile, invece, e' un progressivo spostamento del peso della popolazione dal Mezzogiorno al Centro-nord del Paese. Secondo lo scenario mediano, ad esempio, nel 2065 il Centro-nord accoglierebbe il 70,9% dei residenti contro il 65,7% di oggi, il Mezzogiorno invece arriverebbe ad accoglierne il 29,1% contro il 34,3%.
Con alta probabilita' le future nascite non potranno compensare i futuri decessi
Gli scenari previsivi di nascite e decessi riportano un'evidente tendenza a registrare annualmente saldi negativi per il movimento naturale della popolazione.
Sulla base dello scenario mediano, la prospettiva di un pur parziale recupero della fecondita' (da 1,34 figli per donna nel 2017 a 1,59 entro il 2065) non bastera' a determinare un numero di nati che risulti, anno dopo anno, sufficiente a compensare l'aumentato numero di morti. Fino al 2040 le nascite dovrebbero mantenersi costantemente in un intorno di 460-465 mila unita' annue. Parallelamente i decessi tendono a salire in misura progressiva da 646 mila nell'anno base a 736 mila nel 2040.
Negli anni successivi le nascite tendono ulteriormente a contrarsi, fino a un minimo di 422 mila unita' nel 2059, anno dopo il quale la situazione si stabilizza intorno a un valore finale di 424 mila nel 2065. Nel medesimo periodo i decessi, sotto la spinta del progressivo invecchiamento della popolazione, continuerebbero ad aumentare fino a un massimo di 854 mila unita' nel 2058. Dopo tale anno, via via che andranno a estinguersi le generazioni del baby boom nazionale, il numero di decessi diminuirebbe fino a 825 mila entro il 2065.
A meno di un qualche significativo cambiamento del contesto globale, pertanto, la futura evoluzione demografica appare in gran parte definita. Le ipotesi riguardo al comportamento demografico futuro della popolazione possono soltanto attenuare (o accelerare) le tendenze in corso ma non modificarle in modo sostanziale. Da un lato si assistera' a una progressiva riduzione numerica delle coorti di donne in eta' feconda (14-50 anni), dall'altro si assistera' a coorti di popolazione in eta' anziana (65 anni e piu') sempre piu' infoltite dalle positive condizioni di
sopravvivenza presenti e future (86,1 e 90,2 anni, rispettivamente, la vita media maschile e
femminile prevista entro il 2065).
Dalla relazione "meno madri potenziali/meno nascite", anche se con fecondita' in aumento, e da
quella "piu' individui in eta' anziana/piu' decessi", scaturisce cosi' l'instaurarsi di un saldo naturale
(nascite - decessi) negativo che tende ad assumere dimensioni sempre piu' rilevanti. Gia' dopo
pochi anni di previsione sulla base dello scenario mediano si ipotizza che il saldo naturale possa
oltrepassare le 200 mila unita' in meno (2024), per quindi oltrepassare la soglia delle 300 e delle
400 mila (rispettivamente, entro il 2044 e il 2053). In termini relativi, il tasso di decrescita naturale
passerebbe dal -3 per mille nell'anno base al -7,8 per mille nel 2060, anno dopo il quale inizia
lentamente a migliorare (-7,4 per mille nel 2065).
In tale contesto sarebbero soprattutto il Sud e le Isole a subire la variazione per movimento
naturale piu' importante, fino a sotto il -10 per mille nel 2065. Nonostante condizioni
meno favorevoli in partenza rispetto al Mezzogiorno, il saldo naturale nel Centro-nord presenta
un'evoluzione piu' vantaggiosa ma pur sempre negativa. In tale area del Paese la forbice tra
nascite e decessi tende ad allargarsi fino al 2055, quindi ad attenuarsi dopo tale anno. Nel 2065 il
tasso di decrescita naturale e' pari al -5,8 per mille nel Nord-ovest, al -6,5 per mille nel Nord-est e,
infine, al -7 per mille nel Centro.
Il margine d'incertezza legato alle previsioni di nascite e decessi, pur non modificando il quadro di
fondo sopra descritto, aumenta nel tempo soprattutto per le prime. Nel caso delle nascite cio' si
deve a due ragioni specifiche. L'intervallo di confidenza proiettato per la fecondita' e'
oggettivamente alto, tra 1,25 e 1,93 figli per donna entro il 2065. Esso, cioe', oscilla tra una visione
di fecondita' stabilmente piu' bassa di quella odierna e una che tende quasi al livello di sostituzione
delle generazioni. Inoltre, man mano che ci si allontana nel futuro, i livelli di fecondita' sono
applicati a coorti di donne a loro volta oggetto di proiezione. Le previsioni contemplano, cioe', nati
da madri che a loro volta devono ancora nascere. Per i decessi tali valutazioni valgono solo in
parte. Gli intervalli di confidenza proiettati al 2065 per le probabilita' di morte sono anch'essi ampi
(tra 84,1 e 88,2 anni la speranza di vita alla nascita degli uomini, tra 87,9 e 92,7 quella delle
donne) ma queste impattano nel tempo nei confronti di individui che, al netto delle future nascite e
dei movimenti migratori, sono largamente gia' in vita oggi.
Saldo migratorio con l'estero positivo ma contraddistinto da grande incertezza
Nella futura dinamica demografica del Paese un contributo determinante sara' quello esercitato
dalle migrazioni con l'estero. Nello scenario mediano si assume una quota annua di immigrati
dall'estero gradualmente discendente, da iniziali 337 mila unita' nell'anno base fino a 271 mila
unita' annue nel 2065. Secondo tale ipotesi si prevede che nell'intervallo temporale fino
al 2065 immigrino complessivamente in Italia 14,6 milioni d'individui. Per quanto riguarda gli
emigrati per l'estero, dopo una prima fase di lieve diminuzione, da 153 a 132 mila tra il 2017 e il
2035, si prevede un'evoluzione stabile nel medio e lungo termine, intorno a un valore medio di 130
mila unita' annue dal 2035 in avanti. In totale sarebbero 6,6 milioni gli emigrati dall'Italia nell'intero
arco di proiezione.
Il saldo migratorio con l'estero basato sullo scenario mediano e', pertanto, ampiamente positivo: da
un valore iniziale di +184 mila unita' nel 2017 si scende a +171 mila nel 2035, cui segue una
continua e regolare flessione che riconduce tale indicatore al livello di +139 mila nel 2065. Visto in
termini relativi, il tasso migratorio netto con l'estero si mantiene intorno al 3 per mille fino al 2025,
quindi subisce una lieve flessione al 2,6 per mille entro il 2065. Si prevede, inoltre, che in tutte le
Ripartizioni geografiche si possano avere saldi migratori con l'estero positivi, in particolar modo nelle aree del Centro-nord ma anche in quelle del Mezzogiorno.
E'opportuno ricordare che i flussi migratori con l'estero sono contrassegnati, assai piu' delle altre componenti demografiche, da profonda incertezza riguardo al futuro. Le migrazioni internazionali sono infatti governate da una parte da normative suscettibili di modifiche, dall'altra da fattori socio-economici interni ed esterni al Paese di non facile interpretazione. Si pensi, ad esempio, alla pressione migratoria esercitata nei Paesi di origine per via delle condizioni politiche, ambientali, sociali e demografiche, alle politiche di accoglienza e integrazione degli immigrati, alla modulazione del mercato del lavoro in Italia, al possibile incremento dell'emigrazione di cittadini residenti in Italia.
Nelle condizioni date e' ipotizzabile che disparita' in termini di reddito e condizioni di vita tra l'Italia e i Paesi di origine (e di destinazione) possano permanere ancora a lungo, dando cosi' luogo a scenari migratori assai diversificati che nelle presenti previsioni si e' cercato di documentare.
La quota di immigrati dall'estero, ad esempio, avrebbe gia' entro il 2025 un intervallo di confidenza di ampiezza pari a 157 mila unita' con limiti inferiore e superiore rispettivamente pari a 247 e 404 mila unita'. Nel medesimo anno si prevede, invece, che il valore atteso delle emigrazioni per l'estero possa ricadere in un intervallo compreso tra 96 e 184 mila unita'. Continuando di tale passo, si ha una previsione di immigrati compresa tra 133 e 409 mila unita' entro il 2065, e una di emigrati a sua volta compresa tra 36 e 237 mila. La cautela nei confronti di valutazioni cosi' a lungo termine, come quelle rappresentate per il 2065, e' d'obbligo, sebbene non vi sia dubbio che esse siano di interesse primario sul piano delle policies oltre che scientifico.
Le dinamiche migratorie sopra illustrate contemplano scenari contrapposti: da un lato un Paese molto attrattivo, con un tasso migratorio netto con l'estero finale pari al 5,2 per mille annuo (il doppio di quello contemplato nello scenario mediano), dall'altro un Paese che potrebbe radicalmente cambiare la sua natura di accoglienza per tornare a essere, come in passato, un luogo da cui emigrare. La prospettiva di un saldo migratorio con l'estero negativo, come quello pari a -0,7 per mille rappresentato dal limite inferiore dell'intervallo di confidenza al 2065, ha una probabilita' empirica concreta, benche' bassa (9,1%), di realizzarsi e accomuna tutte le realta' del territorio nazionale.
Le migrazioni interregionali favoriranno ancora il Centro-nord
Un'ulteriore componente demografica presa in considerazione nelle previsioni e' quella delle migrazioni interregionali (trasferimenti di residenza tra regioni diverse), una fondamentale voce del bilancio demografico, per via della funzione di redistribuzione della popolazione tra le diverse aree del Paese.
In base allo scenario mediano si prevede che le migrazioni interregionali possano arrivare alla
ragguardevole cifra complessiva di 14,4 milioni nel corso del periodo previsivo. Muovendo da un
livello iniziale simile a quello riscontrato negli ultimi anni, ossia poco meno di 330 mila unita', si
prevede che le migrazioni interregionali possano orientarsi a una tendenza di lieve ma costante
declino della loro consistenza, fino a un valore di 262 mila trasferimenti annui entro il 2065. La
ragione di fondo, sottostante tale assunto declino, trova principale spiegazione nel progressivo
invecchiamento della popolazione, nell'ipotesi in cui il profilo migratorio per eta' non si trasformi
radicalmente e continui a interessare soprattutto individui in eta' giovanile-adulta (25-39 anni), la
cui consistenza tende a diradarsi negli anni.
Al di la' di quanto si prospetta nello scenario mediano va ricordato, anche in questa circostanza,
come il livello di incertezza associato alle previsioni sulle migrazioni interregionali sia tutt'altro che
irrilevante. Nell'ipotesi di massima intensita' i trasferimenti di residenza potrebbero mantenersi, pur
riducendosi nel tempo, ben sopra il livello delle 300 mila unita' annue. All'opposto, questi
potrebbero ulteriormente ridursi fino a 216 mila unita' annue entro il 2065.
A beneficiare maggiormente dei flussi migratori interni risulterebbe soprattutto la ripartizione del
Nord-est, con un saldo di trasferimenti positivo per 473 mila unita' nel corso dell'intero orizzonte
previsivo (scenario mediano). Peraltro il Nord-est risulta anche la ripartizione che vanterebbe flussi
netti positivi nei confronti di tutte le altre ripartizioni prese singolarmente, compresa quella del
Nord-ovest. Per quest'ultima ripartizione geografica il bilancio cumulato risulterebbe
comunque positivo (458 mila), potendo vantare saldi positivi nei confronti del Centro e del
Mezzogiorno. Il Centro registrerebbe a sua volta un saldo netto di +389 mila unita', con flussi netti
positivi nei confronti del Mezzogiorno. Negativo, infine, il saldo migratorio interregionale nelle Isole (198 mila individui in meno) e, particolarmente, nel Sud (1,1 milioni in meno), unica ripartizione a registrare flussi netti singolarmente negativi nei confronti delle altre.
Il saldo naturale della popolazione trae beneficio dal livello delle migrazioni
Le migrazioni internazionali (e in parte quelle interne), oltre a influire direttamente su dimensione e struttura di una popolazione, hanno anche un impatto indiretto sulla dinamica demografica, attraverso i loro effetti su nascite e decessi.
Poiche' le migrazioni (soprattutto le immigrazioni) sono concentrate nelle eta' giovanili-adulte, le ipotesi sui futuri flussi migratori hanno impatto sul previsto numero di donne in eta' feconda e, pertanto, sul numero di nascite piu' che sul previsto ammontare di decessi. Il saldo naturale della popolazione cumulato sul 2017-2065, pari a -14,8 milioni in base allo scenario mediano, risulterebbe aggravato di una riduzione di ulteriori 2,6 milioni di individui nell'ipotesi in cui le migrazioni risultassero nulle a tutte le eta' e a tutte le latitudini del Paese. In totale il peso assoluto delle migrazioni sulla variazione della popolazione nel 2017-2065 conta per complessivi 10,6 milioni di individui, 8,1 milioni dei quali per via diretta e 2,6 per via indiretta come effetto additivo sulla dinamica di nascite e decessi.
Eta' media della popolazione dagli attuali 44,9 a oltre 50 anni nel 2065
Le previsioni demografiche forniscono anche un'immagine di come la struttura per eta' della popolazione potrebbe cambiare in futuro. Tali cambiamenti, illustrati dalle piramidi della popolazione, rappresentano a distanza di anni l'impatto dei fattori di invecchiamento, determinati dall'azione delle nascite, dei decessi e dei movimenti migratori.
La piramide al 2017 evidenzia come gia' nell'anno base la struttura per eta' risulti piuttosto sbilanciata, con un'eta' media che si avvicina ai 45 anni e una quota di ultrasessantacinquenni superiore al 22%. I valori piu' bassi che si rilevano nelle classi di eta' della prima infanzia riflettono il calo delle nascite registrato negli ultimi anni. Invece, tra i valori piu' alti figurano quelli relativi alle coorti superstiti tra i nati del 1961-1976, che oggi presidiano la popolazione in tarda eta' attiva.
Nel 2025 le medesime coorti, che nel frattempo transitano a un'eta' compiuta di 47-62 anni, sono ancora le piu' numericamente consistenti. La popolazione in eta' attiva, oltre che a invecchiare, comincia anche a ridursi, scendendo al 63,2% del totale rispetto all'iniziale 64,2%. Il tutto in un quadro che, perlomeno fino al 2025, presenta blandi livelli di incertezza, fatta salva quella presente nelle prime coorti di nascita per via delle diverse ipotesi sulla fecondita' (che in tale anno dovrebbe ricadere tra 1,31 e 1,57 figli per donna).
Un periodo critico sotto il profilo della composizione per eta' della popolazione e' quello a ridosso del 2045. Intorno a tale anno la popolazione in eta' attiva scenderebbe al 54,5% del totale, con un'eta' media della popolazione salita nel frattempo a 49,6 anni (scenario mediano). Lo sbilanciamento strutturale in favore delle eta' anziane si fa quindi consistente, in virtu' di una quota di ultrasessantacinquenni pari al 33,5% del totale. Le coorti del baby boom nazionale, in larga misura ancora quelle numericamente piu' rilevanti nonostante l'eta' avanzata, transitano in tale fase nelle classi di eta' comprese tra i 68 e gli 83 anni. L'incertezza associata, che a questo punto del ciclo previsivo comincia a farsi significativa in prossimita' delle classi di eta' dell'infanzia e di quelle giovanili-adulte, non pare tuttavia alterare il quadro prospettico evidenziato nello scenario mediano. Qualunque possa essere la futura evoluzione demografica, non si potra' prescindere da un aumento progressivo della popolazione in eta' anziana, in un range compreso tra il 31,7 e il 35,4% del totale. Parallelamente, la popolazione in eta' attiva oscillerebbe tra il 53 e il 56,1% mentre i giovani fino a 14 anni di eta' tra il 10,4 e il 13,4%).
Nel lungo termine, per quanto l'incertezza raggiunga livelli tali da invitare alla cautela, la piramide della popolazione tende a recuperare un migliorato equilibrio strutturale. Al punto che l'eta' media della popolazione, in seguito al raggiungimento di un massimo di 50,3 anni nel 2057 secondo lo scenario mediano, tenderebbe a riabbassarsi fino a 50,1 nel 2065.
Cio' si deve a diversi fattori, tra cui la progressiva estinzione delle coorti nate tra il 1961 e il 1976. La popolazione in eta' attiva, dopo il raggiungimento del suo livello percentuale minimo nel 2050 (54,1%), recupera peso fino al 54,8% entro il 2065 nello scenario mediano, con margini di incertezza compresi tra il 52,5 e il 56,7%. La popolazione in eta' anziana, a sua volta, raggiungerebbe il proprio massimo intorno al 2051 (33,9%) e poi si avvierebbe a una fase di
diminuzione tale da ridiscendere al 33,3% entro il 2065. Piuttosto ampio, tuttavia, risulterebbe il
campo di variazione per tale componente: dal 30,4% nell'ipotesi piu' favorevole al riequilibrio
strutturale, fino al 36,8% sotto quella meno favorevole. Un grande impatto sul piano dell'incertezza
sara', infine, quello determinato dalle ipotesi sulla fecondita'. La quota di giovani fino a 14 anni di
eta', che nel lungo termine dello scenario mediano tende a stabilizzarsi intorno a valori del 12%,
nasconde in realta' un grande arco di possibilita' che va da un minimo del 9,7% a un massimo del
14,2% nel 2065.
Processo di invecchiamento piu' rapido nel Mezzogiorno
La trasformazione della struttura per eta' della popolazione comportera' un marcato effetto sui
rapporti intergenerazionali che verrebbe propagato in modo diverso sul territorio. Le regioni del
Nord-ovest, del Nord-est e del Centro potrebbero sperimentare un percorso di convergenza simile:
dagli oltre 45 anni di eta' media attuali, agli oltre 47 entro il 2025, fino agli oltre 49 anni entro il
2045, periodo dopo il quale il livello di invecchiamento si stabilizza.
Nel Sud e nelle Isole, invece, la popolazione passerebbe da un'eta' media iniziale compresa tra i
43 e i 44 anni, quindi piu' bassa di quella registrata nel Centro-nord, a una vicina ai 46 anni entro il
2025 e quindi a una superiore ai 50 entro il 2045. Intorno a tale periodo il Mezzogiorno
risulterebbe cosi' l'area del Paese a piu' forte invecchiamento, con un'ulteriore prospettiva di
aumento dell'eta' media che, pur decelerando, perverrebbe al livello di 51,6 anni entro il 2065.
Pur non trascurando il significativo margine di incertezza, che potrebbe confutare l'ipotesi di un Mezzogiorno sulla strada di un veloce invecchiamento come evidenziato dallo scenario mediano, non vi e' dubbio che il quadro prospettico di tale ripartizione geografica ponga in essere una questione di sostenibilita' strutturale, per se stessa e per l'intero Paese.
Analizzando la composizione per grandi classi di eta' della popolazione, si rileva come nel Mezzogiorno potrebbe aversi una riduzione piu' rilevante della quota di giovani fino a 14 anni di eta': da circa il 14% nel 2017 all'11% nel 2065 con un ventaglio di ipotesi che la potrebbe veder scendere sotto il 9% o ad arrestarne la diminuzione poco sopra il 13%.
Nel Centro-nord la popolazione in eta' giovanile dovrebbe invece subire una contrazione di minore entita': da una quota largamente superiore al 13% a una comunque superiore al 12% entro il 2065, ma anche in tal caso va sottolineato quanto ampio si presenti nel lungo termine il ventaglio delle ipotesi: da valori inferiori al 10% (nel Centro) a valori vicini al 15% (nel Nord).
Nel Mezzogiorno sono, inoltre, piu' accentuate la prevista riduzione della popolazione in eta' da lavoro e la concomitante crescita della popolazione in eta' anziana. La prima dovrebbe infatti ridursi di circa 13 punti percentuali nell'intero arco previsivo sulla base dello scenario mediano (da circa il 66% nel 2017 al 53% nel 2065). La seconda dovrebbe invece crescere di almeno 15 punti percentuali (dal 20-21% attuale a circa il 36% finale). Da entrambi i processi, tanto il calo dei potenzialmente attivi quanto l'aumento degli anziani, non sono esenti ne' il Centro ne' il Nord ma, come si e' gia' visto dalle precedenti analisi, in un contesto leggermente piu' favorevole. Per la popolazione in eta' attiva di tali aree del Paese si prospetta, infatti, una riduzione di circa 8 punti percentuali mentre la crescita di quella in eta' anziana si aggira mediamente intorno agli 8-9 punti. Molto, di fatto la maggior parte, di quanto si prevede possa essere il futuro della popolazione nella sua articolazione territoriale dipende dalla struttura per eta' che si osserva oggi. Il resto dipende dall'entita' dei valori medi previsti e dalla variabilita' delle ipotesi riguardo ai comportamenti demografici. Un'entita' dei valori medi di previsione che, come si e' visto, avvantaggerebbe il Centro-nord per via delle piu' favorevoli ipotesi riguardo sia ai comportamenti riproduttivi sia migratori (tanto con l'estero quanto con l'interno), ma che non esenta tale area dalle problematiche demografiche comuni a tutto il Paese.
Istat.it - 07-05-2018
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