Sezioni   Naviga Articoli e Testi
stampa

 

        Inserisci una voce nel rettangolo "ricerca personalizzata" e premi il tasto rosso per la ricerca.

Valentiniano III. Regnò sotto la reggenza della madre Galla Placidia

teodorico

I GRANDI PERSONAGGI STORICI - Imperatori romani


Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona.

ARTICOLI PRECEDENTI. - Cesare - Augusto - Tiberio - Caligola - Claudio I - Nerone - Galba - Vespasiano - Tito - Domiziano - Cocceo Nerva - Traiano - Adriano - Antonino Pio - Marco Aurelio - Lucio Vero - Commodo - Pertinace - Settimio Severo - Caracalla - Macrino - Eliogabalo - Alessandro Severo - Massimino il Trace - Gordiano I, II e III - Filippo l'arabo - Decio - Treboniano - Valeriano - Gallieno - Claudio II - Aureliano - Marco Probo - Caro - Carino - Diocleziano - Massimiano - Costanzo Cloro - Galerio - Flavio Severo - Licinio - Massimino Daia - Massenzio - Costantino I - Costantino II - Costanzo II - Costante I - Giuliano - Gioviano - Valentiniano I - Valente - Graziano - Valentiniano II - Teodosio I - Onorio - Costanzo III - Romolo Augusto

Valentiniano III

Flavio Placido Valentiniano, meglio noto come Valentiniano III (Ravenna, 2 luglio 419 – Roma, 16 marzo 455), è stato imperatore d'Occidente dal 425 alla sua morte. Come imperatore appartenente alla dinastia teodosiana e a quella valentiniana, Valentiniano III fu il simbolo dell'unità dell'impero d'occidente, la figura attorno alla quale si coagula la lealtà dei sudditi; in realtà, però, il potere fu esercitato da Flavio Ezio, il magister militum (comandante in capo dell'esercito), al quale va ascritta la politica che tenne unito l'impero malgrado le forze centrifughe che lo sconquassavano.
Il padre di Valentiniano, Costanzo III, patricius e generale romano, salito al trono dell'impero romano d'Occidente nel 421, quando Valentiniano aveva due anni, morì dopo pochi mesi di regno. La madre di Valentiniano era Galla Placidia, sorellastra dell'imperatore Onorio (393-423), figlia dell'imperatore Teodosio I e nipote dell'imperatore Valentiniano I. Placido Valentiniano era il secondo figlio della coppia, essendo Giusta Grata Onoria sua sorella maggiore.
Lo zio Onorio, non avendo figli, tentò di risolvere il problema della successione, associando al trono Costanzo III. Quando Valentiniano nacque, fu immediatamente un forte candidato alla successione, come indicato dall'attenta scelta dei nomi, che lo legavano sia alla casata di Teodosio che alla dinastia valentiniana. Dietro insistenza della sorella Placidia, Onorio stesso rafforzò la successione al trono di Valentiniano, nominandolo tra il 421 e il 423, nobilissimus puer, titolo che non fu riconosciuto dalla corte orientale. Placidia, però, entrò in contrasto con Onorio, e insieme ai figli, si trasferì a Costantinopoli presso il nipote Teodosio II (422/423).
Giovanni Primicerio assunse la porpora (423-425) contro il volere di Teodosio II, che nominò allora Valentiniano augusto d'Occidente, inviandolo a riconquistare il trono di Roma. Il 15 agosto 423 Onorio morì; Teodosio II ritardò la scelta del successore. Nel frattempo, uno dei patricii di Onorio, Castino, ottenne dal Senato romano la proclamazione di Giovanni Primicerio come primicerius notariorum (decano dei funzionari civili). Il nuovo imperatore cercò il riconoscimento della corte orientale, ma il tentativo fallì quando Teodosio, dietro pressione della zia Galla Placidia, decise di porre Valentiniano sul trono d'Occidente.
Dopo essere stato fidanzato alla figlia di Teodosio, Licinia Eudossia, Valentiniano fu inviato in Occidente con un forte esercito, al comando del magister militum Ardaburio e di suo figlio Aspare, e sotto la tutela della madre Placidia, che agiva da reggente per il figlio di cinque anni; mentre era in viaggio, a Tessalonica, fu nominato cesare da Elione (Elione ricoprì il ruolo di comes e magister officiorum dell'imperatore d'Oriente Teodosio II dal 414 al 427), il 23 ottobre 424. Dopo aver svernato acquartierandosi ad Aquileia, l'esercito romano d'Oriente si mosse verso Ravenna, dove si trovava Giovanni; la città cadde dopo quattro mesi di assedio, per il tradimento della guarnigione, e Giovanni fu catturato, deposto e ucciso (giugno o luglio 425).
Tre giorni dopo la morte di Giovanni, il suo generale Flavio Ezio, allontanatosi a cercare rinforzi, arrivò con un grosso contingente di 60.000 unni. Dopo alcune schermaglie, Galla Placidia ed Ezio giunsero a un accordo: gli unni avrebbero ricevuto la propria paga e sarebbero tornati ai propri territori, e in cambio Ezio avrebbe ricevuto il titolo di magister militum per Gallias ("comandante dell'esercito delle Gallie"). Questo accordo segnò l'intero regno di Valentiniano, influenzando la scena politica dell'impero d'Occidente per i successivi trenta anni.
Il 23 ottobre 425, a Roma, Valentiniano fu proclamato augusto da Elione, all'età di sei anni. I primi anni di regno di Valentiniano si svolsero sotto la tutela della madre, a causa della giovane età; lo stesso Teodosio mantenne una posizione di dominio sul giovanissimo collega, sebbene formalmente i due augusti fossero di pari dignità e potere, e le leggi erano promulgate a nome di entrambi in entrambe le parti dell'impero. Nel 426, ad esempio, Teodosio e Valentiniano promulgarono la cosiddetta Legge delle citazioni, con la quale regolamentarono le fonti giuridiche del tempo: la legge infatti sanciva che il giudice era vincolato dal parere dei giuristi se riguardo al caso e alla materia vi era una communis opinio, cioè la convergenza del maggior numero di giuristi su un'unica interpretazione (la constitutio è anche celebre per aver concesso alle Istituzioni di Gaio il valore di fonte normativa). Inoltre la legge delle citazioni permetteva ai giuristi di citare solamente le opere di Paolo, Ulpiano, Papiniano, Modestino e lo stesso Gaio.
Tra il 427 e il 433 i tre maggiori esponenti dell'esercito romano – Costanzo Felice, magister militum praesentialis senior e comandante delle truppe italiane, Bonifacio, comes Africae, e Ezio, magister militum per Gallias, poi elevato al rango di magister militum praesentialis iunior in Italia – si scontrarono per determinare chi dovesse detenere il potere in Occidente: alla fine prevalse Ezio, che eliminò i propri avversari, si fece nominare magister militum praesentialis senior (il massimo grado dell'esercito) e, nel 435, assunse il rango di patricius. In tutto questo periodo Valentiniano rimase equidistante dalle parti, sebbene la madre, Galla Placidia, sostenesse prima Ezio, per poi avversarlo.
Valentiniano rimase sotto la reggenza della madre fino al 437; il 29 ottobre di quell'anno, sposò a Costantinopoli la figlia di Teodosio II, Licinia Eudossia, da cui ebbe due figlie, Eudocia e Placidia. Il potere effettivo rimase, però, nelle mani di Ezio, che si destreggiò abilmente con le varie popolazioni germaniche e con gli Unni, riuscendo così a salvare quanto ancora rimaneva dell'Impero romano d'Occidente, dopo che anche l'Africa fu conquistata dai vandali.
All'inizio del regno di Valentiniano, l'Impero romano d'Occidente era sottoposto a forze che ne minavano l'unità: dall'esterno, alcune popolazioni barbare premevano sulla frontiera (gli unni in Pannonia, i burgundi e gli alemanni sull'alto corso del Reno, i franchi e i sassoni sul basso corso del Reno); altre popolazioni si erano insediate, più o meno col consenso dei Romani, in Aquitania (i visigoti), Gallaecia (i suebi) e in Hispania Carthaginensis e Baetica (i vandali e gli alani); alcune popolazioni locali si erano poi separate dall'Impero, come quelle della Britannia romana (separatasi intorno al 410) e l'Armorica (nello stesso periodo), mentre la Gallia nord-occidentale era sede di movimenti separatisti.
Secondo alcuni studiosi, i dissidi interni tra i tre generali più importanti dell'Impero - Bonifacio, Felice ed Ezio - per ottenere il comando supremo dell'esercito d'Occidente e il controllo sul piccolo Valentiniano, agevolarono nel periodo 423-434 un ulteriore deterioramento della situazione a tutto vantaggio per i gruppi migranti barbari. Ad esempio i vandali, dopo il 423, anno della sconfitta di Castino, furono liberi di saccheggiare la Spagna meridionale e le Isole Baleari tra il 426 e il 428. La situazione si aggravò ulteriormente con l'invasione vandalica dell'Africa romana del 429: né il comes Africae Bonifacio né il generale dell'Impero d'Oriente Aspar riuscirono a spingere al ritiro dall'Africa i Vandali, ma Aspar riuscì perlomeno ad impedire loro temporaneamente la conquista di Cartagine, costringendoli a negoziare una tregua nel 435: secondo tale tregua, i vandali avrebbero mantenuto le terre da essi occupate in Mauritania e Numidia, ma Cartagine e le province di Proconsolare e Byzacena, oltre a una parte della Numidia, sarebbero rimaste in mani romane.
I conflitti interni terminarono solo nel 433-435, con la vittoria di Ezio, che - uccisi i suoi due rivali - ottenne nel 435 il rango di patrizio e il comando supremo dell'esercito d'Occidente. Ezio si concentrò sulla difesa della Gallia e, a tal fine, ottenne il sostegno militare degli unni, ai quali, tuttavia, dovette cedere in cambio la Pannonia. Con il sostegno degli unni, Ezio e il suo subordinato Litorio riuscirono ad annientare nel triennio 436-439 burgundi e bagaudi (i gruppi locali secessionisti nella Gallia nord-occidentale) e a costringere ad accontentarsi dell'Aquitania. I Visigoti furono costretti ad accettare le stesse condizioni del 418 dopo aver tentato invano di strappare ai Romani le città di Narbona e Arelate. L'impiego degli unni come mercenari generò però lo sdegno di taluni scrittori cristiani, scandalizzati che taluni di essi saccheggiarono in talune circostanze gli stessi territori romani che essi erano tenuti a difendere, oltre al fatto che avessero ottenuto dal generale Litorio il permesso di compiere sacrifici alle proprie divinità pagane e di predire il futuro tramite la scapulomanzia.
Mentre però Ezio otteneva questi successi in Gallia, nel 439 i vandali ruppero la tregua e conquistarono Cartagine, da cui partirono incursioni navali che saccheggiarono la Sicilia e il Mediterraneo occidentale (440); l'Imperatore d'Oriente Teodosio II, cugino e suocero di Valentiniano, inviò una poderosa flotta romano-orientale per strappare ai vandali Cartagine, ma dopo una pericolosissima incursione degli unni di Attila, Teodosio fu costretto giocoforza a richiamarla, costringendo l'Impero d'Occidente a negoziare una pace sfavorevole con i vandali.
Nel 442, in base alla pace con i vandali, Genserico otteneva il riconoscimento del possesso di Cartagine e della Proconsolare e Byzacena, oltre che di parte della Numidia; in cambio Valentiniano III riotteneva il possesso delle Mauritanie e del resto della Numidia, province però infestate dai nativi mauri. Nel frattempo, nella Spagna romana il re degli svevi Rechila riuscì a sottomettere Lusitania, Betica e Cartaginense riducendo la Spagna romana alla sola provincia di Tarraconense, anch'essa sotto precario controllo romano, poiché infestata dai ribelli separatisti bagaudi.
Nel 446 la Britannia, già abbandonata dalle truppe romane nel 410, fu invasa dai sassoni e altre popolazioni; nel frattempo Ezio permise ad alani e burgundi di insediarsi come foederati in alcune regioni della Gallia, per tenere sotto controllo i bagaudi.
Un problema fondamentale che si acuì in questo periodo fu quello fiscale. Le finanze dell'Impero si basavano sulle rendite delle grandi proprietà terriere, cui era fornita, in cambio, la protezione garantita dall'esercito. La perdita di grosse porzioni di territorio, prima fra tutte la fertile provincia d'Africa, riduceva la base imponibile, obbligando lo Stato ad aumentare la pressione fiscale: il risultato era che la lealtà delle province al governo centrale era messa a dura prova.
La perdita del Nord Africa aveva causato una forte contrazione del gettito fiscale. Infatti, non solo l'Impero aveva perso le più floride province del Nord Africa, ma le province restituite ai Romani secondo il trattato del 442, cioè le Mauritanie e una parte della Numidia, erano divenute estremamente improduttive a causa dei saccheggi dei vandali: infatti, secondo l'editto fiscale del 21 giugno 445, il gettito di Numidia e di Mauritania Sitifense si era ridotto a 1/8 della quota normale. Per colmare queste perdite di entrate, Valentiniano III e i suoi consiglieri presero i seguenti provvedimenti: il 24 gennaio del 440 vennero annullati tutti i precedenti decreti di esenzione o riduzione fiscale, mentre nel 441 vennero annullati tutti i privilegi fiscali dei ceti più abbienti, con tale giustificazione:
« Gli imperatori delle età precedenti..., hanno concesso tali privilegi a persone di illustre rango nell'opulenza di un'era d'abbondanza, senza che ciò comportasse il disastro per altri possidenti... Nelle presenti difficoltà, invece, tale pratica diventa non solo ingiusta ma anche ... impossibile. »
Nonostante il tentativo di massimalizzare le entrate attuato con questi provvedimenti, non fu più possibile, a causa della riduzione delle entrate conseguente alla perdita del Nord Africa, mantenere un grosso esercito. Nel 444 un decreto imperiale, introducente una nuova tassa, ammise:
« Non dubitiamo affatto che tutti abbiano ben presente la necessità assoluta di predisporre la forza di un numeroso esercito per ... ovviare alla triste situazione in cui versa lo stato. Ma a causa delle molte voci di spesa non è stato possibile provvedere adeguatamente a una questione ... sulla quale si fonda la piena sicurezza di tutti; ... né per coloro che con nuovi giuramenti si vincolano al servizio militare o per i veterani dell'esercito possono bastare quelle provvigioni che pure i contribuenti, sfiniti, versano solo con la più grande difficoltà; e sembra proprio che da quella fonte non si potranno avere i soldi necessari per acquistare cibo e indumenti. »
Lo Stato fu così costretto ad aumentare la pressione fiscale, con il risultato che la lealtà delle province al governo centrale fu messa a dura prova. Il vescovo di Marsiglia Salviano, scrivendo intorno al 440, attribuisce le sollevazioni dei bagaudi nella Gallia e nella Tarraconense all'oppressione fiscale:
« Nel frattempo i poveri vengono derubati, le vedove gemono..., facendo sì che molti, persino persone di buona nascita e di educazione liberale, cercarono riparo presso il nemico per sfuggire alla ... persecuzione generale. Essi cercano presso i barbari la pietà romana, perché non potevano sopportare la barbara mancanza di pietà che trovavano presso i romani. ... Il risultato è che quelli che non si sono rifugiati presso i barbari sono ora costretti ad essere essi stessi barbari; e questo e il caso della gran parte degli ispanici, di non piccola proporzione della Gallia e ... tutti coloro nel mondo romano la cui cittadinanza romana è stata portata al nulla dall'estorsione romana. Devo ora parlare dei bagaudi, che, spogliati, afflitti, e assassinati da magistrati malvagi e assetati di sangue, dopo aver perso i diritti di romani, cittadini, persero anche l'onore del nome romano. Noi trasformiamo le loro sventure in crimine, ... chiamiamo questi uomini ribelli..., i quali noi stessi li abbiamo costretti al crimine. Per quali altre cause loro vennero resi bagaudi se non per i nostri atti ingiusti, le malvagie decisioni dei magistrati, la proscrizione e l'estorsione di coloro che ...hanno reso le indizioni fiscali la propria opportunità per saccheggiare? Come belve selvagge, invece di governare coloro posti sotto la loro autorità, gli ufficiali li hanno divorati, nutrendosi non solo dei loro possedimenti come farebbero ordinari briganti, ma persino della loro carne e del loro sangue... Coloro che non avevano già prima raggiunto i bagaudi sono ora costretti a raggiungerli. Le incredibili disgrazie che cadono sui poveri li spingono a diventare Bagaudi, ma la loro debolezza glielo impedisce... »
(Salviano, Il governo di Dio, V, 5-6.)
Intorno al 450, Valentiniano aveva scoperto che sua sorella, Giusta Grata Onoria, aveva una relazione segreta con Eugenio, l'amministratore responsabile dei propri beni, allorché Onoria era rimasta incinta. Furioso, l'Imperatore fece giustiziare Eugenio e inviò la sorella a Costantinopoli, affinché ella terminasse in quel luogo l'inopportuna gravidanza. Nato il piccolo, fu dato via in quanto illegittimo, e la madre non poté mai vederlo. Valentiniano III costrinse poi la sorella a sposare un senatore di nome Flavio Basso Ercolano, ma Onoria, volendo sfuggire a un matrimonio imposto e non desiderato, inviò un eunuco di sua fiducia, Giacinto, come ambasciatore presso la corte di Attila, chiedendogli di intervenire in suo favore. Attila interpretò la richiesta di Onoria come una proposta di matrimonio e richiese all'Imperatore d'Occidente, come dote per il matrimonio, metà dell'Impero d'Occidente. All'ovvio rifiuto di Valentiniano III, Attila ebbe il pretesto per invadere l'Impero d'Occidente, anche se chiaramente i motivi che lo spinsero realmente all'invasione erano ben altri dalla volontà di sposarsi con Onoria. Nel frattempo, Onoria fu punita dal fratello per aver scritto ad Attila affidandola alla custodia della madre.
Nel 451 Attila invase la Gallia, distruggendo diverse città. L'invasione fu però fermata dall'intervento dei romani di Ezio e dei loro alleati barbari (visigoti, burgundi) che lo affrontarono e riportarono una grande vittoria su di essi nella battaglia dei Campi Catalaunici (451). Per nulla demoralizzati dall'insuccesso dell'anno precedente, l'anno successivo gli unni invasero l'Italia: dopo aver distrutto Aquileia ed espugnato diverse città dell'Italia transpadana, tra cui Milano, gli unni decisero però di ritirarsi dopo un incontro presso il fiume Mincio con un'ambasceria imperiale costituita da papa Leone I, Gennadio Avieno e Trigezio. A differenza di quanto narrato dalla tradizione cristiana, non fu però il semplice incontro con il pontefice a spingerlo al ritiro: l'esercito unno era stato decimato da pestilenze e carestie e i territori unni erano stati attaccati nell'Illirico dalle truppe dell'Imperatore d'Oriente Marciano, che non aveva mancato di inviare rinforzi ad Ezio, per cui Attila ebbe buone ragioni per ritirarsi. Poco tempo dopo l'invasione fallita Attila perì e il suo impero, disintegrandosi entro poco tempo, smise di essere una minaccia per Roma, che però si trovò privata anche di un possibile valido alleato (non va dimenticato infatti il decisivo contributo degli unni nelle campagne di Ezio in Gallia negli anni 430).
Con la fine della minaccia degli Unni, la posizione di Ezio si indebolì, in quanto l'Impero, e soprattutto Valentiniano, non aveva più bisogno di un uomo forte. Probabilmente il magister militum si rese conto della situazione e, nel 454, cercò di convincere Valentiniano a concedere la mano di Placidia a Gaudenzio, figlio di Ezio: considerato il fatto che Valentiniano non aveva figli maschi che gli potessero succedere, Gaudenzio sarebbe divenuto, con le nozze, il più forte candidato alla successione imperiale, rafforzando la posizione di Ezio. Il lungo e totale predominio politico di Ezio, però, gli aveva procurato molti nemici a corte, oltre a Valentiniano; fondamentali per la sua caduta furono il senatore Petronio Massimo e il primicerius sacri cubiculi Eraclio.
Secondo lo storico Giovanni di Antiochia, Valentiniano vinse al gioco una somma che Massimo non aveva, e ottenne come pegno l'anello di questi, che l'imperatore utilizzò per convocare a corte la moglie di Massimo; la donna si recò a corte credendo di essere stata chiamata dal marito, in quanto un inserviente dell'imperatore le aveva mostrato l'anello di Massimo, ma si ritrovò a cena con Valentiniano, che la sedusse. Tornata a casa e incontrando Massimo, lo accusò di averla tradita e consegnata all'imperatore, e così Massimo venne a sapere dell'inganno, decidendo di vendicarsi contro Valentiniano: secondo Giovanni, però, Massimo era cosciente che non avrebbe potuto nuocere all'imperatore se prima non si fosse sbarazzato di Ezio. Si accordò allora con un eunuco di Valentiniano, il primicerius sacri cubiculi Eraclio, che osteggiava il generale sperando di poterne ottenere il potere: i due convinsero Valentiniano che Ezio lo voleva uccidere, così l'imperatore decise di uccidere il proprio magister militum.
Il 21 settembre 454, Ezio dopo aver fatto rapporto a Valentiniano nel palazzo imperiale riguardo all'esazione delle tasse, propose di nuovo il matrimonio tra il figlio Gaudenzio e la figlia minore di Valentiniano, Placidia, quando l'imperatore si alzò improvvisamente dal trono accusando il generale di tradimento (forse lo sospettava di progettare l'elevazione al trono del figlio Gaudenzio); prima che Ezio potesse difendersi dalle accuse, Valentiniano sguainò la propria spada e si gettò sul generale, che nel frattempo era stato attaccato anche da Eraclio, uccidendolo. Secondo una tradizione, qualcuno disse nell'occasione all'imperatore «hai tagliato la tua mano destra con la sinistra».
A seguito della caduta di Ezio, Valentiniano fece uccidere anche il suo amico Manlio Boezio e, secondo Idazio, anche altri notabili; fece poi esporre i cadaveri nel foro, e accusò i senatori di tramare un tradimento: tutto ciò lo fece per scongiurare una rivolta dopo la morte di Ezio. Petronio Massimo chiese a Valentiniano di prenderne il posto come magister militum, forse la vera molla che lo aveva spinto a complottare per la caduta di Ezio, ma l'imperatore rifiutò: Eraclio, infatti, consigliò all'imperatore di non rimettere nuovamente nelle mani di un sol uomo il potere che era riuscito a recuperare uccidendo Ezio. Sempre secondo Giovanni di Antiochia, Massimo fu così irritato dal rifiuto di Valentiniano da decidere di farlo assassinare. Come complici scelse Optila e Thraustila, due coraggiosi sciti che avevano combattuto sotto il comando di Ezio e che erano stati successivamente assegnati alla scorta di Valentiniano: Massimo li convinse che Valentiniano era il solo responsabile della morte di Ezio, e che i due soldati avrebbero dovuto e potuto vendicare il loro antico comandante; promise loro, inoltre, una ricompensa per il tradimento dell'imperatore.
Il 16 marzo 455, Valentiniano, che si trovava a Roma, si recò al Campo Marzio con alcune guardie del corpo, accompagnato anche da Optila e Thraustila e dagli uomini di questi. Appena l'imperatore scese da cavallo per esercitarsi con l'arco, Optilia gli si avvicinò con i propri uomini e lo colpì alla tempia, mentre l'esercito rimase schierato, immobile ad assistere: Valentiniano, sorpreso, si volse a guardare il proprio aggressore, e Optila gli inferse il colpo mortale; contemporaneamente, Thraustila uccise Eraclio. I due sciti presero poi il diadema e la veste imperiale e li portarono a Massimo, mentre la testa del defunto imperatore fu posta sopra una lancia e fu portata per le strade della Capitale per annunciare la sua fine.
Valentiniano morì a quasi trentasei anni, dopo ventinove anni e mezzo di regno: con lui si estinse la dinastia imperiale di Valentiniano in Occidente. La morte di Ezio aveva eliminato l'uomo forte che avrebbe potuto difendere l'impero dai pericoli esterni (pochi mesi dopo i vandali avrebbero messo a sacco Roma); quella di Valentiniano eliminò il simbolo attorno al quale si coagulava la lealtà delle province romane, che si sfaldò in breve tempo.

I VANDALI
I vandali (wandili) erano una popolazione germanica orientale come i burgundi, i goti, ed i longobardi. Dopo una prima migrazione nei territori dell'attuale Polonia (tra il bacino dell'Oder e della Vistola), sotto la pressione di altre tribù germaniche, si spostarono più a sud, dove combatterono e sottomisero la popolazione celtica dei boi. Si stanziarono quindi nei territori dell'attuale Slesia e Boemia, creando una federazione di tribù comprendente burgundi, rugi e silingi, detta dei lugi (compagni).
Nel suo Germania, scritto nel 98, Tacito pone i vandali fra le genti di origine germanica:
« […] si celebra il dio Tuitone. Suo figlio Manno è il progenitore e il fondatore della loro stirpe. […] Alcuni, autorizzati dall'antichità dei tempi, dicono che Manno ha avuto anche altri figli e quindi sono più numerose anche le denominazioni dei popoli: si tratta dei marsi, dei gambrivii, degli svevi, dei vandali. »
Altra citazione interessante proviene da Paolo Diacono, il longobardo storico del suo popolo, il quale nella sua Historia Langobardorum, scritta verso la fine dell'VIII secolo, narra di come i due popoli vennero in contatto:
« Usciti dunque dalla Scandinavia, i winili, sotto la guida di Ibore e Aione, giunti in una regione chiamata Scoringa, vi si fermarono per alcuni anni. In quel tempo ambri ed assi, condottieri dei vandali, incalzavano con la guerra tutte le province vicine. Imbaldanziti dalle molte vittorie, mandano ai winili messaggeri: che paghino i tributi ai vandali o si preparino a combattere. »
(Paolo Diacono, Historia Langobardorum, I, 7., Rizzoli, Milano, trad.: A. Zanella)
Nel II secolo d.C., all'interno e ai margini della massa germanica si erano verificati movimenti e mescolanze di popoli, tanto da portare a trasformazioni di natura politica: intere popolazioni (come marcomanni, quadi, naristi, cotini, iazigi, buri ecc.), sotto la pressione dei germani orientali (su tutti i goti), furono costrette a riorganizzarsi in sistemi sociali più evoluti e permanenti, ovvero si raggrupparono in coalizioni ("confederazioni") di natura soprattutto militare, con la conseguenza che il limes renano-danubiano finì per essere sottoposto a una costante e maggiore pressione. Tale trasformazione fu anche indotta dalla vicinanza e dal confronto con la civiltà imperiale romana, le sue ricchezze, la sua lingua, le sue armi, la sua organizzazione. Alla fine la violenta pressione di altri popoli migranti (goti, vandali e sarmati) finì per costringere queste confederazioni di popoli confinanti con l'Impero Romano, che di fronte a loro non disponevano di ampi spazi su cui trasferirsi, a decidere di dare l'assalto direttamente alle province renano-danubiane. E fu così che anche gli stessi vandali, parteciparono a questa iniziale fase di sfondamento delle frontiere romane.
La popolazione vandala era, a sua volta, divisa fra tre principali etnie: asdingi (dal nome della casata principale), silingi e lacringi. La prima testimonianza storica di un loro scontro con l'Impero romano avvenne, quindi, secondo quanto ci raccontano Cassio Dione Cocceiano e la Historia Augusta, durante il periodo delle cosiddette guerre marcomanniche (dal 166/167 al 188/189), al tempo degli imperatori Marco Aurelio, Lucio Vero e Commodo. Sappiamo, infatti, che il "ramo" dei vandali asdingi mosse verso sud-est, guidato dai loro re Raus e Raptus e che alla fine stipularono un trattato di alleanza con i romani, stanziandosi a nord-est della Dacia, nel bacino dei Carpazi. « Gli asdingi, guidati dai loro capi Raus e Raptus, entrarono in Dacia con le loro intere famiglie, con la speranza di assicurarsi sia denaro, sia territori, in cambio della loro alleanza [con i romani]. Ma in mancanza di territori, lasciarono le loro mogli e i loro figli sotto la protezione di Clemente [governatore romano], fino a quando non avessero acquisito i territori dei costoboci (posizionati a nord-est della Dacia), ma una volta sconfitta questa popolazione, cominciarono a perseguitare la vicina provincia romana dacica, non meno di quanto prima [avevano fatto i costoboci]. I [vandali] lacringi, temendo che Clemente potesse attaccarli nei loro territori dove erano giunti, attaccarono [gli asdingi] ottenendo una vittoria decisiva. Come risultato, gli astingi smisero di commettere nuovi atti di ostilità contro i romani, ma in risposta alle suppliche indirizzate a Marco Aurelio, ricevettero dallo stesso denaro ed il privilegio di ottenere territori nel caso in cui lo avessero aiutato a combattere contro i suoi nemici.» (Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LXXII, 12.)
La sconfitta segnò una svolta nella storia dei vandali che dovettero così fornire armati all'Impero Romano in qualità di alleati, anche in seguito alla morte di Marco Aurelio nel 180. Con il III secolo, a partire dagli anni 213-214, si ebbero nuove incursioni in Dacia e in Pannonia inferiore, lungo il tratto danubiano attorno ad Aquincum, da parte dei vandali. L'Imperatore Caracalla, costretto a intervenire di persona, riuscì a chiedere aiuto agli alleati marcomanni, opponendoli ai vicini vandali che si stavano dimostrando da qualche tempo ostili.
Nel 248 durante una nuova incursione di goti, ai quali era stato rifiutato il contributo annuale promesso da Gordiano III, si associarono anche i vandali, portando devastazione nella provincia di Mesia inferiore:
« Sotto l'impero di quel Filippo […] i Goti malcontenti che non si pagasse più loro il tributo, si trasformarono in nemici da amici che erano. […] Ostrogota, re dei goti, marciò contro i Romani alla testa di trentamila armati a cui si aggiunsero anche guerrieri taifali, asdingi e tremila carpi, quest'ultimo popolo assai bellicoso e spesso funesto per i romani. »
(Giordane, De origine actibusque Getarum, XVI, 1-3.)
L'invasione alla fine fu fermata dal generale di Filippo l'Arabo, Decio Traiano, futuro imperatore, presso la città di Marcianopoli, che era rimasta sotto assedio per lungo tempo. La resa fu anche possibile grazie all'ignoranza dei germani in fatto di macchine d'assedio e probabilmente, come suggerisce Giordane, «dalla somma versata loro dagli abitanti».
Nel 270, mentre l'imperatore Aureliano si trovava a Roma, per ricevere dal Senato in modo ufficiale i pieni poteri imperiali, una nuova invasione generò il panico, questa volta nelle province di Pannonia superiore ed inferiore, che evidentemente Aureliano aveva sguarnito per recarsi in Italia a respingere l'invasione degli iutungi: si trattava dei vandali asdingi, insieme ad alcune bande di sarmati iazigi. Ma il pronto intervento dell'imperatore in persona costrinse queste popolazioni germano-sarmatiche a capitolare e a chiedere la pace. Aureliano costrinse i barbari a fornire in ostaggio molti dei loro figli, oltre a un contingente di cavalleria ausiliaria di duemila uomini, in cambio del ritorno alle loro terre a nord del Danubio. Per questi successi ottenne l'appellativo di Sarmaticus maximus.
Nel 276 i vandali tornarono ad invadere i territori imperiali, assieme a lugi e burgundi, lungo il tratto dell'alto-medio corso del Danubio, mentre due anni più tardi, nel 278, l'Imperatore Probo affrontò burgundi e vandali, che erano venuti in soccorso delle altre tribù germaniche, e li sconfisse in Rezia nei pressi del fiume Lech (chiamato da Zosimo "Licca"). Al termine degli scontri furono accordate le stesse condizioni concesse ai lugi (con la restituzione dei prigionieri romani e del bottino razziato nelle province romane), ma quando i barbari vennero meno alle intese, trattenendo una parte dei prigionieri, l'imperatore li affrontò nuovamente. La coalizione germanica fu duramente sconfitta e i romani catturarono anche il loro capo, Igillo, tanto che Probo per queste vittorie assunse l'appellativo di "Germanicus maximus". E sembra che quello stesso anno Probo sconfisse un altro "ramo", più orientale, delle tribù vandaliche lungo il medio corso del Danubio, alleate con gli iazigi. Ancora pochi anni più tardi, nel 281, ancora Probo, sulla strada del ritorno dall'Oriente, dopo una nuova campagna oltre il Danubio, trasferì in territorio romano molte persone delle popolazioni di bastarni, gepidi, grutungi e anche vandali che, poco dopo ruppero nuovamente l'alleanza e, mentre Probo era impegnato a combattere alcuni usurpatori, tornarono a compiere le solite incursioni, depredando i territori imperiali.
Nel 335, i vandali, che abitavano la regione compresa tra il fiume Marisus ed il Danubio (forse poco a nord-ovest del Banato), sotto la guida di visimar, si scontrarono con i goti di Geberico e furono sconfitti. I superstiti chiesero a Costantino I di essere ammessi nei territori dell'Impero romano, ottenendone il permesso e stabilendosi nella Pannonia, dove rimasero tranquilli per almeno quarant'anni "obbedendo alle leggi dell'Impero come gli altri abitanti della regione". Essi furono così inglobati come foederati, mantenendo la loro mansione di cuscinetto fra l'impero e le altre tribù barbare della pianura sarmatica.
Nel 374 sappiamo che l'uccisione a tradimento dopo un banchetto, del capo dei quadi, Gabinio, da parte del prefetto del pretorio delle Gallie, Massimino, rese furiosi non solo i quadi, ma molte altre popolazioni a loro vicine (come gli iazigi ed i vandali), che insieme inviarono squadre di saccheggiatori oltre il Danubio in territorio romano. Furono così senza alcun preavviso assaliti i contadini impegnati nel raccolto delle messi, molti dei quali furono uccisi, molti altri furono fatti prigionieri e condotti nei loro territori. E poco mancò che anche la stessa figlia di Costanzo II, Flavia Massima Faustina Costanza, venisse catturata dai barbari inferociti.
I vandali asdingi lasciarono la Pannonia intorno al 400, spinti alla colonizzazione di nuove terre dall'avanzata delle truppe unne. Nel 401, sotto la spinta di altri popoli germanici, gli asdingi, che già si erano convertiti all'arianesimo, si spinsero sino alla Rezia, saccheggiandola. Stilicone li fermò temporaneamente, ma l'avanzata continuò e sembra che l'esercito gotico di Radagaiso, che invase l'Italia nel 405, comprendesse anche vandali asdingi, alani e quadi; in ogni modo l'esercito di Radagaiso fu sconfitto da Stilicone nei pressi di Fiesole. L'anno dopo (406), assieme agli alani ed ai suebi (probabilmente da identificare coi quadi) i vandali asdingi iniziarono a spostarsi lungo il limes a nord delle Alpi vicino ad Augusta in direzione del fiume Meno, dove a loro si unirono i silingi (vandali unitisi ai burgundi nel III secolo) e da qui raggiunsero il Reno, dove i vandali furono affrontati dai franchi, che come federati dei romani, presidiavano il confine dell'impero; i franchi provocarono gravi perdite nelle file dei vandali, ma sopraggiunsero gli alani che capovolsero le sorti della battaglia. Il capo dei vandali asdingi, Godigisel perse la vita nel corso della battaglia, avvenuta presso la città di Treviri, poco prima che la sua tribù, con l'aiuto degli alani, sconfiggesse i franchi.
A Godigisel successe il figlio Gunderico che guidò i vandali della tribù degli asdingi oltre il Reno, il 31 dicembre del 406, a Magonza, che fu rasa al suolo, e poi attraversarono rapidamente la Gallia, razziando i villaggi e le città che incontravano lungo il loro cammino, sino ad arrivare ai Pirenei, dove si fermarono di fronte ai passi fortificati e si riversarono nella Gallia Narbonense.
L'avanzata divenne un'invasione, scatenando il caos. Assieme alle tribù vandale degli asdingi e di parte dei silingi (il resto dei silingi era rimasto nelle terre ancestrali della Pannonia e della Slesia finendo per fondersi con gli slavi) si scatenarono sul territorio gallico anche svevi, alani, seguiti da burgundi e alemanni. Mentre questi ultimi si stanziavano in Gallia, i vandali con alani e svevi ritornarono verso i Pirenei per superarli, nel corso del (409).
Nell'autunno del 409, assieme a svevi, alani e silingi, probabilmente con la complicità del governatore romano della penisola iberica, Geronzio, che mirava a crearsi uno stato indipendente, attraversarono i Pirenei dove per circa due anni portarono distruzioni e saccheggi. Per due anni le popolazioni barbare che erano giunte nella penisola iberica, si aggirarono per le fiorenti campagne iberiche, abbandonandosi al saccheggio ed alle devastazioni:
« Imperversando i barbari per la Spagna, e infuriando il male della pestilenza, l’esattore tirannico e il soldato depredano le sostanze nascoste nelle città: la carestia infuriò, così forte che le carni umane furono divorate dal genere umano: le madri uccisero o cuocerono i propri nati mangiandoseli. Le bestie feroci, abituate ai cadaveri uccisi con la spada, dalla fame o malattia, uccidono qualsiasi essere umano con le forze che gli rimanevano, si nutrono di carne, preparando la brutale distruzione del genere umano. E la punizione di Dio, preannunciata dai profeti, si verificò con le quattro piaghe che devastarono l’intera Terra: ferro, carestia, peste e le bestie. »
(Idazio, Cronaca, anno 410.)
Secondo la testimonianza del cronista Idazio, nel 411 gli invasori si spartirono le terre occupate in questo modo:
« [I barbari] si spartirono tra loro i vari lotti delle province per insediarvisi: i vandali si impadronirono della Galizia, gli svevi di quella parte della Galizia situata lungo la costa occidentale dell'Oceano. Gli alani ebbero la Lusitania e la Cartaginense, mentre i vandali siling si presero la Betica. Gli spagnoli delle città e delle roccaforti che erano sopravvissuti al disastro si arresero in schiavitù ai barbari che spadroneggiavano in tutte le province. »
(Idazio, Cronaca)
Tutta la Spagna, tranne la Tarraconense rimasta ai romani, risultò dunque occupata dai barbari nell'anno 411. Secondo Procopio, storico vissuto nel VI secolo, i barbari avrebbero avuto il riconoscimento dell'occupazione dei territori da parte di Roma, ottenendo dunque lo status di foederati e un terzo delle proprietà dei romani, in cambio del giuramento di fedeltà all'imperatore (410); al contrario Orosio, vissuto all'epoca dei fatti, afferma esplicitamente che l'occupazione fu illegale. Tra le due testimonianze discordanti, Heather propende a dare credito a quella di Orosio, in quanto fonte più vicina cronologicamente ai fatti.
La pace durò solo pochi anni e già nel 416, il re dei visigoti, Walia si presentò, a nome dell'imperatore, nella penisola iberica con un possente esercito per liberarla dai barbari: attaccò, per primi, i vandali silingi che, dopo diversi scontri, nel 418, furono annientati ed il loro re, Fredbal, fu inviato prigioniero a Ravenna, dall'imperatore; i pochi superstiti si unirono ai vandali asdingi. Quindi furono presi di mira gli alani, e sempre nel 418, Attaco, re degli alani, morì in una sanguinosa battaglia contro i visigoti, guidati da Walia. Gli alani, gravemente sconfitti, rinunciarono a eleggere un nuovo re e molti dei sopravvissuti chiesero protezione e al contempo offrirono la corona degli alani al re dei vandali, Gunderico, che l'accettò, diventando da allora rex Vandalorum et Alanorum.
Prima che Walia, alla fine del 418, si scatenasse contro suebi e vandali asdingi, fu richiamato in Gallia dal generale romano Flavio Costanzo; consegnò ai Romani le province da lui recuperate di Betica, Lusitania e Cartaginense, ricevendo in cambio lo stanziamento per il suo popolo nella Valle della Garonna, in Aquitania. I vandali, scampato il pericolo, si volsero contro i suebi, che si ritirarono sui monti asturiani e cantabrici e si arroccarono sulla Cordigliera Cantabrica (419); intervennero però in soccorso degli svevi le milizie romane che, nel 420, costrinsero i vandali ad arretrare sino alla provincia dove in precedenza erano stanziati i silingi, la Betica.
Alcuni anni dopo, nel 422, le orde vandale, guidate da Gunderico, riportarono una grande vittoria, grazie alla slealtà dei visigoti nei confronti dei romani, contro un esercito romano-gotico guidato da Castino:
« Il generale Castino, con numerose truppe e i suoi alleati goti, porta la guerra in Betica ai vandali che assedia e affama; ma, proprio nel momento in cui si stavano per arrendere, si scontra precipitosamente con loro in battaglia, e tradito dai suoi alleati, è vinto e costretto al ritiro a Tarragona. »
(Idazio, Cronaca, anno 422.)

In seguito a queste vittorie, molti porti iberici furono conquistati, e le galee requisite dai vincitori. I vandali diventarono così la prima popolazione teutonica a sviluppare una propria marina e a darsi alla pirateria, con la quale arrivarono poco dopo, nel 425, a sbarcare e razziare in Mauretania e sulle Baleari; in quegli stessi anni caddero anche gli ultimi due baluardi romani nel sud della penisola iberica: Cartagena e Siviglia.
Dopo la morte di Gunderico, avvenuta intorno al 428 a Siviglia, venne eletto nuovo sovrano il figlio illegittimo di Godigisel, il re dei vandali asdingi, Genserico, che cresciuto all'ombra del fratellastro, Gunderico, e versato nell'arte militare, iniziò subito ad accrescere il potere e la ricchezza del suo popolo, in Betica, nel sud della penisola iberica. Dato che i vandali avevano subito numerosi attacchi da parte dei visigoti, Genserico, poco dopo essere salito al trono, decise di volgersi alla conquista dell'Africa romana, un luogo più lontano e sicuro da eventuali attacchi congiunti romano-visigoti. Infatti, sembra che avesse iniziato a costruire una flotta ancora prima di essere asceso al potere.
Nel 429 Genserico guidò il suo popolo (circa 80.000 persone, di cui 15.000 in armi, i vandali erano valutati circa 50.000) nell'Africa, richiamatovi dalla situazione di caos venutosi a creare per la rivolta dei mauri, che l'autorità imperiale non riusciva a controllare e forse chiamato dal generale romano Bonifacio caduto in sospetto presso la corte romana e vicino alla resa dei conti con il generale Felice e l'imperatore Valentiniano III.
E mentre la popolazione si radunava al porto di imbarco di Julia Traducta, sulla punta più meridionale della penisola iberica, Genserico si volse contro i suebi che, approfittando della partenza dei rivali, avevano invaso la Lusitania, e li sbaragliò.
Portata a termine la traversata (di circa 15 km) i vandali si riversarono in Mauretania (l'odierno Marocco e l'attuale Algeria nordoccidentale), dove conquistarono Caesarea (l'attuale Cherchel, vicino ad Algeri) e l'attraversarono tutta. Giunti in Numidia Cirtensis o Cirtana (l'odierna Algeria orientale), sconfissero i romani, e la conquistarono, nel 430. I romani si erano però asserragliati nelle città, in particolare a Cirta ed Ippona; Bonifacio si era chiuso in Ippona, cui i vandali posero l'assedio (durante l'assedio, il 28 agosto 430, morì sant'Agostino), ma, mancando di tecniche e di macchinari per l'assedio, non riuscirono in un primo momento a prenderla; nel frattempo, inviato dall'imperatore d'Oriente, Teodosio II, era giunto, guidato da Aspar, un contingente militare che unitosi alle truppe di Bonifacio, attaccò i Vandali, che ripetutamente, nel 431, li sconfissero, costringendo Bonifacio a rinchiudersi nuovamente a Ippona, che, finalmente cadde e fu conquistata dai vandali di Genserico. Bonifacio fu richiamato a corte nel 432. Aspar, invece, risulta sia rimasto in Africa a continuare le operazioni militari contro i vandali in quanto il 1º gennaio 434 assunse il consolato a Cartagine. La diocesi d'Africa, ad eccezione delle grandi città, era perduta.
Dato che Bonifacio era stato richiamato in Italia (432), Genserico invase la Numidia proconsolare (le province di Zeugitana e di Byzacena). La guerra cominciava a pesare perché i vandali avevano subito molte perdite e, a parte Ippona, non avevano conquistato le città e infine si profilava una nuova spedizione imperiale guidata da Aspar, per cui furono intavolate trattative con l'imperatore Valentiniano III; il trattato di pace fu firmato ad Ippona l'11 febbraio 435 che riconobbe i vandali al servizio dell'impero romano, come foederati, per il proconsolato di Numidia Cirtana, con capitale Ippona, senza la cessione formale di alcun territorio.
Genserico cominciò a comportarsi come un sovrano autonomo, destituendo sacerdoti ortodossi, che si opponevano all'arianesimo dei vandali che, dal 437, cominciarono ad esercitare la pirateria; pirati vandali, unitisi ai pirati berberi, in quell'anno, razziarono le coste siciliane. Il 19 ottobre 439 conquistarono Cartagine, senza colpo ferire; ci fu saccheggio con atti di violenza, ma, stando alle cronache dell'epoca, nessun edificio fu deliberatamente distrutto o danneggiato; il clero cattolico e la nobiltà vissero il dramma della schiavitù o dell'esilio e tutte le proprietà ecclesiastiche vennero trasferite al clero ariano. Essendosi impadroniti di una parte della flotta navale romana d'Occidente, ormeggiata nel porto di Cartagine, nel 440, organizzarono incursioni in tutto il Mar Mediterraneo, soprattutto in Sicilia e Sardegna, i due granai dell'Impero d'Occidente, Corsica e le isole Baleari. Nel 441, essendo la flotta romana d'Occidente incapace di difendersi dagli attacchi dei vandali, arrivò nelle acque siciliane una flotta orientale, inviata da Teodosio II; i suoi navarchi però indugiarono senza agire, e quando i persiani e gli unni, sembra entrambi pagati da Genserico, attaccarono l'Impero d'Oriente, la flotta rientrò a Costantinopoli.
L'imperatore d'occidente Valentiniano III, nel 442, venne a patti con Genserico riconoscendo ai vandali l'indipendenza e la sovranità sulle terre e sui popoli da loro conquistati, cioè la Numidia Cirtensis, la Zeugitana e la Byzacena (l'insieme delle tre costituisce l'Algeria orientale e la Tunisia attuali). In cambio i romani ottenevano la restituzione delle Mauritanie e della parte di Numidia occupata dai vandali nel 435. In questo modo fu raggiunta la pace.
Questo trattato segnò la fine delle migrazioni del popolo vandalo, che si stabilì nelle ricche terre della Zeugitana, costringendo i precedenti proprietari o a trasferirsi in altre località o a lavorare per i nuovi padroni in posizione subordinata. La stessa sorte toccò anche ai sacerdoti ortodossi che risiedevano nelle zone della cosiddetta "assegnazione vandalica". Cartagine divenne la capitale del regno vandalo e Genserico approvò una nuova datazione che partiva dal 19 ottobre 439, data della presa di Cartagine. Per i successivi trent'anni, i Vandali compirono scorrerie nel Mediterraneo. Ciò nonostante le relazioni tra Genserico e l'impero si mantennero buone sino al 455.
Nel 455, il 16 marzo, l'imperatore Valentiniano III, responsabile dell'uccisione di Ezio, fu a sua volta assassinato dai seguaci dello stesso. I vandali, non riconoscendo l'usurpatore Petronio Massimo (che sembra fosse coinvolto in entrambi gli omicidi) ritennero decaduto il precedente trattato stipulato con Valentiniano. Da qui il pretesto per salpare alla volta dell'Italia (una leggenda narra che fosse l'imperatrice, Licinia Eudossia, a chiamarli); sbarcati a Porto, i vandali affiancati da guerrieri mauri marciarono su Roma, i cui abitanti si diedero alla fuga; Massimo, invece di combattere, si preparava anche lui alla fuga, ma fu ucciso da un soldato della sua guardia. Alla porta Portuense papa Leone I si fece incontro a Genserico e lo implorò di risparmiare la città e la sua popolazione. Genserico accettò e venne quindi accolto in città con il suo esercito. Sebbene la storia parli del violento saccheggio della città eterna da parte dei vandali (da qui la parola vandalismo), in realtà Genserico onorò il suo giuramento: non vi furono né eccidi, né incendi, né dissennate distruzioni e i suoi uomini non devastarono Roma, rispettando le chiese cristiane. Comunque il saccheggio iniziò il 2 giugno 455; fu il terzo Sacco di Roma dopo i Galli di Brenno (390 a.C.) e i Goti di Alarico (410). In questo frangente i vandali portarono via denaro e tesori (furono spogliati il palazzo imperiale, il tempio di Giove Capitolino, col suo tetto aureo, scomparvero i tesori del Tempio di Gerusalemme portati a Roma da Tito dopo la vittoria del 70 sugli ebrei ed altro ancora), mentre Genserico condusse con sé la vedova di Valentiniano, Licinia Eudossia, e le sue figlie, Eudocia (che, giunta a Cartagine, fu data in moglie a Unerico, il figlio di Genserico) e Placidia ed il figlio di Ezio, Gaudenzio e molti notabili romani, che al rientro a Cartagine furono divisi, come schiavi, tra i partecipanti alla spedizione.
Avito, nuovo imperatore d'occidente dal 9 luglio 455, cercò, senza risultati, l'adesione dell'imperatore d'oriente, Marciano, per un'offensiva comune contro i Vandali, che nel frattempo, avevano occupato le restanti province della Mauretania (l'attuale Algeria centro-occidentale), con i mauri pronti a riconoscere l'autorità vandalica. All'inizio del 456, i vandali conclusero un'alleanza con i suebi di Rechiaro, che, rotto il trattato con l'impero, invase i territori della provincia Tarraconense, mentre, nello stesso tempo, Genserico attaccò le coste calabresi e siciliane. Sbarcati ad Agrigento, però i Vandali vennero sconfitti dal generale Ricimero, che, preso il mare incrociò la flotta vandala in Corsica e la sconfisse, sempre nel 456.
Nel 458, i vandali tentarono di formare, in Gallia, una coalizione anti-imperiale con burgundi e visigoti, ma l'imperatore, Maggioriano, recandosi nel mese di novembre in Gallia la fece fallire, e poi passati i Pirenei, avanzò su Saragozza e poi sul porto di Cartagena. Da qui, nel maggio del 460, raggiunse il regno dei vandali, sbarcando in Mauretania e mettendo paura a Genserico che inviò emissari per poter ottenere la pace; al rifiuto di Maggioriano, i vandali devastarono la provincia e ne avvelenarono i pozzi, per rallentarne l'avanzata dell'esercito imperiale; non solo raggiunsero lo scopo, ma, con l'aiuto di alcuni traditori, si impadronirono della flotta romana, ancorata a Illici Augusta a sud dell'odierna Alicante. Maggioriano allora venne a patti, concordò un armistizio e al suo rientro in Italia, a Tortona, perse la vita in una battaglia contro Ricimero il 7 agosto 461; in quello stesso anno sembra che i vandali liberarono, dietro il pagamento di un riscatto, Licinia Eudossia e la figlia Placidia.
Tra la fine del 463 ed il 464, essendo ancora in guerra con l'impero perché non riconosceva il nuovo imperatore, Libio Severo, e poi perché non veniva accolta la sua richiesta di elevare al trono imperiale Anicio Olibrio, che, avendo nel frattempo sposato Placidia, era genero di suo figlio Unerico, fece un accordo col titolare del comando indipendente della Gallia del nord, Egidio, per attaccare contemporaneamente l'Italia; ma la cosa sfumò per l'improvvisa morte di Egidio. Comunque la situazione tra i vandali e l'impero d'Occidente rimase tesa. Nel 467, l'Imperatore d'Oriente, Leone I, nominò il nuovo Imperatore d'Occidente, Antemio e lo fece scortare a Roma dal governatore indipendente dell'Illyricum, Marcellino, che avrebbe poi dovuto proseguire ed attaccare Cartagine; ma la mancanza di venti favorevoli fece abortire il tentativo; Genserico, seccato, sia per la mancata nomina a Imperatore d'Occidente di Olibrio, sia per l'ordine di Leone I di aggredire il suo regno, cominciò da quell'anno ad attaccare anche le coste dell'Illiria, dell'Epiro e della Grecia, non risparmiando neppure Alessandria.
Nel 468 il regno dei vandali fu l'obiettivo dell'ultimo sforzo militare congiunto delle due parti dell'Impero, teso a sottometterli. Ma mentre i vandali venivano sconfitti dai generali Bizantini in Tripolitania e perdevano la Sardegna ad opera di Marcellino con parte della flotta, Genserico sorprese ed incendiò il grosso della flotta nemica al comando del generale romano d'Oriente Basilisco a Capo Bon; meno della metà delle navi imperiali scamparono in Sicilia. Mentre Marcellino, riunite la sua flotta con quella rifugiatasi in Sicilia, si accingeva a salpare per Cartagine, nell'agosto dello stesso anno, fu assassinato da un suo subalterno (forse un sicario di Ricimero).
I vandali rimasero signori incontrastati del Mediterraneo occidentale dallo stretto di Gibilterra alla Tripolitania. Nel 474 fu stipulata la pace perpetua con l'imperatore Zenone, dell'Impero romano d'Oriente, i vandali concessero completa libertà di culto agli ortodossi e permisero la nomina di un nuovo titolare alla carica vescovile di Cartagine (vacante dal 457). Da parte sua, Zenone, nel 476, confermò ai vandali il possesso di tutta la provincia d'Africa (dallo stretto di Gibilterra alla Tripolitania), le isole Baleari (comprese le isole Pitiuse), la Corsica, la Sardegna e la Sicilia (quest'ultima, eccettuata la città di Lilibeo, di interesse strategico, fu ceduta a Odoacre in cambio di un tributo annuo).
In politica interna Genserico dette libertà di religione a tutte le confessioni cristiane, ma volle che tutti i suoi stretti collaboratori si convertissero all'arianesimo. Durante il suo regno le tasse gravarono soprattutto sulle spalle delle ricche famiglie romane e del clero cattolico. Sembrava che nulla potesse fermare la potenza dei vandali, ma con la scomparsa di Genserico sembrò scomparire la loro capacità combattiva. Genserico morì il 25 gennaio del 477, all'età di 87 anni (77 secondo alcune fonti), a Cartagine e, alla sua morte, divenne re il figlio Unerico. Nonostante di fede ariana, come la maggior parte dei vandali, Unerico si dimostrò all'inizio del suo regno tollerante con coloro che professavano la religione secondo il credo niceno, arrivando a permettere l'elezione di un nuovo vescovo di Cartagine nel 481, su richiesta dell'imperatore Zenone. Perseguitò però gli adepti dell'eresia manichea.
Presto però iniziarono le persecuzioni anche contro i cattolici punendo tutti coloro di etnia vandala che si erano convertiti al cattolicesimo, cercando di incamerare tutti i loro possedimenti. Comunque un gran numero di individui fu esiliato a causa del loro credo religioso. La politica nei confronti della religione era contraddittoria al punto che, dopo aver permesso il 1º febbraio 484 un concilio tra vescovi ariani e cattolici il 24 febbraio dello stesso anno emanò un decreto in cui ai sacerdoti cattolici fu proibito di esercitare qualsiasi funzione e di abitare sia in città che nei villaggi, tutte le chiese cattoliche e le loro proprietà passavano al clero ariano; i funzionari regi di fede ortodossa erano privati della loro carica e tutti i cittadini di fede ortodossa erano multati e se perseveravano nella loro fede, qualora non avessero abbracciato la dottrina ariana, entro il 1º giugno dello stesso anno sarebbero stati dichiarati eretici, gli sarebbero stati confiscati i loro beni e sarebbero stati deportati. Al loro deciso rifiuto migliaia di cattolici furono allora esiliati in Corsica e in veri e propri campi di concentramento nell'entroterra africano, dove morirono a centinaia per le condizioni di vita estreme.
Il decreto del 24 gennaio 484, in cui ai sacerdoti cattolici fu proibito di esercitare qualsiasi funzione e di abitare sia in città che in campagna, tutte le chiese cattoliche e le loro proprietà passavano al clero ariano. I funzionari regi di fede ortodossa erano privati della loro carica e tutti i cittadini di fede ortodossa erano multati e se perseveravano nella loro fede gli venivano confiscati i loro beni e venivano deportati. I più fortunati furono rimossi dagli uffici divini ma fu permesso loro di rimanere presso le precedenti diocesi, ma molti, torturati e bruciati vivi sul rogo, subirono il martirio in quella che fu una delle più crudeli persecuzioni della storia della cristianità.
Mentre in quel periodo i Vandali, rafforzando ulteriormente la marina, mantennero il controllo delle isole del mediterraneo occidentale, nell'entroterra africano tuttavia i berberi iniziarono la conquista della regione corrispondente grossomodo all'odierna Algeria, creando ai vandali non pochi problemi logistici a causa dei loro continui attacchi che minacciavano i collegamenti e le comunicazioni tra i possedimenti di Cartagine e Tangeri. Unerico, che fu il primo vandalo a fregiarsi del titolo di Re dei Vandali e degli Alani, fu colpito alla fine del 484 dalla peste (considerata dai cattolici una punizione divina per le sue persecuzioni) e morì dopo pochi giorni il 23 dicembre del medesimo anno. Gli successe il nipote Gutemondo.
In quegli anni, i più potenti rivali dei vandali, cioè visigoti, ostrogoti e Impero Bizantino, erano impegnati in lunghe e sanguinose guerre, che impedirono loro di dedicarsi alla conquista del Regno Vandalo che, dopo aver toccato il suo apogeo sotto Genserico, iniziava un rapido declino. La persecuzione contro i cattolici fu attenuata, e, nel 487, la maggior parte delle chiese ortodosse erano riaperte e gli ecclesiastici esiliati stavano rientrando. Stabilizzò quindi la situazione economica interna, che sotto Unerico era arrivata sull'orlo del collasso.
Approfittando del conflitto tra Odoacre e Teodorico, i vandali cercarono di riappropriarsi della Sicilia, ma le truppe spedite sull'isola, nel 491, furono ricacciate dagli ostrogoti.
A Guntemondo successe il fratello, Trasamondo, descritto dagli storici del tempo come un sovrano poco capace, inadatto al suo ruolo. Sotto la sua guida il Regno dei vandali subì continui attacchi dalle popolazioni berbere e dei mauri che portarono alla perdita di quasi tutto il territorio che oggi fa parte dell'Algeria. Negli ultimi anni del suo regno inoltre l'importante città portuale di Leptis Magna, sulla costa mediterranea, fu saccheggiata e distrutta dai berberi mettendo in risalto l'estrema debolezza in cui si trovava il Regno dei vandali. Riuscì tuttavia a mantenere e consolidare una forte presa su quello che è considerato il "cuore" del Regno, oggi corrispondente al territorio tunisino, alla parte più orientale dell'Algeria e alla Tripolitania; le tribù di Tripoli però, negli ultimi anni di regno, si resero indipendenti e lo sconfissero duramente.
In politica interna, Trasamondo continuò la politica del fratello che aveva messo fine alle persecuzioni contro i cattolici, iniziate dallo zio Unerico, pur riprendendo una politica anticattolica, evitando però i metodi violenti, ripresero gli esili tra il clero cattolico, tra cui il vescovo di Cartagine, usandogli però i dovuti riguardi; questa politica gli permise di far progredire significativamente le relazioni con l'Impero Bizantino.
I vandali fecero un'alleanza con gli ostrogoti, e nel 500, in seconde nozze, Trasamondo sposò la sorella del loro re, Teodorico, Amalafrida, che portò in dote la città siciliana di Lilibeo ed il suo circondario (l'estremità occidentale della Sicilia). L'alleanza scricchiolò, tra il 510 ed il 511, quando i vandali aiutarono il re dei visigoti, Gesalico, figlio illegittimo di Alarico II che Teodorico considerava un usurpatore del trono a scapito del figlio legittimo di Alarico II, Amalarico, che per parte di madre era nipote di Teodorico; abbandonato Gesalico al suo destino, l'alleanza tra vandali e ostrogoti tornò solida.
A Trasamondo successe il cugino Ilderico, di circa sessant'anni, figlio primogenito di Unerico e di Eudocia, che tra il 484 e il 523, aveva vissuto per quasi quarant'anni a Costantinopoli, al seguito di Eudocia quando fu ripudiata. Orgoglioso del suo sangue romano, era in ottimi rapporti con i membri della corte imperiale, specialmente con Giustiniano I, che governava per conto dell'imperatore Giustino I. Convertitosi da tempo all'ortodossia materna, oltre a cessare le persecuzioni religiose cambiò anche la tradizionale politica vandala di allineamento con gli ostrogoti, finendo inevitabilmente in attrito con la nobiltà.
Ilderico, richiamò gli esuli, restituì le chiese agli ortodossi e permise la nomina di un nuovo vescovo cattolico a Cartagine, facilitando la conversione al cattolicesimo di molti vandali. Amalafrida, la vedova del suo predecessore Trasamondo, e la sua guardia ostrogota si ribellarono, ma i goti finirono massacrati e l'ex regina in carcere. Il re degli ostrogoti, Teodorico, nel 526, allestì una flotta per vendicare l'affronto, ma, prima di salpare, morì. Ilderico si disinteressò completamente delle operazioni belliche dei vandali e delegò per esse il proprio cugino Hoamer. I vandali dovettero contrastare la ribellione dei mauri, iniziata con Trasamondo, che ormai controllavano la Mauritania Tingitana, la Mauritania Sitifense e la Numidia meridionale e dal 525 anche la Mauritania Cesariense, esclusa la capitale, Cesarea; inoltre nei suoi sette anni di governo l'esercito vandalo subì numerose sconfitte da parte dei berberi che strapparono al Regno la Tripolitana.
Dopo che, nel 530, un esercito inviato in soccorso a Cesarea fu battuto, un colpo di Stato depose Ilderico, lo incarcerò e al suo posto fu eletto il capo della rivolta, Gelimero, cugino di Ilderico.
L'imperatore d'Oriente Giustiniano I, che appoggiava Ilderico, intimò a Gelimero di esercitare pure il potere ma di rimettere almeno formalmente sul trono il vecchio re Ilderico. Gelimero rifiutò. Allora Giustiniano, che voleva restaurare l'impero nel Nord Africa, siglata la pace coi Persiani, nel 532, l'anno dopo, dichiarò guerra ai vandali, considerati i tre fattori favorevoli:
- il regno ostrogoto rimase neutrale permettendo ai Bizantini l'approvvigionamento in Sicilia
- Goda, il governatore vandalo della Sardegna si era ribellato
- la popolazione romana d'Africa aveva promesso che avrebbe appoggiato i Bizantini.
Nell'estate del 533, al comando di Belisario, l'esercito bizantino sbarcò sul promontorio di Caput Vada. L'esercito vandalo oppose una grande resistenza, il 13 settembre, nella battaglia di Ad Decimum; dopo un iniziale vantaggio, alla morte di Gibamondo, nipote di Gelimero, i vandali si scoraggiarono e furono sconfitti.
Belisario allora marciò su Cartagine che si consegnò ai Bizantini. Il 15 ottobre 533, domenica, Belisario, accompagnato dalla moglie Antonia, fece il suo formale ingresso a Cartagine risparmiandole saccheggio e massacro. I vandali assediarono la città, anche dal mare, ma dato che i rinforzi dalla Sardegna non arrivarono, tolsero l'assedio e a metà dicembre vi fu lo scontro decisivo; il 15 dicembre 533 vandali e bizantini si scontrarono nuovamente alla battaglia di Ticameron, a circa 30 chilometri da Cartagine. In questo combattimento morì Tzazo, fratello di Gelimero e fu il segnale della sconfitta, durante la quale i tesori e la famiglia reale furono catturati dai Bizantini. Belisario puntò su Ippona, seconda città vandala ed in poco tempo occupò tutte la città del regno dei vandali.
Nel marzo del 534, circondato sul monte Pappua, Gelimero si arrese a Belisario. Secondo Procopio di Cesarea (La guerra vandalica, II, 9) Belisario portò parte della popolazione vandala a Costantinopoli, dove l'imperatore donò a Gelimero delle terre in Galazia, in cui visse come un pensionato imperiale. Ma il regno dei vandali era scomparso per sempre. Il regno vandalo d'Africa, incluso le isole, Sardegna, Corsica e Baleari venne riconquistato dai Bizantini. Ma alla caduta del regno vandalo si erano ribellate le tribù berbere e i mauri, che tennero impegnate le truppe bizantine per circa quindici anni. La nuova provincia d'Africa si poté considerare definitivamente pacificata solo nel 548. Dei Vandali però non rimasero molte tracce.

Eugenio Caruso - 6 agosto 2018

LOGO

Tratto da

1

www.impresaoggi.com