teodorico
I GRANDI PERSONAGGI STORICI - Imperatori romani
Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona.
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Avito Flavio
Flavio Eparchio Avito ( Augstonemetum, 395 circa – 457) è stato un imperatore d'Occidente dal 455 alla sua morte. Senatore, fu un ufficiale di alto rango, sia civile sia militare, nonché vescovo di Piacenza.
Aristocratico gallo-romano, Avito cercò di opporsi alla riduzione dell'Impero romano d'Occidente alla sola Italia, sia dal punto di vista territoriale sia da quello amministrativo. Le sue nomine di ufficiali di stirpe gallica nell'amministrazione imperiale gli inimicarono, però, sia l'aristocrazia senatoriale sia la popolazione di Roma, provata dal sacco dei vandali del 455. Avito era in ottimi rapporti con i visigoti di Teodorico II, di cui era amico personale e che lo acclamò imperatore: la prospettiva di una solida e profittevole alleanza tra romani e visigoti naufragò, però, quando quest'ultimi occuparono la Hispania romana e quando non diedero il proprio appoggio all'imperatore gallo in occasione della ribellione dei comandanti italici.
Con la sua deposizione, dopo appena quindici mesi di regno, il destino di decadenza dell'Impero d'Occidente fu definitivo.
Avito nacque ad Augustonemetum (l'odierna Clermont-Ferrand, in Francia), nella Gallia Aquitania, intorno al 395 da una prestigiosa famiglia gallo-romana di rango senatoriale; era probabilmente figlio di Agricola (console nel 421) e di una nobildonna, ed ebbe almeno tre figli: Agricola, Ecdicio (in seguito patrizio e generale sotto Giulio Nepote) e Papianilla (che sposò il poeta Sidonio Apollinare). Era imparentato con Magno Felice. Avito ricevette un'educazione adeguata al suo rango, e studiò legge. Poco prima del 421 fu inviato presso il potente patricius Flavio Costanzo, allo scopo di perorare una richiesta di riduzione delle tasse per la propria gente, ottenendo un successo. Un suo parente, Teodoro, era ostaggio presso la corte del re dei visigoti Teodorico I: nel 425/426 gli fece visita e conobbe così il sovrano, entrando nelle sue grazie. Conobbe poi, intorno al 439, anche il figlio di Teodorico I, poi salito al trono come Teodorico II, che riuscì a convincere a studiare i poeti latini.
Dopo aver raggiunto posizioni di rilievo nella carriera civile, si dedicò a quella militare. Servì sotto il magister militum Flavio Ezio nelle campagne contro gli iutungi e i norici (430/431) e contro i burgundi (436). Nel 437, divenuto vir inlustris, tornò in Alvernia, dove assunse un posto di alto grado, probabilmente magister militum per Gallias: nello stesso anno sconfisse in battaglia presso Clermont un contingente di predoni unni e obbligò Teodorico a togliere l'assedio a Narbona. Nel 439 divenne Prefetto del pretorio delle Gallie: nello stesso anno contrattò il rinnovo del trattato di amicizia con i visigoti.
Prima dell'estate del 440 si ritirò a vita privata nei suoi possedimenti terrieri chiamati Avitacum, nei pressi Clermont. Qui rimase fino al 451, quando gli unni, guidati da Attila, invasero l'Impero: Avito usò la propria influenza presso Teodorico per convincerlo ad allearsi ai romani di Ezio; Teodorico ed Ezio sconfissero Attila nella battaglia dei Campi Catalaunici, dove, però, il sovrano visigoto perse la vita.
Nella tarda primavera del 455, Avito fu richiamato in servizio dall'imperatore Petronio Massimo, che lo nominò nuovamente magister militum, probabilmente praesentalis, e lo inviò in missione diplomatica presso la corte di Teodorico II, succeduto al padre, a Tolosa: tale missione aveva probabilmente lo scopo di confermare al nuovo sovrano e ai visigoti lo status di foederati e di garantire il sostegno al nuovo imperatore. E fu proprio alla corte del sovrano visigoto che gli giunse la notizia della morte di Petronio Massimo (22 maggio) e del sacco di Roma da parte dei vandali di Genserico. Teodorico colse l'opportunità, e acclamò Avito imperatore a Tolosa: il 9 luglio, il nuovo imperatore ricevette l'acclamazione dai capi galli riuniti a Viernum, vicino Arelate, e poi, intorno al 5 agosto, prima che Avito giungesse a Roma, il riconoscimento del Senato romano.
Attese tre mesi in Gallia per consolidare il suo potere prima di scendere in Italia con un esercito gallico rafforzato probabilmente con un contingente goto. Probabilmente passò per il Norico a restaurare il potere imperiale; poi passò da Ravenna, dove lasciò un contingente goto al comando del visigoto Remisto, che aveva nominato patricius e magister militum. Il 21 settembre, infine, entrò a Roma.
Il potere di Avito sarebbe dipeso dall'atteggiamento delle principali forze in gioco sullo scacchiere dell'Impero d'Occidente. Il nuovo imperatore doveva ottenere il sostegno sia delle istituzioni civili, come il Senato romano e l'imperatore d'Oriente Marciano, che delle componenti militari, nella fattispecie i generali dell'esercito romano Maggioriano e Ricimero e i vandali di Genserico.
Il 1º gennaio 456 assunse il titolo di console, come costume per gli imperatori, che tenevano il consolato per il primo anno che iniziavano sul trono. Il consolato sine collega (senza collega) di Avito non fu però riconosciuto in Oriente, dove furono consoli Flavio Giovanni e Flavio Varane. Il mancato riconoscimento reciproco dei consoli indica che, malgrado l'immediato tentativo di Avito di ottenere il riconoscimento di Marciano, i rapporti tra i due imperi non furono di piena collaborazione.
Il problema delle incursioni dei vandali era talmente sentito che già Marciano aveva cercato di trattare l'interruzione degli assalti alle coste italiane, inutilmente; Avito rinnovò il tentativo, appellandosi al trattato stipulato tra Genserico e Valentiniano III nel 442 e confidando nell'esercito romano e nelle forze alleate. Gli attacchi dei vandali ripresero nel marzo 456, malgrado un ulteriore ambasciata di Marciano, con la distruzione di Capua; Avito incaricò Ricimero di difendere la Sicilia dagli attacchi di Genserico, e le forze romane sconfissero quelle vandale in due successive battaglie, una di terra vicino Agrigento e una navale in Corsica.
Il regno di Avito vide anche l'espansione dei visigoti in Hispania, formalmente per conto dei romani, in effetti in maniera autonoma. Già nel 455 Avito aveva inviato un ambasciatore, il comes Frontone, presso i suebi, stanziati nella penisola iberica; successivamente fu Teodorico II a intimare ai suebi di dichiarare la propria lealtà all'Impero, cui i visigoti erano legati da un trattato, ma quando i suebi reagirono invadendo la Hispania Tarraconensis romana, i visigoti li attaccarono e sconfissero nella battaglia del fiume Urbicus (5 ottobre 456), occupando la regione, almeno nominalmente, in quanto foederati dell'Impero.
Intanto, il risentimento della popolazione romana contro Avito cresceva. L'imperatore gallo-romano, infatti, aveva concesso molti posti di rilievo dell'amministrazione pubblica a membri dell'aristocrazia gallo-romana. Inoltre la città di Roma, uscita devastata dal sacco dei vandali, soffrì a causa della penuria di cibo, già scarso a causa della supremazia navale vandala e ulteriormente razionato a causa delle truppe straniere al seguito di Avito. Le casse dello stato, infine, erano vuote, e quando i soldati visigoti dell'imperatore furono congedati, dietro pressione del popolo, li si pagò con il denaro ottenuto dalla vendita del metallo di alcune statue bronzee, fuse per questo scopo. Tutti questi eventi non fecero che aumentare l'impopolarità di Avito.
Approfittando del malcontento popolare, dell'allontanamento delle truppe dell'imperatore e del prestigio derivato dalle vittorie riportate, Ricimero e il comes domesticorum Maggioriano si ribellarono, e Avito fu costretto ad allontanarsi dalla città (a inizio autunno), dirigendosi a nord. Ricimero convinse il Senato romano a deporre Avito e fece assassinare a Ravenna, nel Palazzo in Classis, il magister militum Remisto, il 17 settembre 456.
Avito nominò Messiano, che lo aveva aiutato nella sua missione presso i visigoti per conto di Petronio Massimo, nuovo magister militum al posto di Remisto; probabilmente si recò in Gallia (ad Arelate), con lo scopo di raccogliere le forze disponibili (presumibilmente quelle che aveva appena congedato); infine impegnò in battaglia l'esercito nemico, guidato da Ricimero, a Piacenza. L'imperatore entrò in città col proprio esercito di alleati, scontrandosi col grande esercito di Ricimero; dopo un grande massacro di suoi uomini, tra cui Messiano, Avito fuggì (17 o 18 ottobre).
Ricimero e Maggioriano decisero di risparmiare la vita all'imperatore: depostolo, lo obbligarono a farsi consacrare vescovo di Piacenza, per mano del vescovo di Milano Eusebio. Fu poi Maggioriano stesso a salire sul trono imperiale.
La morte di Avito avvenne in circostanze non chiare, nel 457. Avito era infatti ancora un pericolo: in alcune zone dell'impero era ancora considerato l'imperatore,[16] e le fonti attestano in Gallia un tentativo di colpo di Stato di un certo Marcello forse con lo scopo di rimettere il nobile gallo-romano sul trono.
Avendo saputo che era stato condannato a morte dal Senato romano, Avito tentò di rifugiarsi in Gallia, con la scusa di portare dei doni alla basilica di san Giuliano in Alvernia, la sua terra di origine. Secondo Gregorio di Tours, l'ex-imperatore morì durante il viaggio; per altre fonti, fu eliminato da Maggioriano, il quale lo strangolò o lo fece morire di fame.
Fu sepolto a Brioude, vicino alla tomba di san Giuliano.
Eugenio Caruso - 10 agosto 2018
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