In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"
Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.
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13. L'autunno caldo del 1969
Il vaso scoperchiato da Giovanni XXIII, Kennedy e Chrušcëv impone alla politica un passo che essa non è in grado di tenere, perché frenata dai piccoli e grandi centri di potere. In questo quadro internazionale scoppia una protesta generazionale di proporzioni inusitate.
Berkeley, 1964, nella città universitaria, uno dei simboli della più avanzata società statunitense, prende vita la rivolta. Il contagio è immediato, secondo un meccanismo imitativo la contestazione giovanile investe tutto il mondo industrializzato; «vogliamo riprenderci la vita», gridano gli studenti della Sorbona. La rivoluzione investe e mette fuori gioco il modo di essere della generazione dei "vecchi": il modo di vestire, la cultura, la musica, i rapporti sociali. Konrad Lorenz (Lorenz, 1974) spiega il fenomeno, sia con l'aggressività, che sarebbe un istinto naturale dell'uomo, che si può mascherare o dirigere, ma non sradicare e dominare del tutto, sia con l'educazione permissiva, che porterebbe, paradossalmente, a rifiutare quella gerarchia, che si riveli incapace di mantenere vivo il principio d'autorità.
In quel periodo ero assistente presso la facoltà di fisica di Milano; fui coinvolto in quegli avvenimenti in quanto venne aperto un corso di Fisica Generale 1, che mi fu affidato; non ebbi nessun problema in quell'ambito. I professori anziani non accettavano le richieste degli studenti e lo sconro fu duro.
In Italia, vemgono organizzate alcune manifestazioni nell'anno accademico '66-'67, ma il segnale di una vera rivolta contro le istituzioni si ha all'inizio dell'A.A. '67-'68 nella facoltà di sociologia della facoltà di Trento. A novembre viene occupata la Cattolica di Milano, dove regna un duro e retrivo autoritarismo; il rettore chiama la polizia ed espelle alcuni studenti. La protesta si estende a Torino e raggiunge l'apice a Roma, dove viene occupata la facoltà di architettura; studenti e provocatori di destra e sinistra si scontrano con la polizia, a Valle Giulia, in una battaglia urbana, restano feriti decine di studenti e poliziotti. Il crogiolo della contestazione resta in ebollizione per tutto il '68; i movimenti hanno individuato il nemico nei poliziotti, considerati lo strumento che lo stato utilizza per la propria sopravvivenza.
In questa fase, tra i movimenti, si impone il Movimento studentesco che da organizzazione studentesca inizia l'attività politica ufficiale all'inizio del 1968 attività che proseguirà fino al 1976. La composizione iniziale era costituita da studenti della borghesia milanese di orientamento politico di sinistra e la sua impostazione ideologica era influenzata dai concetti leninisti e stalinisti di lotta di classe ed avanguardia rivoluzionaria. In genere le sue linee di azione si basarono sulle assemblee, tendendo a rifiutare le impostazioni verticistiche, ma richiedendo la loro approvazione nelle assemblee studentesche. Concetti simili influenzarono anche la sua struttura organizzativa, molto più ordinata e organizzata delle altre strutture spontanee cresciute nel periodo. Esponenti di rilievo furono: Mario Capanna, Luca Cafiero, Sergio Cofferati, Fabio Guzzini, Giuseppe Liverani, Gino Strada, Salvatore Toscano.
Il pensatore cui fa riferimento la contestazione giovanile è Marcuse, il filosofo dell'esaltazione dello «stato di tensione» tra «ciò che è» e ciò che «potrebbe essere», il filosofo del recupero teorico della valenza rivoluzionaria del marxismo. Marcuse piace ai giovani perché rigetta il ripiegamento del marxismo a pura dottrina economica; per il filosofo tedesco, economia e politica vanno viste, infatti, sulle basi di una determinata interpretazione filosofica dell'uomo e della sua realizzazione storica (Marcuse, 1966). Se il riferimento teorico della contestazione è Marcuse, quello eroico è rappresentato dal guerrigliero Che Guevara, mentre, il Libretto rosso di Mao, che indirizza la rivoluzione culturale cinese spazzando dirigenti e intellettuali e trasformando la Cina in una cupa caserma, diventa l'alambicco ideologico della rivolta.
La contestazione nasce dall'esigenza di nuovi diritti e nuovi spazi da parte dei giovani, contro ogni forma d'autoritarismo, come critica nei riguardi della società dei padri, per rafforzare gli ideali di tolleranza e libertà (anche la lettura del marxismo, avviene in chiave iconoclasta, libertaria e anti-centralista), ma essa finisce col praticare comportamenti autoritari e discriminatori, che, miscelati al settarismo ideologico, faranno perdere unità d'azione ai vari movimenti. Alberto Ronchey (Ronchey, 1977) afferma che si assiste a una forma di «estremismo rivoluzionario-permissivo», che trova terreno fertile in una società nella quale «nessuno comanda e nessuno obbedisce».
La contestazione italiana, con il suo carico eversivo, nasce anche dalle aspettative disattese dal centro-sinistra, che tra il '64 e il '68 si è trascinato tra speranze e delusioni alla ricerca di un punto d'equilibrio tra interessi contrastanti. La risposta all'inerzia della classe politica è l'attivismo radicale e incontrollato della base, con la saldatura tra i movimenti studenteschi e frange di lavoratori. Vedono la luce un gran numero di gruppi rivoluzionari: i maoisti di Servire il popolo , i leninisti filo-maoisti di Avanguardia operaia , i libertari di Lotta continua , i leninisti di Potere operaio. La loro ispirazione è intellettualistica e manichea, ma i gruppi che vanno costituendosi, diventano una miniatura dei partiti politici con tanto di leader, gerarchie, correnti e statuti in feroce polemica tra loro (Guerri, 1997).
Un elemento che accomuna i vari movimenti e i partiti politici della sinistra è lo scissionismo.
Il segretario del Pci, Longo, nel maggio '68, esce con un articolo con il quale disegna le ragioni strutturali di un'alleanza tra movimento studentesco e classe operaia. L'apertura al movimento dà ragione a Longo, infatti, le elezioni del 19 maggio 1968 vedono una forte confluenza del voto giovanile nel Pci (Folena, 1997).
Eredità del '68 saranno, in positivo, un nuovo atteggiamento nei confronti dell'autorità, posizioni meno dogmatiche in politica, nuovi rapporti tra i sessi, la liquidazione di molte residue nostalgie fasciste, ma anche, in negativo, l'esaltazione dell'effimero, la libido per la parola, l'illusione di una maggiore libertà individuale, l'esasperazione dei diritti, l'ampliamento della sfera dei consumi, l'omologazione e l'edonismo culturali, il cinismo politico, l'esaltazione dei valori maschili dominanti, elementi che saranno responsabili delle storture degli anni '80 e della crisi culturale che n'è derivata.
Come s'è visto, quando alla fine del '68 la contestazione studentesca si affloscia, le frange più radicali confluiscono nelle formazioni marxiste-leniniste, che a loro volta dànno vita a "gruppuscoli" rivoluzionari, che iniziano la loro guerra alle "tigri di carta" dell'imperialismo, trovando il clima favorevole delle grandi lotte operaie del '69. Se il '68 è stato l'anno degli studenti, il '69 è quello delle tute blu; la lotta si trasferisce dalle università ai cancelli della Fiat, della Pirelli, dell'Alfa, della Sit-Siemens, della Magneti Marelli. Il cosiddetto "autunno caldo" ha sullo sfondo il rinnovo di ben 32 contratti collettivi di lavoro; oltre cinque milioni di lavoratori sono decisi a far sentire il peso delle loro rivendicazioni.
La lotta alla Pirelli diventa un esempio da seguire, e, in molte altre fabbriche del Nord, i sindacati sono scavalcati dallo spontaneismo e dall'attivismo dei Cub, i comitati unitari di base. Ma l'azione rivoluzionaria nelle fabbriche si scontra e si frantuma contro una realtà: la mancanza di una reale coscienza anticapitalista e la fedeltà della classe operaia al sindacato, che riesce a riprendere il controllo della situazione con la mobilitazione in occasione del rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Il Pci, preoccupato da eventuali scavalcamenti a sinistra, è incapace di sviluppare una critica efficace nei riguardi dei movimenti eversivi che trovano nella contestazione giovanile il miglior brodo di coltura; all'interno del partito si acutizza il conflitto con i settori più vicini ai movimenti, e, nell'estate del '69, il gruppo del Manifesto viene radiato. Peraltro, Berlinguer, appena nominato vice-segretario, mantiene aperto il dialogo con il movimento studentesco; osserva Folena «Un atteggiamento diverso avrebbe probabilmente condannato il Pci a un'involuzione operaista e settaria, come successe poi, in larga parte, ai comunisti francesi».
Una conquista della classe operaia sarà, nel maggio '70, l'approvazione dello statuto dei lavoratori, una carta di diritti: di assemblea, di organizzazione sindacale, di tutela dai lavori pericolosi, di appello alla magistratura in caso di licenziamento senza giusta causa. Sempre sotto la pressione sindacale, nel '71, viene approvata la riforma della casa; gli interessi consolidati e la burocrazia dello stato avversano il decentramento dell'edilizia pubblica agli enti locali e fanno sì che la riforma risulti inefficace e abborracciata (Ginsborg, 1989). La riforma fiscale degli anni '71-'73 si rivelerà un boomerang per i lavoratori dipendenti; mentre vedono le proprie tasse dedotte alla fonte, assistono alla più massiccia evasione fiscale d'Europa, da parte di liberi professionisti, lavoratori autonomi e imprenditori.
Nel grande scacchiere mondiale, la posizione dell'Italia inizia ad apparire precaria; la definizione del Paese come "ventre molle dell'alleanza atlantica" circola negli ambienti diplomatici e in questo quadro si apre la strada alla seconda stagione della strategia della tensione. A fronte dell'atroce conta delle vittime di questa strategia, si assisterà, come abbiamo già osservato, a processi interrotti, ripetuti, spostati, dall'esito incerto e contraddittorio, a indagini sviate con ogni mezzo a spiragli di verità subito chiusi. Una sola costante caratterizzerà ogni tentativo di far luce sui registi della strategia della tensione il pervicace occultamento della verità attraverso silenzi e menzogne.
Eugenio Caruso - 18 settembre 2018
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