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Italia: vizi e virtù. La fine del compromesso storico


In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"

Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.

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18. La fine del compromesso storico

Spinelli , in un'analisi sul compromesso storico, scriveva: «ogniqualvolta la sinistra parla di dover superare il capitalismo e introdurre il socialismo, allora regolarmente conclude che non sa esattamente cosa sia il socialismo, ciò perché il modo di pensare marxista ci ha distolto dal pensarci. Si tratta di una vera e propria prigione intellettuale che condanna alla sterilità tanta parte del pensiero politico della sinistra in Europa, e dalla quale bisogna volere e sapere uscire, … allora, i partiti di ispirazione socialista dovrebbero sentire il dovere di agire, non già avendo come idea centrale la sostituzione del capitalismo con il socialismo, ma allo scopo di far trionfare gli ideali di libertà, giustizia e uguaglianza, come risposta alle sfide dei problemi della società» (Spinelli, 1978).
Ma per realizzare questi ideali c'è bisogno di un grande accordo, «Il Pci sa di dover portare in questa rifondazione una consapevole e definitiva accettazione della democrazia formale», intesa come un regime che si fondi «sul consenso da parte di un'enorme maggioranza, possibilmente la totalità, dei cittadini e delle forze politiche e sociali del Paese....quello che Rousseau chiamava la volonté générale». Dice ancora Spinelli «I governi conservatori possono governare bene anche con deboli maggioranze», se invece il governo è di tendenza innovatrice e la sua azione va contro la volontà dell'establishment, allora c'è bisogno di un ampio consenso.
Il pensiero di Spinelli illustra, in modo ragionevole, le ragioni che erano alla base del compromesso storico e gli strumenti che sarebbe stato necessario usare.
Nella realtà storica, si può affermare che con i governi del compromesso storico vengono consumati il tradimento nei confronti delle masse, alle quali è ancora proposto il conflitto di classe, e l'inganno nei confronti degli elettori, che hanno creduto nella questione morale e sperato in un ricambio della classe politica. Nella realtà si consolida infatti il coinvolgimento del Pci nel sottogoverno e viene avviata l'operazione politico-affaristica, che sarà chiamata consociativismo e che acutamente Piero Ottone ha definito come una nuova versione del trasformismo, perché strumento di conservazione del potere da parte dei gruppi di potere; pragmaticamente si impone la filosofia politica andreottiana, condensata in brevi ed efficaci battute, come, «tanto le cose si aggiustano, basta aspettare», oppure, «meglio tirare a campare che tirare le cuoia». Giova ricordare che ancora oggi, nel 2018, la presenza di comunisti o post comunisti, nella magistratura, nel giornalismo, nell'alta burocrazia è ancora forte.
I governi di solidarietà nazionale, per la verità ostacolati sia dalla crisi economica mondiale che dall'impegno prioritario della lotta al terrorismo, non producono nessun effetto benefico per il Paese: l'attività legislativa è misera, perché sfibrata da negoziati infiniti, le misure di "austerità" sono insignificanti, aumentano paurosamente il fabbisogno tributario e l'indebitamento dello stato, l'inflazione raggiunge nel 1980 il 22% annuo. Di converso, la Rai , rimasta per trent'anni monopolio democristiano, con la legge 103, dell'aprile '75, viene affidata al controllo del Parlamento e i partiti interpretano la legge come una legittimazione della spartizione: Rai 1 alla Dc, Rai 2 allo Psi, Rai 3 al Pci e, nel '78, la riforma della sanità è interpretata, anch'essa, come l'autorizzazione alla lottizzazione dei consigli di amministrazione degli enti sanitari. Sostanzialmente ha ancora successo la strategia democristiana di fingere di cambiare qualcosa per non cambiare nulla e l'ossimoro moroteo, già adottato con il centro sinistra, dell'attivo immobilismo.
Con la morte di Aldo Moro muore anche il progetto di "compromesso storico"; infatti, nella Dc si creano le condizioni che portano alla svolta del "preambolo". Come già visto, Craxi prende saldamente in pugno la gestione dello Psi e afferma di volersi impegnare in governi di solidarietà «solo per il tempo necessario a superare la crisi», Berlinguer, da parte sua, pone alla Dc l'aut, aut, «o al governo o all'opposizione», la Dc è intransigente, perché disposta ad accettare solo accordi di programma con il Pci.
Lo Psi si è oramai reso conto che l'alleanza tra i due partiti di massa, la Dc e il Pci, potrebbe mostrare l'inutilità di un partito che abbia funzione di interlocuzione e di mediazione. Ammette Giuliano Amato «Il partito socialista visse il periodo del compromesso storico come una vicenda di agonia minacciata e si adoperò a trovare e a valorizzare tutti gli argomenti che facevano apparire l'esperienza della solidarietà nazionale come una tomba, anche per la libertà del Paese ... Penso che Craxi vedesse in Berlinguer l'interprete di quell'incontro diretto tra cattolici e comunisti che considerava il peggior tritacarne che la politica nazionale avesse inventato».
Cosicché i socialisti di Craxi si muovono per creare una frattura tra le due forze politiche e per mostrare la validità della formula: "si può governare senza i comunisti"; il pentapartito, retto da Craxi, del luglio '83, sarà il coronamento di questo lungo percorso. Le camere eleggono, l'8 luglio '78, l’ex partigiano, Sandro Pertini, presidente della repubblica; la Dc si astiene dal voto per una settimana, cercando di logorare gli altri candidati e sperando di imporre il proprio, Guido Gonella che cadrà anch’egli sotto la ferrea legge del “chi entra papa esce cardinale”; la Dc rinuncia, infatti, al tentativo constatando l'indifferenza e l’insofferenza dell'opinione pubblica (Galli, 1993). Il settennato del nuovo presidente sarà caratterizzato da atteggiamenti gigioneschi e da alcune intemperanze bizzose, ma Pertini sarà, forse, il solo uomo politico al quale gli italiani tributeranno, in quegli anni, un affetto sincero e spontaneo per una vita condotta con coraggio e onestà.
Il governo andreottiano della "solidarietà nazionale", che l'uccisione di Moro e l'elezione di Pertini avevano provvisoriamente compattato, entra in coma. I comunisti si dichiarano non più disponibili a fare i «donatori di sangue» e dichiarano cadute le condizioni per un loro appoggio al governo. I socialisti vagheggiano, a parole, spostamenti a sinistra, ma sopportano malvolentieri l'accordo tra Dc e Pci, che rende ininfluente il loro apporto (Montanelli, 1993). Il 31 gennaio '79 Andreotti presenta le dimissioni, e la Dc, ritenendo utile affrontare le elezioni politiche su una piattaforma di contrapposizione al Pci, trascina la crisi a lungo in modo da dimostrare che non esiste alternativa alle elezioni anticipate. Pertini affida l'incarico a La Malfa, che non riesce a superare l'ostracismo della Dc verso il Pci.
Al quinto governo Andreotti un tripartito (Dc, Psdi, Pri; 21/3/79-5/8/79), è affidato il compito di portare il Paese alle elezioni anticipate ; d'altra parte sono imminenti le elezioni europee, tanto vale unificare le due consultazioni. Ma, per i soliti bizantinismi costituzionali e giuridici del "palazzo" si stabilisce di indire le elezioni politiche il 3 giugno e quelle europee il 10 giugno. Il periodo preelettorale coincide con un rigurgito sanguinario di attacchi terroristici; un mese prima delle elezioni, un commando brigatista, con un'azione di guerriglia urbana, fa irruzione in una sede romana della Dc; una pattuglia della polizia intercetta i terroristi che uccidono due agenti e ne feriscono uno. Questo tragico episodio consente alla Dc di presentarsi alle elezioni come il baluardo contro il terrorismo.
I risultati delle elezioni, del 3 giugno 1979, vedono la Dc conservare un 38,3% dei voti, il Pci scendere al 30,4% perdendo un 4% dei voti e lo Psi fermarsi al 9,8%. Il presenzialismo e il protagonismo di Marco Pannella e i suoi attacchi al consociativismo premiano il partito radicale, che incamera il 3,5% dei voti. Per la prima volta, troviamo in Parlamento una consistente pattuglia di radicali, che prosegue, dalle sedi istituzionali, le battaglie condotte con l'anticonformista radio radicale e con le manifestazioni pubbliche di protesta contro il "regime". Le elezioni europee del 10 giugno 1979 confermano, sostanzialmente i risultati delle politiche.
Berlinguer, nel mese di novembre '80, a Salerno, annuncia la fine del compromesso storico e la nuova strategia di "alternativa democratica" alla Dc. Nei fatti, il Pci resta, a pieno titolo, "nell'arco costituzionale", come è di moda affermare negli anni settanta, ma viene associato all'Msi in quella conventio ad excludendum verso ipotesi di cooptazione alle responsabilità di governo.
Sul compromesso storico e sull'azione politica di Berlinguer sono state scritti molti saggi storici; tra gli altri, sembra condivisibile l'analisi condotta da Vacca, secondo il quale, Berlinguer, con l'ossessiva demonizzazione del liberismo, fu incapace di prevedere l'esaurirsi del vecchio welfare. D'altra parte, secondo Vacca, «Berlinguer respinge l'ipotesi di vivere in condizioni di alternanza politica … c'è un rifiuto esplicito, da parte del Pci, dopo il 1978 e dopo la fine della solidarietà nazionale, a prendere in considerazione modelli che non siano quelli del consociativismo» (Vacca, 1987). Questa impostazione programmatica del Pci, che abbandona la logica dell'alternanza e quindi della contrapposizione, sarà una delle cause del degrado della politica degli anni ottanta. L'80% delle leggi viene, ancora, approvato con il voto dei comunisti, cosicchè si instaura una sorta di ping-pong delle responsabilità, al punto che il cittadino non riesce più a comprendere a chi esse competano.
C'è da osservare, anche, che dopo il '76, anno dell'ultimo risultato che registra il voto giovanile a favore del Pci più consistente del voto degli adulti, comincia un lungo inarrestabile declino; i giovani non sono più attratti da un partito che non si pone in contraddizione con l'establishment.
Berlinguer non approfitta, né della pubblicazione di Charta 77, l'appello di 242 intellettuali cecoslovacchi che chiedono il rispetto dei diritti umani nei paesi dell'Est, né dell'invasione dell'Afganistan da parte delle truppe sovietiche (nel dicembre '79), né del colpo di stato del generale Jaruzelski in Polonia (nel dicembre 1981 ); non fa seguire i fatti alle parole e non pronuncia una definitiva abiura al comunismo e ai suoi metodi, anzi, in un'intervista a Oriana Fallaci, per il Corriere, sostiene «Anche se in me vi sono alcuni punti di contatto coi liberals e coi socialdemocratici e coi laburisti, ripeto: sono comunista». In una successiva intervista a Moravia, che gli chiedeva spiegazioni sulla resistenza della base staliniana del Pci al rinnovamento, Berlinguer risponde «Lei dice base staliniana, io dico base fornita di una robusta coscienza anticapitalista». In queste risposte sono condensate le contraddizioni politiche e culturali del Pci di Berlinguer (Folena, 1997); possiamo affermare che l'uomo politico rimase fino in fondo un comunista etico, che ebbe forti intuizioni, che non riuscì a concretizzare in un progetto politico di rinnovamento. Ci vorranno ancora molti anni e la caduta del muro di Berlino perché, con Occhetto, nel 1990, si consumi il divorzio dal comunismo. Dovrà concretizzarsi, cioè, la sconfitta del comunismo in paesi che non avevano conosciuto libertà e democrazia, perché anche in Italia, dove si era al corrente del fallimento di quell'ideologia, il Pci ne prendesse atto, ufficialmente.
Il reincarico ad Andreotti è un puro gesto formale, compiuto da Pertini avendo in mente altre soluzioni. Infatti, riprendono fitti i contatti con lo Psi per ricostituire un patto di governo, ma i democristiani non dànno il sostegno a Craxi (il segretario Zaccagnini, nostalgico dell'accordo con il Pci, è contrario a privilegiare i socialisti) e i socialisti non lo dànno a Filippo Maria Pandolfi. La vita politica sembra aver imboccato un vicolo cieco, quando l'incarico viene affidato a Cossiga che, nell’agosto1979, forma un "governo di tregua" con Psdi e Pli, e l'astensione di Psi e Pri (5/8/79-5/4/80). Dalle memorie di Cossiga, risulta che il suo fu un "governo del presidente", il secondo dopo quello di Pella, voluto da Pertini al di fuori di ogni designazione dei partiti (Cossiga, 2000). L'apertura dello Psi ai liberali è la premessa della strategia di Craxi, che punta alla costruzione di uno schieramento laico-socialista in grado di trattare con la Dc in modo unitario.
Nella Dc si affilano le armi contro chi appoggia la politica del compromesso storico e si compiono le vendette contro la sinistra del partito. Al congresso della Dc, del febbraio '80, sulla base del preambolo Forlani-Conat Cattin (per la preclusione al Pci e per la creazione di un asse privilegiato Dc-Psi), si forma una maggioranza tra dorotei (Piccoli, Bisaglia), fanfaniani, forlaniani, forzanovisti, che ottengono il 58% dei voti ed eleggono segretario Piccoli e presidente Forlani; sconfitta è l'area Zaccagnini, che era disponibile a una rinnovata intesa con il Pci (Galli, 1993). Zaccagnini, che pure aveva messo a segno alcuni risultati, come la cancellazione di 650 mila iscritti fasulli, la crescita degli iscritti reali e un discreto ricambio generazionale nelle liste elettorali, non è riuscito a scalfire il potere delle correnti, che ne decretano la fine.
Nell’aprile 1980, Cossiga, che si era nel frattempo dimesso , ottiene il reincarico (5/4/80-18/10/80), lo Psi ritorna nel governo e il Paese sembra avviato di nuovo alla serie di governicchi di breve durata e senza nessun respiro programmatico. Craxi, convinto, che nella ricostituita "democrazia bloccata" lo Psi è indispensabile per formare i governi, sta oramai lavorando per la costituzione del polo laico e socialista unitario, come unico forte interlocutore della Dc. Craxi, che si era presentato, inizialmente, come il paladino dell'alternativa di sinistra, mostra che questo progetto era stato lanciato, sia per ridimensionare il ruolo dei comunisti, che per alzare il prezzo nella trattativa con la Dc. L'alternativa di sinistra viene rimandata a quando lo Psi sarà in grado di superare elettoralmente il Pci.
L’8 giugno 1980 si svolgono le elezioni regionali che vedono la Dc scendere, sia rispetto alle politiche, che alle regionali del 1975, le indecisioni, le lotte intestine e il pendolarismo tra Psi e Pci l’hanno penalizzata. Il Pci, sale leggermente, ma si porta a uno 0,8% sotto i democristiani: Dc 32,4%, Pci 31,6%, Psi 14,2%, Psdi 6%, Pli 5,9%, Msi 4%, Pri 3,3%. PdUP 1%, DP 0,8%.
Il 27 giugno 1980, precipita nel cielo di Ustica un Dc-9 dell'Itavia e da quel momento, attorno all'episodio, lo stato alza un muro, fatto di silenzi e di omertà; i servizi segreti, l'aeronautica militare, gli uomini di governo, tutti dànno il loro contributo perché la gente non sappia che cosa realmente accadde nei cieli di Ustica e le istituzioni offrono uno dei peggiori esempi di arroganza e di disprezzo nei confronti del cittadino. Bisognerà aspettare il 2000 per vedere in un'aula di tribunale i responsabili delle omertà e dei silenzi.

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Eugenio Caruso - 8 novembre 2018


Tratto da

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www.impresaoggi.com