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Italia: vizi e virtù. Il crollo dell'impero sovietico


In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"

Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.

copertina 3

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22. Il crollo dell'impero sovietico e i contraccolpi in Italia

Nel volgere di pochi mesi tra l'89 e il '90, le strutture ideologiche, politiche, territoriali, e militari dell'impero comunista, vengono polverizzate; è interessante osservare che se il tracollo del comunismo ha ragioni complesse, che vanno dalla progressiva sclerosi dell'economia, alla disarticolazione del tessuto sociale e all'esaurimento dell'ideologia, è anche vero che l'informazione ha funzionato da detonatore di quell'esplosione. Un lento ma inesorabile flusso sotterraneo di informazioni dal mondo occidentale verso i paesi dell'Est e l'impatto di questo flusso informativo su popolazioni che avevano maturato un distacco emotivo e culturale dalla realtà offerta dalla quotidianità comunista è stato l'elemento di accelerazione di un processo disgregativo in atto (Manca, 1992).
A Bologna, nel marzo del 1990, al XIX congresso del Pci, ultimo della sua storia, scompare il partito comunista e l'8 febbraio 1991, a Rimini, viene fondato il partito democratico della sinistra (Pds): il partito rinuncia agli aggettivi comunista e socialista e assume per simbolo una quercia che poggia su falce e martello. Il Pci approva con il 67% dei voti la proposta di Occhetto di cambiare nome, avviare una fase politica nuova e costituente e rompere l'isolamento politico. Massimo D'Alema, direttore dell'Unità, è uno dei più tenaci sostenitori della svolta. Osservando alla televisione i volti di anziani compagni in lacrime si percepisce la sensazione di un collasso psicologico di persone che erano state ingannate e che, pertanto, non capiscono. Un ideologismo sordo e cieco davanti ai danni e al disfacimento sociale, culturale ed economico in atto nei paesi comunisti, aveva perseverato nelle promesse di obiettivi irraggiungibili, di false libertà, di falsi paradisi. La responsabilità della dirigenza comunista è aggravata dalla consapevolezza che nel Pci era, comunque, in atto un lento, ma costante processo di superamento del comunismo stesso; era solo necessario ammetterlo e farne partecipe la cosiddetta "base". La volontà dei popoli magiaro, polacco, cecoslovacco, che avevano cercato di liberarsi dal giogo del comunismo, non aveva avuto una funzione maieutica per una crescita culturale del popolo comunista. È stato necessario che il fallimento del comunismo diventasse un fatto mediatico perché la dirigenza del Pci lo riconoscesse pubblicamente. Esso diventa reale, cioè, nel momento della sua rappresentazione sugli schermi televisivi di tutto il mondo e non perché nasce da un'analisi critica di una dirigenza che, da Togliatti a Longo, da Berlinguer a Natta a Occhetto, sapeva e che, colpevolmente, aveva sempre taciuto e negato. Il partito cambia nome, ma la classe dirigente resta quella di prima, dando ancora la sensazione di voler cambiare senza rinnegare.
Al congresso di Rimini l'ala della sinistra libertaria e quella ortodossa non accettano la trasformazione e fondano il movimento della Rifondazione comunista, che, due mesi dopo si trasforma in partito con Garavini, primo segretario. Affermerà Bertinotti «Noi ritenevamo che il crollo dei regimi dell'Est, il fallimento di quell'esperienza, non trascinasse automaticamente con sé la cancellazione delle straordinarie ragioni che avevano mosso quella scalata al cielo che fu la rivoluzione d'ottobre, perché le ragioni dell'uguaglianza e della liberazione del lavoro salariato continuano anche in questa fase dello sviluppo capitalistico» (Zavoli, 1999). La sofferenza, la violenza, le umiliazioni inferte dal comunismo a decine di milioni di lavoratori non lasciano traccia sull'ideologismo narcisistico di Bertinotti e di tutti coloro che ancora per decenni porteranno avanti i principi della rivoluzione d’ottobre.
Purtroppo oltre a questa continuità ideologica, che negli anni vedrà succedersi decine di sigle di partiti che si rifaranno al comunismo, occore sottolineare un altro aspetto. Con la scomparsa del Pci lentamente si frantuma tutta la struttura satellitare al partito, costituita da centri culturali, giornali, case editrici, radio, fiancheggiatori. I collaboratori di queste strutture, con gli anni sono confluiti in altri partiti di centro, di destra e di sinistra, ma, molti non hanno perso il loro imprinting. Pertanto non stupisce che alla radio di Confindustria, nel 2010, vi siano giornalisti che contrappongono vizi di forma e la cultura del benaltrismo a ogni proposta in senso liberale; che magistrati o conduttori o responsabili editoriali si muovano nell’ambito della propria professione seguendo la rotta della passata ideologia.
Tra le parole più concrete sulla fine del comunismo vanno ricordate quelle di Giovanni Paolo II, che, nell'enciclica Laborem exercens afferma «Il comunismo come sistema è, in un certo senso caduto da solo. È caduto in conseguenza dei propri errori e abusi. Ha dimostrato di essere una medicina più pericolosa e, all'atto pratico, più dannosa della malattia stessa». Dopo la svolta della Bolognina, Bettino Craxi vede una possibile alternativa di sinistra all'accordo con la Dc e, mentre il Pci è alla ricerca di una nuova identità, sollecita Occhetto a inserire nel nuovo nome del partito un riferimento al socialismo; ma, come ammetterà lo stesso Occhetto (Zavoli, 1999), la maggior parte della dirigenza comunista (o ex-comunista) guarda alla Dc più che allo Psi. Il Pds diventa, quindi, un pericolo per Craxi, che sferra una serie di colpi volti a delegittimare Occhetto e ridicolizzarne l'azione. Nel frattempo inizia a verificarsi un cedimento della coesione interna della Dc; Leoluca Orlando, a Palermo, rompe la disciplina di partito e costituisce una giunta con la sinistra, fondando, successivamente, la forza politica chiamata Rete. Un secondo dissidente della linea politica della Dc è Mario Segni, che si prepara ad abbattere il vecchio sistema elettorale. Nel Nord la Lega di Bossi acquista sempre maggiori consensi. Afferma Smith «Questi quattro uomini politici - Bossi, Segni, Orlando e Occhetto - rispecchiavano, benché in forme tra loro diversissime, l'insofferenza del Paese nei confronti di un sistema politico corrotto e obsoleto» (Smith, 1997).
Queste novità di rinnovamento, nello sclerotizzato mondo della politica, toglie il bavaglio alla magistratura; a esempio, viene a galla, nell'estate '90, l'esistenza di Gladio. Racconta Cossiga «Andreotti, allora presidente del consiglio, venne da me, un giorno, al Quirinale. Aveva deciso di aprire gli archivi del Sisde al sostituto procuratore generale Felice Casson . Gli dissi che il magistrato sarebbe, automaticamente, venuto ad apprendere dell'esistenza di Gladio e il capo del governo mi spiegò che aveva deciso di renderla nota lui stesso». L'informazione viene data alle stampe e inizia a trapelare il nome di Cossiga. Il presidente, interpellato da un giornalista del Corriere della sera ammette che, ai tempi in cui era stato sottosegretario alla difesa, il governo gli aveva dato l'incarico di compiere atti relativi alla possibilità di una guerra. Il Pci, in uno dei suoi ultimi aneliti, lancia pesanti attacchi alla Dc e la situazione precipita quando si scopre che armi ed esplosivi appartenenti a Gladio erano stati utilizzati dall'estrema destra in atti terroristici. Rispetto agli atteggiamenti defilati di gran parte della classe politica italiana, Cossiga ammetterà «Fu così che mi assunsi delle responsabilità, e non solo quelle di mia pertinenza, dato che difesi Gladio in maniera determinata anche perché tanti, troppi, facevano finta di niente».
Perché Andreotti decide di rendere pubblica Gladio? I motivi possono essere diversi; l'uomo politico non era mai stato un convinto sostenitore del patto atlantico, ma un tenace fiancheggiatore della Ostpolitik del Vaticano e un fautore della politica filo-araba, conseguentemente non aveva mai creduto nelle strutture segrete in funzione anticomunista. Inoltre iniziava a far maturare crediti a sinistra, in funzione di una possibile candidatura a presidente della repubblica. Cossiga viene lasciato solo a difendersi dagli attacchi di partiti e media, cosicché, l'uomo politico, dopo cinque anni di "altissimo notariato", si toglie l'abito istituzionale e avvia una campagna di diffamazione contro il suo partito e i magistrati, parla con linguaggio aggressivo nei confronti del capo di governo Andreotti, accusa alcuni parlamentari di essere cretini e zombi, chiede maggiori poteri per il presidente della repubblica «per poter riformare le istituzioni da cima a fondo», difende la P2. Da un giorno con l'altro da "fedele servitore delle istituzioni" Cossiga diventa il tribuno del popolo il cui obiettivo è regolare i conti con tutta la classe politica.
Contro Cossiga si alza la voce di Scalfaro che accusa il presidente della repubblica di aver instaurato un canale diretto con il popolo, passando sopra la testa del Parlamento, e di essere entrato nella dialettica politica esorbitando dalle sue funzioni. Per questa serie di esternazioni, i media, sempre alla ricerca dello scoop e bravissimi nell'inventare soprannomi per i vari personaggi e slogan di facile prea (l'Avvocato, l'Ingegnere, il Cavaliere, il Senatur, il Professore, la Signora, il Cinese, il Dottor sottile, Dalemoni, Inciucio, Bipartisan ) lo definiscono "il picconatore".
Giova ricordare che, l'8 ottobre 1990, in un appartamento milanese servito da nascondiglio alle brigate rosse, e già scoperto anni prima, un muratore trova nascosto dietro un pannello di gesso il memoriale, apparentemente integrale, che Aldo Moro aveva scritto durante la prigionia e di cui erano note solo alcune parti. Il documento contiene gravi ingiurie a Cossiga e Andreotti, accuse alla Dc per il ruolo equivoco tenuto nella strategia della tensione e allusioni all'esistenza di una struttura clandestina antiguerriglia. Due settimane dopo, Andreotti, in Parlamento, ammetterà, come già visto, l'esistenza, dagli anni cinquanta, di Gladio.
Nel frattempo, nonostante l'accordo con Forlani, Craxi è convinto di logorare la Dc, lo stesso pensa di fare Andreotti con lo Psi. L'inerzia dei governi non ostacola, anzi favorisce, il dissesto della finanza pubblica e l'espansione della criminalità, e la classe politica non si accorge che oramai sta raschiando il fondo del barile. Un segno dell'insofferenza degli italiani si manifesta alle regionali del 6 maggio 1990, che segnano il primo significativo successo delle leghe, con il 5,4% su scala nazionale, nonostante che, pochi giorni prima delle elezioni, Cossiga, esorbitando dal proprio ruolo istituzionale, faccia, a Milano, un intervento palesemente antileghista; la Dc rimane attestata sul 33,4%, il Pci scende al 24%, lo Psi raggiunge il massimo storico del 15,3% tutti gli altri partiti tradizionali vedono calare i loro suffragi.
Il mese successivo viene indetto un referendum sulla disciplina della caccia, sull’accesso dei cacciatori ai fondi privati e sull’abrogazione dei pesticidi. Quel 3 giugno 1990 va ricordato pertchè per la prima volta in Italia un referendum non raggiunge il quorum e viene pertanto invalidato; inizia a manifestarsi un’insofferenza anche nei riguardi dei radicali e del loro attivismo referendario. Ciò non toglie che gli italiani andranno in massa alle urne, il 9 giugno 1991, per votare a favore della “preferenza unica”, con il referendum promosso da Mario Segni.


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Eugenio Caruso - 7 gennaio 2019


Tratto da

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www.impresaoggi.com